Sentenza n. 98 del 2014

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SENTENZA N. 98

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Gaetano                      SILVESTRI                           Presidente

-           Luigi                           MAZZELLA                           Giudice

-           Sabino                        CASSESE                                     

-           Giuseppe                    TESAURO                                   

-           Paolo Maria                NAPOLITANO                            

-           Giuseppe                    FRIGO                                          

-           Alessandro                 CRISCUOLO                               

-           Paolo                          GROSSI                                       

-           Giorgio                       LATTANZI                                  

-           Aldo                           CAROSI                                       

-           Marta                          CARTABIA                                 

-           Sergio                         MATTARELLA                           

-           Mario Rosario             MORELLI                                    

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                

-           Giuliano                      AMATO                                       

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nel testo originario, anteriore alla sostituzione dello stesso a opera dell’art. 1, comma 611, lettera a), numero 1), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − Legge di stabilità 2014), promossi dalla Commissione tributaria provinciale di Perugia con ordinanza del 7 febbraio 2013, dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso con due ordinanze del 17 aprile 2013, dalla Commissione tributaria provinciale di Benevento con ordinanza del 18 aprile 2013 e dalla Commissione tributaria provinciale di Ravenna con due ordinanze del 12 luglio 2013, rispettivamente iscritte ai nn. 68, 146, 147, 153, 270 e 271 del registro ordinanze 2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 16, 26, 27 e 51, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 2014 il Giudice relatore Sergio Mattarella.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza pronunciata il 1° febbraio 2013 e depositata il 7 febbraio 2013 (registro ordinanze n. 68 del 2013), la Commissione tributaria provinciale di Perugia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, questioni di legittimità dell’art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), inserito dall’art. 39, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, che disciplina il reclamo e la mediazione tributarie.

1.1.– Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto, che: a) con ricorso del 5 luglio 2012, Massimiliano Morettini ha impugnato una cartella «esattoriale» recante l’iscrizione a ruolo della somma di € 16.531,06, deducendo sia «alcuni errori formali concernenti» la stessa, sia «il mancato riconoscimento del credito IVA»; b) la «Amministrazione finanziaria» ha, in via preliminare,  eccepito l’inammissibilità del ricorso perché il ricorrente non aveva «adito l’istituto della mediazione» previsto dall’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, e, nel merito, chiesto il rigetto del gravame.

1.2.– La Commissione tributaria provinciale di Perugia ritiene di dovere anzitutto esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla parte resistente. Al riguardo, afferma, tuttavia, che «sussistono seri dubbi di costituzionalità» della disposizione invocata dalla «Amministrazione finanziaria» e che gli stessi hanno «riflessi immediati sull’esito del ricorso». 

Secondo il giudice rimettente, l’art.17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 violerebbe, infatti, gli artt. 3, 24 e 25 Cost.

La Commissione tributaria rimettente premette, in punto di diritto, che l’articolo censurato: a) stabilendo che, «Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo secondo le disposizioni» successive (comma 1) e che la presentazione del reclamo è condizione di ammissibilità del ricorso, la cui inammissibilità è rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del giudizio (comma 2), configura «la proposizione di tale reclamo [come] obbligatori[a] ed impedisce al contribuente di adire immediatamente la giustizia tributaria ricevendone la eventuale tutela»; b) prevede che il reclamo in questione è esaminato da un organo dell’amministrazione, ancorché tramite apposite strutture diverse e  autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili, al quale sono demandate sia la decisione in ordine all’accoglimento dello stesso e della proposta di mediazione che può esservi contenuta sia la formulazione di ufficio, nel caso di rigetto dei medesimi, di una proposta di mediazione (commi 5, 7 e 8).

1.3.− In punto di non manifesta infondatezza, la Commissione tributaria rimettente lamenta in primo luogo che «il Legislatore abbia usato l’istituto della mediazione in modo erroneo ed illogico».

A tale conclusione si giungerebbe in base all’art. 3, lettera a), della direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale) − secondo cui «Tale procedimento [in cui la mediazione consiste] può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro» − dal quale si ricaverebbe che «l’organo della mediazione deve essere estraneo alle parti», mentre la disposizione impugnata affiderebbe il ruolo di mediatore, «in sostanza», a una delle parti della controversia (la Direzione provinciale o la Direzione regionale che ha emanato l’atto).

Osserva, inoltre, il giudice rimettente che la mediazione prevista dall’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, sia che venga proposta dal reclamante sia che venga proposta d’ufficio, sarebbe, «di fatto, […] obbligatoria e come tale, in materia civile, già dichiarata incostituzionale, anche se per diversa ragione (eccesso di delega)» dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 272 del 2012.

1.4.− Il giudice a quo rileva poi, sempre in punto di diritto, che la disposizione impugnata stabilisce che «Decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso» (comma 9, primo periodo) e che «I termini di cui agli articoli 22 e 23 [cioè i termini per la costituzione in giudizio del ricorrente e della parte resistente] decorrono dalla predetta data» (comma 9, secondo periodo), dal che si desume che «sino a quel momento il contribuente non può adire formalmente la giustizia tributaria». Il rimettente sottolinea inoltre che, ai sensi dell’art. 23, comma 30, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111 (recte: ai sensi dell’art. 29 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, come modificato dal predetto art. 23, comma 30, del d.l. n. 98 del 2011), gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’imposta sul valore aggiunto contengono anche l’intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all’obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso e a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall’art. 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), e divengono esecutivi decorsi sessanta giorni dalla loro notificazione (art. 29, comma 1, lettere a e b, del d.l. n. 78 del 2010).

La Commissione rimettente lamenta, a tale riguardo, «la incongruenza tra i termini previsti per il reclamo e la mediazione e l’immediata esecuzione dell’avviso di accertamento». Ciò in quanto, poiché, a norma della disposizione impugnata (art. 17-bis, comma 9), il reclamo «produce gli effetti del ricorso» solo dopo che sono decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato il suo accoglimento o senza che sia stata conclusa la mediazione e solo successivamente è possibile la costituzione in giudizio del ricorrente, il contribuente, nell’attesa dell’esaurimento di tale fase, è costretto a pagare gli importi indicati nell’avviso di accertamento, divenuto, nel frattempo, esecutivo, ai sensi dell’art. 29 del d.l. n. 78 del 2010. Né è possibile chiedere la sospensione dell’avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che il contribuente «non ha potuto depositare il proprio ricorso presso la Commissione, ricorso che comunque sarebbe dichiarato inammissibile perché non preceduto dall’iter previsto dalla norma impugnata».

1.5.− Sempre secondo la Commissione rimettente, la disposizione censurata víola l’art. 3 Cost. anche là dove stabilisce che il reclamo e la mediazione si applicano solo alle controversie relative ad atti emessi «dall’Agenzia delle entrate» e, quindi, solo ai tributi di pertinenza di tale Agenzia e non anche ai tributi di pertinenza di altri soggetti impositori, con la conseguenza che i contribuenti obbligati al pagamento di questi ultimi tributi «si troverebbero ad avere maggiore tutela giuridica rispetto ai contribuenti cui pervengono atti dell’Amministrazione finanziaria che devono attenersi all’iter» dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992.

1.6.− Il giudice rimettente lamenta infine l’illogicità della disposizione impugnata là dove limita l’applicazione del reclamo e della mediazione da essa previsti alle sole controversie di valore non superiore a ventimila euro. Tale limitazione comporta infatti che i contribuenti, qualora il loro debito nei confronti dello Stato superi l’importo a ventimila euro, per tale solo fatto, «trovino maggiore tutela giudiziaria» perché possono adire immediatamente il giudice tributario e chiedere, ove lo ritengano, la sospensione dell’atto impugnato.

1.7.− In punto di rilevanza, la Commissione tributaria rimettente afferma che le questioni avrebbero «rilessi immediati sull’esito del ricorso in esame».

2.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate.

2.1.– La difesa dello Stato eccepisce anzitutto l’inammissibilità della questione con la quale il giudice rimettente lamenta che la disposizione censurata, non consentendo al contribuente di adire immediatamente il giudice tributario, lo priverebbe della possibilità di avvalersi della tutela cautelare prevista dall’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992, costringendolo a pagare gli importi indicati nell’avviso di accertamento notificatogli, divenuto esecutivo durante l’iter del reclamo, ai sensi dell’art. 29 del d.l. n. 78 del 2010.  La difesa statale deduce al riguardo che dagli atti del giudizio principale risulta che la Commissione tributaria provinciale di Perugia, con ordinanza n. 155/02/12, depositata il 6 novembre 2012, aveva rigettato l’istanza di sospensione della cartella di pagamento impugnata − affermando che: «La Commissione, decidendo in merito all’istanza di sospensiva, rilevato che indipendentemente dalla sussistenza o meno del fumus boni iuris, non è stato provato, nella fattispecie, un danno grave e irreparabile tale da consentire l’emissione del provvedimento di sospensione; visto l’art. 47 D.Lgs. 546/92 rigetta la proposta istanza di sospensiva» − con la conseguenza che, essendo il potere cautelare già stato esercitato, nel senso della negazione della sospensione richiesta, non  «si vede quale utilità» potrebbe derivare dall’accoglimento della questione. Ciò comporterebbe, sempre secondo l’Avvocatura generale dello Stato, l’inammissibilità della stessa per mancanza di rilevanza o, comunque, per omessa motivazione in ordine alla rilevanza, alla luce della decisione già adottata in sede cautelare.

Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la stessa questione sarebbe, comunque, infondata. L’interveniente deduce in proposito che la Commissione rimettente ha trascurato di considerare che, ancorché il comma 1 dell’art. 29 del d.l. n. 78 del 2010 abbia previsto «l’immediata esecutività» degli avvisi di accertamento, lo stesso comma 1, alla lettera b) − nel testo modificato dall’art. 8, comma 12, lettera a), numero 1), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44 (recte: come modificato dall’art. 7, comma 2, lettera n, numero 3, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, recante «Semestre Europeo − Prime disposizioni urgenti per l’economia», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 106) − stabilisce che «L’esecuzione forzata è sospesa per un periodo di centottanta giorni dall’affidamento in carico agli agenti della riscossione degli atti di cui alla lettera a)». Tale previsione esclude, ad avviso della difesa statale, ogni pregiudizio, per il contribuente, derivante dall’obbligo di presentare reclamo impostogli dalla disposizione censurata. La difesa statale soggiunge infine che un’ulteriore possibilità di sospensione della riscossione a istanza del contribuente è prevista dall’art. 1, commi da 537 a 543, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − Legge di stabilità 2013)

2.2. – L’Avvocatura generale dello Stato deduce poi l’infondatezza della questione con la quale la Commissione tributaria rimettente lamenta che la disposizione censurata utilizza l’«istituto della mediazione in modo erroneo ed illogico», sia perché ne affida la conduzione a una delle parti della controversia, sia perché la configura come obbligatoria «e come tale, in materia civile, già dichiarata incostituzionale» con la sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2012. La difesa statale osserva, al riguardo, che: a) il richiamo, operato dal giudice rimettente, alla direttiva n. 2008/52/CE «è del tutto improprio» in quanto l’art. 1, paragrafo 2, della stessa, prevede che «Essa non si estende, in particolare, alla materia fiscale, doganale e amministrativa»; b) anche il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2012 in tema di mediazione civile è «del tutto fuori luogo», anche senza considerare che  tale pronuncia di illegittimità costituzionale si fonda non sul contrasto dell’obbligatorietà della mediazione civile con i princípi costituzionali ma sul riscontro di un eccesso di delega (profilo che certamente non rileva con riguardo all’impugnato art. 17-bis, introdotto da un decreto-legge); c) la previsione che a condurre la mediazione debba essere un soggetto terzo rispetto alle parti della controversia, se può ritenersi «naturale» nel caso di controversie civili, sarebbe invece «impropria» nel caso di controversie tributarie, nelle quali una parte pubblica esercita un potere impositivo che trova fondamento nell’art. 53 Cost. A tale ultimo proposito, la difesa statale osserva che solo l’amministrazione finanziaria è titolare, nell’esercizio dell’attività di controllo dell’adempimento degli obblighi tributari da parte dei contribuenti  (è richiamato, sul punto, l’art. 31 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, recante «Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi»), del potere amministrativo di imposizione − nelle sue manifestazioni del potere di emissione nonché di annullamento e di rideterminazione del contenuto (anche con l’adesione del soggetto passivo del tributo) degli atti impositivi − e che ciò rileva, nella specie, con riguardo all’esclusività della titolarità del potere di annullamento di detti atti nell’àmbito del generale potere di autotutela. Coerentemente con tale principio, la disposizione impugnata ha attribuito il potere di riesame sul reclamo, «volto all’annullamento totale o parziale dell’atto» (comma 8 dell’impugnato art. 17-bis), nell’esercizio del generale potere di autotutela, alla stessa amministrazione finanziaria. L’affidamento di un potere siffatto a un terzo privato si sarebbe, per converso, tradotto in una indebita attribuzione allo stesso di un potere amministrativo, «con una (essa sì, costituzionalmente illegittima) "privatizzazione” del potere impositivo», riguardante diritti indisponibili.

2.3.– Quanto alle questioni con le quali il giudice rimettente lamenta che l’applicazione del reclamo e della mediazione previsti dalla disposizione censurata alle sole controversie relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate e di valore non superiore a ventimila euro comporterebbe, per ciò solo, un trattamento meno favorevole di tali controversie (e dei contribuenti che ne sono parte) rispetto a quelle che, per essere relative ad atti emessi da soggetti diversi dall’Agenzia delle entrate e/o di valore superiore a ventimila euro, sono escluse dall’applicazione di detti istituti, la parte pubblica ne eccepisce anzitutto l’inammissibilità in ragione della già rilevata erroneità di tale presupposto.

Ad avviso della difesa dello Stato, tali questioni sono, comunque, infondate. Ciò perché la già evidenziata necessità che la mediazione tributaria sia condotta da ciascun ente impositore, in quanto avente il potere di rinunciare alla propria pretesa o di ridurla, comporta, da un canto, «una diversità di situazione» tra le controversie relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate e quelle che coinvolgono altri enti impositori, che «rende non comparabili le relative fattispecie»; dall’altro, la necessità, per il legislatore, nel caso in cui decida, nell’esercizio della propria discrezionalità, di prevedere il reclamo e la mediazione anche per controversie relative ad atti emessi da enti diversi dall’Agenzia delle entrate, di predisporre le risorse, le strutture e i mezzi necessari per l’esercizio di tale ulteriore attività amministrativa.

Secondo la difesa statale, le «medesime motivazioni sono alla base della scelta di limitare, nella prima fase di avvio, l’applicazione del nuovo istituto alle sole cause di importo non rilevante».

2.4.– L’Avvocatura generale dello Stato formula poi, «per completezza», alcune osservazioni che ritiene idonee a dimostrare, anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, l’assoluta assenza di contrasto tra la disposizioni impugnata e «i principi costituzionali».

La difesa statale sottolinea in particolare  che l’obbligatoria presentazione del reclamo non determina per il contribuente un più gravoso esercizio dell’azione in giudizio. Infatti, come si evince chiaramente dai commi 6 e 9 della disposizione impugnata, nel caso di mancata conclusione positiva della fase amministrativa del reclamo e della mediazione, l’art. 17-bis considera l’azione in giudizio «già esercitata al momento della presentazione del reclamo» − il quale «anticipa» il contenuto del ricorso, atteso che, con tale istanza, il contribuente chiede l’annullamento totale o parziale dell’atto sulla base degli stessi motivi di fatto o di diritto che intende proporre alla commissione tributaria provinciale nell’eventuale fase giurisdizionale − imponendo al contribuente, al fine della prosecuzione del contenzioso, solo l’onere di costituirsi in giudizio dinnanzi alla commissione tributaria. La difesa erariale osserva ancora che la previsione di un obbligatorio procedimento amministrativo (preliminare a quello giurisdizionale), da concludere entro il ragionevole termine di novanta giorni, se, da un lato, posticipa l’azione in giudizio, dall’altro, allorché si conclude con l’accoglimento, totale o parziale, delle richieste del contribuente, consente di ottenere, negli indicati brevi tempi, ciò che sarebbe conseguito solo a una decisione del giudice, con i necessari tempi di attesa della stessa, con conseguente aderenza ai princípi degli artt. 97 e 111 Cost. L’Avvocatura generale dello Stato osserva ancora che «l’esercizio della giurisdizione condizionata a una previa fase amministrativa» è da tempo previsto in campo amministrativo e, in particolare, tributario, e cita, al riguardo, l’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo cui: «Il ricorso avverso il rifiuto tacito della restituzione di cui all’articolo 19, comma 1, lettera g), può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione».

Con riguardo all’utilità di meccanismi deflattivi del contenzioso, la difesa dello Stato richiama infine le sentenze della Corte costituzionale n. 130 del 1970, n. 276 del 2000 e n. 56 del 1995. A proposito di quest’ultima, con la quale la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità dell’art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641 (Disciplina delle tasse sulle concessioni governative) – che stabiliva, per le controversie relative all’applicazione delle tasse di concessione governativa, la preclusione della possibilità di esperire l’azione giudiziaria in mancanza dei preventivi ricorsi amministrativi previsti nell’art. 11 dello stesso d.P.R. n. 641 del 1972 − la difesa statale afferma che le considerazioni poste dalla Corte a fondamento di tale pronuncia, cioè la mancanza di una ratio idonea a giustificare il limite imposto dall’art. 12 del d.P.R. n. 641 del 1972 al principio dell’art. 24 Cost., in ragione del fatto che si trattava «di controversie che non implicano accertamenti tecnici in funzione dei quali appaia necessario o opportuno che la fase giudiziaria sia preceduta da un esame in sede amministrativa […], tanto meno quando, come nella specie, è chiesto il rimborso di tributi indebitamente riscossi dall’amministrazione finanziaria», non si attagliano al caso dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, in cui gli atti impositivi emessi dall’Agenzia delle entrate possono porre (e di norma pongono) la necessità di valutazioni tecniche che abbisognano di un approfondito esame e rendono, perciò, opportuna una previa verifica di fondatezza in sede amministrativa.

2.5.– La difesa dello Stato rileva, conclusivamente, che i primi dati disponibili «sull’efficacia della mediazione tributaria» introdotta dall’art. 17-bis del d.P.R. n. 546 del 1992 paiono confermare l’utilità dell’istituto. Premesso che le controversie relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate «interessate [a tale] mediazione (quelle cioè di valore fino ad € 20.000)» sono il 56% del totale, l’Avvocatura dello Stato nota che, nell’àmbito dei 65.545 «reclami» esaminati da detta Agenzia nel periodo dal 3 ottobre 2012 al 31 marzo 2013, «l’esito positivo» ha riguardato il 48,2% delle «posizioni», dato che evidenzia «l’idoneità dell’istituto» ad abbattere il numero dei ricorsi proposti davanti alle commissioni tributarie provinciali, con evidenti vantaggi sia per tale giurisdizione (che vede ridotto il proprio carico di lavoro e, conseguentemente, incrementata la rapidità della trattazione delle cause pendenti davanti a sé) sia per i contribuenti che riescono ad ottenere soddisfazione entro poche settimane.  

3.− Con ordinanza pronunciata il 16 aprile 2013 e depositata il 17 aprile 2013 (reg. ord. n. 146 del 2013), la Commissione tributaria provinciale di Campobasso ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 111 e 113 Cost., questione di legittimità dell’art. 17-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

3.1.− Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto, che: a) la Regione Molise ha proposto ricorso avverso un avviso di irrogazione di sanzioni per il ritardato pagamento della tassa di concessione per il servizio di telefonia mobile in abbonamento emesso dall’Agenzia delle entrate e notificatole il 18 settembre 2012, atto con il quale veniva richiesto il pagamento della somma di € 13.993,12, oltre a interessi e a spese; b) l’amministrazione finanziaria si è costituita in giudizio eccependo, pregiudizialmente, l’inammissibilità del ricorso per non avere la ricorrente preliminarmente presentato, in violazione dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, il reclamo che tale disposizione obbligatoriamente impone a chi intenda proporre ricorso avverso un atto emesso dall’Agenzia delle entrate con il quale è richiesto il pagamento di sole sanzioni (oltre a interessi e a spese) per un importo inferiore a ventimila euro e che è stato notificato a decorrere dal 1° aprile 2012; c) la ricorrente ha sollevato eccezione di illegittimità costituzionale del menzionato art. 17-bis per violazione degli artt. 3, 24, 25, 111 e 113 Cost.

3.2.− Il giudice rimettente premette poi, in punto di diritto, che il reclamo obbligatorio previsto dall’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 ha natura amministrativa – come si evince sia dalla collocazione di tale articolo come ultima disposizione del Titolo I di tale decreto legislativo (cioè del Titolo che precede quello contenente la disciplina del processo), sia dal dato testuale dei commi 2 e 9 dello stesso art. 17-bis, i quali distinguono chiaramente il reclamo dal ricorso – e si configura, in particolare, come un rimedio amministrativo di secondo grado, diretto a definire la controversia nell’àmbito dell’amministrazione senza l’intervento del giudice e previsto come filtro obbligatorio del processo tributario la cui omessa attivazione è sanzionata con l’inammissibilità del ricorso rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo.

3.3.− Tanto premesso in via generale, il giudice a quo, in punto di non manifesta infondatezza, si duole anzitutto della previsione, da parte della disposizione impugnata, dell’inammissibilità del ricorso quale sanzione dell’omessa presentazione del reclamo.

Secondo la Commissione tributaria rimettente, tale previsione lede, anzitutto, l’art. 24 Cost., che riconosce sia il diritto di agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi legittimi sia il diritto di difesa. A tale proposito, il giudice a quo, dopo avere richiamato il contenuto di alcune pronunce della Corte costituzionale sui limiti entro i quali è consentito al legislatore di condizionare l’accesso alla giurisdizione all’assolvimento di oneri, in specie, al previo esperimento di rimedi amministrativi (sentenze n. 56 del 1995; n. 360 del 1994; n. 406 del 1993; n. 82 del 1992; n. 15 del 1991; n. 530 del 1989; n. 641 del 1972; n. 47 del 1964), afferma che la stessa Corte, se ha, generalmente, ritenuto legittimo il differimento della possibilità di agire in giudizio a condizione che ricorrano «esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia» − anche queste, peraltro, secondo il rimettente, «discutibili» nella specie, tenuto conto della preesistenza di «vari filtri amministrativi» − ha tuttavia escluso che, anche in tali casi, il diritto di azione possa essere eccessivamente compresso e, in particolare, che l’ammissibilità stessa dell’azione possa essere condizionata al previo esperimento di un rimedio amministrativo. Sulla scorta di tale giurisprudenza costituzionale, il giudice rimettente afferma che il legislatore ben poteva, per la salvaguardia dell’interesse generale alla riduzione dell’eccessivo carico giudiziario e delle conseguenti difficoltà di funzionamento della giurisdizione, imporre a chi intende proporre un ricorso l’onere della previa proposizione di un rimedio amministrativo, ma che l’esigenza di non sacrificare eccessivamente la tutela giurisdizionale avrebbe consentito, al più, di procrastinare tale tutela − in particolare, di prevedere, come conseguenza per l’inosservanza dell’onere, l’improcedibilità dell’azione, in modo tale da consentire al giudice che accerti l’omessa presentazione del reclamo di concedere un termine per la presentazione «della domanda» − ma giammai, come è invece avvenuto, di sanzionare l’omessa presentazione del reclamo con l’inammissibilità del ricorso, cioè con la perdita definitiva del diritto di agire in giudizio.

 Sempre ad avviso del rimettente, la previsione dell’inammissibilità del ricorso quale sanzione dell’omessa presentazione del reclamo contrasta poi sia con l’art. 3 Cost., in relazione ai princípi di uguaglianza e di ragionevolezza, sia con l’art. 113 Cost., là dove vieta di limitare la tutela giurisdizionale avverso gli atti della pubblica amministrazione per determinate categorie di atti. La Commissione tributaria rimettente osserva, anzitutto, in proposito, che detta sanzione «genera una irragionevole discriminazione tra il diritto del contribuente a corrispondere il giusto tributo e la potestà impositiva dell’Amministrazione» perché, considerata la preesistenza di istituti deflattivi del contenzioso tributario di carattere preventivo quali l’autotutela, l’obbligo del contraddittorio preventivo e l’accertamento con adesione, non possono ritenersi ravvisabili quelle «esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia» idonee, in base alla menzionata giurisprudenza costituzionale, a giustificare l’imposizione dell’obbligo preliminare di presentazione del reclamo che costituisce, perciò, solo «un rilevante aggravio del procedimento». Sempre ad avviso del giudice a quo, gli invocati parametri sono violati anche perché la previsione di un reclamo obbligatorio, la cui omissione è sanzionata con l’inammissibilità del ricorso, comporta una limitazione della tutela giurisdizionale solo per i contribuenti ai quali tale istituto è applicabile − cioè quelli destinatari di atti emessi dall’Agenzia delle entrate aventi un valore, determinato a norma del comma 5 dell’art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992 (comma 3 dell’impugnato art. 17-bis) non superiore a ventimila euro – e non, quindi, per quelli destinatari di «altri» atti emessi dalla stessa Agenzia delle entrate o di atti emessi da altri enti impositori.

3.4.− Secondo la Commissione tributaria rimettente, l’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 víola l’art. 24 Cost. anche là dove impone, al comma 6 − in virtù del richiamo, da questo operato, all’art. 18 dello stesso d.lgs. n. 546 del 1992 − che il contenuto del reclamo sia identico a quello del ricorso di cui potrà, eventualmente, produrre gli effetti. Il giudice a quo afferma in proposito che «la anticipata discovery della tesi difensiva del contribuente nella fase amministrativa, che obbligatoriamente deve precedere la fase del giudizio, con conseguente immodificabilità di ulteriori prospettazioni difensive nell’eventuale giudizio in relazione ad un provvedimento ancora da valutare, costituisce grave pregiudizio difensivo per il contribuente (che, ad es., se nella fase amministrativa aveva chiesto l’annullamento parziale del provvedimento, nella fase del giudizio non potrà richiedere l’annullamento totale)».

3.5.− Il giudice rimettente, premesso che l’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992 permette al contribuente di ottenere la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato solo a condizione che egli si sia costituito nel giudizio sul merito dell’atto stesso – come si evince sia dal comma 1 dell’art. 47, che consente di chiedere detta sospensione con atto separato notificato alle altre parti e depositato in segreteria «sempre che siano osservate le disposizioni di cui all’art. 22», sia dal comma 6 dello stesso art. 47, che dispone che, nei casi di sospensione dell’atto impugnato, la trattazione della controversia sia fissata non oltre novanta giorni dalla pronuncia della sospensione – rileva che tale tutela cautelare è, perciò, preclusa «per tutto il tempo necessario all’espletamento della fase di reclamo».

Tale preclusione determinerebbe, in primo luogo, la violazione dell’art. 3 Cost. per la «irrazionalità e diversità di trattamento» che comporta. Essa infatti, da un canto, opera solo nei confronti dei contribuenti ai quali sono stati notificati atti emessi dall’Agenzia delle entrate e relativi a controversie di valore non superiore a ventimila euro, mentre  tutti gli altri contribuenti possono immediatamente accedere alla tutela cautelare. D’altro canto, è «del tutto irrazionale […] e assolutamente non giustificabile trattandosi della tutela giurisdizionale di posizioni giuridiche soggettive che devono essere garantite in modo particolare in presenza della immediata esecutività degli avvisi di accertamento (art. 29 DL 78/2010) o in caso di ricorso avverso cartelle esattoriali (ex art. 36 bis DPR 600/73 o 54 bis DPR 633/72 o in caso di ricorso avverso il ruolo».

La stessa preclusione dell’accesso alla tutela cautelare nel tempo necessario all’espletamento della fase di reclamo comporta, sempre secondo il rimettente, la violazione anche dell’art. 24 Cost., che garantisce il diritto di difesa, e dell’art. 25 Cost., che vieta che chiunque possa essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Ciò in quanto «il contribuente potrà rivolgersi al proprio giudice naturale per ottenere un provvedimento cautelare» solo dopo l’inutile esperimento della procedura amministrativa conseguente al reclamo, mentre nelle more di tale procedura, pur in presenza di un danno grave e irreparabile che gli derivi dall’atto, è privato della tutela cautelare giurisdizionale ma può usufruire solo della «autotutela sospensiva» concessa dall’amministrazione nell’esercizio dell’ampio potere discrezionale che essa ha in materia.

3.6.− Il rimettente censura l’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 anche in quanto prevede una disciplina delle spese del procedimento di reclamo solo per il caso in cui si pervenga alla fase giurisdizionale, con la conseguenza che, in caso contrario, il contribuente che, in considerazione del fatto che il reclamo deve avere «lo stesso contenuto del ricorso» del quale potrebbe produrre gli effetti, abbia dovuto avvalersi di un difensore (perché a tanto lo obbliga l’art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992 o perché abbia ritenuto di farlo, pur potendo stare in giudizio anche senza assistenza tecnica), dovrà sostenere delle spese per la remunerazione dello stesso che non gli saranno rimborsate neppure nel caso di accoglimento del reclamo.

Tale disciplina si porrebbe in contrasto, anzitutto, con l’art. 3 Cost., con riguardo ai princípi di uguaglianza e ragionevolezza in quanto, nel caso in cui non si pervenga alla fase giurisdizionale, il contribuente deve sostenere delle spese per la remunerazione del difensore di cui si è dovuto avvalere, «mentre l’A.F. beneficia del risparmio delle spese del giudizio che non sarà instaurato».

L’indicato obbligo di sostenere, nel caso in cui non si pervenga alla fase giurisdizionale, delle spese non rimborsabili contrasterebbe anche con il diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost. atteso che, in tale ipotesi, lo stesso diritto «non viene garantito nella sua interezza ma solo previa la detrazione delle spese per l’assistenza tecnica».

3.7.− L’introduzione del reclamo contrasterebbe ancora con l’art. 111, primo comma (recte: secondo comma), ultimo periodo, Cost., che prevede che la legge assicuri la ragionevole durata del processo. Il rimettente osserva in proposito che, poiché il reclamo «è compatibile» con l’accertamento con adesione e a questo è applicabile la sospensione dei termini nel periodo feriale, può verificarsi che, nel caso in cui sia formulata istanza di accertamento con adesione, al periodo di novanta giorni di sospensione dei termini per l’impugnazione dell’atto davanti alla commissione tributaria provinciale previsto dall’art. 6 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218 (Disposizioni in materia di accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale), cui potrebbe sommarsi la sospensione di quarantacinque giorni nel periodo feriale, potrebbe aggiungersi il termine di sessanta giorni previsto dalla disposizione impugnata per la presentazione del reclamo e, «in caso di silenzio dell’A.F. sul reclamo», l’ulteriore periodo di novanta giorni, per un totale di duecentottantacinque giorni, cioè di oltre nove mesi, con la conseguenza che il processo tributario potrebbe essere instaurato solo decorso tale tempo. Per tale ragione non sarebbe «in alcun modo possibile ritenere che con l’introduzione dell’istituto del reclamo il legislatore abbia rispettato il principio posto dall’art. 111 della Costituzione».

3.8.− La disposizione impugnata violerebbe l’art. 111 Cost. anche in ragione della «complicazione processuale per il caso che il contribuente intenda proporre un ricorso cumulativo», che, consentendo l’impugnazione contestuale di più provvedimenti e la trattazione unitaria delle domande, evita la formazione di giudicati tra loro contraddittori, assicura una migliore formazione del convincimento del giudice e economizza le attività processuali. Osserva il rimettente che, a séguito dell’introduzione del reclamo, nel caso in cui debbano essere impugnati, entro lo stesso termine, più provvedimenti, per l’impugnazione di alcuni soltanto dei quali deve essere preliminarmente presentato detto reclamo, «non sembra dubbio che […] la evidente complicazione processuale, dovuta alla diversità del termine per la costituzione in giudizio del ricorrente, con conseguente rischio di inammissibilità del ricorso, indurrà il contribuente a presentare distinti ricorsi con conseguente vanificazione dei benefici processuali derivanti dalla presentazione del ricorso cumulativo».

3.9.− Il rimettente ribadisce, in conclusione, che le limitazioni della tutela giurisdizionale sono state ritenute ammissibili quando realizzano un alleggerimento del sovraccarico dell’apparato giudiziario e il soddisfacimento più immediato delle situazioni sostanziali controverse e a condizione che siano ragionevoli, ma che, anche in tali casi, gli istituti ritenuti idonei erano configurati come condizioni di procedibilità della domanda e non come requisiti di ammissibilità della stessa.

Il rimettente afferma ancora che anche la Corte di giustizia dell’Unione europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo hanno ritenuto l’ammissibilità di restrizioni della tutela giurisdizionale mediante strumenti di conciliazione extragiudiziale a condizione che esse corrispondano a obiettivi di interesse generale e non si traducano in un intervento sproporzionato ed inaccettabile, tale da ledere la sostanza dei diritti così garantiti (sono citate le pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea, 15 giugno 2006, in causa C-28/05, Dokter ed altri, e della Corte europea dei diritti dell’uomo 21 novembre 2011, Fogarty contro Regno Unito; quest’ultimo riferimento da intendersi, verosimilmente, alla decisione della Grande Camera sul caso Fogarty contro Regno Unito del 21 novembre 2001). La Commissione tributaria provinciale di Campobasso ricorda infine che la Corte di giustizia, pur avendo ammesso la compatibilità con il diritto dell’Unione europea di normative nazionali che prevedevano procedure obbligatorie di conciliazione extragiudiziale in quanto esse non erano tali da rendere praticamene impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai singoli, ha chiarito che ciò che conta è che tali procedure non comportino un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale, sospendano la prescrizione dei diritti in questione e non generino costi per le parti e sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l’urgenza della situazione lo impone (è citata, sul punto, la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 18 marzo 2010, nelle cause riunite da C-317/08 a C-320/08).   

3.10.− In punto di rilevanza, la Commissione tributaria rimettente afferma la questione «è indubbiamente rilevante poiché della predetta disposizione deve necessariamente farsi applicazione nel presente giudizio sia ai fini dell’ammissibilità che relativamente ad aspetti sostanziali dello stesso».

4.− È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate.

4.1.− Con riguardo alla questione con la quale la rimettente Commissione tributaria provinciale di Campobasso si duole del fatto l’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 sanziona l’omissione della presentazione del reclamo con l’inammissibilità del ricorso, la difesa statale prospetta deduzioni identiche alle «osservazioni» che aveva formulato, «per completezza» − al fine di dimostrare, anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, l’assoluta assenza di contrasto tra la disposizioni impugnata e «i principi costituzionali» − nell’atto di intervento nel giudizio derivato dall’ordinanza iscritta al r.o. n. 68 del 2013 (punto 2.4.), aggiungendo che le stesse escludono che l’indicata sanzione «possa configurarsi come scelta manifestamente irragionevole» e, dunque, eccedente il limite posto dalla giurisprudenza costituzionale alla discrezionalità e insindacabilità delle scelte del legislatore nella disciplina degli istituti processuali (a tale ultimo proposito, è richiamata la sentenza n. 10 del 2013).

4.2.− L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce poi l’inammissibilità della questione con la quale il giudice a quo lamenta il fatto che il contenuto del reclamo debba essere identico a quello del ricorso di cui potrà, eventualmente, produrre gli effetti, «per omesso esame della rilevanza», atteso che il rimettente non ha indicato quale effetto sul giudizio principale potrebbe avere la decisione della Corte costituzionale che accogliesse tale profilo di doglianza. In particolare, sempre secondo la difesa della Stato, sarebbe stato necessario, a tale fine, precisare se il contribuente avesse notificato motivi aggiunti, che si sarebbero dovuti ritenere inammissibili in quanto non dedotti nel reclamo.

4.3.− Anche la questione con la quale il rimettente lamenta la preclusione della possibilità di chiedere la tutela cautelare di cui all’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992 sarebbe, anzitutto, inammissibile per difetto di rilevanza o, comunque, per omessa motivazione sulla rilevanza, «alla luce della concreta situazione di causa», in quanto il giudice a quo ha trascurato di indicare quale utilità potrebbe derivare da una decisione della Corte costituzionale che accogliesse tale profilo di doglianza.

La stessa questione sarebbe, comunque, infondata. La difesa statale formula, al riguardo, deduzioni identiche ad alcune di quelle prospettate nell’atto di intervento nel giudizio riguardante l’ordinanza di cui al r.o. n. 68 del 2013, ribadendo: a) l’omessa considerazione, da parte del rimettente, della disposizione della lettera b) del comma 1 dell’art. 29 del d.l. n. 78 del 2010, nel testo modificato dall’art. 7, comma 2, lettera n), numero 3), del d.l. n. 70 del 2011 (punto. 2.1.); b) con specifico riferimento alla doglianza con la quale il giudice rimettente lamenta che la possibilità di chiedere immediatamente la tutela cautelare è preclusa solo ai contribuenti che sono parti di controversie per le quali la disposizione censurata impone la previa presentazione del reclamo, l’erroneità del presupposto secondo il quale tali controversie godrebbero di un trattamento meno favorevole (ciò che comporta, in effetti, l’inammissibilità di tale questione), nonché la «diversità di situazione» tra le controversie relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate e quelle che coinvolgono altri enti impositori e tra le controversie di valore non superiore a ventimila euro e quelle di valore superiore a tale importo e la necessità, per il legislatore, nel caso in cui decida, nell’esercizio della propria discrezionalità, di prevedere il reclamo e la mediazione per controversie ulteriori, di predisporre le risorse, le strutture e i mezzi necessari per l’esercizio di tale attività amministrativa (punto 2.3.).

4.4.− Anche la questione con la quale il giudice rimettente censura la mancanza di una disciplina delle spese del procedimento per il caso in cui non si pervenga alla fase giurisdizionale, con la conseguenza che, anche nell’ipotesi di accoglimento del reclamo, dette spese resterebbero a carico del contribuente, sarebbe, anzitutto, inammissibile per omessa motivazione sulla rilevanza in quanto «il giudice a quo avrebbe dovuto […] previamente valutare la fondatezza del ricorso, perché solo in tale caso la questione sarebbe stata rilevante».

La stessa questione sarebbe, comunque, manifestamente infondata. Secondo la difesa statale, la scelta operata dal legislatore di non prevedere, nelle circostanze indicate, una condanna alle spese, sarebbe ragionevole in quanto opera «sia a favore che contro i contribuenti», i quali se, da un canto, hanno la possibilità di vedere accolte le proprie ragioni in tempi brevissimi, con un dispendio minimo di attività «processuale», dall’altro, in caso di infondatezza «del loro ricorso», hanno la possibilità di evitare una condanna alle spese non iscrivendo a ruolo la causa (dopo essersi, magari, resi conto, nel contraddittorio instauratosi in séguito al reclamo, di non avere alcuna possibilità di vittoria). L’Avvocatura dello Stato conclude affermando che «l’attività svolta, sia dal contribuente, sia dall’ufficio, è fuori dal regime di regolazione delle spese e ciò appare giustificato anche dalla necessità di favorire l’istituto, di sicuro effetto positivo per entrambe le parti».       

4.5.− Quanto alla questione con la quale si deduce che la possibile sommatoria del periodo di sospensione dei termini per l’impugnazione prevista nel caso in cui sia presentata istanza di accertamento con adesione con i termini previsti per la presentazione del reclamo e per l’esaurimento della procedura da esso introdotta contrasterebbe con il principio della ragionevole durata del processo, la difesa statale ne deduce, anzitutto, l’inammissibilità perché «nessuna motivazione si rinviene […] nell’ordinanza in ordine alla rilevanza della questione nel giudizio a quo».

Tale questione sarebbe, comunque, manifestamente infondata, non potendosi «addebitare al (contenuto) termine per la mediazione, la durata anche di altri istituti (come l’accertamento con adesione), peraltro rimessi alla scelta discrezionale del contribuente».

4.6.− Parimenti inammissibile, in quanto «del tutto ipotetica», sarebbe, infine, la questione con la quale il rimettente lamenta la violazione dell’art. 111 Cost. in ragione della «complicazione processuale» determinata dalla norma impugnata nel caso in cui il contribuente intenda proporre un ricorso cumulativo.

4.7.− La difesa statale conclude ribadendo quanto affermato nell’atto di intervento nel giudizio relativo all’ordinanza di cui al r.o. n. 68 del 2013 con riguardo al fatto che i primi dati disponibili confermerebbero l’utilità dell’istituto della «mediazione tributaria» (punto 2.5.).

5.− Con ordinanza pronunciata il 16 aprile 2013 e depositata il 17 aprile 2013 (r.o. n. 147 del 2013), la Commissione tributaria provinciale di Campobasso ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 111 e 113 Cost., questione di legittimità dell’art. 17-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

5.1.− Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto, che: a) Ottavio De Paola ha proposto ricorso avverso una cartella di pagamento, emessa dalla s.p.a. Equitalia Sud e notificata il 20 settembre 2012, con la quale veniva richiesto al ricorrente il pagamento della somma complessiva di € 16.506,00 in conseguenza di un precedente avviso di liquidazione di imposte di registro, ipotecaria e catastale, oltre a sanzioni, interessi e spese; b) l’amministrazione finanziaria si è costituita in giudizio eccependo, pregiudizialmente, l’inammissibilità del ricorso per non avere la ricorrente preliminarmente presentato, in violazione dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, il reclamo previsto da tale disposizione «e vertendosi nella specie di impugnazione della cartella per contestare la pretesa tributaria derivante dal ruolo, essendo stata contestata la definitività del presupposto Avviso di liquidazione».

5.2.− Il giudice rimettente, ritiene che l’eccezione sollevata dall’amministrazione finanziaria debba essere esaminata pregiudizialmente ma afferma di dubitare della legittimità dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 per contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 111 e 113 Cost.

In punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza delle questioni, la Commissione tributaria provinciale di Campobasso svolge considerazioni identiche a quelle esposte nell’ordinanza iscritta al r.o. n. 146 del 2013 (punti da 3.2. a 3.10.).

6.− È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate.

6.1.− Preliminarmente, la difesa statale rende noto che la cartella di pagamento oggetto del giudizio principale è stata annullata in via di autotutela con provvedimento della Direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate di Campobasso del 26 giugno 2013, chiedendo, per tale ragione,  alla Corte costituzionale di valutare la persistenza dell’interesse alla pronuncia richiesta.

6.2.− Il Presidente del Consiglio dei ministri presenta deduzioni identiche a quelle formulate nell’atto di intervento nel giudizio riguardante l’ordinanza di cui al r.o. n. 146 del 2013. Con riguardo alle questioni con la quale il rimettente lamenta la preclusione della possibilità di chiedere la tutela cautelare di cui all’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992, la difesa statale ne eccepisce l’inammissibilità per difetto di rilevanza o, comunque, per omessa motivazione sulla rilevanza, in particolare, per la ragione che la stessa Commissione rimettente, con l’ordinanza n. 4/2/2013, aveva già concesso la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato e aveva, quindi, già esercitato il suo potere cautelare, con la conseguenza che «in tale situazione non si vede quale utilità potrebbe derivare da una pronuncia che ritenesse fondata la questione sotto il denunciato profilo della mancanza di una tempestiva tutela cautelare».

7.− Con ordinanza pronunciata l’8 aprile 2013 e depositata il 18 aprile 2013 (r.o. n. 153 del 2013), la Commissione tributaria provinciale di Benevento ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., «oltre che per l’assenza di un obbligo in tale senso e della giusta terzietà del mediatore rispetto alle parti coinvolte nell’ambito della normativa comunitaria», questioni di legittimità dell’art. 17-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

7.1.− Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto, che: a) Giulia De Luca aveva proposto ricorso avverso la cartella di pagamento n. 017 2012 0001761 4 32 000 notificatale dall’agente della riscossione per la Provincia di Benevento e relativa a un ruolo ordinario, formato e reso esecutivo dall’Agenzia delle entrate di Benevento, scaturito dalla precedente notificazione di un avviso di accertamento per l’anno 2005 divenuto definitivo perché non impugnato; b) la ricorrente, a sostegno della formulata richiesta di annullamento della cartella e di condanna della parte resistente al pagamento delle spese di giudizio, eccepiva: b.1.) l’assenza di una motivazione «tale da rendere ammissibile il prodromico avviso di accertamento»; b.2.) «l’inadeguatezza della cartella impugnata alla sua funzione, attesa la mancata identificazione fiscale dell’obbligato»; b.3.) l’errata indicazione delle sanzioni; b.4.) «l’assenza di informazioni circa l’intervenuta notifica agli altri eredi»; b.5.) la decadenza per decorso dei relativi termini; b.6.) «la mancanza di alcuni elementi formali necessari al fine di esercitare […] il proprio diritto di difesa»; c) «l’Ufficio» si era costituito in giudizio eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per avere il ricorrente omesso di presentare il reclamo previsto dall’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, affermando la correttezza del proprio operato (in quanto aveva regolarmente notificato il menzionato avviso di accertamento e non essendo lo stesso stato impugnato) e chiedendo che il ricorso fosse dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata al pagamento delle spese di giudizio; d) anche l’agente della riscossione si era costituito in giudizio eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva oltre all’inammissibilità, improcedibilità e improponibilità della domanda nei propri confronti, precisando che l’avviso di accertamento che costituiva il presupposto dell’iscrizione a ruolo era divenuto definitivo e che la cartella di pagamento era stata regolarmente notificata e chiedendo che fosse accertato il proprio difetto di legittimazione passiva e che la ricorrente fosse condannata al pagamento delle spese di giudizio; e) la ricorrente aveva depositato delle «brevi note» rappresentando: e.1.) «evidenti errori di notificazione»; e.2.) «di non aver mai ricevuto l’atto dal quale era scaturita l’obbligazione tributaria composta nel ruolo di cui all’impugnata cartella»; f) anche l’agente della riscossione aveva depositato «brevi repliche», lamentando «l’omissione di comunicazioni al difensore costituito», contestando la fondatezza di quanto dedotto dalla ricorrente nelle proprie delle «repliche», affermando la legittimità della cartella di pagamento notificata e la legittimità del proprio operato e insistendo nelle richieste avanzate nel proprio atto di costituzione in giudizio; g) venivano successivamente depositati dei documenti diretti a provare l’errata notificazione dell’avviso di accertamento posto a fondamento dell’iscrizione a ruolo; h) con un altro ricorso, la stessa Giulia De Luca, nella qualità di erede del defunto coniuge, aveva impugnato la cartella di pagamento n. 017 2011 0009518 2 55 000 notificatale dall’agente della riscossione per la Provincia di Benevento e relativa a un ruolo ordinario, formato e reso esecutivo dall’Agenzia delle entrate di Benevento, anch’esso scaturito dalla precedente notificazione di un avviso di accertamento per l’anno 2005 divenuto definitivo perché non impugnato; i) la ricorrente prospettava motivi analoghi a quelli dedotti nel primo ricorso e chiedeva l’annullamento dell’atto impugnato e la condanna delle parti resistenti al pagamento delle spese di giudizio; l) «l’Ufficio» si era costituito in giudizio affermando la correttezza del proprio operato (in quanto aveva regolarmente notificato il menzionato avviso di accertamento e non essendo lo stesso stato impugnato) e chiedendo che il ricorso fosse dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata al pagamento delle spese di giudizio; m) anche l’agente della riscossione per la Provincia di Benevento si era costituito in giudizio deducendo «l’inesistenza di alcuna responsabilità per i fati dedotti dalla parte» e chiedendo il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio; n) nell’udienza del 18 marzo 2013, il collegio, sentiti il relatore e le parti, riuniti i giudizi, nella successiva camera di consiglio si riservava la decisione, riserva che veniva sciolta all’udienza dell’8 aprile 2013.

7.2.− La Commissione tributaria rimettente, dopo avere riportato il testo dei commi 1, 2 e 10, primo periodo, dell’impugnato art. 17-bis, afferma di dubitare della legittimità di tale disposizione in riferimento agli artt. artt. 3, 24 e 111 Cost.

7.3.− In punto di non manifesta infondatezza della  questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., il rimettente lamenta anzitutto che la disposizione censurata, per il fatto di riferirsi alle sole controversie di valore non superiore a ventimila euro, «impedirebbe: 1. sia la riunione di controversie aventi il medesimo oggetto ed inerenti soggetti cointeressati; 2. sia un’unica discussione»; rilevando tale ultimo aspetto nella plausibile ottica di ottenere giudizi tra loro contrastanti in relazione a situazioni del tutto analoghe».

Sempre in riferimento all’art. 3 Cost., il giudice a quo lamenta che, nel caso in cui il reclamo venga accolto o la mediazione vada a buon fine, le spese del procedimento introdotto dal reclamo restino a carico del contribuente, mentre l’amministrazione finanziaria beneficia di un risparmio per via della mancata instaurazione della fase contenziosa.

La Commissione rimettente si duole infine del fatto che, poiché l’obbligo del reclamo è previsto solo con riguardo agli atti emessi dall’Agenzia delle entrate e non per quelli emessi da altri enti impositori, i contribuenti che sono parti di controversie con tali ultimi enti «si troverebbero ad avere, come appresso indicato, una serie di garanzie maggiori ed un iter processuale più spedito, anche in ordine alla richiesta di eventuali sospensive dell’esecuzione degli atti impugnati».

7.4.− La Commissione tributaria provinciale di Benevento deduce poi la violazione dell’art. 24 Cost. perché la disposizione impugnata comprime la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi subordinandola all’esperimento di una previa fase amministrativa imposta a pena di inammissibilità del ricorso, «in stridente contrasto con l’inviolabilità del diritto di difesa».

7.5.− Quanto alle questioni sollevate in riferimento all’art. 111 Cost., la Commissione rimettente deduce in primo luogo che la disposizione impugnata «rischia, mancando un necessario coordinamento con l’istituto dell’accertamento con adesione, di dilatare eccessivamente i tempi di introduzione del giudizio tributario», e perciò víola il principio della ragionevole durata del processo.

Secondo il giudice a quo,  l’art. 111 Cost. sarebbe violato, sempre in relazione al principio della ragionevole durata del processo, anche in quanto i «tempi [di definizione delle controversie] appaiono […] non congrui anche in riferimento all’immediata esecutività, decorsi sessanta giorni alla notifica, sia degli avvisi di accertamenti che delle cartelle di pagamento, rimanendo comunque precluso al contribuente l’accesso all’istituto della sospensiva di cui all’articolo 47 del decreto legislativo numero 546 del 1992».

L’art. 111 Cost. sarebbe infine violato anche perché la disposizione impugnata attribuisce il compito di decisione del reclamo e di mediatore a una delle parti della controversia (sia pure attraverso apposite strutture diverse e autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili), in contrasto con la necessaria terzietà dell’organo al quale detti ruoli − quanto a quello di mediatore, «anche alla luce del diritto comunitario» − devono essere conferiti. 

7.6.− Il rimettente sottolinea infine che la sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2012 avrebbe evidenziato: a) la «centralità» degli atti dell’Unione europea costituiti dalle conclusioni adottate dal Consiglio europeo nel maggio del 2000, dal libro verde presentato dalla Commissione nell’aprile del 2002, dalla direttiva n. 2008/52/CE e dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2011 (2011/2117-INI), con particolare riferimento al suo paragrafo 31, sesto capoverso; b) l’assenza, rilevabile dagli indicati atti dell’Unione europea, di una esplicita o implicita opzione in favore del carattere obbligatorio della mediazione e il fatto che tale carattere non è intrinseco alla ratio dell’istituto; c) l’obbligo imposto dall’art. 4 della citata direttiva n. 2008/52/CE di uno svolgimento imparziale della mediazione; d) l’esclusione che, a giustificazione dell’introduzione di una mediazione obbligatoria, possa essere invocato il fatto che l’ordinamento prevede la conciliazione obbligatoria, attesa la specificità di ciascuno dei due istituti.

7.7.− La Commissione rimettente solleva quindi questione di legittimità dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., «oltre che per l’assenza di un obbligo in tale senso e della giusta terzietà del mediatore rispetto alle parti coinvolte nell’ambito della normativa comunitaria».

8.− È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate.

8.1.− La difesa statale eccepisce anzitutto che l’eccessiva sinteticità della motivazione dell’ordinanza di rimessione unita alla mancata indicazione, nella stessa, degli elementi necessari per valutare la rilevanza della questione – mancando perfino l’indicazione del valore della controversia dal quale dipende l’applicabilità della disposizione impugnata – rendono le questioni inammissibili. L’Avvocatura dello Stato precisa quindi di evidenziare quanto segue «solo per completezza […], in relazione ai profili di cui è possibile comprendere la portata».

8.2.− Quanto alle censure con le quali il rimettente si duole, in riferimento all’art. 24 Cost., dell’obbligatorietà della mediazione prevista dal censurato art. 17-bis e del fatto che la stessa disposizione sanzioni l’omessa presentazione del reclamo con l’inammissibilità del ricorso, l’Avvocatura dello Stato ne deduce l’infondatezza, svolgendo considerazioni identiche a quelle già svolte negli atti di intervento nei giudizi relativi alle ordinanze di cui al r.o. n. 68, n. 146 e n. 147 del 2013 e riportate ai punti 2.4., 4.1. e 6.2.

8.3.− Il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce poi l’inammissibilità della questione con la quale la Commissione tributaria provinciale di Benevento lamenta che la disposizione censurata non consente la riunione di cause connesse («non consentirebbe […] la riunione di controversie aventi il medesimo oggetto ed inerenti soggetti cointeressati») in quanto il rimettente non ha indicato per quale motivo, in assenza di previsioni al riguardo nell’art. 17-bis, ciò non sarebbe consentito.

 8.4.− Quanto alla questione con la quale il giudice a quo si duole, in riferimento all’art. 3 Cost., del fatto che, nel caso in cui il reclamo venga accolto o la mediazione vada a buon fine, le spese del procedimento introdotto dal reclamo restano a carico del contribuente, la difesa statale ne deduce l’inammissibilità per omessa motivazione sulla rilevanza e, comunque, l’infondatezza, per ragioni identiche a quelle illustrate, con riguardo ad analoga doglianza, negli atti di intervento nei giudizi concernenti le ordinanze di cui al r.o. n. 146 e n. 147 del 2013 e riportate ai punti 4.4. e 6.2.

8.5.− Con riguardo alla questione con la quale il rimettente deduce la violazione dell’art. 3 Cost. in relazione al fatto che l’obbligo del reclamo è previsto solo con riguardo agli atti emessi dall’Agenzia delle entrate e non per quelli emessi da altri enti impositori, la difesa statale ne deduce l’inammissibilità e, comunque, la manifesta infondatezza per ragioni identiche a quelle spese, con riguardo a doglianza analoga, nell’atto di intervento nel giudizio relativo all’ordinanza iscritta nel r.o. al n. 68 del 2013 e riportata al punto 2.3.

8.6.− La difesa statale deduce poi l’inammissibilità e, comunque, la manifesta infondatezza anche della questione con la quale il rimettente si duole del fatto che la disposizione impugnata, in mancanza di un coordinamento con l’istituto dell’accertamento con adesione, violerebbe il principio della ragionevole durata del processo, spendendo argomentazioni identiche a quelle esposte, con riguardo ad analoga doglianza, negli atti di intervento nei giudizi derivanti dalle ordinanze di cui al r.o. n. 146 e n. 147 del 2013 e riportate ai punti 4.5. e 6.2.

 8.7.− Parimenti inammissibile e, comunque, infondata, sarebbe anche la questione con la quale il rimettente censura il fatto che l’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 priverebbe il ricorrente di una tempestiva tutela giurisdizionale cautelare. Sul punto la difesa dello Stato svolge considerazioni identiche a quelle esposte, con riguardo ad analoga doglianza, nell’atto di intervento nel giudizio relativo all’ordinanza di cui al r.o. n. 146 del 2013 e riportate al punto 4.3.

8.8.− l’Avvocatura generale dello Stato deduce infine l’infondatezza della censura con la quale il giudice a quo lamenta la mancanza di terzietà dell’organo investito della decisione del reclamo e del ruolo di mediatore, invocando argomenti identici a quelli prospettati, con riguardo ad analoga doglianza, nell’atto di intervento nel giudizio riguardante l’ordinanza di cui al r.o. n. 68 del 2013 e riportati al punto 2.2.

8.9.− La difesa statale conclude ribadendo quanto affermato negli atti di intervento nei giudizi relativi alle ordinanze iscritte nel r.o. n. 68, n. 146 e n. 147 del 2013 con riguardo al fatto che i primi dati disponibili confermerebbero l’utilità dell’istituto della «mediazione tributaria» (punti 2.5., 4.7. e 6.2.).

  9.− Con ordinanza pronunciata il 12 luglio 2013 – secondo quanto risulta nel frontespizio della stessa, «sull’istanza di sospensione dell’atto impugnato» − e depositata lo stesso giorno (r.o. n. 270 del 2013), la Commissione tributaria provinciale di Ravenna ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost., questioni di legittimità dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, inserito dall’art. 39, comma 9, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 111 del 2011.

9.1.– Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto, che: a) con ricorso del 7 gennaio 2013, la s.a.s. Società Hotel Ficocle di Marabini Alfonsina & C. e la stessa Marabini Alfonsina, quale socia accomandataria, impugnavano, la prima, l’avviso di accertamento n. HQ023C00784 per l’anno di imposta 2007 con il quale venivano accertate maggiori IRAP per € 1.649,00 e IVA per € 3.878,00, e irrogata una sanzione di € 5.817,00 e la seconda l’avviso di accertamento n. THQ013200830 per l’anno di imposta 2007 con il quale venivano accertate maggiori IRPEF per € 1.667,00 e addizionali regionale e comunale all’IRPEF per, rispettivamente, € 54,00 e € 15,00, e irrogata una sanzione di € 1.736,00; b) l’«Amministrazione» si costituiva in giudizio il 13 febbraio 2013, chiedendo il rigetto «dei ricorsi»; c) con memoria depositata il 6 giugno 2013, veniva sollevata, in riferimento agli artt. 3, 11, 24 e 113 Cost., eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, «nella parte in cui esclude l’accesso alla tutela cautelare giurisdizionale per tutto il periodo di tempo occorrente per l’obbligatorio esperimento del reclamo».

9.2.– La Commissione tributaria provinciale di Ravenna ritiene di dovere anzitutto esaminare tale eccezione e afferma che la disposizione impugnata contrasta con gli artt. 3, 24 e 25 Cost.

9.3.− Dopo avere richiamato il contenuto essenziale dell’articolo censurato, il giudice rimettente contesta anzitutto l’uso «controvertibile» della mediazione da parte del legislatore. A tale conclusione si perviene in base all’art. 3, lettera a), della direttiva n. 2008/52/CE, dalla quale si ricava che «l’organo della mediazione […] deve essere estraneo alle parti», con la conseguenza che non può svolgere la funzione di mediatore una delle parti della controversia, «anche se costituita in ufficio autonomo». Osserva, inoltre, il giudice rimettente che la mediazione prevista dall’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, sia che venga proposta dal reclamante sia che venga proposta d’ufficio, sarebbe, «di fatto, […] obbligatoria e come tale, in materia civile, già dichiarata incostituzionale, anche se per diversa ragione (eccesso di delega)» dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 272 del 2012.

9.4.− Il giudice a quo, dopo avere richiamato il contenuto del comma 9, primo e secondo periodo, dell’impugnato art. 17-bis, e dell’art. 23, comma 30, del decreto-legge n. 98 del 2011, lamenta «la incongruenza tra i termini previsti per il reclamo e la mediazione, e l’immediata esecuzione dell’avviso di accertamento». Ciò in quanto, poiché, a norma della disposizione impugnata, il reclamo «produce gli effetti del ricorso» solo dopo che sono decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato il suo accoglimento o senza che sia stata conclusa la mediazione e solo successivamente è possibile la costituzione in giudizio del ricorrente, il contribuente, nell’attesa dell’esaurimento di tale fase, è costretto a pagare gli importi indicati nell’avviso di accertamento, divenuto, nel frattempo, esecutivo, ai sensi dell’art. 29 del decreto-legge n. 78 del 2010, senza potere chiedere la sospensione di tale atto, ai sensi dell’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992, perché atteso che il contribuente «non ha potuto depositare il proprio ricorso presso la Commissione; ricorso che comunque sarebbe dichiarato inammissibile perché non preceduto dalla procedura […] della norma impugnata».

9.5.− Secondo la Commissione rimettente, l’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 víola l’art. 3 Cost. anche là dove stabilisce che il reclamo e la mediazione si applicano solo alle controversie relative ad atti emessi «dall’Agenzia delle entrate» e non anche a quelle relative ad atti emessi da altri soggetti impositori, con la conseguenza che i contribuenti obbligati al pagamento di questi ultimi tributi avrebbero «maggiore tutela».

9.6.− Il giudice a quo si duole infine dell’irragionevolezza della disposizione impugnata là dove limita la propria applicazione alle sole controversie di valore non superiore a ventimila euro in quanto essa, in tale modo, crea una disparità di trattamento garantendo ai contribuenti che abbiano un debito nei confronti dello Stato superiore a ventimila euro, per tale solo fatto, «una più sollecita e proficua tutela giurisdizionale, anche di natura cautelare».

9.7.− In punto di rilevanza, la Commissione tributaria rimettente rileva come «la norma presenti profili di illegittimità costituzionale che si riflettono direttamente sull’esito del ricorso in esame».

10.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate.

10.1.– In via preliminare, la difesa statale eccepisce l’inammissibilità di tutte le questioni «sotto il profilo della corretta ricostruzione dei fatti di causa nell’ordinanza, che sembra essere identica alla questione parallela (n. 271/2013 r.o.), nonostante i ricorrenti siano diversi». L’Avvocatura generale dello Stato mette in rilievo, sul punto, che nel frontespizio dell’ordinanza di rimessione si fa riferimento a un ricorso proposto da Alessandro Leonardo Zecchi e da Raffaello Ludovico Zecchi, mentre nella parte narrativa della stessa ordinanza il rimettente riferisce, in punto di fatto, le stesse vicende descritte nell’ordinanza n. 271 del 2013, ivi inclusi i nomi dei ricorrenti s.a.s. Società Hotel Ficocle di Marabini Alfonsina & C. e la stessa Marabini Alfonsina.

10.2.− La difesa dello Stato eccepisce poi l’inammissibilità, per difetto di rilevanza o, comunque, di motivazione sulla rilevanza, della questione con la quale la Commissione rimettente lamenta che l’impugnato art. 17-bis, non consentendo al contribuente di adire immediatamente il giudice tributario, lo priverebbe della possibilità di avvalersi della tutela cautelare prevista dall’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992, costringendolo a pagare gli importi indicati nell’avviso di accertamento notificatogli, divenuto esecutivo durante l’iter del reclamo. La difesa statale deduce al riguardo l’insufficienza, al fine di dimostrare la rilevanza della questione, di quanto affermato, in modo ritenuto apodittico, dal giudice a quo (punto 9.6.). Infatti, poiché nelle premesse dell’ordinanza di rimessione si legge che la stessa è stata emessa «sull’istanza di sospensione dell’atto impugnato», ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, il rimettente, al fine di sollevare la questione in ordine all’esistenza di tale potere di sospensione, avrebbe dovuto affermare di ritenere in concreto esistenti i presupposti per l’esercizio dello stesso − cioè i requisiti del fumus boni iuris (ritenuto necessario dalla sentenza della Corte di cassazione, sezione tributaria, 24 febbraio 2012, n. 2845) e del periculum in mora − atteso che, in mancanza anche di uno solo di essi, nessuna utilità potrebbe derivare da una sentenza della Corte costituzionale che dichiarasse fondata la questione sotto il denunciato profilo della mancanza di una tempestiva tutela cautelare.

10.3.− Per il resto, il Presidente del Consiglio dei ministri presenta deduzioni identiche a quelle formulate nell’atto di intervento nel giudizio relativo all’ordinanza di cui al r.o. n. 68 del 2013.

11.− Con ordinanza pronunciata il 12 luglio 2013 – secondo quanto risulta nel frontespizio della stessa, «sull’istanza di sospensione dell’atto impugnato» − e depositata lo stesso giorno (r.o. n. 271 del 2013), la Commissione tributaria provinciale di Ravenna ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost., questioni di legittimità dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, inserito dall’art. 39, comma 9, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 111 del 2011.

11.1.– Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto, che: a) con ricorso del 7 gennaio 2013, la s.a.s. Società Hotel Ficocle di Marabini Alfonsina & C. e la stessa Marabini Alfonsina, quale socia accomandataria, impugnavano, la prima, l’avviso di accertamento n. HQ023C00784 per l’anno di imposta 2007 con il quale venivano accertate maggiori IRAP per € 1.649,00 e IVA per € 3.878,00, e irrogata una sanzione di € 5.817,00 e la seconda l’avviso di accertamento n. THQ013200830 per l’anno di imposta 2007 con il quale venivano accertate maggiori IRPEF per € 1.667,00 e addizionali regionale e comunale all’IRPEF per, rispettivamente, € 54,00 e € 15,00, e irrogata una sanzione di € 1.736,00; b) l’«Amministrazione» si costituiva in giudizio il 13 febbraio 2013, chiedendo il rigetto «dei ricorsi»; c) con memoria depositata il 6 giugno 2013, veniva sollevata, in riferimento agli artt. 3, 11, 24 e 113 Cost., eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, «nella parte in cui esclude l’accesso alla tutela cautelare giurisdizionale per tutto il periodo di tempo occorrente per l’obbligatorio esperimento del reclamo».

11.2.– In punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza delle questioni, la Commissione tributaria provinciale di Ravenna svolge considerazioni identiche a quelle esposte nell’ordinanza di cui al r.o. n. 270 del 2013 (punti da 9.2. a 9.6.).

12.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate. Il Presidente del Consiglio dei ministri formula, in proposito, deduzioni identiche a quelle prospettate nell’atto di intervento nel giudizio riguardante l’ordinanza di cui al r.o. n. 270 del 2013, ad esclusione dell’eccezione di inammissibilità di tutte le questioni sollevate con quest’ultima ordinanza «sotto il profilo della corretta ricostruzione dei fatti di causa nell’ordinanza, che sembra essere identica alla questione parallela (n. 271/2013 r.o.), nonostante i ricorrenti siano diversi» (punto 10.1.).

13.− In prossimità della camera di consiglio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nel giudizio iscritto al r.o. n. 147 del 2013.

La difesa dello Stato esamina i dati risultanti da due prospetti (che produce) relativi rispettivamente, all’indice di proficuità della «mediazione tributaria» dal 2 aprile 2012 al 2 aprile 2013, e all’efficacia deflattiva della stessa «mediazione tributaria» sul contenzioso. Dal primo di tali prospetti risulterebbe che: a) dal 2 aprile 2012, data dalla quale i nuovi istituti del reclamo e della mediazione tributari sono stati applicati, al 2 aprile 2013, le «istanze di mediazione» presentate sono state 80.495; b) a sèguito dell’esame delle stesse, i contribuenti che hanno depositato il ricorso nelle commissioni tributarie provinciali sono stati 33.552, cioè il 41,7% di chi aveva presentato l’«istanza»; c) l’«indice di proficuità della mediazione» è stato, quindi, del 58,3%, di tal ché, ogni dieci «istanze di mediazione» presentate, circa sei «hanno trovato soddisfazione». Dal secondo di tali prospetti risulterebbe invece che: a) il numero dei ricorsi depositati nelle commissioni tributarie provinciali nell’anno 2011 era stato di 159.392; b) nell’anno 2012 (durante il quale, a partire dal 2 aprile, gli istituti del reclamo e della mediazione tributari hanno cominciato a trovare applicazione), tale numero è sceso a 113.387; c) nell’anno 2013 è prevista un’ulteriore riduzione a 93.947; d) il raffronto tra il 2011 e il 2013 (quando reclamo e mediazione tributari sono stati applicati durante l’intero anno) mostra una «riduzione totale del contenzioso (compreso quello "non mediabile”)» del 41,18%; e) la riduzione dell’intero contenzioso, cioè di quello relativo sia all’Agenzia delle entrate che agli altri enti impositori, è stata del 24,4%. Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, tali dati dimostrano che gli obiettivi perseguiti dal legislatore con l’introduzione dei nuovi istituti sono stati in buona misura raggiunti visti gli effetti positivi che essi hanno prodotto per i contribuenti, che o hanno visto soddisfatte le proprie ragioni in tempi brevi «ovvero hanno desistito dal proseguire un’azione giudiziaria», per l’Agenzia delle entrate, che, a fronte di un maggiore impegno di risorse nella fase amministrativa, ha ottenuto una riduzione delle controversie da seguire nella fase giurisdizionale e, infine, per la giurisdizione tributaria, che ha visto ridurre il contenzioso e ha potuto così prendere in esame più cause arretrate riducendone i tempi di trattazione. 

La difesa dello Stato, richiamando anche le argomentazioni contenute nel proprio atto di intervento, ribadisce la richiesta di dichiarare le questioni sollevate inammissibili o manifestamente infondate.

Considerato in diritto

1.− Con sei ordinanze, le Commissioni tributarie provinciali di Perugia (registro ordinanze n. 68 del 2013), Campobasso (r.o. n. 146 e n. 147 del 2013), Benevento (r.o. n. 153 del 2013) e Ravenna (r.o. n. 270 e n. 271 del 2013) hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 111 e 113 della Costituzione, diverse questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), inserito dall’art. 39, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, il quale ha introdotto nella disciplina del processo tributario gli istituti del reclamo e della mediazione.

1.1.− In base all’articolo censurato − le cui disposizioni si applicano «con riferimento agli atti suscettibili di reclamo notificati a decorrere dal 1° aprile 2012» (comma 11 dell’art. 39 del d.l. n. 98 del 2011) − per le controversie «relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate» e «di valore non superiore a ventimila euro» (da tale àmbito applicativo dei nuovi istituti sono peraltro escluse, a norma del comma 4 dello stesso art. 17-bis, le liti relative ad atti volti al recupero di aiuti di Stato), chi intende proporre ricorso alla commissione tributaria provinciale «è tenuto preliminarmente a presentare reclamo» (comma 1) alla Direzione provinciale o alla Direzione regionale che ha emanato l’atto, «le quali provvedono attraverso apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili» (comma 5). L’adempimento di tale obbligo di previa presentazione del reclamo «è condizione di ammissibilità del ricorso», la cui inammissibilità «è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio» (comma 2, primo e secondo periodo). Quanto alla disciplina del procedimento, il comma 6 dell’art. 17-bis opera anzitutto un richiamo agli artt. 12, 18, 19, 20, 21 e 22, comma 4, del medesimo d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto compatibili, richiamo comportante, tra l’altro, che il reclamo deve: a) rispettare l’obbligo dell’assistenza tecnica di un difensore abilitato, salvo che si tratti di controversie di valore inferiore a 5.000.000 di lire, pari a 2.582,28 euro (art. 12); b) contenere le indicazioni (concernenti il giudice, il ricorrente, il convenuto, l’atto impugnato, l’oggetto della domanda e i motivi) corrispondenti al contenuto del ricorso introduttivo del giudizio davanti alla commissione tributaria provinciale (art. 18, comma 2), nonché la sottoscrizione del difensore o della parte che stia in giudizio personalmente, così come stabilito per il ricorso (art. 18, comma 3); c) riguardare gli stessi atti imponibili ed avere lo stesso oggetto del ricorso (art. 19); d) essere presentato con le modalità ed entro i termini previsti per la proposizione del ricorso, cioè mediante notifica a norma dei commi 2 e 3 dell’art. 16 del d.lgs. n. 546 del 1992 (art. 20), da effettuare entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione dell’atto oggetto del reclamo (art. 21, comma 1); e) essere accompagnato dall’originale o dalla fotocopia dell’atto contro il quale è indirizzato e dai documenti che si intendono produrre (art. 22, comma 4). Il contenuto del reclamo − che corrisponde, per il resto, come si è visto, a quello del ricorso − può differenziarsi da quest’ultimo in quanto, a norma del comma 7 dell’art. 17-bis, «Il reclamo può contenere una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa». Il comma 8 dell’articolo impugnato stabilisce, tra l’altro, che l’organo destinatario del reclamo, se non intende accogliere lo stesso né la proposta di mediazione in esso eventualmente contenuta, «formula d’ufficio una proposta di mediazione avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa». Alla mediazione si applicano le disposizioni dell’art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992 sulla conciliazione giudiziale, in quanto compatibili (ultimo periodo del comma 8). A norma del comma 9, «Decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso. I termini di cui agli articoli 22 e 23 decorrono dalla predetta data. Se l’Agenzia delle entrate respinge il reclamo in data antecedente, i predetti termini decorrono dal ricevimento del diniego. In caso di accoglimento parziale del reclamo, i predetti termini decorrono dalla notificazione dell’atto di accoglimento parziale». Da tale disposizione consegue quindi che: a) l’organo investito del reclamo può accogliere lo stesso (annullando l’atto in tutto o in parte conformemente alle richieste del reclamante) oppure respingerlo o, ancora, accoglierlo parzialmente; b) qualora, entro il termine di novanta giorni dalla presentazione del reclamo, non venga notificato l’accoglimento del medesimo e non sia stata conclusa la mediazione, «il reclamo produce gli effetti del ricorso»; c) la stessa "conversione” ope legis del reclamo in ricorso consegue − in virtù dell’evidente analogia di tali fattispecie − alla notificazione, prima del decorso del menzionato termine di novanta giorni, di un atto che respinga, in tutto o in parte, il reclamo stesso; d) in tutti tali casi, il contribuente potrà adire la commissione tributaria costituendosi in giudizio entro il termine di trenta giorni previsto dal richiamato art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992 − decorrenti, a seconda del caso, dal novantesimo giorno dalla presentazione del reclamo o dalla data, anteriore, in cui ha ricevuto la notificazione dell’atto che respinge lo stesso reclamo in tutto o in parte − mediante il deposito, nella segreteria della commissione tributaria adita (o trasmissione alla stessa a mezzo posta) dell’originale del reclamo notificato a norma degli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile o di copia conforme di quello notificato mediante consegna o spedizione per posta all’Agenzia delle entrate. Il comma 10 dell’art. 17-bis disciplina le spese del giudizio e del procedimento di reclamo/mediazione nel caso in cui venga instaurato il giudizio davanti alla commissione tributaria provinciale (nulla è espressamente previsto, invece, con riguardo alle spese del procedimento introdotto con il reclamo nel caso in cui il giudizio, in seguito all’accoglimento del reclamo, non venga avviato). Per le controversie che rientrano nell’indicato campo di operatività dell’art. 17-bis è esclusa l’applicabilità della conciliazione giudiziale di cui all’art. 48-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 (comma 1 dell’art. 17-bis).

1.2.− Secondo le Commissioni tributarie provinciali di Perugia (r.o. n. 68 del 2013) e di Ravenna (r.o. n. 270 e n. 271 del 2013), l’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 si porrebbe in contrasto, anzitutto, con gli artt. 3, 24 e 25 Cost., perché: a) utilizza l’«istituto della mediazione in modo erroneo ed illogico» (r.o. n. 68 del 2013) o «controvertibile» (r.o. n. 270 e n. 271 del 2013), in quanto: a.1.)  in contrasto con l’art. 3, lettera a), della direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale) – il quale, col prevedere che il «procedimento [in cui la mediazione consiste] può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro», evidenzia che «l’organo della mediazione deve essere estraneo alle parti» − affiderebbe il ruolo di mediatore, «in sostanza», a una delle parti della controversia (la Direzione provinciale o la Direzione regionale che ha emanato l’atto); a.2.) configura la mediazione, sia che venga proposta dal reclamante sia che venga proposta d’ufficio, come, «di fatto, […] obbligatoria e come tale, in materia civile, già dichiarata incostituzionale, anche se per diversa ragione (eccesso di delega)», dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 272 del 2012; b) comporta «la incongruenza tra i termini previsti per il reclamo e la mediazione» e la previsione «dell’art. 23 co. 30 del D.L. 6.7.2011 convertito con modificazioni dalla legge n. 111 del 2011» [rectius, dell’art. 29 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, come modificato dall’art. 23, comma 30, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111] secondo cui gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’imposta sul valore aggiunto divengono esecutivi decorsi sessanta giorni dalla loro notificazione, atteso che, poiché la costituzione in giudizio del contribuente è possibile solo dopo l’esaurimento della procedura di reclamo/mediazione (comma 9, secondo periodo, dell’art. 17-bis), durante tale fase amministrativa lo stesso non può chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto ai sensi dell’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992 ed è costretto, perciò, a pagare gli importi indicati nell’avviso di accertamento, divenuto, nel frattempo, esecutivo. Secondo le stesse Commissioni tributarie provinciali di Perugia e di Ravenna, l’impugnato art. 17-bis violerebbe l’art. 3 Cost. anche perché, irragionevolmente, assicurerebbe una maggiore tutela giurisdizionale (consistente, in particolare, nella possibilità di adire immediatamente il giudice tributario e di chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato): a) ai contribuenti che sono parti di controversie relative a tributi di pertinenza di soggetti impositori diversi dall’Agenzia delle entrate rispetto a quelli che sono parti di controversie relative a tributi di pertinenza di tale Agenzia; b) ai contribuenti che potrebbero essere debitori dell’Agenzia delle entrate per un importo superiore a ventimila euro rispetto a quelli che potrebbero esserlo per un importo non superiore a tale cifra.

1.3.− Secondo la Commissione tributaria provinciale di Campobasso (r.o. n. 146 e n. 147 del 2013), l’impugnato art. 17-bis, stabilendo, quale conseguenza dell’inosservanza dell’obbligo della previa presentazione del reclamo da esso previsto, l’inammissibilità del ricorso, violerebbe: a) l’art. 24 Cost. (in relazione sia al diritto di agire in giudizio che al diritto di difesa), perché tale conseguenza (diversamente dall’improcedibilità del ricorso) sacrifica eccessivamente il diritto di agire in giudizio, comportandone la perdita definitiva; b) l’art. 3 Cost. (in relazione sia al principio di uguaglianza che a quello di ragionevolezza) e l’art. 113 Cost. (in relazione al divieto di limitare la tutela giurisdizionale avverso gli atti della pubblica amministrazione per determinate categorie di atti), perché: b.1.) esistendo già altri «preventivi istituti deflattivi (quali l’autotutela, l’obbligo del preventivo contraddittorio, l’accertamento con adesione)», non sono ravvisabili quelle «esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia» idonee a giustificare, in base alla giurisprudenza costituzionale, l’imposizione dell’obbligo preliminare di presentazione del reclamo, il quale costituisce, perciò, «solo un rilevante aggravio del procedimento» che, in quanto condizione di ammissibilità del ricorso, «genera una irragionevole discriminazione tra il diritto del contribuente a corrispondere il giusto tributo e la potestà impositiva dell’Amministrazione»; b.2.) comporta una limitazione della tutela giurisdizionale solo per i contribuenti ai quali detto reclamo è imposto (e non, quindi, per i contribuenti parti di controversie relative ad atti emessi da enti impositori diversi dall’Agenzia delle entrate o di controversie relative ad atti emessi da detta Agenzia ma di valore superiore a ventimila euro). L’articolo impugnato, imponendo, al comma 6 (in virtù del richiamo, da questo operato, all’art. 18 del d.lgs. n. 546 del 1992), che il contenuto del reclamo sia identico a quello del ricorso di cui esso potrà, eventualmente, produrre gli effetti, violerebbe poi l’art. 24 Cost. perché «la anticipata discovery della tesi difensiva del contribuente nella fase amministrativa, che obbligatoriamente deve precedere la fase del giudizio, con conseguente immodificabilità di ulteriori prospettazioni difensive nell’eventuale giudizio in relazione a un provvedimento ancora da valutare, costituisce grave pregiudizio difensivo per il contribuente». L’art. 17-bis è censurato anche in quanto, precludendo la tutela cautelare giurisdizionale − in particolare la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto ai sensi dell’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992 − durante tutto il tempo necessario per lo svolgimento del procedimento amministrativo introdotto dal reclamo, lederebbe: a) l’art. 3 Cost., per la «irrazionalità e diversità di trattamento» che ciò comporta, atteso che detta preclusione: a.1.) opera solo nei confronti dei contribuenti ai quali detto reclamo è imposto; a.2.) è «del tutto irrazionale […] e assolutamente non giustificabile trattandosi della tutela giurisdizionale di posizioni giuridiche soggettive che devono essere garantite in modo particolare in presenza della immediata esecutività degli avvisi di accertamento (art. 29 DL 78/2010) o in caso di ricorso avverso cartelle esattoriali (ex art. 36 bis DPR 600/73 o 54 bis DPR 633/72 o in caso di ricorso avverso il ruolo)»; b) l’art. 24 Cost., che garantisce il diritto di difesa, e l’art. 25 Cost., che vieta che chiunque possa essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, perché «il contribuente potrà rivolgersi al proprio giudice naturale per ottenere un provvedimento cautelare» solo dopo l’inutile esperimento della procedura amministrativa conseguente al reclamo, mentre nelle more di tale procedura, pur in presenza di un danno grave e irreparabile che gli derivi dall’atto, è privato della tutela cautelare giurisdizionale. Ulteriori censure sono avanzate dai rimettenti con riguardo al fatto che l’articolo impugnato prevede una disciplina delle spese del procedimento di reclamo solo per il caso in cui si pervenga alla fase giurisdizionale, ciò che comporterebbe il contrasto con: a) l’art. 3 Cost. (in relazione sia al principio di uguaglianza che a quello di ragionevolezza), perché, nel caso in cui non si pervenga a detta fase, il contribuente avrà sostenuto delle spese per la remunerazione del difensore di cui si è dovuto avvalere − in ragione del fatto che al reclamo si applicano le regole generali in materia di assistenza tecnica dettate dall’art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992 − che non gli saranno rimborsate neppure nel caso di accoglimento del reclamo, «mentre l’A.F. beneficia del risparmio delle spese del giudizio che non sarà instaurato»; b) l’art. 24 Cost., perché «il diritto di difesa non viene garantito nella sua interezza ma solo previa la detrazione delle spese per l’assistenza tecnica». L’articolo 17-bis violerebbe ancora l’art. 111, «I comma ultima parte» (recte: secondo comma, ultimo periodo), Cost., che prevede che la legge assicuri la ragionevole durata del processo, in quanto, potendosi verificare che, nel caso in cui sia formulata istanza di accertamento con adesione, al periodo di novanta giorni di sospensione dei termini per l’impugnazione dell’atto previsto dall’art. 6 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 (Disposizioni in materia di accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale) − cui potrebbe sommarsi la sospensione di quarantacinque giorni nel periodo feriale − potrebbe aggiungersi il termine di sessanta giorni previsto per la presentazione del reclamo e, «in caso di silenzio dell’A.F. sul reclamo», l’ulteriore periodo di novanta giorni, per un totale di duecentottantacinque giorni, cioè di oltre nove mesi, con la conseguenza che il processo tributario potrebbe essere instaurato solo dopo il decorso di tale tempo, «non è in alcun modo possibile ritenere che con l’introduzione dell’istituto del reclamo il legislatore abbia rispettato il principio posto dall’art. 111 della Costituzione». Secondo la Commissione tributaria provinciale di Campobasso, sarebbe infine violato l’art. 111 Cost. perché, nel caso in cui debbano essere impugnati, entro lo stesso termine, più provvedimenti, per l’impugnazione di alcuni soltanto dei quali deve essere preliminarmente presentato il reclamo, «non sembra dubbio che […] la evidente complicazione processuale, dovuta alla diversità del termine per la costituzione in giudizio del ricorrente, con conseguente rischio di inammissibilità del ricorso, indurrà il contribuente a presentare distinti ricorsi con conseguente vanificazione dei benefici processuali derivanti dalla presentazione [di un] ricorso cumulativo».

1.4.− Ad avviso della Commissione tributaria provinciale di Benevento (r.o. n. 153 del 2013), infine, l’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, violerebbe: a) l’art. 3 Cost. in quanto: a.1.) riferendosi alle sole controversie di valore non superiore a ventimila euro,  «impedirebbe: 1. sia la riunione di controversie aventi il medesimo oggetto ed inerenti soggetti cointeressati; 2. sia un’unica discussione»; a.2.) nel caso in cui il reclamo venga accolto o la mediazione vada a buon fine, le spese del procedimento introdotto dal reclamo resterebbero a carico del contribuente, mentre l’amministrazione finanziaria beneficia di un risparmio per via della mancata instaurazione della fase contenziosa; a.3.) i contribuenti che sono parti di controversie con enti impositori diversi dall’Agenzia delle entrate «si troverebbero ad avere […] una serie di garanzie maggiori ed un iter processuale più spedito, anche in ordine alla richiesta di eventuali sospensive degli atti impugnati»; b) l’art. 24 Cost., perché, comprime la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi subordinandola all’esperimento di una previa fase amministrativa imposta a pena di inammissibilità del ricorso, «in contrasto con l’inviolabilità del diritto di difesa»; c) l’art. 111 Cost. perché: c.1.) in relazione al principio della ragionevole durata del processo, «rischia, mancando un necessario coordinamento con l’istituto dell’accertamento con adesione, di dilatare eccessivamente i tempi di introduzione del giudizio tributario»; c.2.) sempre in relazione al principio della ragionevole durata del processo, i «tempi [di definizione delle controversie] appaiono […] non congrui […] in riferimento all’immediata esecutività, decorsi sessanta giorni dalla notifica, sia degli avvisi di accertamento che delle cartelle di pagamento, rimanendo comunque precluso al contribuente l’accesso all’istituto della sospensiva di cui all’art. 47 del decreto legislativo numero 546 del 1992»; c.3.) in contrasto con il principio della terzietà dell’organo al quale deve essere conferito il compito di decidere il reclamo e di mediatore, attribuisce detti compiti a una delle parti della controversia; d) non precisati parametri, «per l’assenza di un obbligo in tale senso e della giusta terzietà del mediatore rispetto alle parti coinvolte nell’ambito della normativa comunitaria».

2.− In considerazione della coincidenza dell’oggetto e della parziale coincidenza delle censure prospettate dai rimettenti, i giudizi devono essere riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi.

3.− Prima di esaminare le questioni di legittimità costituzionale sollevate, occorre rilevare che, successivamente alle ordinanze di rimessione, l’impugnato art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 è stato modificato dall’art. 1, comma 611, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2014), il quale ha sostituito il comma 2, inserito due nuovi periodi tra gli originari primo e secondo periodo del comma 8, sostituito con un nuovo periodo gli originari terzo e quarto periodo del comma 9 e inserito un nuovo comma 9-bis.

Il menzionato ius superveniens, in particolare, ha modificato la disciplina del testo originario dell’art. 17-bis nel senso di prevedere: a) il nuovo comma 2, che: «La presentazione del reclamo è condizione di procedibilità del ricorso. In caso di deposito del ricorso prima del decorso del termine di novanta giorni di cui al comma 9, l’Agenzia delle entrate, in sede di rituale costituzione in giudizio, può eccepire l’improcedibilità del ricorso e il presidente, se rileva l’improcedibilità, rinvia la trattazione per consentire la mediazione»; b) i nuovi periodi del comma 8 (gli attuali secondo e terzo), che: «L’esito del procedimento rileva anche per i contributi previdenziali e assistenziali la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi. Sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali non si applicano sanzioni e interessi»; c) il nuovo periodo del comma 9 (l’attuale terzo), che «Ai fini del computo del termine di novanta giorni, si applicano le disposizioni sui termini processuali»; d) il nuovo comma 9-bis, che «La riscossione e il pagamento delle somme dovute in base all’atto oggetto di reclamo sono sospesi fino alla data dalla quale decorre il termine di cui all’articolo 22, fermo restando che in assenza di mediazione sono dovuti gli interessi previsti dalle singole leggi d’imposta. La sospensione non si applica nel caso di improcedibilità di cui al comma 2».

Tali modificazioni dell’impugnato art. 17-bis non possono, peraltro, avere alcuna influenza sui giudizi principali. In proposito, va rilevato che la lettera b) del comma 611 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013 ha previsto che «Le modifiche di cui alla lettera a) si applicano agli atti notificati a decorrere dal sessantesimo giorno successivo all’entrata in vigore della presente legge» (cioè − essendo detta legge entrata in vigore il 1° gennaio 2014 − agli atti notificati a decorrere dal 2 marzo 2014). Ne consegue che l’indicato ius novum non si applica alle fattispecie oggetto dei giudizi a quibus, le quali continuano a essere regolate dal testo originario dell’art. 17-bis. Deve quindi escludersi la necessità di restituire gli atti ai giudici rimettenti affinché valutino la perdurante rilevanza − certamente non venuta meno per effetto delle indicate sopravvenienze normative − e la non manifesta infondatezza delle questioni.

Per altro verso, le modificazioni introdotte dall’art. 1, comma 611, lettera a), della legge n. 147 del 2013, non sono tali da potere indurre questa Corte a estendere le questioni sollevate anche alla nuova formulazione dell’art. 17-bis. In proposito, quanto alle modifiche apportate ai commi 8 e 9, è sufficiente osservare che esse regolano fattispecie estranee a quelle disciplinate dalle norme oggetto delle censure avanzate dai rimettenti. Quanto alle modifiche consistite nella sostituzione del comma 2 e nell’inserimento del nuovo comma 9-bis, esse incidono, invece, sulle norme oggetto di alcune delle questioni di legittimità sollevate dai giudici a quibus. Il nuovo comma 2 dell’art. 17-bis prevede infatti che la presentazione del reclamo non è più, come nel testo previgente, una condizione di ammissibilità del ricorso, la cui omissione determinava la perdita del diritto di proporre l’azione in giudizio − previsione che, come si è visto, è censurata da alcuni dei rimettenti − ma costituisce una condizione di procedibilità dello stesso; inoltre, l’improcedibilità del ricorso depositato prima del decorso del termine di novanta giorni previsto dal comma 9 è rilevabile solo su eccezione dell’Agenzia delle entrate in sede di rituale costituzione in giudizio. Il nuovo comma 9-bis dell’art. 17-bis, d’altro canto, col prevedere la sospensione della riscossione e dell’obbligo di pagamento delle somme dovute in base all’atto oggetto di reclamo in pendenza della relativa procedura, incide sulle questioni con le quali alcuni dei rimettenti, come pure si è visto, hanno lamentato la mancanza, nell’originario art. 17-bis, durante la stessa procedura, di una tutela cautelare giurisdizionale, pur a fronte della possibilità di esecuzione  − ora esclusa  − delle pretese impositive risultanti dagli atti oggetto di reclamo. Poiché, pur restando impregiudicata ogni valutazione in ordine alla legittimità del menzionato ius superveniens, esso appare chiaramente diretto a elidere o, comunque, ad attenuare, gli indicati profili di censura prospettati nelle ordinanze di rimessione, deve escludersi che gli stessi possano essere trasferiti anche sul nuovo testo dell’art. 17-bis.

Per le ragioni indicate, lo scrutinio di questa Corte avrà ad oggetto l’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 esclusivamente nel suo testo originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate dalla lettera a) del comma 611 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013.

4.− Si deve ora procedere all’esame dei profili di inammissibilità di alcune questioni sollevate con le singole ordinanze di rimessione.

4.1.− Con riguardo alle questioni sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso con l’ordinanza iscritta al r.o. n. 147 del 2013, l’Avvocatura generale dello Stato, dopo avere fatto presente che, successivamente a tale ordinanza di rimessione, la cartella di pagamento impugnata nel processo principale era stata annullata in via di autotutela, ha chiesto a questa Corte di valutare «la persistenza o meno di un interesse alla pronuncia».

L’eccezione non è fondata.

In proposito, è sufficiente richiamare l’art. 18 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, il quale, stabilendo che «La sospensione, l’interruzione e l’estinzione del processo principale non producono effetti sul giudizio davanti alla Corte costituzionale», esclude che l’eventuale estinzione del processo pendente davanti alla Commissione tributaria provinciale rimettente per cessazione della materia del contendere a séguito dell’annullamento dell’impugnata cartella di pagamento (art. 46 del d.lgs. n. 546 del 1992) possa avere effetti sul giudizio di legittimità costituzionale.

4.2.− L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Benevento con l’ordinanza iscritta al r.o. n. 153 del 2013 per la «mancata indicazione degli elementi necessari per valutare la rilevanza della questione (non vengono indicati nemmeno gli importi in contestazione, da cui dipende l’applicabilità o meno della disposizione censurata)».

L’eccezione è fondata.

La Commissione tributaria provinciale di Benevento, nel descrivere la controversia sottoposta al suo esame, ha, in effetti, omesso di indicarne il valore. Tale circostanza non consente a questa Corte di verificare se detta lite rientri tra quelle per le quali l’impugnato art. 17-bis impone la preliminare presentazione del reclamo e, quindi, di effettuare il necessario controllo sulla rilevanza delle questioni di legittimità di tale articolo sollevate dal rimettente.

Né la rilevata omissione potrebbe essere superata attraverso l’esame del fascicolo del giudizio principale, stante il principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione.

Le questioni sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Benevento con l’ordinanza di cui al r.o. n. 153 del 2013 devono, perciò, essere dichiarate inammissibili.

4.3.− La difesa dello Stato ha eccepito l’inammissibilità anche delle questioni sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Ravenna con l’ordinanza iscritta al r.o. n. 270 del 2013 «sotto il profilo della corretta ricostruzione dei fatti di causa nell’ordinanza, che sembra essere identica alla questione parallela (n. 271/2013 r.o.), nonostante i ricorrenti siano diversi».

Anche tale eccezione è fondata.

La Commissione tributaria provinciale di Ravenna, nell’ordinanza iscritta al r.o. n. 270 del 2013, anziché descrivere la fattispecie oggetto del giudizio sottoposto al suo esame, ha, per errore, riprodotto la stessa descrizione della fattispecie che figura nell’ordinanza iscritta al r.o. n. 271 del 2013. Che, a fronte di due ordinanze che presentano un’identica descrizione della fattispecie, l’errore riguardi l’ordinanza iscritta al r.o. n. 270 del 2013 e non l’ordinanza iscritta al r.o. n. 271 del 2013 risulta chiaramente dal raffronto tra detta descrizione della fattispecie e il frontespizio dei due atti. Infatti, mentre i ricorrenti e gli atti impugnati che figurano nel frontespizio dell’ordinanza di cui al r.o. n. 271 del 2013 corrispondono a quelli indicati nella descrizione della fattispecie, nel frontespizio dell’ordinanza di cui al r.o. n. 270 del 2013 sono indicati un ricorrente e atti impugnati che nulla hanno a che fare con tale descrizione.

L’indicato errore del rimettente si traduce nella totale omissione della descrizione della fattispecie effettivamente sottoposta al suo esame e, di conseguenza, nell’impossibilità per questa Corte di effettuare il necessario controllo sulla rilevanza delle questioni dallo stesso sollevate.

Anche in questo caso, il principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione esclude che la menzionata carenza possa essere superata attraverso l’esame del fascicolo del giudizio principale.

Le questioni sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Ravenna con l’ordinanza di cui al r.o. n. 270 del 2013, devono, perciò, essere dichiarate inammissibili.

4.4.− Anche le questioni sollevate dalla medesima Commissione tributaria provinciale di Ravenna con l’ordinanza iscritta al r.o. n. 271 del 2013 sono inammissibili per carenti descrizione della fattispecie e motivazione sulla rilevanza.

Quanto al primo aspetto, va osservato che la Commissione tributaria rimettente, nel descrivere la fattispecie sottoposta al suo esame, non specifica né se i ricorrenti avessero presentato il reclamo previsto dal censurato art. 17-bis − con la conseguenza che resta ignoto se si sia svolta la conseguente procedura amministrativa e se sia stato esperito un tentativo di mediazione ­− né se, in caso affermativo, con la domanda di tutela cautelare giurisdizionale proposta (alla quale, peraltro, il giudice a quo fa riferimento solo nel frontespizio dell’ordinanza di rimessione), i ricorrenti avessero chiesto che l’esecuzione degli atti impugnati fosse sospesa già durante la pendenza di detta procedura amministrativa (ciò che, secondo la Commissione rimettente, la norma impugnata illegittimamente precluderebbe), oppure solo dopo la loro costituzione in giudizio (quando l’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992 certamente consente di chiedere la sospensione dell’atto impugnato).

A fronte di tali carenze della descrizione della fattispecie, l’ordinanza di rimessione è priva di qualsiasi motivazione sulla rilevanza delle questioni sollevate, limitandosi ad affermare, a proposito di tale requisito di ammissibilità delle stesse, come l’art. 17-bis «presenti profili di illegittimità costituzionale che si riflettono direttamente sull’esito del ricorso in esame».

Per tali ragioni, anche le questioni sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Ravenna con l’ordinanza iscritta al r.o. n. 271 del 2013 devono essere dichiarate inammissibili.

5.− Si può ora passare all’esame delle questioni sollevate con le ordinanze iscritte al r.o. n. 68, n. 146 e n. 147 del 2013. A tale fine, le censure prospettate devono essere raggruppate in base al loro oggetto, costituito dai vari significati normativi dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 che le rimettenti Commissioni tributarie provinciali ritengono in contrasto con i parametri costituzionali invocati.

6.− Un primo gruppo di questioni – sollevate, in riferimento agli artt. 3 (in relazione ai princípi di uguaglianza e di ragionevolezza), 24 (in relazione sia al diritto di agire in giudizio che al diritto di difesa) e 113 Cost. (in relazione al divieto, previsto dal secondo comma di tale articolo, di limitare la tutela giurisdizionale avverso gli atti della pubblica amministrazione per determinate categorie di atti), dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso con le identiche ordinanze iscritte al r.o. n. 146 e n. 147 del 2013 − ha a oggetto, da un lato, in via generale, l’imposizione, a chi intenda proporre ricorso avverso atti emessi dall’Agenzia delle entrate e di valore non superiore a ventimila euro, dell’obbligo del preliminare reclamo, con la conseguente preclusione, per il contribuente, della possibilità di agire in giudizio durante il tempo previsto per lo svolgimento della procedura amministrativa introdotta con tale atto; dall’altro lato, e più in particolare, la previsione secondo cui l’omissione della presentazione del reclamo comporta l’inammissibilità del ricorso.

6.1.− Con riguardo al differimento della possibilità di accedere al giudice tributario determinato dall’obbligatorietà della procedura di reclamo, la Commissione tributaria provinciale di Campobasso prospetta anzitutto la violazione degli artt. 3 e 113, secondo comma, Cost., deducendo che l’esistenza, nell’ordinamento tributario, di «altri preventivi istituti deflattivi (quali l’autotutela, l’obbligo del preventivo contraddittorio, l’accertamento con adesione)» escluderebbe la sussistenza di quelle «esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia» idonee a giustificare, in base alla giurisprudenza costituzionale, detto differimento e renderebbe il reclamo «solo un rilevante aggravio del procedimento».

6.2.− Tali censure − con le quali, in effetti, la Commissione rimettente contesta anche, sia pure implicitamente, la violazione dell’art. 24 Cost. − non sono fondate.

In proposito, va premesso che la consolidata giurisprudenza di questa Corte esclude che la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale implichi necessariamente una relazione di immediatezza tra il sorgere del diritto (o dell’interesse legittimo) e tale tutela (sentenze n. 154 e n. 82 del 1992, n. 130 del 1970, n. 64 del 1964), essendo consentito al legislatore di imporre l’adempimento di oneri − in particolare, il previo esperimento di un rimedio amministrativo – che, condizionando la proponibilità dell’azione, ne comportino il differimento, purché gli stessi siano giustificati da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia (sentenze n. 132, n. 81 e n. 62 del 1998, n. 233 del 1996, n. 56 del 1995, n. 255 del 1994, n. 406 del 1993, n. 154 del 1992; in termini simili, sentenze n. 403 del 2007, n. 251 del 2003, n. 276 del 2000, n. 113 del 1997, n. 82 del 1992, n. 130 del 1970).

È questo il caso del reclamo e della mediazione tributari, i quali, col favorire la definizione delle controversie (che rientrino nel menzionato àmbito di applicazione dei due istituti) nella fase pregiurisdizionale introdotta con il reclamo, tendono a soddisfare l’interesse generale sotto un duplice aspetto: da un lato, assicurando un più pronto e meno dispendioso (rispetto alla durata e ai costi della procedura giurisdizionale) soddisfacimento delle situazioni sostanziali oggetto di dette controversie, con vantaggio sia per il contribuente che per l’amministrazione finanziaria; dall’altro, riducendo il numero dei processi di cui sono investite le commissioni tributarie e, conseguentemente, assicurando il contenimento dei tempi e un più attento esame di quelli residui (che, nell’àmbito di quelli promossi nei confronti dell’Agenzia delle entrate, comportano le più rilevanti conseguenze finanziarie per le parti).

Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso, la concorrenza di «altri preventivi istituti deflattivi (quali l’autotutela, l’obbligo del preventivo contraddittorio, l’accertamento con adesione)» non esclude né, come è ovvio, l’astratta adeguatezza del reclamo e della mediazione tributari al soddisfacimento dell’indicato interesse generale, né la concreta idoneità e utilità di tali istituti al conseguimento di detto fine. Al riguardo, è sufficiente osservare come l’obbligatorietà della procedura introdotta dal reclamo (a fronte della facoltatività delle istanze di autotutela e di accertamento con adesione) e la previsione della mediazione quale strumento di composizione delle controversie legato alla valutazione, da parte dell’Agenzia delle entrate, anche dell’economicità dell’azione amministrativa − oltre che dell’eventuale incertezza (in diritto) delle questioni controverse e del grado di sostenibilità (in fatto) della pretesa − conferiscano al reclamo e alla mediazione tributari una particolare effettività sul piano del più pronto soddisfacimento delle situazioni sostanziali e della deflazione del carico di lavoro della giurisdizione tributaria. Deve quindi negarsi anche che il reclamo costituisca − come invece sostenuto dalla Commissione rimettente − «solo un rilevante aggravio del procedimento».

6.3.− Sempre a proposito del rinvio dell’accesso al giudice tributario determinato dall’obbligatorietà del reclamo, la Commissione tributaria provinciale di Campobasso ha dedotto che gli artt. 3 e 113 Cost. sarebbero violati anche sotto il diverso profilo che detto differimento della tutela giurisdizionale è imposto solo ai contribuenti che sono parti di controversie che rientrano nell’àmbito di applicazione dell’impugnato art. 17-bis e non, quindi, a tutti gli altri contribuenti (in particolare, a quelli che sono parti di controversie relative ad atti emessi da enti impositori diversi dall’Agenzia delle entrate o di controversie relative ad atti emessi da tale Agenzia ma di valore superiore a ventimila euro).

Neppure tali censure sono fondate.

Va in proposito osservato che, delle controversie instaurate davanti alle commissioni tributarie provinciali, quelle nei confronti dell’Agenzia delle entrate costituiscono,  notoriamente, la grande maggioranza e che, nell’àmbito di queste ‒ come confermano i dati (relativi all’anno 2010) riportati nella Relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del d.l. n. 98 del 2011 (A.S. n. 2814) ‒ quelle di valore non superiore a ventimila euro rappresentano, a loro volta, la maggioranza sul piano numerico, mentre corrispondono, sul piano del valore, ad una percentuale assai ridotta del valore complessivo delle controversie instaurate nei confronti di detta Agenzia. Alla stregua di tali elementi, deve ritenersi che il legislatore abbia perseguito l’indicato interesse generale a deflazionare il contenzioso tributario in modo ragionevole, prevedendo il rinvio dell’accesso al giudice con riguardo alle liti (quelle nei confronti dell’Agenzia delle entrate) che rappresentano il numero più consistente delle controversie tributarie e, al contempo, a quelle di esse che comportano le minori conseguenze finanziarie sia per la parte privata sia per quella pubblica. La scelta del legislatore, in quanto congrua rispetto alla ratio dell’intervento normativo, è perciò frutto di un corretto esercizio della discrezionalità legislativa, non censurabile né, come si è visto, sul piano del diritto alla tutela giurisdizionale, né sul piano del rispetto dei princípi di uguaglianza e di ragionevolezza.

La previsione dell’obbligo della preliminare presentazione del reclamo non víola, pertanto, nessuno degli invocati parametri.

6.4.− La Commissione tributaria provinciale di Campobasso ha impugnato anche la specifica previsione secondo cui l’omissione della presentazione del reclamo comporta l’inammissibilità del ricorso, lamentando che la stessa sacrificherebbe eccessivamente il diritto alla tutela giurisdizionale garantito dall’art. 24 Cost. in quanto comporta la perdita del diritto di agire in giudizio.

La questione − che investe esclusivamente il comma 2 dell’art. 17-bis (dove è stabilita la sanzione dell’inammissibilità del ricorso per la mancata presentazione del reclamo, nonché la rilevabilità d’ufficio di tale inammissibilità in ogni stato e grado del giudizio) − è fondata.

La giurisprudenza di questa Corte, nell’affermare − come si è visto al punto 6.2. − la legittimità di forme di accesso alla giurisdizione condizionate al previo adempimento di oneri quando questi siano finalizzati al perseguimento di interessi generali, ha tuttavia precisato che, anche là dove ricorra tale circostanza, il legislatore «è sempre tenuto ad osservare il limite imposto dall’esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa» (sentenza n. 154 del 1992; in termini analoghi, sentenze n. 360 del 1994, n. 406 del 1993, n. 530 del 1989), «deve contenere l’onere nella misura meno gravosa possibile» (sentenze n. 233 del 1996 e n. 56 del 1995), deve operare un «congruo bilanciamento» tra l’esigenza di assicurare la tutela dei diritti e le altre esigenze che il differimento dell’accesso alla stessa intende perseguire (sentenza n. 113 del 1997).

In linea con tale prospettiva, questa Corte ha più volte dichiarato l’illegittimità, per violazione dell’art. 24 Cost., di disposizioni che comminavano la sanzione della decadenza dall’azione giudiziaria in conseguenza del mancato previo esperimento di rimedi di carattere amministrativo (sentenze n. 296 del 2008, n. 360 del 1994, n. 406 e n. 40 del 1993, n. 15 del 1991, n. 93 del 1979).

Coerentemente con tali precedenti, deve quindi affermarsi che la previsione, di cui al censurato comma 2 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 − secondo cui l’omissione della presentazione del reclamo da parte del contribuente determina l’inammissibilità del ricorso (rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio) − comportando la perdita del diritto di agire in giudizio e, quindi, l’esclusione della tutela giurisdizionale, si pone in contrasto con l’art. 24 Cost.

Il comma 2 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel suo testo originario, anteriore alla sostituzione dello stesso a opera dell’art. 1, comma 611, lettera a), numero 1), della legge n. 147 del 2013, deve, perciò, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo.

Vale appena precisare che, con riguardo ai rapporti non esauriti ai quali sarebbe ancora applicabile il censurato comma 2 dell’art. 17-bis nel suo testo originario, per effetto della presente decisione dichiarativa di illegittimità costituzionale, l’eventuale omissione della previa presentazione del reclamo rimarrebbe priva di conseguenze giuridiche.

Resta, ovviamente, estranea all’oggetto del presente giudizio ogni valutazione in ordine alla legittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 17-bis nel testo attualmente vigente.

 7.− Un secondo gruppo di questioni, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Perugia (r.o. n. 68 del 2013), ha ad oggetto la disciplina della mediazione dettata dall’art. 17-bis e, in particolare, da un lato, l’asserita obbligatorietà della stessa, dall’altro, la mancata previsione di un mediatore estraneo alle parti.

7.1.− Con riguardo al primo profilo, la Commissione tributaria rimettente deduce, in particolare, che l’impugnato art. 17-bis configura la mediazione, sia che la relativa proposta sia contenuta nel reclamo sia che venga formulata d’ufficio, come, «di fatto, […] obbligatoria e come tale, in materia civile, già dichiarata incostituzionale, anche se per diversa ragione (eccesso di delega)», da questa Corte, con la sentenza n. 272 del 2012.

Le questioni sono inammissibili.

La rimettente Commissione tributaria provinciale, dopo avere motivato le proprie doglianze esclusivamente facendo rinvio alla sentenza n. 272 del 2012 − con la quale questa Corte ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità della disposizione che prevedeva l’obbligatorietà della mediazione per la conciliazione di alcune controversie civili e commerciali (art. 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, recante «Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali) − aggiunge che tale illegittimità costituzionale fu dichiarata «per diversa ragione (eccesso di delega)», cioè in riferimento a parametri diversi (gli artt. 76 e 77 Cost.) da quelli da essa invocati. In tale modo, è lo stesso giudice a quo ad affermare che le argomentazioni da lui spese (tramite il rinvio alla menzionata sentenza di questa Corte) a sostegno delle questioni sollevate non sono conferenti rispetto ai parametri invocati. Da ciò l’inammissibilità delle questioni medesime.

 7.2.− Quanto al secondo dei profili sopra indicati, la Commissione tributaria provinciale di Perugia lamenta specificamente che, in contrasto con l’art. 3, lettera a), della direttiva n. 2008/52/CE – che, col prevedere che il «procedimento [in cui la mediazione consiste] può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro», evidenzia che «l’organo della mediazione deve essere estraneo alle parti» − l’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 affiderebbe il ruolo di mediatore, «in sostanza», a una delle parti della controversia (la Direzione provinciale o la Direzione regionale che ha emanato l’atto oggetto del reclamo).

Le questioni non sono fondate.

Va anzitutto precisato che la mediazione disciplinata dall’art. 17-bis, sia che venga proposta nel reclamo (comma 7) sia che venga proposta d’ufficio (comma 8), si svolge solo tra il contribuente e l’Agenzia delle entrate, cioè tra le parti del rapporto d’imposta, senza l’intervento di alcun terzo nel ruolo di mediatore. L’attribuzione del compito di valutare la proposta di mediazione del contribuente o di formularne una di ufficio a «strutture diverse e autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili», secondo quanto previsto dai commi 5 e 8 dell’art. 17-bis, non vale infatti a escludere che si tratti pur sempre dello stesso soggetto − l’Agenzia delle  entrate, appunto − che ha emanato l’atto.

Tale mancanza di un soggetto terzo che, come avviene per la mediazione delle controversie civili e commerciali disciplinata dal d.lgs. n. 28 del 2010 (art. 1, comma 1, lettere a e b), svolga la mediazione, se comporta l’impossibilità di ricondurre la mediazione tributaria al modello di quella civilistica − e induce a dubitare della stessa riconducibilità dell’istituto all’àmbito mediatorio propriamente inteso − non determina, tuttavia, alcuna violazione degli invocati parametri costituzionali.

In primo luogo, non è conferente il richiamo alla direttiva n. 2008/52/CE sul quale la Commissione tributaria rimettente basa, pressoché esclusivamente, le proprie argomentazioni. Tale atto comunitario, infatti, si applica «nelle controversie transfrontaliere, in materia civile e commerciale», con l’espressa esclusione della «materia fiscale, doganale e amministrativa» (art. 1, comma 2), cioè proprio della materia che viene qui in rilievo.

Più in generale, va osservato che la mediazione tributaria introdotta dall’impugnato art. 17-bis costituisce una forma di composizione pregiurisdizionale delle controversie basata sull’intesa raggiunta, fuori e prima del processo, dalle stesse parti (senza l’ausilio di terzi), che agiscono, quindi, su un piano di parità. Deve dunque escludersi che un tale procedimento conciliativo preprocessuale, il cui esito positivo è rimesso anche al consenso dello stesso contribuente, possa violare il suo diritto di difesa o il principio di ragionevolezza o, tanto meno, il diritto a non essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.

8.− Con un’ulteriore questione, la Commissione tributaria provinciale di Campobasso (r.o. n. 146 e n. 147 del 2013) deduce che l’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 violerebbe l’art. 24 Cost. anche in quanto impone al contribuente di rendere note le proprie «prospettazioni difensive» già in sede di reclamo e non gli consente di modificarle nel caso in cui, esaurita la fase amministrativa introdotta con tale atto, intenda adire il giudice tributario, nonostante nella suddetta fase il «provvedimento [sia] ancora da valutare».

8.1.− L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della questione per «omesso esame della rilevanza», in quanto la Commissione rimettente «non ha indicato quale effetto potrebbe avere nel giudizio a quo una decisione della Corte che accogliesse il profilo dedotto; in particolare, sarebbe stato necessario precisare se il contribuente avesse notificato eventuali motivi aggiunti, da ritenersi inammissibili in quanto non dedotti nell’originario reclamo».

L’eccezione non è fondata.

Da un canto, infatti, essa postula che, nella fattispecie sottoposta al giudizio della Commissione rimettente, il ricorrente abbia presentato, in via preliminare, il reclamo, il che, invece, non è avvenuto (tanto che, per tale ragione, l’Agenzia delle entrate ha eccepito l’inammissibilità del ricorso).

D’altro canto, la rilevanza della questione in esame va affermata in ragione del fatto che la Commissione tributaria rimettente deve decidere sull’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’Agenzia delle entrate con riguardo all’inadempimento di un obbligo, quello di presentare il reclamo, della cui costituzionalità dubita proprio in quanto in tale atto dovrebbero essere indicate le «prospettazioni difensive» del contribuente (che sarebbe così costretto a renderle note prima dell’instaurazione del processo e che non potrebbe poi modificarle in sede di costituzione in giudizio).

8.2.− Nel merito, la questione non è fondata.

Premesso che, anche per le controversie estranee all’àmbito applicativo dell’art. 17-bis − per le quali è prevista la proposizione del ricorso direttamente alla commissione tributaria provinciale, senza l’obbligo della presentazione preliminare del reclamo − il ricorrente deve, entro sessanta giorni dalla notificazione dell’atto impugnato (art. 21, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992), proporre il ricorso stesso e indicare in esso, tra l’altro, i «motivi» e l’«oggetto della domanda» (art. 18, comma 2, lettere d ed e, del d.lgs. n. 546 del 1992), il fatto che, per le controversie alle quali è invece applicabile l’art. 17-bis, tali «motivi» e «oggetto della domanda» debbano essere resi noti quando «il provvedimento [è] ancora da valutare» e non siano successivamente modificabili non determina alcun pregiudizio per il diritto di difesa del contribuente. Infatti: a) nel caso in cui il reclamo venga accolto o la mediazione conclusa, il contribuente non avrà interesse ad adire la commissione tributaria; b) nei casi in cui, invece, decorra il termine dilatorio di novanta giorni dalla presentazione del reclamo senza che sia notificato l’accoglimento dello stesso o sia conclusa la mediazione o lo stesso reclamo venga, in tutto o in parte, respinto (e il contribuente, naturalmente, decida di adire l’autorità giudiziaria), il processo avrà ad oggetto lo stesso originario provvedimento amministrativo (nel caso di accoglimento parziale del reclamo, solo ridotto nella sua portata), cioè un atto nei confronti del quale il ricorrente ha potuto, nel consueto termine di sessanta giorni, proporre le proprie le «prospettazioni difensive».

D’altro canto, proprio in ragione del fatto che i motivi del ricorso sono già contenuti nel reclamo e non sono successivamente modificabili – salva, naturalmente, l’integrazione «resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti a opera delle altre parti o per ordine della commissione» (art. 24, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992) −  deve escludersi che l’amministrazione finanziaria possa avanzare una pretesa che, ancorché inferiore rispetto a quella iniziale, sia diversamente motivata o fondata su nuovi presupposti. Tale interpretazione costituzionalmente adeguata dei poteri dell’amministrazione finanziaria esclude, evidentemente, che l’indicata impossibilità di modificare i motivi di doglianza contenuti nel reclamo possa ledere il diritto di difesa del ricorrente.

9.− Le Commissioni tributarie provinciali di Perugia (r.o. n. 68 del 2013) e di Campobasso (r.o. n. 146 e n. 147 del 2013) lamentano ancora che, in contrasto con gli artt. 3, 24 e 25 Cost., l’impugnato art. 17-bis, consentendo la costituzione in giudizio dei contribuenti solo dopo l’esaurimento della procedura amministrativa introdotta con il reclamo (comma 9, secondo periodo), precluderebbe agli stessi, durante tale fase amministrativa, la tutela cautelare giurisdizionale e, in particolare, la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto ai sensi dell’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonostante lo stesso possa essere dotato di immediata esecutività.

Le questioni sono inammissibili per difetto di rilevanza.

In proposito, va osservato che i ricorrenti nei giudizi a quibus non hanno presentato il reclamo previsto dal censurato art. 17-bis ma hanno proposto direttamente ricorso alle rimettenti Commissioni tributarie provinciali, con la conseguenza che, nelle fattispecie ad esse sottoposte, è mancata del tutto la fase amministrativa che solo la presentazione del reclamo avrebbe potuto introdurre. Ne deriva che i giudici a quibus non devono fare applicazione della norma censurata che (in assunto) precluderebbe l’accesso alla tutela cautelare giurisdizionale in una fase, quella amministrativa introdotta dal reclamo, che nella specie, come si è detto, non si è svolta.

10.− La Commissione tributaria provinciale di Campobasso (r.o. n. 146 e n. 147 del 2013) lamenta poi, in riferimento agli artt. 3 (in relazione sia al principio di uguaglianza che a quello di ragionevolezza) e 24 Cost. (là dove garantisce il diritto di difesa), che, nel caso in cui l’Agenzia delle entrate accolga il reclamo (e annulli, perciò, l’atto che ne è oggetto in quanto illegittimo o infondato), l’art. 17-bis non prevede alcun ristoro delle spese che il contribuente ha sostenuto per la presentazione del reclamo e lo svolgimento della successiva procedura amministrativa.

Anche tali questioni sono inammissibili per difetto di rilevanza.

Infatti, poiché, come si è già ricordato al punto 9., i ricorrenti nei giudizi a quibus non hanno presentato reclamo (ed è quindi mancata anche la fase amministrativa che ad esso consegue), essi non hanno neppure sostenuto i relativi oneri. Ne consegue che i giudici a quibus non devono fare applicazione della norma, da essi censurata, che, nel caso di accoglimento del reclamo, escluderebbe il ristoro delle spese sostenute per la presentazione di tale istanza amministrativa (e per la fase dalla stessa introdotta).

11.− La Commissione tributaria provinciale di Campobasso (r.o. n. 146 e n. 147 del 2013) deduce ancora che l’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 lederebbe il principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, «I comma ultima parte» (recte: secondo comma, ultimo periodo), Cost., in quanto, nel caso in cui sia formulata istanza di accertamento con adesione, al periodo di novanta giorni di sospensione dei termini per l’impugnazione dell’atto previsto dall’art. 6 del d.lgs. n. 218 del 1997 − cui potrebbe sommarsi la sospensione di quarantacinque giorni nel periodo feriale – si aggiungerebbe il termine di sessanta giorni previsto per la presentazione del reclamo e, «in caso di silenzio dell’A.F. sul reclamo», l’ulteriore periodo di novanta giorni, per un totale di duecentottantacinque giorni, con la conseguenza che il processo tributario potrebbe essere instaurato solo dopo il decorso di tale tempo, sicché non sarebbe «in alcun modo possibile ritenere che con l’introduzione dell’istituto del reclamo il legislatore abbia rispettato il principio posto dall’art. 111 della Costituzione».

L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della questione in quanto «Nessuna motivazione si rinviene […] nell’ordinanza in ordine alla rilevanza della questione nel giudizio a quo».

L’eccezione è fondata.

Dalle ordinanze di rimessione non risulta infatti né che i ricorrenti abbiano formulato istanza di accertamento con adesione né che abbiano giustificato l’omissione del reclamo con l’argomento che, avendo formulato detta istanza, la presentazione del reclamo avrebbe comportato una durata del processo non ragionevole.

12.− Secondo la Commissione tributaria provinciale di Campobasso (r.o. n. 146 e n. 147 del 2013), l’articolo impugnato violerebbe l’art. 111 Cost. anche perché, nel caso in cui debbano essere impugnati, entro lo stesso termine, più provvedimenti tra loro connessi, per l’impugnazione di alcuni soltanto dei quali deve essere preliminarmente presentato il reclamo, «non sembra dubbio che […] la evidente complicazione processuale, dovuta alla diversità del termine per la costituzione in giudizio del ricorrente, con conseguente rischio di inammissibilità del ricorso, indurrà il contribuente a presentare distinti ricorsi con conseguente vanificazione dei benefici processuali derivanti dalla presentazione [di un] ricorso cumulativo».

L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della questione in quanto «del tutto ipotetica».

L’eccezione è fondata.

Infatti, da un lato, l’affermazione della Commissione tributaria rimettente secondo cui il ricorrente, nell’ipotesi indicata, sarà indotto a presentare distinti ricorsi («indurrà il contribuente a presentare distinti ricorsi») costituisce una mera congettura dello stesso giudice a quo; dall’altro, dalle ordinanze di rimessione non risulta che i ricorrenti intendessero presentare un ricorso cumulativo e che abbiano omesso di farlo in ragione della «complicazione processuale» che ciò avrebbe comportato.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 17-bis, comma 2,  del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nel testo originario, anteriore alla sostituzione dello stesso ad opera dell’art. 1, comma 611, lettera a), numero 1), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2014);

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate dall’art. 1, comma 611, lettera a), della legge n. 147 del 2013, sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Benevento, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., e ad altri non precisati parametri, con l’ordinanza iscritta al registro ordinanze n. 153 del 2013, in epigrafe indicata, dalla Commissione tributaria provinciale di Ravenna, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost., con le ordinanze iscritte al r.o. n. 270 e n. 271 del 2013, in epigrafe indicate, nonché dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso, in riferimento all’art. 111, secondo comma, ultimo periodo, Cost., e all’art. 111 Cost., con le ordinanze iscritte al r.o. n. 146 e n. 147 del 2013, in epigrafe indicate;

3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate dall’art. 1, comma 611, lettera a), della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui prevede la mediazione come, «di fatto, […] obbligatoria», sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Perugia, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost., con l’ordinanza iscritta al r.o. n. 68 del 2013, in epigrafe indicata;

4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate dall’art. 1, comma 611, lettera a), della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui precluderebbe ai contribuenti la tutela cautelare giurisdizionale durante la procedura amministrativa introdotta con il reclamo, sollevate dalle Commissioni tributarie provinciali di Perugia e di Campobasso, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost., con le ordinanze, rispettivamente, iscritte al r.o. n. 68 del 2013 e n. 146 e n. 147 del 2013, in epigrafe indicate;

5) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate dall’art. 1, comma 611, lettera a), della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui, nel caso di accoglimento del reclamo, non prevede il ristoro delle spese sostenute dal contribuente per la presentazione dello stesso e per lo svolgimento della successiva procedura amministrativa, sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., con le ordinanze iscritte al r.o. n. 146 e n. 147 del 2013, in epigrafe indicate;

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate dall’art. 1, comma 611, lettera a), della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui prevede l’obbligo, per chi intende proporre ricorso avverso atti emessi dall’Agenzia delle entrate e di valore non superiore a ventimila euro, di presentare preliminarmente reclamo, sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., con le ordinanze iscritte al r.o. n. 146 e n. 147 del 2013, in epigrafe indicate;

7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate dall’art. 1, comma 611, lettera a), della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui non prevede che la mediazione sia svolta da un terzo, sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Perugia, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost., con l’ordinanza iscritta al r.o. n. 68 del 2013, in epigrafe indicata;

8) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate dall’art. 1, comma 611, lettera a), della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui impone al contribuente di indicare nel reclamo le proprie «prospettazioni difensive» e non gli consente di modificarle nell’eventuale successivo giudizio, sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso, in riferimento all’art. 24 Cost., con le ordinanze iscritte al r.o. n. 146 e n. 147 del 2013, in epigrafe indicate.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 aprile 2014.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Sergio MATTARELLA, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 aprile 2014.