SENTENZA N. 113
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16, secondo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare), promosso con ordinanza emessa l'11 gennaio 1996 dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria, sul ricorso proposto da Razzano Gennaro e Ministero della Difesa ed altro, iscritta al n. 457 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 marzo 1997 il Giudice relatore Cesare Ruperto.
Ritenuto in fatto
1. -- Nel corso di un giudizio amministrativo -- promosso da un sottufficiale dell'arma dei Carabinieri per l'annullamento di una sanzione disciplinare di corpo -- il Tribunale amministrativo regionale della Liguria, con ordinanza emessa l'11 gennaio 1996, ha sollevato -- in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione -- questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, secondo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare), nella parte in cui dispone che "avverso le sanzioni disciplinari di corpo non é ammesso ricorso giurisdizionale se prima non é stato esperito ricorso gerarchico o siano trascorsi novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso".
Affermata la rilevanza della questione nel giudizio a quo, in ragione della sollevata eccezione d'inammissibilità della domanda in mancanza della previa proposizione del ricorso amministrativo, osserva il rimettente che -- pur essendo quella gerarchica la naturale sede di soluzione dei conflitti riguardanti le decisioni sanzionatorie, data la specialità che caratterizza l'ordinamento militare -- proprio il forte vincolo di subordinazione, che presiede ai rapporti tra i vari gradi dell'apparato militare, ed i conseguenti condizionamenti portano a dubitare della bontà dell'obbligatorietà di tale rimedio, rispetto alla facoltà di opzione tra questo e quello giurisdizionale immediato.
Secondo il giudice a quo, se é teoricamente vero che detta obbligatorietà comporta una maggiore possibilità di difesa per l'interessato, che ha a disposizione una pluralità di rimedi, il ritardato accesso alla giurisdizione, oltre a privarlo della possibilità di richiedere cautelarmente la sospensione dell'esecuzione della sanzione irrogata, comporta la persistente soggezione dello stesso agli effetti, spesso irreversibili, del provvedimento sanzionatorio. Inoltre, la limitata ed il più delle volte atecnica difesa svolta davanti al superiore gerarchico può sortire conseguenze deleterie ed anch'esse irreversibili davanti al giudice amministrativo, a cagione sia della preclusione dell'introduzione di nuovi elementi o motivi, sia delle disarmonie create dalle possibili diverse decisioni dell'autorità gerarchica decidente.
Per il rimettente, dunque, la norma censurata genera una discriminazione tra il personale militare e gli altri pubblici dipendenti -- che possono scegliere liberamente la via del ricorso amministrativo o quella del ricorso giurisdizionale (ex art. 20 della legge n. 1034 del 1971) -- impedendo nel contempo all'incolpato di perseguire la tutela dei propri interessi in modo pieno e libero da condizionamenti.
2. -- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione, osservando come -- nonostante la progressiva omogeneizzazione delle posizioni soggettive dei militari e dei dipendenti civili dello Stato -- non si possano ignorare i connotati di specialità che i corpi militari continuano a presentare, tali da giustificare, anche nella materia in esame, una disciplina più fortemente caratterizzata dal rapporto gerarchico. La norma che recupera nell'àmbito dell'ordinamento militare la regola della definitività dell'atto impugnabile in sede giurisdizionale opera, dunque, un equo contemperamento delle due esigenze della tutela del singolo e dell'effettività della disciplina militare.
L'Avvocatura ricorda infine che l'art. 3 del d.P.R. n. 1199 del 1971 prevede, anche con riferimento al ricorso gerarchico, la possibilità della sospensione (d'ufficio o su domanda del ricorrente) del provvedimento impugnato.
Considerato in diritto
1. -- Il Tribunale amministrativo regionale della Liguria dubita della legittimità costituzionale dell'art. 16, secondo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare), nella parte in cui dispone che "avverso le sanzioni disciplinari di corpo non é ammesso ricorso giurisdizionale se prima non é stato esperito ricorso gerarchico o siano trascorsi novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso".
Secondo il rimettente, la norma si porrebbe in contrasto: a) con l'art. 3 Cost., per la disparità di trattamento tra il personale militare e gli altri pubblici dipendenti, i quali -- per ricorrere avverso le sanzioni disciplinari loro irrogate -- possono scegliere di adire la sede amministrativa ovvero immediatamente quella giurisdizionale (ex art. 20 della legge n. 1034 del 1971); b) con gli artt. 24 e 113 Cost., in quanto impedisce al militare incolpato di perseguire la tutela dei propri interessi in modo pieno e libero dai condizionamenti gerarchici.
2. -- La questione non é fondata.
2.1. -- Il sistema normativo introdotto dalla legge n. 382 del 1978 risulta intimamente connotato dalla volontà (che emerge in modo chiaro anche dai lavori preparatori) di rendere positiva una visione moderna del concetto di disciplina militare, in linea con le mutate esigenze della società nel presente contesto storico ed ossequiente al disposto costituzionale, secondo cui l'ordinamento delle forze armate dev'essere informato allo spirito democratico della Repubblica. Tale visione, peraltro, viene necessariamente correlata con la peculiarità della posizione del cittadino militare, che si caratterizza tra l'altro per la stretta sottoposizione di questo al rapporto gerarchico ed alla disciplina militare: elementi, senza i quali "sarebbe impossibile strutturare le forze armate in modo che esse siano in grado di assolvere la funzione fondamentale della difesa della Patria, loro assegnata dalla Costituzione" (Camera dei deputati, relazione alle proposte di legge riunite nn. 407, 526 e 625/A).
Trattasi della disciplina militare intesa come "osservanza consapevole delle norme attinenti allo stato di militare in relazione ai compiti istituzionali delle forze armate ed alle esigenze che ne derivano", la quale viene teleologicamente elevata a "regola fondamentale per i cittadini alle armi in quanto... principale fattore di coesione ed efficienza" (art. 2, comma 1, del d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545, recante il regolamento di disciplina militare emesso ai sensi dell'art. 5, primo comma, della legge n. 382 del 1978). Tanto che, in caso di violazione del particolare dovere d'obbedienza gravante sul cittadino inserito nell'ordinamento militare, risultano previste specifiche "sanzioni di corpo", affatto sconosciute agli altri pubblici dipendenti.
2.1.1. -- La valutazione della denunciata norma, condotta appunto alla luce dei princìpi ispiratori del nuovo sistema disciplinare militare, consente allora di escludere la sussistenza di un vulnus al principio di uguaglianza.
Ciò, in primo luogo, perchè risulta d'immediata percezione come la peculiarità dello status del militare -- ripetutamente sottolineata da questa Corte (v., da ultimo, ordinanza n. 396 del 1996) -- renda inappropriato il riferimento, in termini di tertium comparationis, alle regole generali dettate per il pubblico impiego. E, in secondo luogo, perchè il consentire l'accesso alla sede giurisdizionale dopo l'esperimento del rimedio gerarchico (o l'inutile decorso del termine di novanta giorni dalla data di proposizione del ricorso stesso), rappresenta un'opzione legislativa non irrazionale, diretta com'é a perseguire la finalità di assicurare anche in tempo di pace l'ordinato svolgimento del servizio, costituente valore primario per l'andamento stesso della vita militare (cfr. sentenza n. 37 del 1992).
2.1.2. -- Parimenti, non é ravvisabile la prospettata lesione degli artt. 24 e 113 della Costituzione.
Come questa Corte ha più volte affermato, l'assoggettamento all'onere del previo esperimento dei rimedi amministrativi, con conseguente differimento della proponibilità dell'azione a un certo termine decorrente dalla data di presentazione del ricorso, é legittimo se giustificato da esigenze di ordine generale (v., da ultimo, sentenza n. 233 del 1996), nonchè allorquando tale limitazione tenda ad evitare un uso in concreto eccessivo del diritto alla tutela giurisdizionale, tanto più ove l'adempimento dell'onere, lungi dal costituire uno svantaggio per il titolare della pretesa, rappresenti il modo di soddisfazione della posizione sostanziale più pronto e meno dispendioso (v. sentenza n. 82 del 1992).
Ebbene, nella specie, la scelta del legislatore di privilegiare la via gerarchica quale naturale e immediata sede di soluzione delle controversie in ordine all'irrogazione delle sanzioni -- dove oltre tutto la possibilità di proporre motivi di merito consente all'interessato di ottenere un complessivo e più penetrante riesame del fatto -- é da considerarsi il risultato d'un congruo bilanciamento tra l'esigenza di coesione dei corpi militari e quella di tutela dei diritti individuali (cfr. sentenza n. 22 del 1991).
D'altra parte, proprio al fine di evitare i paventati possibili condizionamenti derivanti dal vincolo di subordinazione, la normativa prevede in modo espresso che il superiore, per il cui tramite va proposto il ricorso gerarchico, debba inoltrarlo sollecitamente "senza pareri o commenti all'autorità gerarchica immediatamente superiore a quella che ha inflitto la sanzione" (art. 72 del d.P.R. n. 545 del 1986): con ciò realizzandosi un'ulteriore garanzia di imparzialità della decisione amministrativa, la quale, ove ritenuta ancora insoddisfacente dal militare, potrà essere allora liberamente impugnata in via giurisdizionale.
Se poi é vero che in quest'ultima sede opera la norma dell'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (richiamata dal rimettente), ai sensi della quale il giudice amministrativo può disporre la sospensione del provvedimento amministrativo, non é da trascurare che anche nella fattispecie é pur sempre possibile ottenere, ai sensi dell'art. 3 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, la sospensione dell'esecuzione dell'impugnato atto da parte dell'organo decidente, sospensione che costituisce un rimedio cautelare di generale applicazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, secondo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 aprile 1997.
Renato GRANATA, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore.
Depositata in cancelleria il 22 aprile 1997.