Sentenza n. 93 del 1979
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SENTENZA N. 93

ANNO 1979

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Avv. Leonetto AMADEI , Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, secondo e terzo comma, r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, come modificato dalla legge 24 luglio 1957, n. 633 (Coordinamento delle norme sulla disciplina dei rapporti collettivi di lavoro con quelle sul trattamento giuridico- economico del personale delle ferrovie, tramvie e linee di navigazione interna in regime di concessione) promosso con ordinanza emessa il 20 ottobre 1977 dal Tribunale di Ravenna, nel procedimento civile vertente tra l'Azienda Trasporti Municipali e Salimbeni Italo, iscritta al n. 566 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 22 febbraio 1978.

Udito nella camera di consiglio del 14 giugno 1979 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del procedimento civile promosso da Salimbeni Italo nei confronti dell'Azienda Trasporti Municipali (A.T.M.) di Ravenna al fine di ottenere il riconoscimento della qualifica corrispondente alle mansioni effettivamente esercitate e l'attribuzione del relativo trattamento retributivo, il Tribunale di Ravenna, con ordinanza del 20 ottobre 1977, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 36 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, secondo e terzo comma, r.d. 8 gennaio 1931, n. 148 (recante norme sulla disciplina del rapporto di lavoro degli addetti ai pubblici servizi di trasporto in concessione), così come modificato dalla legge 24 luglio 1957, n. 633, nella parte in cui dispone che il dipendente il quale intende adire l'autorità giudiziaria a tutela di diritti di natura non esclusivamente patrimoniale, che assuma violati da un provvedimento dell'azienda, deve, a pena di decadenza, proporre preventivamente reclamo in via gerarchica entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento medesimo.

2. - Il giudice a quo, richiamandosi a quanto dedotto in altra ordinanza già venuta all'esame di questa Corte (R.O. n. 424 del 1975, decisa con ordinanza n. 242 del 1976), rileva anzitutto che, spesso, l'accertamento di diritti esclusivamente patrimoniali (rispetto ai quali, per l'espressa previsione contenuta nell'ultimo comma della disposizione denunziata, l'onere del previo ricorso amministrativo costituisce una condizione di procedibilità e non di proponibilità dell'azione giudiziaria) implica una decisione, sia pure incidentale, su una questione che, in sé, non é meramente patrimoniale, e prospetta il dubbio che ritenere subordinata a pena di decadenza, anche in tale ipotesi, l'esperimento dell'azione giudiziaria alla previa proposizione del ricorso gerarchico comporti una ingiustificata limitazione nella difesa di diritti costituzionalmente garantiti.

Inoltre, sempre secondo il Tribunale, la disposizione denunziata, se posta a raffronto con l'art. 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (modificativo dell'art. 2103 cod. civ.), creerebbe una ingiustificata sperequazione - lesiva del principio di uguaglianza - fra i dipendenti da esercenti pubblici servizi di trasporto in concessione e tutti gli altri lavoratori, in quanto solo per i primi il diritto ad acquisire la qualifica corrispondente alle mansioni di fatto svolte sarebbe condizionato all'adempimento di precise formalità (proposizione di ricorso gerarchico anche contro lo stesso silenzio-rifiuto o addirittura contro un provvedimento "tacito") e sottoposto a rigidi termini di decadenza.

Detto profilo, si aggiunge nell'ordinanza, non é stato considerato dalla sentenza n. 57 del 1972 di questa Corte, che mentre ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato art. 10, nella sua originaria formulazione (limitatamente alla parte in cui dispone l'improponibilità dell'azione giudiziaria in caso di mancata o tardiva presentazione del reclamo in via gerarchica, per le controversie aventi ad oggetto competenze arretrate oppure prestazioni di natura esclusivamente patrimoniale) ha ritenuto non contrastante con gli artt. 3,24 e 36 della Costituzione la stessa disposizione per la parte in cui fa riferimento ai diritti non esclusivamente patrimoniali del dipendente, quali ad esempio, "i diritti di carriera, l'inquadramento in categoria o classi, il riconoscimento di una qualifica etc.".

Questa pronunzia, infatti, avrebbe avuto riguardo alla situazione normativa antecedente all'entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori (il cui art. 13 ha modificato l'art. 2103 cod. civ.) quando ancora non si era determinata alcuna apprezzabile diversità di disciplina, in relazione all'esercizio di mansioni superiori, tra la normativa generale del rapporto di lavoro privato e quella particolare del rapporto degli autoferrotramvieri.

3. - L'ordinanza é stata pubblicata sul n. 53 della G.U. del 22 febbraio 1978.

Nel giudizio non vi é stata costituzione di parte né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - L'art. 10 del r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, come modificato dalla legge n. 633 del 1957, sulla disciplina del rapporto di lavoro degli addetti ai pubblici servizi di trasporto in concessione, statuisce: "Le controversie individuali relative ai rapporti soggetti alle norme del regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148, sono di competenza dell'autorità giudiziaria".

"L'agente che intende adire l'autorità giudiziaria contro un provvedimento dell'azienda che lo riguarda, deve preventivamente porre reclamo in via gerarchica entro sessanta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento, presentandolo al superiore immediato che é tenuto a rilasciare ricevuta".

"L'azienda deve comunicare al reclamante le proprie determinazioni entro trenta giorni dalla presentazione del reclamo e, decorso tale termine, anche se l'azienda non abbia risposto, il reclamante può adire l'autorità giudiziaria proponendo la relativa azione entro i successivi sessanta giorni. la omissione del reclamo nel termine suddetto comporta l'improponibilità dell'azione giudiziaria, salvo quanto disposto nel seguente comma".

"Il diritto a competenze arretrate e ad altre prestazioni di natura esclusivamente patrimoniale si prescrive nel termine previsto negli artt.2948, 2955 e 2956 del codice civile. L'azione giudiziaria non può essere proposta se l'avente diritto non abbia presentato reclamo in via gerarchica e non siano trascorsi trenta giorni dalla presentazione del reclamo stesso".

Il Tribunale di Ravenna, con l'ordinanza indicata in epigrafe, prospetta il dubbio che il secondo ed il terzo comma della disposizione predetta violino:

a) gli artt. 3, 24 e 36 della Costituzione, sotto il profilo che, nelle ipotesi in cui l'accertamento dei diritti patrimoniali comporti la definizione di questioni non meramente patrimoniali, l'onere, stabilito a pena di decadenza, del previo ricorso gerarchico comporterebbe una ingiustificata limitazione nell'esercizio della difesa di tali diritti, che sono garantiti e tutelati dall'art. 36 della Costituzione;

b) l'art. 3 della Costituzione, poiché il principio sancito nella norma impugnata darebbe luogo ad una irragionevole discriminazione in danno dei dipendenti da esercenti pubblici servizi di trasporto in concessione, per i quali soltanto - a differenza della generalità degli altri lavoratori subordinati nel settore del diritto privato (cui sarebbe applicabile la più favorevole disciplina derivante dal citato art. 2103, così come modificato dall'art. 13 legge 20 maggio 1970, n. 300) - il diritto ad acquisire la qualifica corrispondente alle mansioni effettivamente esercitate sarebbe condizionato all'adempimento di precise formalità e sottoposto a rigidi termini di decadenza.

2. - Nel sollevare la questione sotto il profilo sub a), il giudice a quo muove dal presupposto che il secondo ed il terzo comma del citato art. 10 r.d. n. 148 del 1931 si applichino, secondo l'orientamento della Cassazione, anche alle richieste di somme di danaro, formulate dal dipendente, le quali involgano il preliminare accertamento e la decisione di questioni non meramente patrimoniali.

In effetti, proprio questo era, in un primo tempo, l'orientamento della Cassazione. Esso però é successivamente mutato e si é ora definitivamente consolidato nel senso che per domanda giudiziale relativa a diritti esclusivamente patrimoniali (rispetto ai quali, per l'espressa previsione contenuta nell'ultimo comma della disposizione in esame, l'onere del previo ricorso amministrativo costituisce una condizione di procedibilità e non di proponibilità dell'azione giudiziaria) deve intendersi ogni pretesa che abbia, come oggetto immediato e diretto il pagamento di una determinata somma di danaro, "ancorché sia controverso non solo il quantum ma persino l'an del credito vantato e, per i fini della decisione, si richieda il preliminare esame di questioni del tutto prive di contenuto patrimoniale".

Pertanto si ritiene ormai pacificamente che se il dipendente avanzi, in via principale, domanda tendente ad ottenere l'attribuzione della qualifica superiore e, in linea subordinata, richieda il trattamento economico ad essa corrispondente (ovviamente limitato al periodo in cui sono state svolte mansioni superiori) la decadenza conseguente al mancato o tardivo esperimento del ricorso gerarchico colpisca esclusivamente l'azione proposta in via principale e non anche quella attinente a pretese esclusivamente economico-patrimoniali, quantunque l'accertamento circa la loro fondatezza presupponga ed esiga il controllo circa l'avvenuto conferimento ed espletamento di mansioni diverse e superiori rispetto a quelle proprie dell'inquadramento ottenuto.

Le censure, sotto tale riguardo formulate nella ordinanza di rimessione, muovono pertanto da un presupposto inesatto e vanno conseguentemente disattese.

3. - Non può negarsi, tuttavia, che, pur così interpretata, la norma denunziata, se posta a raffronto con la disciplina ordinaria del rapporto di lavoro, presenti delle incongruenze che non possono non assumere rilievo sul piano della legittimità costituzionale. E proprio ad esse si riferisce il giudice a quo con la questione puntualizzata alla lettera b) nel precedente n. 1, quando pone in rilievo che per gli addetti ai pubblici servizi di trasporto in concessione - a differenza di quanto avviene per la generalità degli altri lavoratori subordinati nel settore del diritto privato (cui é applicabile la più favorevole disciplina derivante dall'art. 2103 cod. civ., così come modificato dall'art. 13 legge 20 maggio 1970 n. 300) - il diritto ad acquisire la qualifica corrispondente alle mansioni effettivamente esercitate é condizionato all'adempimento di precise formalità e sottoposto a rigidi termini di decadenza. E prospetta il dubbio che tale disparità di trattamento sia priva di ragionevole fondamento e sia conseguentemente lesiva del principio di uguaglianza.

Va osservato su tale punto che esistono indubbiamente delle differenze tra il rapporto di lavoro ordinario di diritto privato e quello dei dipendenti da imprese esercenti pubblici servizi di trasporto in concessione, la cui regolamentazione deve tener conto delle finalità di pubblico interesse, inerenti alla natura del servizio che riguarda la generalità dei consociati.

Ma c'é da chiedersi se esse possano giustificare una così grave discriminazione in danno di tale categoria di lavoratori.

E la risposta al quesito deve essere negativa.

Orbene, con la norma denunziata si é voluto dare ad imprese di pubblico interesse (quali sono, indubbiamente, quelle esercenti servizi di trasporto in concessione) la possibilità di esaminare preventivamente le doglianze dei dipendenti al fine di accertarne l'eventuale fondatezza, evitando così lunghe e dispendiose procedure giudiziarie le quali potrebbero anche compromettere la funzionalità del servizio (sentenza n. 57 del 1972).

Ma é agevole osservare che il soddisfacimento di questa esigenza, certamente meritevole di tutela, non richiede una così sensibile compressione dei diritti del lavoratore. A tal fine é, infatti, sufficiente prevedere che il previo esperimento del ricorso costituisca una condizione di procedibilità, la quale non implica decadenza dal diritto, la cui carenza potrà essere rilevata in base alle regole del rito speciale del lavoro.

Va, d'altra parte, considerato che i procedimenti preliminari mirano a realizzare la giustizia nell'ambito della Amministrazione ma non possono risolversi in attentati al diritto di proporre l'azione in giudizio.

La soluzione adottata é pienamente rispondente alle linee di tendenza della disciplina dei rapporti tra ricorsi amministrativi e rimedi giurisdizionali (v. artt. 443 cod. proc. civ. e 148 disp. att. come sostituiti con legge 11 agosto 1973 n. 533) e non trova ostacolo nella natura non "esclusivamente patrimoniale" del diritto (a conseguire la qualifica) che in questo caso viene in considerazione. Da tale carattere, infatti, non può certo farsi discendere un minor rilievo dei diritti del lavoratore, che pur coinvolgono interessi egualmente meritevoli di adeguata tutela.

Tale decisione non contrasta con altre pronunce di questa Corte: non con la recente sentenza n. 41 del 1979 (la quale ha ritenuto legittima la decorrenza della prescrizione durante il rapporto di lavoro, relativamente a pretese non aventi carattere immediatamente retributivo), in quanto non può ovviamente estendersi alla decadenza la disciplina giuridica della prescrizione. Né é ravvisabile contrasto con la sent. 174 del 1972 (la quale, in analoga situazione, si é limitata a ritenere illegittima la decorrenza del termine di decadenza in costanza di rapporto di lavoro non assistito da garanzia di stabilità) in quanto in quell'occasione fu sottoposta all'esame della Corte solo la questione concernente la decorrenza del termine di decadenza durante il rapporto di lavoro e non pure il più ampio quesito concernente la legittimità della stessa previsione della decadenza.

Va quindi dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 10, secondo e terzo comma, r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, come modificato dalla legge 633 del 1957, nella parte in cui dispone l'improponibilità e non la improcedibilità dell'azione giudiziaria in caso di mancata o tardiva presentazione del reclamo gerarchico, nelle controversie aventi ad oggetto il riconoscimento della qualifica.

L'illegittimità costituzionale della norma denunziata, in tali sensi dichiarata, va estesa - ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, per necessaria conseguenzialità - alle ipotesi in cui la controversia abbia per oggetto l'accertamento di ogni altro diritto di natura non esclusivamente patrimoniale inerente al rapporto di lavoro.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 10, secondo e terzo comma, r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, come modificato dalla legge n. 633 del 1957 (coordinamento delle norme sulla disciplina dei rapporti collettivi di lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tramvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), nella parte in cui dispone l'improponibilità e non la improcedibilità dell'azione giudiziaria in caso di mancata o tardiva presentazione del reclamo gerarchico nelle controversie aventi ad oggetto il riconoscimento della qualifica;

b) in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara, altresì, l'illegittimità costituzionale derivata dello stesso art. 10 nella parte in cui dispone l'improponibilità e non la improcedibilità dell'azione giudiziaria in caso di tardiva o di mancata presentazione del ricorso in via gerarchica nelle controversie aventi ad oggetto l'accertamento di ogni altro diritto "non esclusivamente patrimoniale", diverso da quello indicato sui a), inerente al rapporto di lavoro.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1979.

Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 26 luglio 1979.