Sentenza n. 47 del 1964
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SENTENZA N. 47

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 460 del Codice di procedura civile e dell'art. 97, quarto comma, del R.D.L.4 ottobre 1935, n. 1827, promosso con ordinanza emessa il 4 aprile 1963 dalla Corte d'appello di Torino nel procedimento civile vertente tra Sonaglia Maria e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 168 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 231 del 31 agosto 1963.

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Sonaglia Maria e dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 29 aprile 1964 la relazione del Giudice Michele Fragali;

uditi l'avv. Ettore Patrizi, per la Sonaglia, l'avv. Guido Nardone, per l'I. N. P. S., ed il sostituto avvocato generale dello Stato Stefano Varvesi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - La Corte d'appello di Torino, pronunziando nella causa vertente fra Sonaglia Maria e l'Istituto nazionale della previdenza sociale (ordinanza 4 aprile 1963), ha mosso dubbi sulla legittimità costituzionale dell'art. 460 del Cod. proc. civ. e dell'art. 97, quarto comma, del R. D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, sul perfezionamento e il coordinamento legislativo della previdenza sociale.

L'art. 460 del Cod. proc. civ. dispone che la domanda relativa a controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie non può essere proposta se non quando sono esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in via amministrativa o sono decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti Stessi; il quarto comma dell'art. 97 del citato R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, statuisce che non é ammesso il ricorso in via contenziosa contro i provvedimenti dell'Istituto nazionale della previdenza sociale concernenti l'attuazione delle disposizioni del decreto, prima che sia definito il ricorso in sede amministrativa.

La Corte ha ravvisato una sconcordanza fra le norme predette e l'art. 113 della Costituzione, perché viene sanzionato con la perdita della tutela giurisdizionale il mancato esperimento entro un breve termine di un ricorso in via amministrativa. Non si può credere che le norme denunciate ritengano fatto di acquiescenza l'inutile decorso di quel termine, perché l'inerzia dell'interessato può essere stata causata da ignoranza o da negligenza; ma si deve ritenere che esse si propongono di favorire la composizione in via amministrativa di cause facilmente evitabili. La sanzione per l'inadempimento dell'onere imposto esorbita però da tale fine, perché si risolve nella perdita del diritto anziché in conseguenze meramente processuali, come potrebbero essere quelle riflettenti la pronunzia sulle spese.

L'ordinanza é stata notificata alle parti in causa il 28 giugno 1963 e il 1 luglio 1963 al Presidente del Consiglio dei Ministri; é stata comunicata ai Presidenti delle due Camere; é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 31 agosto 1963, n. 231.

Si sono costituiti in questa sede la Sonaglia (16 settembre 1963) e l'Istituto nazionale della previdenza sociale (10 settembre 1963);

é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri (22 luglio 1963). Tutte le parti hanno depositato memorie, e la Sonaglia ha allegato alla sua un parere pro ventate del prof. Carlo Esposito, al quale interamente si é riportata.

2. - L'Istituto nazionale della previdenza sociale deduce che l'art. 113 della Costituzione, se esige che si conceda "sempre" la tutela giurisdizionale, non prescrive che essa sia data "incondizionatamente", "assolutamente" o comunque illimitatamente. Vuole che tale tutela si estenda nei confronti di tutti gli atti della pubblica Amministrazione, ma non esclude la soggezione delle singole posizioni di vantaggio agli effetti del tempo, né sotto il profilo della prescrizione, né sotto quello della decadenza.

Secondo l'Istituto nazionale della previdenza sociale, scopo principale dell'art. 460 del Cod. proc. civ. non é quello di favorire una conciliazione extra-processuale della controversia, ma l'altro di garantire, attraverso un particolare controllo, che il pubblico interesse sia perseguito dalla pubblica Amministrazione con un comportamento legittimo, anche se é vero che, in pratica, si ha il risultato di eliminare alcune controversie. L'interesse del cittadino viene utilizzato come strumento atto ad eccitare il controllo predisposto e si congiunge a quello pubblico inerente alla legittimità del provvedimento dell'Amministrazione, restandogli subordinato: viene infatti realizzato solo se e in quanto con questo coincida e senza ricercare contemperamenti, come avverrebbe se il procedimento tendesse ad una conciliazione. Si prevede una successione di attività amministrativa e di attività giurisdizionale per evitare la sovrapposizione di questa su quella, ed attuare, in tal modo, l'esigenza di una separazione di poteri, che é una costante del nostro ordinamento costituzionale.

L'Istituto nazionale della previdenza sociale ammette che, fin quando l'attuazione del rapporto resta affidata alla supremazia della Amministrazione, il diritto soggettivo si affievolisce; ma, da un lato rileva, in via generale, che non é prescritto che tutte le pretese debbano essere soddisfatte subito nella loro integrità, in modo che non sia possibile alla legge di approntare procedimenti diffusi nel tempo e nello spazio, e, da altro lato, osserva, in via particolare, che l'affievolimento temporaneo del diritto alle prestazioni sociali é richiesto dalla necessità che si svolga nell'ordine la pubblica funzione al medesimo connessa, senza peraltro rilevare ai fini della tutela giurisdizionale.

Infine l'Istituto fa presente che la Costituzione non vieta di sottoporre l'acquisto o l'esercizio di un diritto all'adempimento dell'onere di compiere una certa attività entro un tempo determinato: nella specie, poi, l'inosservanza dell'onere relativo al procedimento amministrativo impedisce che si perfezioni la pretesa soggettiva dell'onerato.

3. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri nega pure che le norme denunciate intendano togliere la garanzia costituzionale.

Esse sono analoghe a quelle che vigono in materia di giustizia amministrativa, non potendosi ricorrere, ad esempio, al Consiglio di Stato, se non vi sia un provvedimento definitivo; e rispondono al duplice interesse di garantire al cittadino il soddisfacimento del proprio diritto rapidamente e senza incontrare oneri e spese, e di consentire all'Amministrazione di evitare il giudizio del magistrato mediante la riforma degli atti illegittimi. Che é un interesse pubblico assai rilevante, idoneo a giustificare una condizione o un onere dell'azione; se pure una condizione o un onere del genere le norme denunciate comportano.

4. - La Sonaglia, riportandosi alle prime formulazioni dell'art. 113 della Costituzione, rileva che anche quella attuale intende, se pure non espressamente come le prime, garantire al singolo, contro gli atti della pubblica Amministrazione lesivi dei diritti, una tutela identica a quella che é concessa ove la lesione sia stata opera di un privato; v'é la sola differenza che il testo definitivo permette di escludere che l'autorità giudiziaria possa annullare atti della pubblica Amministrazione. Tale scopo é stato richiamato da questa Corte nella sentenza 31 marzo 1961, n. 21; ma le norme denunciate rendono più gravosa la tutela contro i provvedimenti dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, perché consentono la tutela, non in relazione al fatto che v'é stata lesione di un diritto, ma sempreché alla lesione sia seguito un ricorso amministrativo.

Secondo la Sonaglia, poi, il citato art. 97, quarto comma, del R.D.L.4 ottobre 1935, n. 1827, sottoponendo gli atti dell'Istituto nazionale della previdenza sociale ad un anomalo sistema di impugnazione, in una prima parte di indole amministrativa e in una seconda parte di indole giurisdizionale, ciascuna soggetta a propri termini perentori, esclude o limita la tutela giurisdizionale a particolari mezzi o per determinate categorie di atti, con il risultato di creare un privilegio per la pubblica Amministrazione. Ed inoltre, prosegue la Sonaglia, mentre le prestazioni previdenziali sono garantite ai lavoratori come oggetto di un diritto soggettivo ex art. 38, secondo comma, della Costituzione, e quindi come situazione di vantaggio posta per il soggetto in modo diretto e immediato, esclusivamente per lui, le norme denunciate tutelano il diritto a quelle prestazioni nel modo stesso previsto per gli interessi legittimi, attraverso cioé la protezione dell'interesse pubblico e il perseguimento di questo interesse. Vi é, in questa soggezione del diritto soggettivo agli interessi statali e agli interessi delle istituzioni statali, un'applicazione dei principi dell'ordinamento fascista, e quindi di principi incompatibili con quelli di uno Stato di diritto.

Non é esatto inoltre, per la Sonaglia, che il procedimento amministrativo offre all'interessato mezzi per una più sollecita e facile soddisfazione della prestazione alla quale ha diritto: l'Istituto nazionale della previdenza sociale non ha un termine per decidere sulla domanda di prestazione, e il procedimento perciò permette ritardi che non si confanno con l'immediatezza del bisogno dell'interessato; questi subisce limitazioni nell'accertamento del merito perché, secondo la giurisprudenza più recente della Cassazione, il procedimento amministrativo vincola la decisione del magistrato alla valutazione degli accertamenti già eseguiti; l'interessato corre il rischio della decadenza dalla tutela giurisdizionale ove non ricorra entro un breve termine, mentre, se il comitato esecutivo non decide entro il termine stabilito dalla legge sul ricorso avverso il provvedimento, l'Istituto corre solo il rischio dell'azione giudiziaria.

La Sonaglia esclude che la Costituzione abbia lasciato alla legge la facoltà di regolare i modi e l'efficacia della tutela giurisdizionale fino a subordinarla alla tutela amministrativa da esperirsi sotto pena di decadenza entro termini perentori. Ricorda la Sonaglia che questa Corte, nella sentenza 22 novembre 1962, n. 93, ha riconosciuto, rispetto alla formula dell'art. 24 della Costituzione, che i termini per agire debbono essere congrui, e che la congruità di un termine deve essere valutata tanto in rapporto all'interesse del soggetto che ha l'onere di compiere un certo atto, quanto alla funzione assegnata nel sistema dell'intero ordinamento giuridico all 'istituto in cui l'atto si inserisce; e, nella specie, é opinione della Sonaglia che, essendo l'azione giudiziaria nella materia prevista dal R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, esercitabile nei cinque anni, si palesa insufficiente il termine di 90 giorni previsto per adire al procedimento amministrativo, il quale comporta le stesse difficoltà, le stesse incertezze e gli stessi accertamenti che presenta l'azione giudiziaria.

Viene anche rilevato che la sentenza di questa Corte del 7 luglio 1962, n. 87, se ha ritenuto infondato l'assunto della illegittimità costituzionale dell'art. 209, secondo e terzo comma, del T.U. delle leggi sulle imposte dirette, in presenza di un sistema che assicura contro l'atto amministrativo una particolare tutela amministrativa e in relazione a questa garantisce i rimedi giurisdizionali previsti dall'ordinamento, ha così deciso volendo ammettere limiti alla tutela giurisdizionale nei principi dell'autorità dell'Amministrazione e della esecutorietà e imperatività degli atti amministrativi; ma, nel caso in discussione, secondo l'assunto della Sonaglia, la potestà di imperio della pubblica Amministrazione non viene in considerazione, perché l'atto non é di potere amministrativo e perché la legge, deferendo le controversie sulla materia alla competenza del giudice ordinario, ha escluso che il diritto dell'interessato abbia a degradare ad interesse. Vero é che questa Corte, nella sentenza 22 giugno 1963, n. 107, ha negato la illegittimità costituzionale dell'art. 9, comma secondo, del R.D. 17 agosto 1935, n. 1765, sulla assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro; ma questo articolo é inserito in un sistema che, in sede di esecuzione dell'atto amministrativo, consente di opporre ogni ragione non fatta valere in precedenza, e perciò la Sonaglia ne desume che, secondo la Corte, può essere legittimo subordinare la tutela giurisdizionale dei diritti al previo esperimento della tutela amministrativa, solo se ciò non porti alla insuperabile eliminazione della possibilità di tutelare giurisdizionalmente il proprio diritto contro l'atto dell'Amministrazione.

5. - All'udienza del 29 aprile 1964 i difensori delle parti hanno ribadito le rispettive tesi.

 

Considerato in diritto

 

1. - Nella discussione orale, l'Istituto nazionale della previdenza sociale ha esposto due osservazioni preliminari. Ha anzitutto notato che, per quanto l'assenta illegittimità costituzionale dell'art. 460 del Codice di procedura civile e dell'art. 97, quarto comma, del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, sia stata desunta dalla considerazione che il procedimento amministrativo contemplato dalle predette norme é prescritto a pena di decadenza, nel dispositivo della ordinanza di rimessione non é stato richiamato l'art. 98 di tale decreto, ove é contenuta la disposizione di preclusione. Ha inoltre rilevato che, non avendo il Comitato esecutivo opposto l'assunta decadenza, questa non poteva essere eccepita dalla parte né presupposta o rilevata dal giudice, secondo una costante giurisprudenza della Corte di cassazione; in modo che, non potendo la sanzione avere applicazione nella causa, doveva anche risultare irrilevante la questione di legittimità della norma che la contiene.

La prima osservazione deve disattendersi, perché non avverte che la materia del processo di legittimità costituzionale é delimitata dall'insieme dell'ordinanza che l'ha promosso, non soltanto dal suo dispositivo (sentenza 7 giugno 1962, n. 65). La Corte di appello di Torino, avendo scorto, nella sanzione di decadenza, la causa di illegittimità dell'art. 460 del Codice di procedura civile e dell'art. 97 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, ha implicato nella questione anche l'art. 98 di questo regio decreto, per quanto non l'abbia espressamente indicato.

Non diversa sorte merita la seconda osservazione, avendo la Corte di Torino dato sufficiente ragione al giudizio di rilevanza della questione che proponeva; pur essendo vero che, nel formularlo, essa non si attenne alla giurisprudenza cui si riferisce l'Istituto nazionale della previdenza sociale.

Può quindi passarsi all'esame degli assunti prospettati nell'ordinanza di rimessione.

2. - Indubbiamente il precetto contenuto nell'invocato art. 113 della Costituzione per cui, contro gli atti della pubblica Amministrazione, é ammessa "sempre" la tutela giurisdizionale, proclama l'inviolabilità del diritto a tale tutela. Ma quel precetto, come non afferma che il cittadino possa conseguire la protezione giudiziaria sempre nella medesima maniera e con i medesimi effetti (sentenza 3 luglio 1962, n. 87), così non vieta che la legge ordinaria possa regolare il modo di esercizio del diritto a quella protezione, in guisa da renderla concreta (sentenza 14 giugno 1956, n. 1), purché, si intende, non siano scelte modalità che rendano impossibile o difficile l'esercizio del diritto.

Questa Corte ha già escluso che contrasti con il predetto art. 113 la legge che assicura contro l'atto dell'Amministrazione, dapprima una protezione amministrativa, e, di poi, in relazione a questa, rimedi giurisdizionali diretti soltanto o ad ottenere il risarcimento del danno cagionato dall'esecuzione dell'atto dell'Amministrazione (citata sentenza 3 luglio 1962, n. 87) o ad impedire l'esecuzione di tale atto (sentenza 7 giugno 1963, n. 107). E non é sostanzialmente diversa l'ipotesi di norme, come quelle sulle quali la Corte di Torino ha appuntato i suoi dubbi, che condizionano l'esperimento dell'azione giudiziaria, nel caso di prestazioni previdenziali, alla proposizione di una istanza amministrativa, o, decisa questa in senso sfavorevole, ad un ricorso ad un organo amministrativo costituito a tale scopo presso l'Istituto erogatore delle prestazioni.

3. - Le norme denunziate pongono l'onere del procedimento preliminare nel presupposto che l'Istituto nazionale della previdenza sociale, dovendo, come pubblica Amministrazione, conformare a legalità il proprio comportamento, non rifiuterà le prestazioni la cui richiesta attui la volontà della legge, e le adempirà senza che vi sia bisogno della costrizione di una sentenza di condanna; ed é chiaro, allora, che quelle norme tendono a far sì che siano portate avanti l'autorità giudiziaria soltanto le controversie non eliminabili per composizione extragiudiziale. Ciò non vuol dire escludere o limitare la tutela giurisdizionale.

Questa tutela é garantita "sempre" dalla Costituzione, non certo nel senso che si imponga una sua relazione di immediatezza con il sorgere del diritto; e pertanto non ha pregio obiettare che condizionare l'azione all'espletamento di un procedimento amministrativo é procrastinarne l'esercizio. Questa Corte ha costantemente ritenuto la legittimità costituzionale di disposizioni che impongono oneri diretti ad evitare l'abuso del diritto alla tutela giurisdizionale (sentenze 21 aprile 1962, n. 40; 27 aprile 1963, n. 56; 25 maggio 1963, n. 83; 27 giugno 1963, n. 113); e si percorre la stessa via logica quando si riconoscono non pregiudizievoli all'esercizio di quel diritto norme, come le denunciate, che vogliono evitarne, se non l'abuso, l'eccesso, e vogliono indirizzarlo perciò verso un suo uso adeguato, ancorandolo ad una determinazione dell'opportunità di promuovere l'azione giudiziaria, che maturi dopo un apprezzamento della fondatezza della pretesa, compiuta alla stregua delle risultanze emerse in un procedimento preliminare di natura amministrativa.

Un sistema del genere non subordina la tutela giurisdizionale all'interesse della pubblica Amministrazione, perché soddisfa soltanto ad un'esigenza di economia processuale, e quindi ad un interesse della stessa funzione giurisdizionale; nemmeno limita la protezione giudiziaria in vista di una potestà di imperio della pubblica Amministrazione, perché mantiene l'assoggettamento di questa all'interesse della parte privata, imponendole di esaminarne i rilievi per evitare l'azione giudiziaria. E infine neanche é esatto che tal sistema dà, al diritto soggettivo, la medesima tutela che é prevista per gli interessi legittimi, perché, pur utilizzando il mezzo del ricorso amministrativo, esso non vuole che in sede giurisdizionale si accerti il vizio dell'atto dell'Amministrazione e che il diritto quindi sia garantito attraverso l'eliminazione di quell'atto, ma esige che, nella sede predetta, il diritto si accerti come direttamente ed immediatamente garantito dall'ordinamento giuridico: la Corte di cassazione ha infatti da ultimo rilevato che l'azione giudiziaria in materia di prestazioni previdenziali ha per oggetto, non l'impugnazione della decisione del Comitato esecutivo (sentenza 19 settembre 1963, n. 2567), ma l'esame della domanda nella sua integrità, sotto tutti i profili che le parti ritengono di sottoporre al giudice (sentenza 18 giugno 1959, n. 1913).

Infondatamente poi si assume che l'adempimento dell'onere in discussione si risolve in uno svantaggio del creditore della prestazione previdenziale. Costui ne é anzi favorito, perché trova, nel procedimento amministrativo, un modo di soddisfazione della pretesa facilmente invocabile, e non dispendioso: basterà avere presente la semplicità di contenuto che può avere la domanda di prestazione e il fatto che, se questa concerne una pensione di invalidità o l'assistenza antitubercolare, il costo degli accertamenti svolti nel procedimento amministrativo restano a carico dell'Istituto nazionale della previdenza sociale anche quando si risolvono a sfavore dell'istante, e perciò anche quando, se fosse proposta azione giudiziaria, l'istante dovrebbe sostenerne la spesa, perché ne é rigettata la domanda. L'onere si risolve nel vantaggio del creditore della prestazione pure perché questi viene posto in grado di conoscere integralmente le posizioni di difesa dell'Istituto prima di deliberare sull'opportunità di esperire l'azione giudiziaria, e corre quindi un minor rischio di soccombenza. Un ritardo dell'Istituto nel pronunziarsi sulla domanda nella prima fase del procedimento non é senza rimedi, perché, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (10 dicembre 1957, n. 4654), esso é vincibile mediante una diffida a provvedere sull'istanza amministrativa, in applicazione di noti principi di diritto.

4. - Si sostiene altresì che, nella specie, un pregiudizio alla tutela giurisdizionale viene a determinarsi perché le norme denunciate prevedono, per ricorrere al Comitato esecutivo, un termine la cui inutile decorrenza fa decadere dall'azione giudiziaria; e, per giunta, un termine che, essendo di novanta giorni, é assai breve al confronto di quello quinquennale stabilito per l'esperimento di quell'azione, dopo che se ne é conservato l'esercizio.

Deve però ritenersi che la fissazione del termine contestato ha la funzione di assicurare il rispetto del principio di obbligatorietà del procedimento amministrativo anche nella fase di riesame del provvedimento negativo dell'Istituto; e così é pure della sanzione di decadenza comminata per la inosservanza di quel termine. Sono numerose le situazioni soggettive che l'ordinamento sottopone ad un regime di decadenza, per il mancato esercizio entro un breve termine dei poteri che attribuisce, o per il mancato compimento di un determinato atto. Con l'applicare tale regime alla prestazione di previdenza, la legge ha soltanto ritenuto che pure riguardo a questa era opportuno eliminare nel più breve tempo l'incertezza nel diritto a conseguirla. Sarebbe assurdo intendere che l'art. 113 della Costituzione assicura "sempre" la tutela giurisdizionale, per affermarne la perpetuità, che vorrebbe dire per proclamare la perennità di ogni diritto soggettivo e l'impossibilità di assoggettarlo a decadenza o a prescrizione: non é utile nell'attuale sede decidere se la decadenza comminata dalle norme denunciate comporti soltanto l'estinzione della efficacia della domanda di prestazione, come sostiene l'Istituto nazionale della previdenza sociale, o la preclusione dell'azione giudiziaria.

Quanto al termine stabilito per il ricorso al Comitato esecutivo, esso era di trenta giorni in base al testo originario dell'art. 98 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827; fu portato a novanta giorni con l'art. 1 della legge 5 febbraio 1957, n. 18, per rendere meglio possibile al titolare del diritto, come spiega la relazione che accompagnò la proposta, un ponderato esame delle ragioni opposte dall'Istituto contro la domanda. Il termine di novanta giorni é superiore a quello generalmente previsto per il ricorso al Consiglio di Stato, e non può essere pertanto ritenuto incongruo alle esigenze della difesa amministrativa del creditore della prestazione; specie perché la giurisprudenza afferma che l'Istituto nazionale della previdenza sociale deve accertare con completezza gli elementi che possono giustificare la pretesa alla prestazione, indipendentemente cioé da ogni impulso probatorio dell'interessato. Non ha importanza opporre che si é reputato opportuno di concedere un maggior tempo di cinque anni per la proposizione dell'azione giudiziaria, ove anche il comitato esecutivo respinga il ricorso. Cotesto termine quinquennale é di prescrizione, e non é possibile saggiare sulla sua misura la congruità di quello trimestrale, che é di decadenza, incide, nella specie, sulla durata di un procedimento, che per giunta, é di natura amministrativa, e soddisfa alla necessità di non ritardare, nel concorrente interesse del creditore, gli accertamenti di riesame necessari ad una migliore valutazione della domanda di prestazione.

5. - Altra ragione di pregiudizio alla tutela giurisdizionale si avrebbe perché la materia del procedimento amministrativo limita quella del processo giudiziario, e il giudice resta perciò vincolato agli accertamenti compiuti nella sede anteriore.

Non risulta però da alcuna delle norme del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, che il giudice debba formare il suo convincimento soltanto sulla base delle prove raccolte nella sede amministrativa. Lo ha escluso quella giurisprudenza della quale si é già fatto cenno, per cui il procedimento giurisdizionale non ha a suo scopo l'impugnazione della decisione del Comitato esecutivo dell'Istituto, ma tende direttamente all'accertamento del diritto alla prestazione. Lo esclude, del resto, il Codice di procedura civile, il quale, all'art. 463, stabilisce che, nei processi relativi a domande di prestazioni previdenziali, il giudice é normalmente assistito da consulenti tecnici, e all'art. 465, secondo comma, che, nei procedimenti di appello seguiti a decisioni fondate su accertamenti compiuti da consulenti tecnici, obbliga alla nomina di un consulente: entrambe le due disposizioni non avrebbero senso se il processo giurisdizionale dovesse svolgersi sul solo fondamento degli accertamenti compiuti nella fase amministrativa. É vero esclusivamente che il giudice trova ristretto il petitum e la causa petendi dell'azione giudiziaria dal petitum e dalla causa petendi del procedimento preliminare. Ma ciò accade, perché soltanto su ciò che fu domandato in sede amministrativa, e in relazione al titolo dedottovi, si é ottemperato all'onere legale, e questa ragione riduce la portata dell'obiezione, dovendosi il principio da essa richiamato riconnettere al divieto generale di dilatare la res iudicanda fuori dai confini segnati dagli atti processuali ai quali la legge conferisce la forza di determinare i limiti del decidere; e pertanto in tale principio l'obiezione stessa trova l'ambito delle sue conseguenze.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 460 del Codice di procedura civile e dell'art. 97, quarto comma, del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, sul perfezionamento e il coordinamento legislativo della previdenza sociale, proposta dalla Corte di appello di Torino con la sua ordinanza 4 aprile 1963, in riferimento all'art. 113 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1964.

Gaspare AMBROSINI -  Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 16 giugno 1964.