SENTENZA N. 83
ANNO 1963
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 668, terzo comma, del Codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 21 dicembre 1961 dal Pretore di Pisticci nel procedimento civile vertente tra Albano Giovanni e Di Mitta Domenica, iscritta al n. 151 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 259 del 13 ottobre 1962.
Udita nella camera di consiglio del 7 maggio 1963 la relazione del Giudice Aldo Sandulli.
Ritenuto in fatto
Nel giudizio di opposizione alla intimazione convalidata di sfratto per finita locazione ai sensi dell'art. 668 del Cod. proc. civile promosso da Albano Giovanni contro Di Mitta Domenica, innanzi al Pretore di Pisticci, veniva sollevata dalla Di Mitta eccezione di inammissibilità per non avere l'opponente effettuato il deposito previsto dal terzo comma dell'art. 668, in relazione con l'art. 651. Avendo l'Albano eccepito l'illegittimità costituzionale della riferita disposizione, il Pretore, in accoglimento dell'eccezione, ha deferito a questa Corte la questione di legittimità della disposizione stessa in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Le ragioni esposte dal Pretore a sostegno della tesi di non infondatezza della questione sono, con riguardo all'art. 24 della Costituzione, le seguenti:
1) mentre nessuna importanza ha per la questione l'esiguità della somma richiesta a titolo di deposito, poiché lo scarso rilievo pratico d'una norma non ne condiziona il giudizio di corrispondenza ai principi costituzionali, va notato, invece, che la disposizione in esame é palesemente ispirata a porre una remora alle azioni giudiziarie;
2) non regge la giustificazione che si voglia indurre la parte ad una maggiore ponderazione prima di agire in giudizio: "nessuna norma positiva di carattere generale, infatti, stabilisce che debba rimanere soddisfatta una tale esigenza". Anzi, se norma in tal senso vi fosse, non potrebbe non essere in contrasto col citato art. 24 della Costituzione, così come con esso é in contrasto la vera ratio dell'art. 668, terzo comma, del Cod. proc. civile, che tende a ridurre, in determinate ipotesi, il numero delle liti;
3) "neppure sembra giustificato un anticipato giudizio, emesso tra l'altro dal legislatore, sul diverso grado di fondatezza di due pretese giuridiche contrapposte, in quanto solo al giudizio definitivo del magistrato é rimesso l'accertamento della fondatezza di una pretesa rispetto ad un'altra. Non si vede allora perché una delle parti debba versare un deposito, per far valere giudizialmente un proprio preteso diritto... che é ipotizzato probabilmente fondato dallo stesso legislatore, il quale diversamente non avrebbe dovuto creare l'istituto del deposito, ma eliminare l'opposizione tardiva" (altrettanto inspiegabile appare, per le medesime ragioni, il deposito nel giudizio di cassazione).
Con riguardo al contrasto con l'art. 3 della Costituzione la ordinanza osserva poi che:
1) la norma impugnata introduce, sin nella fase della proponibilità dell'azione, una disuguaglianza "tra due soggetti, portatori di pretese giuridiche contrapposte ma postulate di pari fondatezza fino alla decisione della causa";
2) più grave ancora é comunque "la disparità di trattamento conseguente all'omesso deposito", poiché" la categoria degli opponenti tardivi é soggetta a vedersi automaticamente prodotto l'accertamento della pretesa avversaria, senza avere la possibilità di contrastare il giudizio".
L'ordinanza é stata notificata alle parti private e al Presidente del Consiglio dei Ministri, ed é stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
Non essendovi state costituzioni nel giudizio innanzi a questa Corte, essa é stata trattata in camera di consiglio ai sensi dell'art. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.
Considerato in diritto
Il terzo comma dell'art. 668 del Cod. proc. civile, del quale il Pretore di Pisticci ha deferito a questa Corte l'esame di legittimità in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dispone, tra l'altro, che l'opposizione dopo la convalida all'intimazione di licenza o di sfratto, prevista dal primo comma del medesimo art. 668, "deve essere preceduta dal deposito di cui all'art. 651". La questione sulla quale la Corte é stata chiamata a giudicare riguarda appunto e soltanto il precetto che impone l'anzidetto deposito, facendo rinvio all'art. 651, il quale in sede di disciplina delle opposizioni al decreto ingiuntivo previste dall'art. 650 e dal primo comma dell'art. 642, impone che esse siano precedute dal deposito di una somma (elevata dal D.L. 9 aprile 1948, n. 438, a lire 500 o a lire 1000 a seconda dell'autorità giudiziaria), e assoggetta tale deposito alle norme relative a quello per il ricorso per cassazione (artt. 364, 369, 381 del Cod. proc. civile).
Con sentenza n. 56 del corrente anno questa Corte ha dichiarato infondata la questione di legittimità sollevata da vari Pretori, ai sensi degli artt. 3 e 24 della Costituzione, nei confronti del citato art. 651.
Osservò la Corte in tale occasione che, siccome la norma dell'art. 651 trova giustificazione nella forza del provvedimento impugnato, ritenuto dal legislatore meritevole di un particolare trattamento per la sua speciale capacità di resistenza all'impugnazione (donde l'opportunità di "evitare che si invochi la tutela giurisdizionale per una pretesa che presenta gravi elementi di infondatezza", e di richiamare, in siffatta situazione, gli interessati alla loro responsabilità nell'apprezzamento delle proprie ragioni evitando di intralciare l'esercizio della funzione giudiziaria), é da escludere che l'art. 651 contrasti con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, dai quali risulta il diritto di tutti i cittadini, indistintamente, di agire in giudizio a difesa dei propri diritti e interessi legittimi.
Le ragioni allora enunciate dalla Corte valgono anche a far escludere la fondatezza della questione ora sollevata a proposito del terzo comma dell'art. 668 del Cod. proc. civile.
Il deposito di tenuissima entità di cui trattasi ha la funzione (che ben può considerarsi meramente ammonitrice) di invitare i soggetti interessati a mostrare un particolare senso di responsabilità in occasione dell'opposizione ad atti di esecuzione sui quali già abbia avuto modo di esercitarsi il vaglio del giudice.
É vero che la sanzione che il Codice collega all'omissione del deposito appare, come in altri casi, ispirata - e già fu notato nella sentenza sopra ricordata - a criteri formalistici non adeguati all'importanza del precetto non osservato. Nonostante tale censura, la disposizione impugnata non può dirsi però lesiva del principio costituzionale che garantisce a tutti indistintamente la possibilità di agire in giudizio a tutela delle proprie posizioni soggettive tutelate dall'ordinamento giuridico.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del terzo comma dell'art. 668 del Cod. proc. civile, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, proposta dal Pretore di Pisticci con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 1963.
GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE
ALDO SANDULLI, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 8 giugno 1963.