Sentenza n. 403 del 2007

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SENTENZA N. 403

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-     Franco                    BILE                                  Presidente

-     Giovanni Maria       FLICK                                 Giudice

-     Francesco                AMIRANTE                            "

-     Ugo                        DE SIERVO                            "

-     Paolo                      MADDALENA                        "

-     Alfio                      FINOCCHIARO                      "

-     Alfonso                  QUARANTA                           "

-     Franco                    GALLO                                   "

-     Luigi                      MAZZELLA                            "

-     Gaetano                  SILVESTRI                             "

-     Sabino                    CASSESE                                "

-     Maria Rita               SAULLE                                 "

-     Giuseppe                 TESAURO                               "

-     Paolo Maria             NAPOLITANO                        "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), promosso con ordinanza del 22 settembre 2006 dal Tribunale di Pisa nel procedimento civile vertente tra Massimo Martelli ed altro e Telecom Italia s.p.a., iscritta al n. 404 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2007.

         Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

         udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, con ordinanza del 22 settembre 2006, ha sollevato, in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) «nella parte in cui esso esclude anche la possibilità di proporre ricorso in sede giurisdizionale di natura cautelare, fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione ivi previsto».

2. – Il rimettente premette di essere stato adito, nell’àmbito di un procedimento civile promosso nei confronti di Telecom Italia s.p.a., in sede cautelare ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile, al fine di ottenere l’attivazione in via d’urgenza di una linea telefonica fissa.

Espone, inoltre, che nel giudizio si è costituita la Telecom Italia s.p.a. la quale ha eccepito, oltre all’assenza dei presupposti specifici di cui all’art. 700 cod. proc. civ., l’«improponibilità e/o improcedibilità» dell’azione ai sensi dell’art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997, in ragione del mancato espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione.

Nelle more del medesimo giudizio – premette altresì il giudice a quo – le parti hanno dato atto che è cessata la materia del contendere in quanto la linea telefonica è stata allacciata, ma hanno, tuttavia, rispettivamente, chiesto la condanna dell’altra parte alle spese di lite, in base al principio della  cosiddetta soccombenza virtuale.

Infatti – osserva il giudice rimettente – le spese di lite dovrebbero essere poste a carico dei ricorrenti nel giudizio principale o al massimo compensate, in quanto dal divieto di proporre l’azione giurisdizionale, se non dopo aver esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, deriverebbe la soccombenza virtuale dei ricorrenti che hanno introdotto l’azione cautelare senza aver prima esperito il predetto tentativo. Se, invece, la disposizione in esame fosse dichiarata costituzionalmente illegittima, le spese di lite dovrebbe essere poste a carico della Telecom Italia s.p.a.

La questione, pertanto, è – ad avviso del medesimo rimettente – rilevante.

3. – In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale di Pisa sostiene che l’art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997 – «almeno nella parte in cui […] preclude temporaneamente il ricorso anche alla tutela cautelare [...]» – è in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, che garantisce a tutti il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, diritto cui è coessenziale la tutela cautelare, «la cui funzione potrebbe essere frustrata dalla necessità di attendere l’esaurimento del procedimento conciliativo».

Il rimettente non ritiene di poter condividere l’interpretazione della disposizione in esame, accolta da altri giudici di merito, secondo la quale il mancato espletamento della previa procedura di conciliazione non potrebbe precludere la tutela cautelare: tale interpretazione, peraltro contraddetta da numerose decisioni di segno opposto, non sarebbe, infatti, conciliabile con l’ampiezza dell’espressione «ricorso in sede giurisdizionale» contenuta nella disposizione censurata, il cui significato non sembra potersi limitare alla sola azione ordinaria, con esclusione di quella cautelare. A conforto di ciò starebbe, inoltre, la stessa previsione – di cui all’art. 2, comma 20, lettera e), della legge 14 dicembre 1995 n. 481 (Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità) – di uno specifico potere dell’Autorità di regolazione per le telecomunicazioni, di emettere provvedimenti temporanei diretti a garantire la continuità dell’erogazione dei servizi nell’àmbito della procedura di conciliazione: la previsione di un simile potere sarebbe superflua ove, in mancanza o in pendenza di un procedimento conciliativo, si potesse proporre l’azione cautelare dinanzi agli organi giurisdizionali competenti, né sarebbe comunque sufficiente ad eliminare il sospetto di illegittimità costituzionale della norma denunciata, non potendo un potere di un’autorità amministrativa supplire alla carenza di tutela giurisdizionale.

4. – E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

La difesa erariale osserva che l’istituto di cui alla norma censurata, che costituisce uno strumento volto ad assicurare un filtro rispetto al proliferare del contenzioso nella specifica materia, configura una mera condizione di procedibilità dell’azione, alla mancata effettuazione del tentativo obbligatorio di conciliazione non essendo riconnessa alcuna decadenza di indole processuale. La norma censurata, pertanto, deve essere interpretata, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, nel senso che l’azione giudiziaria non può essere pregiudicata dall’omissione dell’incombente, ma solo sospesa in attesa del suo esaurimento.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione.

2. – Secondo il rimettente la predetta disposizione, stabilendo che, per le controversie fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure fra soggetti autorizzati o destinatari di licenze fra loro, «non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza» all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, escluderebbe anche la possibilità di proporre ricorso in sede giurisdizionale di natura cautelare, fino a che non sia stato esperito il predetto tentativo obbligatorio di conciliazione, in tal modo determinando una lesione del diritto di agire in giudizio, «diritto cui è essenziale la tutela cautelare, la cui funzione potrebbe essere frustrata dalla necessità di attendere l’esaurimento del procedimento conciliativo».

3. – La questione non è fondata nei sensi di seguito esposti.

3.1. – Il giudice rimettente muove dalla premessa interpretativa, tutt’altro che pacifica in giurisprudenza, secondo la quale la disposizione censurata, stabilendo che, per le controversie dalla stessa previste, «non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza» alla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, non consentirebbe il ricorso alla tutela cautelare, nel caso di mancato esperimento del prescritto tentativo obbligatorio di conciliazione. L’opposta interpretazione della medesima disposizione, accolta da altri giudici di merito, pur richiamata e ritenuta, dal medesimo Tribunale, conforme a Costituzione, non sarebbe possibile ai sensi dell’art. 12 delle preleggi: essa non sarebbe, infatti, conciliabile con l’ampiezza dell’espressione «ricorso in sede giurisdizionale» contenuta nella disposizione censurata, il cui significato non si ritiene possa limitarsi alla sola azione ordinaria, con esclusione di quella cautelare.

Tale assunto risulta privo di fondamento alla luce degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza costituzionale in tema di tentativo obbligatorio di conciliazione e di tutela cautelare.

Occorre, infatti, considerare che questa Corte ha affermato che quanto stabilito dall’art. 412-bis del codice di procedura civile, con riferimento alla disciplina delle controversie di lavoro, secondo cui il mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari, deve essere inteso nel senso che «un istituto di generale applicazione in ogni controversia di lavoro (il tentativo obbligatorio di conciliazione) si arresta in presenza di un’istanza cautelare, prevalendo – sulle altre perseguite dal legislatore – le esigenze proprie della tutela cautelare» (sentenza n. 199 del 2003). In termini più generali, questa Corte ha inoltre riconosciuto, sia pure incidentalmente, che, per i procedimenti cautelari, «l’esclusione dalla soggezione al tentativo di conciliazione si correla alla stessa strumentalità della giurisdizione cautelare» (sentenza n. 276 del 2000) rispetto alla effettività della tutela dinanzi al giudice ripetutamente ribadita da questa Corte (sentenza n. 336 del 1998; ma si vedano anche le sentenze n. 199 del 2003, n. 165 del 2000, n. 161 del 2000, n. 190 del 1985 e le ordinanze n. 179 del 2002, n. 217 del 2000).

La tutela cautelare, infatti, in quanto preordinata ad assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale, in particolare a non lasciare vanificato l’accertamento del diritto, è uno strumento fondamentale e inerente a qualsiasi sistema processuale (sentenza n. 190 del 1985), anche indipendentemente da una previsione espressa (Corte di giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 19 giugno 1990, causa C-213/89, Factortame).

A simili enunciazioni non può non riconoscersi portata generale, ove si tenga conto della identità degli interessi costituzionalmente rilevanti coinvolti in tutte le procedure rispetto alle quali è prescritto l’obbligatorio tentativo di conciliazione.

Esse risultano, d’altra parte, anche coerenti con l’affermazione che non contrasta con il diritto di azione di cui all’art. 24 della Costituzione la previsione di uno strumento quale il tentativo obbligatorio di conciliazione, in quanto essa è finalizzata ad assicurare l’interesse generale al soddisfacimento più immediato delle situazioni sostanziali realizzato attraverso la composizione preventiva della lite rispetto a quello conseguito attraverso il processo (sentenza n. 276 del 2000). Detto interesse svanisce in riferimento all’azione cautelare, proprio in considerazione delle particolari esigenze che si vogliono tutelare con i procedimenti cautelari, esigenze che richiedono una risposta immediata. Non può, infatti, ritenersi che il tentativo obbligatorio di conciliazione, se considerato condizione di procedibilità anche per l’azione cautelare, assicuri un soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguibile mediante tale forma di protezione. Inoltre, la diversa natura, il diverso regime e le diverse finalità della tutela cautelare e dei provvedimenti temporanei che l’Autorità può adottare al fine di garantire la continuità dell’erogazione del servizio o di far cessare forme di abuso o di scorretto funzionamento del medesimo da parte dell’operatore, rendono irrilevante la disciplina stabilita dall’art. 21 del regolamento sulle procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti e dall’art. 2, comma 20, lettera e), della legge 14 novembre 1995, n. 481, ai fini della corretta interpretazione della norma censurata.

Alla luce delle richiamate indicazioni – considerando peraltro che la stessa lettera della disposizione censurata non è preclusiva della esegesi costituzionalmente orientata della medesima (sentenza n. 379 del 2007) – si deve, quindi, interpretare la predetta disposizione nel senso che il mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari.

Tale opzione interpretativa – che obbedisce al principio, espresso anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga alla disciplina generale, devono essere interpretate in senso non estensivo – consente di fugare i dubbi di legittimità costituzionale proposti dal rimettente e si impone pertanto come doverosa, in linea con l’ormai consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale «una disposizione deve essere dichiarata incostituzionale non perché può essere interpretata in modo tale da contrastare con precetti costituzionali, ma soltanto qualora non sia possibile attribuire ad essa un significato che la renda conforme alla Costituzione» (tra le molte, sentenze n. 379 del 2007, n. 343 del 2006, n. 336 del 2002, n. 356 del 1996; ordinanze n. 86 del 2006, n. 147 del 1998).

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), sollevata, in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Pisa, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2007.