Sentenza n. 379 del 2007

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SENTENZA N. 379

ANNO 2007

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                      BILE                              Presidente

-    Francesco                  AMIRANTE                     Giudice

-    Ugo                          DE SIERVO                        "

-    Paolo                        MADDALENA                    "

-    Alfio                        FINOCCHIARO                  "

-    Alfonso                    QUARANTA                       "

-    Luigi                        MAZZELLA                        "

-    Gaetano                    SILVESTRI                         "

-    Maria Rita                 SAULLE                              "

-    Giuseppe                   TESAURO                           "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                    "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 703 e 669-octies del codice di procedura civile promosso dal Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli nel procedimento civile vertente tra F. F. ed altra e la Sadar Costruzioni s.r.l. ed altra, con ordinanza del 10 maggio 2006, iscritta al n. 675 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2007 il Giudice relatore Francesco Amirante.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso di un procedimento possessorio il Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli, premesso di ritenere fondata la proposta domanda di reintegrazione e di non dover peraltro provvedere in tal senso per l’avvenuta, spontanea reintegra posta in essere dai resistenti, con ordinanza del 10 maggio 2006, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 703 e 669-octies del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevedono che, con il provvedimento di accoglimento della domanda possessoria, il giudice debba provvedere anche sulle spese.

Specifica il remittente di non essere tenuto a fissare l’udienza per il merito, rimessa, in via del tutto eventuale, all’iniziativa delle parti e di non avere i ricorrenti chiesto la condanna dei resistenti alle spese di lite della fase interdittale.

Osserva il Tribunale che, ove nessuna delle parti opti per l’inizio della causa di merito nei termini di legge, il provvedimento che definisce il giudizio può divenire definitivo tra le parti in un diverso procedimento, operando, anche per i provvedimenti possessori di reintegrazione e manutenzione del possesso, la norma dell’art. 669-octies, ultimo comma, cod. proc. civ., giusta il richiamo dell’art. 703, secondo comma, dello stesso codice. E tuttavia, pur a fronte di un provvedimento tendenzialmente idoneo ad assumere efficacia definitiva, non è stata prevista la necessità di regolare le spese di lite né per i provvedimenti possessori né, più in generale, per i provvedimenti cautelari di accoglimento anticipatori della sentenza di merito (di cui all’attuale art. 669-octies cod. proc. civ.).

A tale mancata previsione non pare al giudice a quo che possa porsi rimedio in via di interpretazione delle norme, pur costituzionalmente orientata, in quanto nella disciplina dei provvedimenti cautelari l’unica ipotesi di necessità di regolare le spese si rinviene nella norma di cui all’art. 669-septies, secondo comma, cod. proc. civ., dettata per il solo e specifico caso di provvedimento di incompetenza o di rigetto della domanda cautelare pronunciata prima dell’inizio della causa di merito. In tale evenienza, la previsione è giustificata dalla mancanza di una fase successiva del procedimento, che si chiude con il rigetto della domanda o con la declaratoria di incompetenza.

Siffatta previsione, proprio perché specificamente dettata per i provvedimenti di rigetto o di incompetenza, non appare al Tribunale estensibile, in via di interpretazione, anche ai provvedimenti di accoglimento delle domande di reintegrazione ovvero di manutenzione nel possesso. Né il remittente ritiene che a tale lacuna possa sopperirsi con il ricorso al principio generale di cui all’art. 91 del codice di rito.

Sotto il vigore della precedente disciplina (in cui il merito possessorio doveva sempre seguire la fase interdittale), la giurisprudenza di legittimità aveva qualificato come avente natura di sentenza il provvedimento di reintegra nel possesso disposto dal giudice all’esito della fase interdittale – qualora il giudice non avesse fissato l’udienza per la successiva fase di merito – proprio in quanto lo stesso definiva il giudizio. Ma tale orientamento non appare al Tribunale estensibile alla nuova previsione di cui al riformato art. 703 cod. proc. civ., perché tale disposizione rinvia innanzitutto alle norme generali previste per i procedimenti cautelari dagli artt. 669-bis e seguenti cod. proc. civ., in quanto compatibili; norme tra le quali è compresa quella di cui all’art. 669-octies, ultimo comma, il quale letteralmente stabilisce che «L’autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo», con ciò implicitamente negando natura di sentenza al provvedimento di accoglimento della domanda cautelare o possessoria (tale conclusione sembra al remittente avvalorata dal rilievo secondo il quale, mentre a fronte dell’ordinanza conclusiva della fase interdittale che non fissava l’udienza per la prosecuzione del merito possessorio, sotto il vigore delle vecchie norme, non era previsto alcun rimedio, oggi con la nuova previsione di cui all’art. 703 cod. proc. civ. è data alle parti la possibilità di avanzare istanza per la fissazione dell’udienza per la prosecuzione del giudizio di merito).

Per quanto il provvedimento di accoglimento della domanda possessoria sia idoneo, ove non seguito dall’istanza di fissazione dell’udienza per il merito, ad assumere effetti definitivi tra le parti, lo stesso non può assumere l’efficacia di una vera e propria sentenza e, dunque, non appare avere natura decisoria.

Da tale ragionamento il giudice a quo fa derivare l’impossibilità di dare applicazione alla norma generale di cui all’art. 91 cod. proc. civ. che egli ritiene altresì inapplicabile sulla base di considerazioni di ordine sistematico, richiamando la disciplina dei provvedimenti monitori di cui agli artt. 633 e seguenti cod. proc. civ., i quali, se non seguiti da rituale e tempestiva opposizione, sono destinati a divenire esecutivi: l’insussistenza dell’automatica operatività, per i decreti ingiuntivi, del principio generale di cui all’art. 91 cod. proc. civ. appare al remittente ricavabile, implicitamente, dalla specifica previsione di cui all’art. 641, ultimo comma, del medesimo codice. La possibilità, peraltro, che il procedimento cautelare o possessorio si esaurisca con l’emissione del provvedimento conclusivo della fase cautelare o interdittale, auspicabile a fini deflativi, verrebbe ad essere irrimediabilmente frustrata, proprio a causa della mancata previsione della necessità di liquidare le spese di lite, trovandosi la parte ricorrente vittoriosa costretta ad iniziare la causa di merito se vuole vedersele riconosciute.

Tale esito necessitato dell’applicazione della norma in esame – che sarebbe dovuto ad una svista del legislatore – non appare al Tribunale conforme ai principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 Cost., in quanto la mancata previsione della regolamentazione delle spese in caso di accoglimento della domanda possessoria in sede cautelare addossa al ricorrente vittorioso il costo del procedimento possessorio medesimo, costringendolo di fatto a richiedere – al solo scopo di ottenere la condanna della parte soccombente alle spese – la fissazione dell’udienza per il merito, pur ritenendosi soddisfatto già con il provvedimento interdittale, mentre tale costo non è sopportato dalla parte resistente vittoriosa, che si vede liquidate le spese.

Questo differente trattamento riservato alle parti, mentre sotto il vigore delle norme previgenti si giustificava per i procedimenti cautelari in considerazione della sostanziale differenza di disciplina tra il provvedimento di accoglimento e quello di rigetto della domanda cautelare (dal momento che solo il primo era destinato ad essere necessariamente seguito dalla fase del merito cautelare), non sarebbe oggi più sorretto da alcuna giustificazione logica neppure nel settore dei provvedimenti possessori, atteso che, all’esito della recente riforma, entrambi i provvedimenti – di rigetto o di accoglimento della domanda possessoria – sono ormai idonei a divenire definitivi (il primo in ogni caso, il secondo per l’ipotesi che non sia seguito da istanza di fissazione di udienza nel termine previsto).

2.— È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità e, comunque, per la manifesta infondatezza della questione, in quanto, sebbene l’art. 703 cod. proc. civ. non preveda l’obbligo per il giudice di liquidare le spese della fase sommaria del procedimento possessorio anche in caso di accoglimento della domanda, nondimeno risulterebbe possibile ricavare questo principio dall’art. 91 cod. proc. civ., norma generale in tema di liquidazione giudiziale delle spese.

A tale conclusione l’Avvocatura dello Stato intervenuta perviene in forza dell’argomento secondo cui, pur essendo l’ordinanza di reintegrazione nel possesso equiparabile alle ordinanze cautelari anticipatorie, quella che conclude la fase sommaria (in caso di mancata richiesta di prosecuzione del giudizio di merito) conduce, se non al giudicato, certamente ad una preclusione, nel senso che un giudizio di merito sulle stesse circostanze di fatto, se introdotto separatamente dopo la scadenza del previsto termine perentorio, sarebbe inammissibile (fatta salve le domande accessorie). Inoltre, la stessa giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito la valenza di principio generale propria del citato art. 91 del codice di rito.

Da ciò conseguirebbe che l’ordinanza di accoglimento conclusiva della fase possessoria sommaria deve necessariamente contenere la condanna alle spese, al fine di evitare un inutile giudizio, qualora le parti facciano acquiescenza al provvedimento così emesso.

Considerato in diritto

1.— Il Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale «delle norme di cui agli artt. 703 e 669-octies del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevedono che, con il provvedimento di accoglimento della domanda possessoria, il giudice debba provvedere anche sulle spese».

Secondo il remittente, tenuto conto che, nella disciplina introdotta dal decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, il giudizio di merito nei procedimenti possessori è eventuale, e considerato, altresì, che il provvedimento che chiude, con l’accoglimento della domanda, la fase interdittale non ha natura di sentenza, sicché non è applicabile l’art. 91 cod. proc. civ., la mancanza di una disposizione che obblighi il giudice a provvedere sulle spese sarebbe lesiva del diritto di difesa.

Tale lacuna normativa comporterebbe anche un’ingiustificata disparità di trattamento tra la parte ricorrente vittoriosa, costretta ad iniziare il giudizio di merito solo per vedersi liquidare le spese, e la parte resistente che abbia ottenuto un provvedimento di rigetto, alla quale le spese sono riconosciute in base all’art. 669-septies, secondo comma, cod. proc. civ.

2.— La questione non è fondata, nei sensi di cui in motivazione.

La motivazione che sorregge la prospettazione di non manifesta infondatezza si fonda sul postulato dell’impossibilità di interpretare l’art. 91, primo comma, cod. proc. civ. al di là della sua letterale formulazione e, quindi, di doverne limitare l’applicazione ai provvedimenti, conclusivi di un procedimento, aventi a tutti gli effetti natura di sentenza. Tale convincimento del remittente muove dal rilievo che, laddove il legislatore ha voluto stabilire l’obbligo di provvedere sulle spese anche in casi in cui il procedimento non si conclude con una sentenza, lo ha espressamente previsto, come nelle ipotesi di decreto ingiuntivo (art. 641, ultimo comma, cod. proc. civ.) e di procedimento cautelare nei giudizi societari (art. 23, comma 2, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5).

Siffatte argomentazioni non possono essere condivise.

In sede di scrutinio di costituzionalità, secondo quanto questa Corte ha costantemente affermato, la dichiarazione di illegittimità di una disposizione è giustificata dalla constatazione che non ne è possibile una interpretazione conforme alla Costituzione, ma non dalla mera possibilità di attribuire ad essa un significato che contrasti con parametri costituzionali (per tutte, sentenza n. 356 del 1996, ordinanze n. 86 del 2006 e n. 87 del 2007). Nella specie, trattandosi di norma processuale, l’interpretazione va condotta attribuendo rilievo al principio di economia dei giudizi, espressione di quello, fondamentale, di ragionevolezza. Alla stregua di questo, le ipotesi, che lo stesso remittente menziona, di previsione del regolamento delle spese processuali  con provvedimenti non aventi natura di sentenza, devono essere considerate come espressione del principio generale secondo il quale il giudice che emette un provvedimento conclusivo di un procedimento, anche solo ipoteticamente idoneo a divenire definitivo, deve anche provvedere sulle spese (ordinanza n. 384 del 2002, nonché ordinanze n. 130 e n. 380 del 2005).

Il remittente chiede, quindi, che la Corte enunci con una sentenza additiva un principio in realtà già presente nell’ordinamento; principio che consente di interpretare le disposizioni censurate attribuendo ad esse un contenuto conforme ai parametri costituzionali, come del resto già hanno ritenuto numerosi giudici di merito e la prevalente dottrina.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 703 e 669-octies del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2007.