Ordinanza n. 179 del 2002

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ORDINANZA N.179

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), come novellato dalla legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa) e dell'art. 700 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 15 febbraio 2001 dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia sul ricorso promosso dalla Casa di cura "Villa Letizia" s.r.l. contro la Regione Lombardia, iscritta al n. 268 del registro ordinanze 2001, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale dell'anno 2001.

Visto l'atto di costituzione della Casa di cura "Villa Letizia" s.r.l., nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 26 febbraio 2002 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

uditi gli Avvocati Aldo Bozzi e Giuseppe Bozzi per la Casa di cura "Villa Letizia" s.r.l. e l'Avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, con ordinanza del Presidente della III Sezione in data 15 febbraio 2001, hariproposto, in considerazione della ritenuta permanente rilevanza, la questione già oggetto dell'ordinanza (di restituzione atti a seguito della sopravvenuta legge n. 205 del 2000) della Corte n. 536 del 2000, relativa alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), come novellato dalla legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa),"nella parte in cui esclude la tutela ante causam e la conseguente applicabilità dell'art. 700 e degli artt. 669 e seguenti cod. proc. civ. davanti al giudice amministrativo";

che viene proposta una ulteriore questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, dell’art. 700 cod. proc. civ. "laddove espressamente prevede che la tutela cautelare ante causam sia accordabile, nel concorso dei presupposti di legge, solo ai diritti soggettivi e non agli interessi legittimi";

che, secondo il giudice a quo, l'intervenuto art. 3, commi 1 e 2, della legge n. 205 del 2000, con sostituzione del settimo comma dell'art. 21 della legge n. 1034 del 1971, ha profondamente modificato il quadro della precedente disciplina di mera sospensione dei provvedimenti impugnati con la introduzione della possibilità di adottare misure cautelari innominate più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione del ricorso ed ha abilitato il Presidente del Tribunale amministrativo regionale, in caso di estrema gravità ed urgenza, a disporre misure cautelari provvisorie con decreto motivato anche in assenza di contraddittorio;

che tuttavia - sempre secondo il giudice rimettente - le predette modifiche presuppongono sempre l'avvenuta redazione, la notifica, nonchè il deposito del ricorso in sede giurisdizionale, affinchè la richiesta misura cautelare provvisoria possa essere reputata ammissibile, con conseguente persistenza della rilevanza delle questioni in mancanza di possibilità di intervento ante causam;

che il giudice rimettente si richiama ad una posizione processuale della pubblica amministrazione, che sarebbe privilegiata dinanzi al giudice amministrativo; alla sentenza di questa Corte n. 190 del 1985, non adeguatamente letta e valorizzata dalla dottrina e dalla giurisprudenza in modo da autorizzare la tutela ante causam per lo meno in sede di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; alla carenza di giustificazione della lettura restrittiva data dal Consiglio di Stato agli invocati articoli 6 e 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848; alla mancanza di garanzia di effettività della tutela giurisdizionale della corrente prassi del processo amministrativo; alla direttiva 89/665/CEE del Consiglio delle Comunità europee 21 dicembre 1989 in tema di procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori; alla possibilità di procedimento di infrazione da parte della Commissione europea; alle diversità di previsioni di forme di tutela ante causam avanti al giudice amministrativo in altri ordinamenti europei; alla possibilità che la Corte sollevi d’ufficio questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 205 del 2000, qualora "non ravvisi la possibilità di una lettura secondo Costituzione di entrambe le norme sopra indicate", attingendo alla lata potestà attribuitale dall’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87;

che nel giudizio ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità o la infondatezza della questione, sottolineando: a) la provenienza dell’ordinanza dal Presidente della Sezione III del Tar, al quale non sarebbe riconosciuto alcun potere giurisdizionale in via monocratica; b) l’intervenuta adozione del provvedimento di sospensione, facendosi applicazione della norma censurata nel senso auspicato dalla ordinanza di remissione; c) la instaurazione da tempo del giudizio con ricorso, con possibilità per il Tar nella sua composizione collegiale di fornire concreta tutela anche alla luce dello ius novum; d) la prospettazione di questione volta ad ottenere un pronunciato generale ed astratto da valere in futuri giudizi;

che nel giudizio si é costituita la parte privata del procedimento a quo la quale, dopo aver illustrato le ragioni per cui si imponeva una tutela cautelare immediata ante causam, ha concluso per l'accoglimento delle questioni sollevate, svolgendo argomentazioni adesive a quelle prospettate nell'ordinanza di rimessione;

che, in prossimità della data fissata per la pubblica udienza, la parte privata ha depositato una memoria, in cui si controdeduce ampiamente sulla rilevanza, in riferimento alla circostanza che tale questione nel procedimento cautelare ante causam si inserisce come questione incidentale interna, con la conseguenza che il giudice monocratico adito non esaurisce la sua potestà; si insiste, nel merito, nelle conclusioni già rassegnate, ponendo l'accento sia sulla nuova formulazione dell'art. 111 della Costituzione, ove viene affermato il principio del rispetto del "giusto processo", sia sul primo comma dell'art. 117 della Costituzione, come novellato con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione), che imporrebbe una interpretazione conforme anche ai vincoli ed obblighi internazionali;

che anche l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria in cui ribadisce le eccezioni di inammissibilità già eccepite, aggiungendo ulteriori profili di inammissibilità sul rilievo: a) della omissione di pronuncia sulla rilevanza da parte del giudice a quo; b) della sostanziale esistenza di mero contrasto interpretativo tra il giudice di primo grado ed il giudice di appello, impropriamente devoluto alla Corte costituzionale; c) della richiesta di una pronuncia di tipo additivo, che introduca nel corpo del processo amministrativo un istituto avente carattere di sostanziale novità, compito riservato al legislatore, indirizzato, peraltro, verso un sistema differente; d) della incertezza se la questione sollevata riguardi in generale la tutela di interessi legittimi ovvero la tutela delle posizioni soggettive lese nell'ambito della giurisdizione esclusiva; e) dell'irrilevanza della questione dell’art. 700 cod. proc. civ. nel processo a quo, trattandosi di strumento cautelare previsto solo per il giudice civile.

Considerato che, a prescindere - per motivi di economia processuale - dai molteplici profili di inammissibilità eccepiti, le questioni prospettate possono essere agevolmente dichiarate manifestamente infondate sulla base di una serie di considerazioni concorrenti;

che il legislatore, nella sua discrezionalità - con il solo limite della non manifesta irragionevolezza o non palese arbitrarietà - può adottare norme processuali differenziate tra i diversi tipi di giurisdizioni e di riti procedimentali, non essendo tenuto, sul piano costituzionale, ad osservare regole uniformi rispetto al processo civile, proprio per le ragioni che possono giustificare la pluralità di giurisdizioni, le diversità processuali e le differenze delle tipologie dei riti speciali (v., da ultimo, ordinanza n. 343 del 2001 e, per l’autonomia e particolarità dei diversi sistemi processuali, ordinanze n. 30 del 2000 e n. 359 del 1998; sentenza n. 53 del 1998);

che nel processo amministrativo la tempestività e la effettività della tutela anche cautelare sono ormai completamente assicurate - per i profili prospettati - dal complesso delle disposizioni processuali, che prevedono: a) la massima semplicità e flessibilità del mezzo introduttivo dei giudizi amministrativi, anche attraverso il meccanismo dei motivi aggiunti e l’impugnazione di atti sopravvenuti o conosciuti dopo la proposizione del ricorso (art. 1 della legge n. 205 del 2000, sostitutivo dell’art. 21, primo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034; combinato disposto dell’art. 19 della legge n. 1034 del 1971 e art. 6 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642 recante "Regolamento di procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato"); b) la possibilità di abbreviazione dei termini, anche ai fini della instaurazione del contraddittorio (combinato disposto dell’art. 19 della legge n. 1034 del 1971 e degli artt. 20 e 36 del regio decreto n. 642 del 1907); c) la non tassatività dei mezzi per l’effettuazione delle notifiche dell’atto introduttivo, compresi quelli in tempo reale per via telematica o telefax (art. 12 della legge n. 205 del 2000, con richiamo anche all’art. 151 cod. proc. civ.); d) una ampiezza di contenuto delle misure cautelari, più idonee - secondo le circostanze - ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione del ricorso (art. 3, comma 1, della legge n. 205 del 2000, sostitutivo dell’art. 21, settimo comma, della legge n. 1034 del 1971); e) l’emanabilità, "in caso di estrema gravità ed urgenza", di misure cautelari interinali con decreto del Presidente del Tar o della Sezione, con efficacia fino alla pronuncia collegiale (art. 3, comma 1, della legge n. 205 del 2000, con introduzione del comma settimo-bis dell’art. 21 della legge n. 1034 del 1971); f) la possibilità, anche in sede di camera di consiglio per l’esame della domanda cautelare, di definire il giudizio nel merito con decisioni in forma semplificata (art. 3, comma 1, della legge n. 205 del 2000, con introduzione del comma settimo-bis dell’art. 21 della legge n. 1034 del 1971; art. 9, comma 1, della legge n. 205 del 2000, con sostituzione dell’ultimo comma dell’art. 26 della legge n. 1034 del 1971); g) la possibilità di dichiarare i ricorsi urgenti (c.d. istanza di prelazione) anche di ufficio (combinato disposto dell’art. 19 della legge n. 1034 del 1971 e artt. 51 e 53 del regio decreto n. 642 del 1907);

che l’anzidetto completo sistema di tutela, anche di urgenza e cautelare, che riguarda tutte le posizioni azionabili davanti al giudice amministrativo, senza distinzione tra interessi legittimi o diritti soggettivi tutelabili, esclude l’applicabilità di altri istituti propri del processo civile e, quindi, che si possa configurare una esigenza (rilevante sul piano costituzionale) di intervento additivo sulle norme relative ai procedimenti di urgenza della procedura civile;

che il sistema di tutela cautelare provvisoria, previsto per la giustizia amministrativa, consente l’immediata pronuncia interinale del Presidente del Tar o della sezione cui il ricorso é assegnato, su richiesta del ricorrente "contestualmente alla domanda cautelare o con separata istanza notificata alle controparti" (anche con utilizzazione dei nuovi mezzi di notifica in tempo reale), presupponendosi solo l’esistenza di un ricorso giurisdizionale anche contestuale (integrabile successivamente attraverso motivi aggiunti), comunque depositato, ed anche se non sia completato con la prova di tutte le notifiche, come é confermato indirettamente dalla espressa previsione di decreto motivato, anche con contraddittorio non completo (art. 3 della legge n. 205 del 2000);

che deve escludersi una mancanza di effettività della tutela, quando il ricorrente si può avvalere dei nuovi mezzi rapidissimi di notifica (al di fuori di quelli tradizionali mediante consegna materiale a mezzo ufficiale giudiziario e suoi aiutanti) anche a mezzo telefax o per via telematica (uno dei due mezzi certamente esistenti ed utilizzabili per le pubbliche amministrazioni), accompagnati da eventuale riduzione di termini e contestuale decreto di fissazione sia di possibile convocazione delle parti avanti al Presidente (ove questi la ritenga opportuna), sia della successiva prima camera di consiglio collegiale utile;

che la sentenza n. 190 del 1985 non ha affatto introdotto nel giudizio amministrativo una procedura autonoma di ricorso per provvedimenti di urgenza ante causam, ma ha ampliato i poteri del giudice amministrativo "nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego, sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva", incidendo solo sul contenuto del provvedimento cautelare, identificabile non più con la sola "sospensione", ma comprensivo di ogni misura cautelare (c.d. tutela cautelare innominata), che appaia più idonea ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito;

che, del resto, un ampliamento interpretativo della sospensione dell’atto impugnato si é verificato, nel tempo, anche prima della invocata sentenza di questa Corte e, progressivamente, in tutti i campi del processo amministrativo ad opera della graduale evoluzione della giurisprudenza dei Tar e del Consiglio di Stato, consentendosi l’impiego delle più varie misure cautelari per quanto attiene al contenuto del provvedimento, indirizzo consolidatosi legislativamente con le surrichiamate disposizioni della legge n. 205 del 2000;

che deve escludersi, sulla base delle predette considerazioni, che la pubblica amministrazione si trovi, in ordine al sistema delle misure cautelari del processo amministrativo, in una posizione privilegiata, che non contempli la possibilità di intervento, anche immediato, del giudice con misure cautelari provvisorie o che comunque limiti la effettività della tutela, sempre prevista per il sistema italiano, avanti ad un organo giurisdizionale;

che non pertinente all’ambito della controversia, in cui é sorta la questione di legittimità costituzionale (sospensione per 30 giorni dell’esercizio di attività sanitaria di casa di cura privata) é il richiamo alla direttiva 89/665/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989, riguardante le procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, anche se la direttiva prescrive che gli organi di ricorso competenti (giurisdizionali o indipendenti dalle autorità aggiudicatrici) siano abilitati a prendere, nell’ambito di ricorso efficace e rapido, misure provvisorie per riparare la violazione o impedire danni ulteriori, compresi provvedimenti di sospensione della procedura di aggiudicazione dell’appalto o dell'esecuzione di decisioni dell’autorità aggiudicatrice (casi al di fuori della rilevanza della questione);

che in ordine agli ulteriori aspetti invocati dalla parte privata in memoria é sufficiente osservare che l’ambito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale non può estendersi oltre i limiti e i profili fissati dalle questioni sollevate dal giudice nell’ordinanza di rimessione, per comprenderne altri, anche se indicati dalle parti, ma non fatti propri dal giudice rimettente (sentenza n. 49 del 1999);

che ininfluente é, altresì, il richiamo contenuto nell’ordinanza di rimessione all’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, che riguarda, invece, le pronunce che la Corte può emettere in caso di accoglimento di questione di legittimità costituzionale, dichiarando "nei limiti dell’impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime" e "altresì quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata" (c.d. dichiarazione di illegittimità consequenziale), ipotesi del tutto estranee alla richiesta di sollevare d’ufficio questione di legittimità costituzionale e per di più in fattispecie in cui la decisione é di manifesta infondatezza;

che sulla base delle predette considerazioni le questioni di legittimità costituzionale sollevate sono manifestamente infondate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), così come novellato dalla legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 113 della Costituzione, anche in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, con la ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 700 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, con la ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 maggio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2002.