ORDINANZA N. 30
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
- Dott. Franco BILE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 255, primo comma, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 10 novembre 1998 dal Pretore di Padova nel procedimento civile vertente tra B&B s.n.c. e Giancol s.p.a., iscritta al n. 48 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1999.
Udito nella camera di consiglio del 10 novembre 1999 il Giudice relatore Fernanda Contri.
Ritenuto che nel corso di un procedimento civile il Pretore di Padova, con ordinanza emessa il 10 novembre 1998, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 255, primo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui prevede la condanna del testimone intimato e non comparso ad una pena pecuniaria non inferiore a lire quattromila e non superiore a lire diecimila;
che il rimettente, rilevato che nel corso del giudizio a quo un testimone, regolarmente intimato dalla parte attrice, non era comparso né aveva addotto alcun legittimo impedimento, ritiene di dover procedere alla sua condanna alla pena pecuniaria stabilita dall’art. 255, primo comma, cod. proc. civ., prima di disporne l’accompagnamento coattivo, provvedimento ritenuto dal Pretore di Padova "più grave";
che il giudice a quo, dopo aver osservato che il codice di procedura penale prevede, all’art. 133, la condanna del testimone non comparso al pagamento di una somma da lire centomila a lire un milione, e che l’ammontare massimo della sanzione prevista dall’articolo impugnato – lire diecimila – non sarebbe tale da indurre il testimone a comparire per rendere l’ufficio cui è stato chiamato, ritiene ingiustificata la disparità di trattamento prevista, per i testi citati e non comparsi, dalle norme dei due codici di rito;
che il Pretore di Padova solleva perciò questione di legittimità costituzionale dell’art. 255, primo comma, cod. proc. civ., "nella parte in cui prevede che la pena pecuniaria in cui incorre il teste non comparso sia non inferiore a lire quattromila e non superiore a lire diecimila", per la violazione dell’art. 3 della Costituzione, in relazione alle maggiori sanzioni pecuniarie previste nella stessa ipotesi dal codice di procedura penale, e per la violazione dell’art. 97 della Costituzione, essendo la norma impugnata contraria "al buon andamento dell’amministrazione della giustizia".
Considerato che effettivamente la misura della pena pecuniaria in esame (così come quella di altre sanzioni pecuniarie previste dal codice di procedura civile) di cui il rimettente lamenta l’irrisorietà, appare del tutto inadeguata, non essendo stata rivalutata nel tempo secondo il mutato valore della moneta;
che, tuttavia, questa Corte deve ancora una volta sottolineare che la determinazione della misura delle sanzioni appartiene alla discrezionalità del legislatore, cui è riservata anche la modifica e l’adeguamento delle stesse, non potendo questa Corte sostituire "la propria valutazione a quella che spetta al legislatore nelle discrezionali scelte, sia per la determinazione dei precetti, sia quanto al tipo che alla entità delle rispettive sanzioni" (ordinanze nn. 44 del 1995 e 388 del 1997);
che, come questa Corte ha più volte affermato, vi è piena autonomia del sistema processuale civile rispetto a quello penale, di modo che essi non sono comparabili ai fini della violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione (sentenze nn. 326 del 1997 e 53 del 1998 e ordinanza n. 429 del 1998);
che l’esercizio della funzione giurisdizionale risulta estraneo alla tematica del buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.;
che la questione appare perciò manifestamente infondata sotto ogni profilo.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 255, primo comma, del codice di procedura civile sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione dal Pretore di Padova, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il, 20 gennaio 2000
Giuliano VASSALLI, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in cancelleria il 4 febbraio 2000