Sentenza n.360 del 1994

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SENTENZA N. 360

ANNO 1994

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE Presidente

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640 (Disciplina dell'imposta sugli spettacoli), promosso con due ordinanze emesse il 16 dicembre 1993 dalla Corte di appello di Venezia nei procedimenti civili vertenti tra il Comune di Venezia e l'Amministrazione delle Finanze dello Stato, iscritte ai nn. 158 e 159 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Udito nella camera di consiglio del 6 luglio 1994 il Giudice relatore Gabriele Pescatore.

Ritenuto in fatto

La Corte di appello di Venezia, con due ordinanze emesse in data 16 dicembre 1993 e aventi identico tenore, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 24 e 113 della Costituzione, dell'art.39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, nella parte in cui subordina l'esperimento della azione giudiziaria - nelle controversie di cui agli artt. 38 e 40, secondo comma, dello stesso d.P.R. in materia di imposta sugli spettacoli - al previo ricorso ai rimedi amministrativi.

Il dubbio di costituzionalità prospettato dalla Corte remittente concerne essenzialmente la improponibilità dell'azione giudiziaria - in materia di controversie relative all'applicazione dell'imposta predetta, dei tributi connessi e delle soprattasse - ove non siano esperiti i rimedi amministrativi previsti dall'art. 38 del d.P.R. n. 640 del 1972.

Più in particolare, ai sensi dell'art, 38 surrichiamato, la cognizione delle controversie in via amministrativa, qualunque sia l'importo dell'imposta o della soprattassa in contestazione, spetta all'Intendente di finanza territorialmente competente.

Le decisioni delle intendenze sono definitive se l'ammontare controverso delle imposte e delle soprattasse non supera le centocinquantamila lire; se detto ammontare viene superato è possibile ricorrere al ministero delle finanze entro il termine di giorni sessanta dalla notifica della decisione.

Contro le decisioni definitive dell'Intendenza e del ministero delle finanze è esperibile, ai sensi dell'art. 39 del d.P.R. 640 del 1972, l'azione giudiziaria nel termine di novanta giorni dalla data di notificazione della decisione.

Qualora entro centottanta giorni dalla presentazione del ricorso non sia intervenuta la relativa decisione, il contribuente può promuovere l'azione giudiziaria anche prima della notificazione della decisione stessa (art. 39, secondo comma). Ad avviso del remittente l'art. 39 surrichiamato implicherebbe una sorta di "sbarramento all'esercizio dell'azione giurisdizionale" che verrebbe a configurarsi come "condizione di proponibilità" dell'azione stessa precludendo al contribuente l'azionabilità del diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione nonchè della tutela giurisdizionale prevista dall'art. 113 della Costituzione ove non siano stati previamente esperiti i rimedi amministrativi.

Secondo l'ordinanza di remissione tale disciplina sarebbe applicabile pure alle azioni di rimborso contemplate dall'art.40 del d.P.R. n. 640 del 1972 per le quali è prevista la decadenza di tre anni a decorrere dal giorno dell'effettuato pagamento.

Senonchè la subordinazione della azione giudiziaria al previo esperimento del rimedio amministrativo - anche alla luce dei principi più volte affermati dalla giurisprudenza costituzionale in materia e recentemente richiamati nella sentenza n. 406 del 1993 - sarebbe "del tutto ingiustificata" in quanto non sorretta da esigenze che richiedano un differimento della azione giudiziaria. Viene, altresì, rilevato che anche ove sussistano esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia al differimento dell'azione giudiziaria ad un momento successivo a quello del sorgere del diritto il legislatore sarebbe comunque tenuto ad osservare il limite imposto dalla esigenza di non rendere eccessivamente difficile la tutela giurisdizionale, in conformità a quanto previsto dagli artt. 24 e 113 della Costituzione.

Detto limite sarebbe - per contro - violato dall'art. 39 del d.P.R. n. 640 del 1972 laddove subordina la proponibilità dell'azione giudiziaria - nelle controversie di cui agli artt. 38 e 40, secondo comma, stesso d.P.R. - alla previa notifica della decisione del Ministro, ovvero in caso di mancata decisione di quest'ultimo al decorso di centottanta giorni dalla proposizione del ricorso.

Dinanzi a questa Corte non vi è stata costituzione di parti nè intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. Può disporsi la riunione dei giudizi per la loro totale omogeneità.

2. La Corte di appello di Venezia dubita della legittimità costituzionale dell'art. 39, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, nella parte in cui subordina - nelle controversie relative all'applicazione delle imposte, dei tributi connessi e delle soprattasse nonchè in quelle concernenti le azioni di rimborso (artt.38 e 40 d.P.R. n.640 del 1972) - l'esperimento dell'azione giudiziaria al previo ricorso gerarchico al ministero delle finanze.

Più in particolare la norma censurata, impedendo l'esperimento della azione giudiziaria sino alla notificazione del provvedimento ministeriale ovvero, in mancanza, per centottanta giorni dalla proposizione del ricorso violerebbe - secondo il giudice remittente - gli artt. 24 e 113 della Costituzione.

3. La questione è fondata.

I ricorsi di cui all'art. 38 d.P.R. n. 640 del 1972, ai quali si è fatto sopra cenno, devono necessariamente essere proposti prima di adire gli organi giurisdizionali, salva, in caso di mancata pronuncia entro certi termini (centottanta giorni dalla data di presentazione del ricorso), la possibilità di investire direttamente gli organi giurisdizionali.

Il giudice a quo ritiene che tale normativa si applichi anche in materia di rimborsi di imposta, con la conseguenza che in caso di diniego del rimborso, ove sia trascorso il termine per ricorrere in via amministrativa senza proporre il ricorso, è preclusa la possibilità di esperire l'azione giudiziaria.

La tutela giurisdizionale è in ogni caso preclusa decorsi i termini di decadenza specificamente previsti (novanta giorni dalla decisione del ministro, centottanta giorni in caso di mancata decisione). Di guisa che la norma censurata non solo subordina la tutela giurisdizionale al previo esperimento di ricorsi amministrativi, ma statuisce, altresì, la decadenza dalla azione giudiziaria ove non si sia agito in via amministrativa nei termini prescritti. Di conseguenza, la tutela, di cui agli artt. 24 e 113 della Costituzione, verrebbe ad essere non già incondizionata ma addirittura esclusa, ove alla lesione dei diritti non abbiano fatto seguito i ricorsi amministrativi in termini.

Tale conseguenza non può non ritenersi fortemente compressiva del diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost. e, più specificamente, della tutela giurisdizionale dei diritti contro gli atti della pubblica amministrazione incondizionatamente garantita dall'art. 113 Cost..

4. Questa Corte ha costantemente affermato (cfr. da ultimo le sentenze nn.406 del 1993, 154 del 1992 e 15 del 1991) che gli artt. 24 e 113 della Costituzione non impongono una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilità, sicchè risultano legittime in via di principio forme di accesso alla giurisdizione, condizionate al previo esperimento di rimedi di carattere amministrativo (sentt. nn. 87 del 1962; 107 del 1963; 47 del 1964; 39 del 1969; 87 del 1969; 130 del 1970; 46 del 1974; n. 530 del 1989 e n. 470 del 1990).

Il differimento della tutela giurisdizionale deve essere, tuttavia, giustificato dal perseguimento di più adeguate finalità di giustizia e, in ogni caso, dall'esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa.

Ed è poi da rilevare che nella fattispecie l'esperimento dei rimedi amministrativi, lungi dal porsi come "esigenza" o "condizione generale" per la tutela giurisdizionale, è in realtà imposto solo in alcuni casi specifici e rispetto ad alcuni tributi (mentre per gli altri vige il sistema delineato dal d.P.R. n. 636 del 1972).

Questo modello è alla base della sent. n. 406 del 1993 in materia di imposta di bollo, la quale ha statuito l'illegittimità costituzionale dell'art. 33, ultimo comma, d.P.R. n. 642 del 1992 nella parte in cui non prevede l'esperibilità della azione giudiziaria anche in mancanza del preventivo ricorso amministrativo.

La disciplina del contenzioso in materia di imposta sugli spettacoli - oggetto dell'attuale giudizio - presenta caratteristiche esattamente simmetriche rispetto a quelle che connotano l'imposta di bollo (doppio grado, sospensione solo ad istanza del ricorrente, disciplina della revocazione). Di guisa che la ratio decidendi richiamata nella sentenza n. 406 del 1993 non può non essere operativa anche nel presente giudizio di costituzionalità.

Come si è già osservato, l'art. 24 della Costituzione, anche attraverso il principio posto dall'art. 113, che ne costituisce - senza dubbio - specificazione, ha una portata così ampia da colpire qualsiasi esclusione della tutela giurisdizionale, soggettiva od oggettiva, e qualsiasi limitazione che ne renda impossibile o anche difficile l'esercizio. Ne discende quale soluzione conforme a Costituzione la esperibilità dell'azione giudiziaria, anche in mancanza del preventivo ricorso amministrativo. Di conseguenza, deve dichiararsi la illegittimità costituzionale dell'art. 39, del d.P.R. n. 640 del 1972, nella parte in cui non prevede, nelle controversie di cui agli artt.38 e 40 stesso d.P.R., l'esperimento della azione giudiziaria anche in mancanza del preventivo ricorso amministrativo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640 (Disciplina dell'imposta sugli spettacoli) nella parte in cui non prevede, nelle controversie di cui agli artt. 38 e 40 stesso d.P.R., l'esperimento della azione giudiziaria anche in mancanza del preventivo ricorso amministrativo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/07/94.

Gabriele PESCATORE, Presidente

Gabriele PESCATORE, Redattore

Depositata in cancelleria il 27 Luglio 1994.