SENTENZA N.
9
ANNO 2021
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo
CORAGGIO;
Giudici: Giuliano
AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto
Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca
ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria
SAN GIORGIO,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1, lettera d), e 4, 2, comma 1,
4, comma 1, e 8, comma 3, della legge
della Regione Abruzzo 31 ottobre 2019, n. 34, recante «Modifiche alla legge
regionale 25 ottobre 1996, n. 96 (Norme per l’assegnazione e la gestione degli
alloggi di edilizia residenziale pubblica e per la determinazione dei relativi
canoni di locazione) e ulteriori disposizioni normative», promosso dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso
notificato il 3-8 gennaio 2020, depositato in cancelleria l’8 gennaio 2020,
iscritto al n. 1 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di
costituzione della Regione Abruzzo;
udito nell’udienza
pubblica del 12 gennaio 2021 il Giudice relatore Daria de Pretis;
uditi l’avvocato dello
Stato Ruggero Di Martino per il Presidente del Consiglio dei ministri e
l’avvocato Felice Giuffrè per la Regione Abruzzo, in
collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della
Corte del 30 ottobre 2020;
deliberato nella camera
di consiglio del 12 gennaio 2021.
1.– Con ricorso
notificato il 3-8 gennaio 2020 e depositato l’8 gennaio 2020 (reg. ric. n. 1
del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 1, commi 1, lettera d), e 4, 2, comma 1, 4, comma 1,
e 8, comma 3, della legge della Regione Abruzzo 31 ottobre 2019, n. 34, recante
«Modifiche alla legge regionale 25 ottobre 1996, n. 96 (Norme per
l’assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e
per la determinazione dei relativi canoni di locazione) e ulteriori
disposizioni normative», in riferimento agli artt. 3 e 117, commi primo e
secondo, lettere g) e h), della Costituzione.
1.1.– Il ricorrente ha
impugnato il comma 1, lettera d), e il comma 4 dell’art. 1 della legge reg.
Abruzzo n. 34 del 2019 per violazione dell’art. 3 Cost.
L’art. 1, comma 1,
lettera d), ha sostituito la lettera g-bis) del comma 1 dell’art. 2 della legge
della Regione Abruzzo 25 ottobre 1996, n. 96 (Norme per l’assegnazione e la
gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e per la
determinazione dei relativi canoni di locazione). In particolare, la norma
impugnata amplia il novero dei reati ostativi alla partecipazione a bandi per
l’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, prevedendo,
tra i requisiti, quello di «non avere riportato, l’intestatario della domanda
di assegnazione e/o uno dei componenti del suo nucleo familiare, condanne
penali passate in giudicato, nel periodo precedente alla data di presentazione
della domanda di assegnazione, per uno dei reati previsti dagli articoli 51,
comma 3-bis e/o 380 del codice di procedura penale, dall’articolo 73, comma 5,
del Testo unico emanato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre
1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei
relativi stati di tossicodipendenza), nonché per i reati di vilipendio di cui
agli articoli 290, 291 e 292 del codice penale, i delitti contro la pubblica
amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia, contro l’ordine
pubblico, contro la persona, contro il patrimonio e per i reati di
favoreggiamento e/o sfruttamento della prostituzione, gioco d’azzardo,
detenzione e/o porto abusivo di armi, traffico di armi».
L’art. 1, comma 4,
della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019 ha aggiunto, dopo il comma 7 dell’art.
2 della legge reg. Abruzzo n. 96 del 1996, il comma 7-bis, secondo cui «[i]l
requisito di cui alla lettera g-bis) non si applica in caso di intervenuta
riabilitazione».
A fronte del contenuto
delle due disposizioni impugnate, il ricorrente rileva come l’art. 2, comma 1,
lettera b-bis), della legge reg. Abruzzo n. 96 del 1996 preveda, quale
ulteriore requisito per l’assegnazione degli alloggi, il «non avere riportato,
negli ultimi dieci anni dalla data di pubblicazione del bando, a seguito di
sentenza passata in giudicato ovvero di patteggiamento ai sensi dell’articolo
444 del codice di procedura penale, condanna per delitti non colposi per i
quali la legge prevede la pena detentiva non inferiore nel massimo edittale a
due anni».
Inoltre, la lettera
g-ter) del comma 1 dell’art. 2 della medesima legge regionale stabilisce che
«la domanda è ammissibile nel caso di intervenuto integrale risarcimento dei
danni ed estinzione di ogni debito derivanti dai reati di cui alla lettera
b-bis) nonché per il reato di invasione di terreni ed edifici di cui
all’articolo 633 del Codice penale».
Dal quadro normativo
riportato emergerebbe l’irragionevolezza della disciplina regionale impugnata,
ben potendo le cause ostative previste dall’art. 2, comma 1, lettera b-bis),
coincidere con quelle di cui alla lettera g-bis) (ad esempio, nel caso di
delitti non colposi rientranti nell’elenco di cui alla lettera g-bis e puniti
con pena superiore nel massimo a due anni di reclusione), ma anche divergere
significativamente. Quest’ultima ipotesi si verificherebbe, ad esempio, per il
delitto di peculato, rientrante in entrambe le categorie, in ragione del fatto
che per i reati di cui alla lettera g-bis) – ma non anche per quelli di cui
alla lettera b-bis) – la preclusione opera senza limitazioni temporali e per le
sole sentenze di condanna (e non anche per quelle di patteggiamento ex art. 444
cod. proc. pen.). Inoltre,
essa riguarda anche i componenti del nucleo familiare del condannato e non vale
in caso di intervenuta riabilitazione.
L’irrazionalità del
sistema previsto dall’indicata normativa regionale si evincerebbe anche in
relazione ai reati rientranti nel solo gruppo di cui alla lettera g-bis) in
ragione, ad esempio, della natura colposa del reato. In questo caso, infatti,
troverebbe applicazione il regime di favore che attribuisce rilevanza alla
riabilitazione ma, al tempo stesso, anche quello di maggior rigore riservato ai
reati di cui alla lettera g-bis) rispetto a quelli di cui alla lettera b-bis),
sotto il profilo della rilevanza temporale della causa ostativa.
Per le ragioni
anzidette le norme regionali impugnate non risponderebbero a criteri di
ragionevolezza e quindi sarebbero in contrasto con l’art. 3 Cost.
1.2.– Il ricorrente ha,
inoltre, impugnato il comma 1 dell’art. 2 della legge reg. Abruzzo n. 34 del
2019 per violazione degli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione
all’art. 18 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come
modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e
ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, e all’art. 14 della Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU),
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4
agosto 1955, n. 848.
La disposizione
impugnata ha integrato la disciplina contenuta all’art. 5 della legge reg.
Abruzzo n. 96 del 1996, aggiungendo, dopo il comma 4, i commi 4.1 e 4.2.
Il comma 4.1 stabilisce
che, «[a]i fini della verifica del requisito di cui alla lettera d) del primo
comma dell’articolo 2, i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione
europea, con esclusione di coloro in possesso dello status di rifugiato o di
protezione sussidiaria ai sensi del decreto legislativo 19 novembre 2007, n.
251 (Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime
sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del
rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale,
nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta), devono,
altresì, presentare, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 3, comma 4,
del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
documentazione amministrativa) e dell’articolo 2 del decreto del Presidente
della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di
attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma
dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), la
documentazione che attesti che tutti i componenti del nucleo familiare non
possiedono alloggi adeguati nel Paese, di origine o di provenienza. La
disposizione di cui al periodo precedente non si applica nei confronti dei
cittadini di Paesi terzi qualora convenzioni internazionali dispongano
diversamente o qualora le rappresentanze diplomatiche o consolari dichiarino
l’impossibilità di acquisire tale documentazione nel paese di origine o di
provenienza».
Il comma 4.2 dispone
che, «[a]i fini della verifica del requisito di cui alla lettera f) del primo
comma dell’articolo 2, i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione
europea, con esclusione di coloro in possesso dello status di rifugiato o di
protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 251/2007,
devono, altresì, presentare, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 3,
comma 4, del D.P.R. 445/2000 e dell’articolo 2 del D.P.R. 394/1999, la
documentazione reddituale e patrimoniale del Paese in cui hanno la residenza
fiscale. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica nei
confronti dei cittadini di Paesi terzi qualora convenzioni internazionali
dispongano diversamente o qualora le rappresentanze diplomatiche o consolari
dichiarino l’impossibilità di acquisire tale documentazione nel Paese di
origine o di provenienza».
La norma regionale che
ha introdotto gli anzidetti commi 4.1 e 4.2 è impugnata in quanto
determinerebbe «una disparità di trattamento tra cittadini italiani/comunitari
e cittadini non comunitari, poiché viene richiesta solo a questi ultimi la produzione
di documentazione ulteriore per l’accesso agli alloggi di edilizia residenziale
pubblica».
Sono richiamati al
riguardo gli artt. 2, comma 5, e 43, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio
1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), in virtù dei
quali, rispettivamente, «[a]llo straniero è
riconosciuta parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela
giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la
pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici servizi, nei limiti e nei
modi previsti dalla legge» e «costituisce discriminazione ogni comportamento
che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione,
restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o
l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che
abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento,
il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle
libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in
ogni altro settore della vita pubblica».
Le norme impugnate,
introducendo per i soli cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea
«un controllo ulteriore e rafforzato su quanto dichiarato ai fini ISEE»,
determinerebbero «un aggravio procedimentale che rappresenta una
discriminazione diretta, essendo trattati diversamente soggetti nelle medesime
condizioni di partenza e aspiranti alla stessa prestazione sociale agevolata».
Il ricorrente aggiunge
che l’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) «è lo strumento
di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica di
coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate» (art. 2, comma 1, del
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159,
recante «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione
e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica
equivalente – ISEE»).
Questo strumento di
valutazione prevede la denuncia (sia per i cittadini italiani sia per gli
stranieri) di redditi e patrimoni anche posseduti all’estero, mediante la
compilazione della Dichiarazione sostitutiva unica (DSU). L’ISEE è calcolato,
oltre che sulle informazioni raccolte con la DSU, anche sulla base di quelle
disponibili negli archivi dell’Istituto nazionale della previdenza sociale
(INPS) e dell’Agenzia delle entrate (art. 2, comma 6, del d.P.C.m.
n. 159 del 2013).
Pertanto, la
discriminazione fondata sulla nazionalità risulterebbe contraria all’art. 3
Cost. e agli artt. 18 TFUE e 14 CEDU (è richiamata in proposito la sentenza n. 187 del
2010).
1.3.– Oggetto
dell’impugnativa statale è anche l’art. 4, comma 1, della legge reg. Abruzzo n.
34 del 2019 per violazione degli artt. 3 e 117, primo comma, Cost.,
quest’ultimo in relazione all’art. 24 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini
dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel
territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed
abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE,
75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE.
La disposizione
impugnata ha inserito, dopo la lettera c) del comma 2 dell’art. 8 della legge
reg. Abruzzo n. 96 del 1996, la lettera c-bis), la quale individua un’ulteriore
condizione per l’attribuzione di punteggi al fine della formazione della
graduatoria di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica. In
particolare, questa ulteriore condizione consiste nella «situazione connessa
all’anzianità di residenza in Comuni della regione Abruzzo» e prevede
l’attribuzione di un punto «per ogni anno di residenza a partire dal decimo
anno di residenza e fino ad un massimo di 6 Punti».
In altre parole, la
norma impugnata porrebbe un «requisito aggiuntivo regionale» rispetto ai
punteggi attribuiti in relazione alle condizioni soggettive e oggettive del
concorrente e del suo nucleo familiare, nonché rispetto ai criteri di priorità
riferiti al livello di gravità del bisogno abitativo.
Secondo il ricorrente
l’art. 4, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019 si porrebbe in
contrasto con l’art. 3 Cost., poiché non sussisterebbe «alcuna ragionevole correlabilità tra tale requisito e lo stato di bisogno
riferito alla persona in quanto tale che, per la sua stessa natura, non tollera
distinzioni basate su particolari tipologie di residenza».
La norma impugnata
avrebbe un carattere discriminatorio «non soltanto nei confronti di cittadini
italiani che risiedono nella Regione Abruzzo da meno di dieci anni, ma anche
dei cittadini degli altri Stati membri dell’U.E., che versano nella medesima
situazione, ai quali è attribuita la parità di trattamento con i cittadini
degli Stati membri in cui risiedono ai sensi dell’art. 24 della direttiva
2004/39/CE […] recepita con d.lgs. 30/2007».
Per le ragioni
anzidette sarebbe violato anche il principio di uguaglianza e di non
discriminazione di cui all’art. 3 Cost.
1.4.– Infine, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 8, comma 3, della
legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019 per violazione degli artt. 3 e 117, secondo
comma, lettere g) e h), Cost.
La disposizione in
esame ha sostituito il testo delle lettere e-ter) ed e-quater) all’art. 34,
comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 96 del 1996, introducendo due ulteriori
cause di decadenza dall’assegnazione dell’alloggio.
In particolare, dopo
l’entrata in vigore della norma impugnata, tale decadenza è pronunciata dal
sindaco del Comune territorialmente competente anche nei casi in cui
l’assegnatario «e/o uno dei componenti del suo nucleo familiare,
successivamente all’assegnazione, abbia riportato condanne penali passate in
giudicato per uno dei reati previsti dagli articoli 51, comma 3-bis e/o 380 del
codice di procedura penale, dell’articolo 73, comma 5, del Testo Unico
approvato con D.P.R. 309/1990, nonché per i reati di usura, favoreggiamento e/o
sfruttamento della prostituzione, gioco d’azzardo, detenzione e/o porto abusivo
di armi, traffico di armi, riciclaggio di denaro proveniente da attività
illecite» (lettera e-ter), e nei casi in cui l’assegnatario «abbia ospitato
stabilmente presso l’alloggio uno o più soggetti colti in flagranza di reato,
per uno dei reati previsti dagli articoli 51, comma 3-bis e/o 380 del codice di
procedura penale, dell’articolo 73, comma 5, del Testo Unico approvato con
D.P.R. 309/1990, nonché per i reati di usura, favoreggiamento e/o sfruttamento
della prostituzione, gioco d’azzardo, detenzione e/o porto abusivo di armi,
traffico di armi, riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite»
(lettera e-quater).
In sostanza, la norma
impugnata amplia il novero dei reati per i quali è prevista la decadenza
dall’assegnazione riproducendo il nuovo elenco dell’art. 2, comma 1, lettera
g-bis), della legge reg. Abruzzo n. 96 del 1996, introdotto dall’art. 1, comma
1, lettera d), della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019, oggetto della prima
questione di legittimità costituzionale promossa con l’odierno ricorso.
Anche l’art. 8, comma
3, della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019 incorre – secondo il ricorrente –
nel vizio di irragionevolezza, già lamentato in relazione all’art. 1, comma 1,
lettera d), della medesima legge. In particolare, sarebbe irragionevole l’aver
previsto, quali cause di decadenza, l’avvenuto arresto di un soggetto stabilmente
ospitato presso l’alloggio – e quindi a prescindere dall’accertamento
definitivo della sua colpevolezza – (lettera e-quater) e, al contempo, la
condanna penale passata in giudicato per l’assegnatario e/o per uno dei
componenti del suo nucleo familiare (lettera e-ter).
Alla luce di questo
quadro normativo, l’assegnatario conserverà l’alloggio nel caso in cui egli
stesso o un componente del suo nucleo familiare dovessero essere sottoposti ad
arresto in flagranza di reato, mentre lo perderà se l’arresto dovesse
riguardare un soggetto da lui stabilmente ospitato.
L’irragionevolezza
della norma impugnata deriverebbe anche dalla mancata considerazione del
possibile esito assolutorio del conseguente giudizio e dal far dipendere da «un
evento posto al di fuori della responsabilità e del controllo del beneficiario,
conseguenze decadenziali per lo stesso beneficiario».
La norma di cui alla
lettera e-quater) – «non solo per la tipologia di informazioni in parola
[relative all’arresto in flagranza], ma altresì per il sottinteso meccanismo di
comunicazione delle stesse» – violerebbe, inoltre, la competenza legislativa
statale in materia di «ordine pubblico e sicurezza» di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera h), Cost.
E ancora, «[i]l
generico riferimento ai soggetti "colti in flagranza di reato” e, soprattutto,
le concrete modalità tramite le quali il sindaco verrebbe a conoscenza della
[…] causa di decadenza dall’assegnazione dell’alloggio si prest[erebbero] altresì ad una difficile e dubbia applicazione».
In proposito, la difesa statale sottolinea come la flagranza di reato sia uno
status normativamente determinato (art. 382 cod. proc.
pen.), in presenza del quale sorgono obblighi (art.
380 cod. proc. pen.) o
facoltà (art. 381 cod. proc. pen.)
di arresto per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria.
Il ricorrente rileva,
inoltre, che le informazioni relative all’esecuzione della misura in questione
sono inserite nel centro elaborazione dati di cui all’art. 6 della legge 1°
aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica
sicurezza) e che il Comune e la polizia municipale non possono accedere ai dati
contenuti nel centro di cui sopra (salvo quanto previsto dall’art. 18 del
decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante «Disposizioni urgenti in materia
di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure
per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il
funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione
dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata», convertito,
con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132). Pertanto, la norma
regionale impugnata sembrerebbe presupporre l’onere per gli operatori di
polizia di comunicare al sindaco l’eventuale esecuzione di arresti in flagranza
di reato, con conseguente previsione di «competenze nuove ed ulteriori per il
personale delle Forze di Polizia». Ciò comporterebbe la violazione della
competenza legislativa statale in materia di «ordinamento e organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali» di cui all’art.
117, secondo comma, lettera g), Cost.
2.– La Regione Abruzzo
si è costituita in giudizio chiedendo che le questioni promosse siano
dichiarate infondate.
2.1.– Quanto alla questione
di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1, lettera d), e 4, della
legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019, la difesa regionale rileva, preliminarmente,
che le disposizioni di cui alle lettere b-bis) e g-bis) dell’art. 2, comma 1,
della legge reg. Abruzzo n. 96 del 1996 sono state introdotte con la legge
della Regione Abruzzo 23 luglio 2018, n. 18 (Modifiche alla legge regionale 25
ottobre 1996, n. 96, recante «Norme per l’assegnazione e la gestione degli
alloggi di edilizia residenziale pubblica e per la determinazione dei relativi
canoni di locazione») e non sono state impugnate dal Governo. Da ciò la
resistente deduce «che, in linea di principio, l’esclusione dal diritto
all’assegnazione a seguito di sentenze penali di condanna sia stat[a] sempre ritenut[a] legittim[a] dal Governo che oggi ricorre».
La difesa regionale –
dopo aver sottolineato che analoghe previsioni sono presenti nelle leggi di
altre Regioni, anch’esse non impugnate – precisa che la disciplina oggetto dell’odierno
giudizio ha inteso correggere alcune distorsioni dei meccanismi di assegnazione
degli alloggi, evitando che questi ultimi possano finire «nella disponibilità
di soggetti che, per la tipologia e l’entità delle condanne subite, non
presentano quei requisiti di "onorabilità” tali da farli apparire meritevoli
dell’assegnazione di un alloggio popolare». Tali distorsioni minerebbero «quel
rapporto di mutua fiducia tra cittadini e istituzioni su cui si fonda la
reciprocità insita in ogni vincolo solidaristico in campo politico, economico e
sociale (art. 2 Cost.)».
Con la legge regionale
n. 34 del 2019 il legislatore abruzzese sarebbe intervenuto sulla disciplina
preesistente sotto un duplice profilo.
Innanzitutto, avrebbe
eliminato «una imprecisione» della disposizione regionale previgente; infatti,
con altra norma non impugnata (art. 1, comma 1, lettera a, che ha modificato
l’art. 2, comma 1, lettera b-bis, della legge reg. Abruzzo n. 96 del 1996), ha
abbassato il limite della pena da cinque a due anni e ha chiarito che la pena
detentiva rilevante ai fini della preclusione è quella inferiore «nel massimo
edittale» a due anni.
Sotto un secondo
profilo, oggetto delle censure statali, avrebbe soddisfatto «l’esigenza di
distinguere – secondo ragionevolezza e, dunque, legalmente differenziando
situazioni personali obiettivamente diverse – i cittadini che non hanno assunto
comportamenti ritenuti dal legislatore antisociali, da quelli che, invece, lo
hanno fatto e che, ciononostante, spesso scavalcano i primi nelle graduatorie
per l’assegnazione degli alloggi di edilizia economica e popolare». Questo
secondo obiettivo sarebbe stato raggiunto ampliando la tipologia di reati per i
quali la relativa condanna preclude l’assegnazione degli alloggi.
2.2.– Quanto alle questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Abruzzo n.
34 del 2019, la difesa regionale rileva che la norma impugnata troverebbe
«puntuale fondamento nella normativa statale di settore» e costituirebbe
«naturale svolgimento sul piano della disciplina dei procedimenti
amministrativi di competenza regionale», richiamando in proposito l’art. 3,
comma 4, del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, recante
«Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione
amministrativa (Testo A)» e l’art. 2, comma 2-bis, del d.P.R.
31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico
delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286).
Pertanto, il
legislatore regionale avrebbe «inteso rendere pienamente aderente al quadro
normativo nazionale in materia di documentazione amministrativa e
certificazioni la disciplina regionale della legge n. 96 del 1996». In
particolare, la ratio della norma impugnata risiederebbe nell’esigenza di
«evitare vere e proprie "discriminazioni alla rovescia”, che, nel vigore della
disciplina previgente, si concretizzavano in oneri probatori meno gravosi per
il cittadino extracomunitario rispetto al cittadino italiano/europeo».
La norma in esame
consentirebbe, dunque, alle amministrazioni competenti di verificare
effettivamente la veridicità delle autodichiarazioni rese dal cittadino
extracomunitario, al fine di prevenire «abusi e gravi disparità di trattamento»
in danno dei cittadini italiani ed europei (in proposito è richiamata la
sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione di
Milano, 31 gennaio 2019, n. 208, secondo cui «la parità di trattamento tra lo
straniero e il cittadino nei rapporti con la pubblica amministrazione» non
preclude la possibilità di «un onere documentale aggiuntivo» per il primo).
La difesa regionale
aggiunge che gli strumenti previsti dalla normativa statale per la verifica
della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali
agevolate (ISEE e DSU, oltre alle informazioni disponibili negli archivi
dell’INPS e dell’Agenzia delle entrate) si rivelano, con riferimento allo
straniero extracomunitario, «del tutto inadeguat[i] a
fornire gli elementi necessari a dimostrare i requisiti richiesti per accedere
all’edilizia popolare», sia perché si tratta di informazioni non verificabili
senza la collaborazione delle autorità del paese di provenienza, sia perché i
dati presenti negli archivi dell’INPS e dell’Agenzia delle entrate non
consentono di acquisire tutte le informazioni reddituali e patrimoniali
relative agli stranieri extracomunitari.
Infine, nel senso di
escludere ogni intento discriminatorio della disciplina impugnata deporrebbero
«le numerose e rilevanti deroghe» previste dalla medesima normativa al fine di
evitare che lo straniero extracomunitario sia destinatario di adempimenti
sostanzialmente inesigibili in ragione della sua particolare condizione («[…]
status di rifugiato o di protezione sussidiaria […]») o della situazione del
Paese di provenienza («[…] cittadini di Paesi terzi qualora convenzioni
internazionali dispongano diversamente o qualora le rappresentanze diplomatiche
o consolari dichiarino l’impossibilità di acquisire tale documentazione nel
paese di origine o di provenienza […]»).
Infine, per le medesime
ragioni sarebbero infondate anche le questioni promosse in relazione all’art.
18 TFUE e all’art. 14 CEDU.
2.3.– In merito
all’asserita illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge
reg. Abruzzo n. 34 del 2019, la difesa regionale ritiene che le censure mosse
dal Presidente del Consiglio dei ministri facciano leva su principi affermati
da questa Corte in relazione a disposizioni di portata del tutto differente da
quelle oggetto dell’odierno giudizio.
In particolare, la
previsione normativa contestata, che assegna un punto per ogni anno di
residenza a partire dal decimo e fino a un massimo di sei, non costituirebbe un
requisito per l’accesso alle misure di assistenza abitativa, a differenza di
quanto previsto già nell’originario art. 2, comma 1, lettera b), della legge
reg. Abruzzo n. 96 del 1996, che individua nella residenza anagrafica da almeno
cinque anni uno dei requisiti.
La disposizione
impugnata avrebbe, quindi, introdotto «solo un meccanismo premiale, volto ad
assegnare […] punti aggiuntivi ai soggetti che possano dimostrare un più
incisivo radicamento sul territorio e ciò a prescindere dalla cittadinanza
italiana, europea o extracomunitaria». La difesa regionale muove dall’assunto
che il principio di solidarietà (ex art. 2 Cost.) costituisca «un motore di
integrazione politica, sociale ed economica operante a "cerchi concentrici”»,
ai quali corrisponderebbe la «diversa intensità del vincolo che stringe
dapprima i cittadini e, di seguito, questi agli stranieri nel segno dei diritti
fondamentali».
Alla luce di questa
ricostruzione sarebbe «del tutto ragionevole» che le procedure di assegnazione
valorizzino «elementi sintomatici di un percorso di integrazione della persona
con la comunità locale». Questi elementi sarebbero dati dallo «stabile
collegamento territoriale» che, nel caso di specie, avrebbe una «ragionevole correlabilità» con gli altri presupposti necessari per il
riconoscimento del diritto in questione.
Il punteggio aggiuntivo
previsto dalla norma impugnata sarebbe, infatti, attribuito solo a partire dal
decimo anno di residenza, sicché, in presenza del requisito minimo di residenza
quinquennale stabilito dalle altre disposizioni, cittadini italiani, cittadini
dell’Unione europea e stranieri regolarmente soggiornanti sarebbero «tutti
posti sullo stesso piano».
2.4.– Infine, quanto
alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, della legge
reg. Abruzzo n. 34 del 2019, la difesa regionale sottolinea preliminarmente
come la ratio della nuova disciplina introdotta dalla disposizione impugnata
sia la stessa di quella prevista nell’art. 1, commi 1, lettera d), e 4, della
medesima legge regionale e oggetto della prima questione di legittimità
costituzionale. In altre parole, anche in questo caso il legislatore abruzzese
sarebbe intervenuto sul testo dell’art. 34 della legge reg. Abruzzo n. 96 del
1996, come introdotto dalla legge reg. Abruzzo n. 18 del 2018, ampliando il
novero dei casi di decadenza dall’assegnazione dell’alloggio, al fine di
«"premiare” quei cittadini onesti, molto spesso scavalcati nelle graduatorie da
soggetti condannati in via definitiva per reati di vario genere».
Pertanto, le norme di
cui alle lettere e-ter) ed e-quater) dell’art. 34, comma 1, della legge reg.
Abruzzo n. 96 del 1996, nel testo introdotto dalla disposizione impugnata,
perseguirebbero l’obiettivo di sanzionare «colui il quale, pur avendo ricevuto
prestazioni di assistenza abitativa a carico della collettività […] non
ricambia l’impegno solidaristico di cui ha beneficiato».
Infondate sarebbero
quindi tutte le questioni prospettate dal ricorrente, anche in ragione del
fatto che la disciplina impugnata non implicherebbe, né presupporrebbe obblighi
di comunicazione a carico degli operatori di polizia.
3.– In data 25 febbraio
2020, l’Associazione Unione Inquilini ha depositato un’opinione come amicus curiae, ai sensi dell’art.
4-ter delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale,
chiedendo che questa Corte dichiari l’illegittimità costituzionale delle norme
impugnate per le ragioni indicate nel ricorso e per altre illustrate
nell’opinione.
Il Presidente della Corte
costituzionale, rilevata la conformità dell’opinione ai criteri previsti dal
citato art. 4-ter, l’ha ammessa con decreto dell’11 dicembre 2020.
4.– In data 21 dicembre
2020, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato atto di rinuncia
al ricorso, in conformità alla delibera adottata dal Consiglio dei ministri
nella seduta del 25 giugno 2020, relativamente alle questioni promosse con
riferimento all’art. 8, comma 3, della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019, in
ragione della sua sopravvenuta abrogazione ad opera dell’art. 5, comma 4, della
legge della Regione Abruzzo 2 marzo 2020, n. 8, recante «Riconoscimento della
legittimità dei debiti fuori bilancio ai sensi dell’articolo 73, comma 1,
lettera a) del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, derivanti dalla
sentenza del T.A.R. Abruzzo n. 166/2018. Dipartimento Sviluppo Economico -
Turismo (DPH), modifiche alle leggi regionali 46/2019, 22/2014, 48/2019,
96/1996, 34/2019, 18/2001, 45/2001, 1/2018 e ulteriori disposizioni di
carattere urgente».
5.– In pari data, la
Regione Abruzzo ha depositato una memoria con la quale ha accettato la suddetta
rinuncia.
La difesa regionale ha,
altresì, chiesto che sia dichiarata cessata la materia del contendere in
relazione alle questioni promosse avverso le norme di cui ai commi 1, lettera
d), e 4 dell’art. 1 della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019, in ragione della
loro abrogazione e modificazione, ad opera della medesima normativa
sopravvenuta, e della loro mancata applicazione nel periodo di vigenza. Al riguardo,
la resistente ha allegato alla memoria una nota del Dipartimento Territorio -
Ambiente della Regione Abruzzo del 4 dicembre 2020 dalla quale risulta che, nel
periodo di vigenza delle norme impugnate, non è pervenuta (all’ufficio
scrivente) «alcuna comunicazione di indizione di bandi di concorso per
l’assegnazione alloggi di ERP ai sensi dell’art. 3 della vigente L.R. 96/1996».
In merito all’art. 2,
comma 1, e all’art. 4, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019 la
resistente ha insistito nelle conclusioni già rassegnate nell’atto di
costituzione, chiedendo che le relative questioni siano dichiarate infondate.
6.– In data 7 gennaio
2021, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato un ulteriore atto
di rinuncia al ricorso, come da delibera adottata dal Consiglio dei ministri
nella seduta del 18 dicembre 2020, relativamente alle questioni promosse con
riferimento ai commi 1, lettera d), e 4, dell’art. 1, della legge reg. Abruzzo
n. 34 del 2019, in ragione, rispettivamente, della loro sopravvenuta
abrogazione e modifica ad opera dell’art. 5, commi 1 e 3, della legge reg.
Abruzzo n. 8 del 2020.
La Regione Abruzzo ha
accettato la suddetta rinuncia.
1.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi
1, lettera d), e 4, 2, comma 1, 4, comma 1, e 8, comma 3, della legge della
Regione Abruzzo 31 ottobre 2019, n. 34, recante «Modifiche alla legge regionale
25 ottobre 1996, n. 96 (Norme per l’assegnazione e la gestione degli alloggi di
edilizia residenziale pubblica e per la determinazione dei relativi canoni di
locazione) e ulteriori disposizioni normative», in riferimento agli artt. 3 e
117, commi primo e secondo, lettere g) e h), della Costituzione.
Le norme impugnate
intervengono sul testo della legge della Regione Abruzzo 25 ottobre 1996, n. 96
(Norme per l’assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale
pubblica e per la determinazione dei relativi canoni di locazione),
modificandolo e integrandolo.
2.– Nelle more del
presente giudizio è stata approvata la legge della Regione Abruzzo 2 marzo
2020, n. 8, recante «Riconoscimento della legittimità dei debiti fuori bilancio
ai sensi dell’articolo 73, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 23
giugno 2011, n. 118, derivanti dalla sentenza del T.A.R. Abruzzo n. 166/2018.
Dipartimento Sviluppo Economico - Turismo (DPH), modifiche alle leggi regionali
46/2019, 22/2014, 48/2019, 96/1996, 34/2019, 18/2001, 45/2001, 1/2018 e
ulteriori disposizioni di carattere urgente», entrata in vigore il 12 marzo
2020.
L’art. 5 di questa
legge regionale, che non è stata impugnata dal Governo, ha: a) al comma 1, lettera
b), abrogato la lettera g-bis) dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Abruzzo
n. 96 del 1996 (nel testo introdotto dall’impugnato art. 1, comma 1, lettera
d); b) al comma 3, sostituito il comma 7-bis dell’art. 2 della legge reg.
Abruzzo n. 96 del 1996 (introdotto dall’impugnato art. 1, comma 4); c) al comma
4, abrogato l’impugnato art. 8, comma 3, della legge reg. Abruzzo n. 34 del
2019.
A seguito del
sopravvenuto mutamento del quadro normativo regionale, il Consiglio dei
ministri ha deliberato, nella seduta del 25 giugno 2020, la rinuncia al ricorso
limitatamente alle censure promosse nei confronti dell’art. 8, comma 3, della
legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019, e, nella seduta del 18 dicembre 2020, la
rinuncia al ricorso limitatamente alle censure promosse nei confronti dell’art.
1, commi 1, lettera d), e 4.
Per entrambe le rinunce
è pervenuta l’accettazione da parte della Regione Abruzzo.
Ai sensi dell’art. 23
delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la
rinuncia al ricorso, seguita dall’accettazione della controparte costituita,
comporta l’estinzione del processo (ex multis, ordinanze n. 266
e n. 241 del
2020).
Deve essere pertanto
dichiarata l’estinzione del processo limitatamente alle censure promosse nei
confronti dell’art. 1, commi 1, lettera d), e 4, e dell’art. 8, comma 3, della
legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019.
3.– Il comma 1 dell’art.
2 della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019 è impugnato per violazione degli
artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 18 del
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato
dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla
legge 2 agosto 2008, n. 130, e all’art. 14 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata
a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,
n. 848.
3.1.– La disposizione
impugnata ha integrato la disciplina contenuta all’art. 5 della legge reg.
Abruzzo n. 96 del 1996, aggiungendo, dopo il comma 4, i commi 4.1 e 4.2.
Il comma 4.1 stabilisce
che, «[a]i fini della verifica del requisito di cui alla lettera d) del primo
comma dell’articolo 2, i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione
europea, con esclusione di coloro in possesso dello status di rifugiato o di
protezione sussidiaria […] devono, altresì, presentare, ai sensi del combinato
disposto dell’articolo 3, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica
28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di documentazione amministrativa) e dell’articolo 2
del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento
recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma
dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), la
documentazione che attesti che tutti i componenti del nucleo familiare non
possiedono alloggi adeguati nel Paese, di origine o di provenienza»; e che
«[l]a disposizione di cui al periodo precedente non si applica nei confronti
dei cittadini di Paesi terzi qualora convenzioni internazionali dispongano
diversamente o qualora le rappresentanze diplomatiche o consolari dichiarino
l’impossibilità di acquisire tale documentazione nel paese di origine o di
provenienza».
Il comma 4.2 dispone
che, «[a]i fini della verifica del requisito di cui alla lettera f) del primo
comma dell’articolo 2, i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione
europea, con esclusione di coloro in possesso dello status di rifugiato o di
protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 251/2007,
devono, altresì, presentare, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 3,
comma 4, del D.P.R. 445/2000 e dell’articolo 2 del D.P.R. 394/1999, la
documentazione reddituale e patrimoniale del Paese in cui hanno la residenza
fiscale»; e che «[l]a disposizione di cui al periodo precedente non si applica
nei confronti dei cittadini di Paesi terzi qualora convenzioni internazionali
dispongano diversamente o qualora le rappresentanze diplomatiche o consolari dichiarino
l’impossibilità di acquisire tale documentazione nel Paese di origine o di
provenienza».
La norma impugnata ha
quindi previsto un duplice onere documentale aggiuntivo per «i cittadini di
Stati non appartenenti all’Unione europea, con esclusione di coloro in possesso
dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria», nel senso che essi sono
tenuti a produrre anche:
- la documentazione che
attesti che tutti i componenti del nucleo familiare non possiedono alloggi
adeguati nel Paese, di origine o di provenienza (comma 4.1), ai fini della
verifica della «non titolarità di diritti di [proprietà, usufrutto, uso ed
abitazione] su uno o più alloggi, ubicati all’interno del territorio nazionale
o all’estero» (art. 2, comma 1, lettera d, della legge reg. Abruzzo n. 96 del
1996);
- la documentazione
reddituale e patrimoniale del Paese in cui hanno la residenza fiscale (comma
4.2), ai fini della verifica della «condizione economica del nucleo familiare»
(art. 2, comma 1, lettera f, della legge reg. Abruzzo n. 96 del 1996).
È previsto inoltre che
la disposizione non si applichi nei confronti dei cittadini di Paesi terzi
qualora convenzioni internazionali dispongano diversamente o qualora le
rappresentanze diplomatiche o consolari dichiarino l’impossibilità di acquisire
tale documentazione nel Paese di origine o di provenienza.
3.2.– Secondo il
ricorrente, la norma determinerebbe «una disparità di trattamento tra cittadini
italiani/comunitari e cittadini non comunitari, poiché viene richiesta solo a
questi ultimi la produzione di documentazione ulteriore per l’accesso agli
alloggi di edilizia residenziale pubblica».
A sostegno della
lamentata illegittimità sono richiamati gli artt. 2, comma 5, e 43, comma 1,
del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero), in virtù dei quali, rispettivamente, «[a]llo
straniero è riconosciuta parità di trattamento con il cittadino relativamente
alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei
rapporti con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici servizi,
nei limiti e nei modi previsti dalla legge», e «costituisce discriminazione
ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una
distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il
colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le
pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di
compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di
parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico,
economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica».
Nel caso di specie si
sarebbe disposto «un controllo ulteriore e rafforzato su quanto dichiarato ai
fini ISEE» e si sarebbe, di riflesso, in presenza di «un aggravio
procedimentale che rappresenta una discriminazione diretta, essendo trattati
diversamente soggetti nelle medesime condizioni di partenza e aspiranti alla
stessa prestazione sociale agevolata».
Il ricorrente ricorda
che l’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) «è lo strumento
di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica di
coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate» (art. 2, comma 1, del
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159,
recante «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione
e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica
equivalente – ISEE»). Questo strumento di valutazione prevede la denuncia (sia
per i cittadini italiani sia per gli stranieri) di redditi e patrimoni anche
posseduti all’estero, mediante la compilazione della Dichiarazione sostitutiva unica
(DSU). L’ISEE è calcolato, oltre che sulle informazioni raccolte con la DSU,
anche sulla base di quelle disponibili negli archivi dell’Istituto nazionale
della previdenza sociale (INPS) e dell’Agenzia delle entrate (art. 2, comma 6,
del d.P.C.m. n. 159 del 2013).
La Regione si difende
osservando che la norma impugnata troverebbe «puntuale fondamento nella
normativa statale di settore» e costituirebbe «naturale svolgimento sul piano
della disciplina dei procedimenti amministrativi di competenza regionale»,
richiamando in proposito l’art. 3, comma 4, del d.P.R.
28 dicembre 2000, n. 445, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di documentazione amministrativa (Testo A)», e l’art.
2, comma 2-bis, del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394
(Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio
1998, n. 286).
In particolare, la
ratio della disposizione risiederebbe nell’esigenza di «evitare vere e proprie
"discriminazioni alla rovescia”, che, nel vigore della disciplina previgente,
si concretizzavano in oneri probatori meno gravosi per il cittadino extracomunitario
rispetto al cittadino italiano/europeo». Essa consentirebbe, infatti, alle
amministrazioni competenti di verificare la veridicità delle autodichiarazioni
rese dal cittadino extracomunitario, al fine di prevenire «abusi e gravi
disparità di trattamento» in danno dei cittadini italiani ed europei.
La difesa regionale
aggiunge che gli strumenti previsti dalla normativa statale per la verifica
della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali
agevolate (ISEE e DSU, oltre alle informazioni disponibili negli archivi
dell’INPS e dell’Agenzia delle entrate) si rivelano, con riferimento allo
straniero extracomunitario, «del tutto inadeguat[i] a
fornire gli elementi necessari a dimostrare i requisiti richiesti per accedere
all’edilizia popolare», sia perché si tratta di informazioni non verificabili
senza la collaborazione delle autorità del paese di provenienza, sia perché i
dati presenti negli archivi dell’INPS e dell’Agenzia delle entrate non
consentono di acquisire tutte le informazioni reddituali e patrimoniali
relative agli stranieri extracomunitari.
3.3.– In ragione del
differente contenuto e del diverso ambito di riferimento dei commi 4.1 e 4.2,
introdotti dalla norma impugnata, l’unitaria censura statale deve essere
esaminata disgiuntamente.
3.3.1.– La questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 34
del 2019, nella parte in cui ha introdotto il comma 4.1 dell’art. 5 della legge
reg. Abruzzo n. 96 del 1996, è fondata.
La norma impugnata, la
quale obbliga «i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea» a
presentare «la documentazione che attesti che tutti i componenti del nucleo
familiare non possiedono alloggi adeguati nel Paese, di origine o di
provenienza», si inserisce in una cornice normativa, quella della legge reg.
Abruzzo n. 96 del 1996, che già da prima prevedeva, come requisito per la
partecipazione al bando di concorso per l’assegnazione degli alloggi, la «non
titolarità di diritti di [proprietà, usufrutto, uso ed abitazione] su uno o più
alloggi, ubicati all’interno del territorio nazionale o all’estero» (art. 2,
comma 1, lettera d, della legge reg. Abruzzo n. 96 del 1996), da asseverare
mediante apposita dichiarazione (art. 5, commi 1, 2, 3 e 4, della medesima
legge regionale) resa nei modi previsti dall’art. 4 della legge 4 gennaio 1968,
n. 15 (Norme sulla documentazione amministrativa e sulla legalizzazione e
autenticazione di firme), nel frattempo abrogata e sostituita dall’art. 47 del d.P.R. n. 445 del 2000.
L’onere di rendere
questa dichiarazione circa la non titolarità di diritti su alloggi di qualsiasi
tipo in Italia o all’estero grava su chi intende partecipare al bando per
l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica a prescindere
dallo status di cittadino italiano o di altro Paese dell’Unione europea o di
Paesi extraeuropei.
La norma oggetto
dell’odierno giudizio si rivolge, invece, solo ai «cittadini di Stati non
appartenenti all’Unione europea» e solo a costoro richiede di presentare, «[a]i
fini della verifica del requisito di cui alla lettera d) del primo comma
dell’articolo 2», «la documentazione che attesti che tutti i componenti del
nucleo familiare non possiedono alloggi adeguati nel Paese, di origine o di
provenienza».
L’onere documentale
così introdotto riguarda una situazione diversa da quella oggetto della
previsione generale di cui all’art. 2, comma 1, lettera d), legge reg. Abruzzo
n. 96 del 1996: mentre infatti quest’ultima disposizione concerne la titolarità
di diritti di proprietà, usufrutto, uso ed abitazione su uno o più alloggi
(quindi a prescindere dalla loro "adeguatezza”), ubicati all’interno del
territorio nazionale o all’estero (dunque, non solo nel Paese di origine o di
provenienza), la norma censurata fa riferimento al possesso di alloggi adeguati
nel Paese di origine o di provenienza. Il suo ambito di applicazione non
comprende invero né gli alloggi di cui il richiedente non abbia il possesso,
pur essendo titolare di diritti su di essi, né gli alloggi ubicati in Paesi
extraeuropei diversi da quello di origine o di provenienza, né infine alloggi
che non siano "adeguati”.
Alla luce di queste
precisazioni, l’onere procedimentale prescritto dalla disposizione in esame
risulta in radice irragionevole innanzitutto per la palese irrilevanza e per la
pretestuosità del requisito che mira a dimostrare. Se, infatti, lo scopo della
normativa nella quale la disposizione impugnata si colloca è di garantire un
alloggio adeguato nel luogo di residenza in Regione a chi si trovi nelle
condizioni di bisogno individuate dalla legge, il possesso da parte di uno dei
componenti del nucleo familiare del richiedente di un alloggio adeguato nel
Paese di origine o provenienza non appare sotto alcun profilo rilevante. Non lo
è sotto il profilo dell’indicazione del bisogno, giacché, intesa l’espressione
"alloggio adeguato” come alloggio idoneo a ospitare il richiedente e il suo
nucleo familiare, è evidente che la circostanza che qualcuno del medesimo
nucleo familiare possegga, nel Paese di provenienza, un alloggio siffatto non
dimostra nulla circa l’effettivo bisogno di un alloggio in Italia. E non lo è
nemmeno come indicatore della situazione patrimoniale del richiedente, per la
quale non offre alcun significativo elemento aggiuntivo rispetto a quanto già
si desume dalla generale attestazione di non titolarità di diritti su alloggi
all’interno del territorio nazionale o all’estero, prevista dall’art. 2, comma
1, lettera d), della legge reg. Abruzzo n. 96 del 1996.
Oltre che irragionevole
per le ragioni appena esposte, la previsione risulta altresì discriminatoria.
Tale carattere dell’onere aggiuntivo a carico dei soli cittadini
extracomunitari – sul presupposto (indimostrato) che a essi sarebbero riservati
«oneri probatori meno gravosi» di quelli imposti ad altri cittadini – appare
evidente, solo che si consideri il fatto che le asserite difficoltà di verifica
del possesso di alloggi in Paesi extraeuropei possono riguardare anche
cittadini italiani o di altri Paesi dell’Unione europea, i quali invece sono
esclusi dall’ambito di applicazione della normativa impugnata.
Si tratta, dunque, di
un aggravio procedimentale che si risolve in uno di quegli «ostacoli di ordine
pratico e burocratico» che questa Corte ha ripetutamente censurato, ritenendo
che in questo modo il legislatore (statale o regionale) discrimini alcune
categorie di individui (sentenze n. 186 del
2020 e n.
254 del 2019).
Per le ragioni
anzidette deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2,
comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019, nella parte in cui ha
introdotto il comma 4.1 dell’art. 5 della legge reg. Abruzzo n. 96 del 1996.
3.3.2.– La questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 34
del 2019, nella parte in cui ha introdotto il comma 4.2 dell’art. 5 della legge
reg. Abruzzo n. 96 del 1996, non è invece fondata, nei termini di seguito
indicati.
Della disposizione
impugnata, che impone ai soli cittadini extracomunitari di produrre la
documentazione reddituale e patrimoniale del Paese in cui hanno la residenza
fiscale (comma 4.2), ai fini della verifica della «condizione economica del
nucleo familiare» (art. 2, comma 1, lettera f, della legge reg. Abruzzo n. 96
del 1996), e che potrebbe per questo essere sospettata di loro irragionevole
discriminazione, è infatti possibile un’interpretazione in senso conforme alla
Costituzione per due distinti e concorrenti profili.
Per un primo aspetto,
essa deve essere intesa nel senso che l’onere aggiuntivo prescritto opera solo
se il richiedente (che, per accedere al bando, deve avere la residenza
anagrafica in Italia da almeno cinque anni) ha la residenza fiscale in un Paese
diverso dall’Italia (comma 4.2). Solo in questo caso, infatti, l’obbligo di
produzione della prescritta ulteriore documentazione può avere una ragionevole
giustificazione, in quanto diretto a dare conto di una condizione reddituale e
patrimoniale che, per il fatto di non avere il soggetto interessato la
residenza fiscale in Italia, sfugge alle possibilità di controllo delle
autorità italiane e in concreto alle verifiche previste dalla normativa in
materia.
Sotto un secondo profilo,
la previsione – ugualmente contenuta nella disposizione impugnata – che l’onere
in questione non trova applicazione, tra l’altro, «qualora le rappresentanze
diplomatiche o consolari dichiarino l’impossibilità di acquisire tale
documentazione nel Paese di origine o di provenienza», deve essere interpretata
in modo da non far gravare sul richiedente le conseguenze del ritardo o delle
difficoltà nell’acquisire la documentazione in parola, ciò che la renderebbe
costituzionalmente illegittima in quanto irragionevolmente discriminatoria.
Solo assimilando all’«impossibilità di acquisire tale documentazione» anche
l’estrema difficoltà di acquisirla ovvero la mancata risposta entro un termine
congruo da parte delle autorità competenti, infatti, si può ritenere che al
cittadino extracomunitario, al quale per regola non può essere riservato, nei
rapporti con l’amministrazione, un trattamento meno favorevole di quello
riservato agli altri cittadini, non sia imposto un aggravio procedimentale
vessatorio. Resta fermo, ovviamente, che spetta al richiedente dimostrare di
aver fatto quanto necessario secondo l’ordinaria diligenza per procurarsi la
documentazione o di non essere riuscito comunque ad ottenerla.
Così complessivamente
interpretata, la norma regionale denunciata si sottrae alle censure di
illegittimità costituzionale formulate dal ricorrente, con la conseguenza che,
nei detti termini, la relativa questione non è fondata.
4.– L’art. 4, comma 1,
della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019 è impugnato per violazione degli artt.
3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 24 della
direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile
2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di
circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
La disposizione in
esame ha inserito, dopo la lettera c) del secondo comma dell’art. 8 della legge
reg. Abruzzo n. 96 del 1996, la lettera c-bis), che individua un ulteriore
elemento rilevante per l’attribuzione di punteggi al fine della formazione
della graduatoria di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale
pubblica. Più precisamente essa dà rilievo all’«anzianità di residenza in
Comuni della regione Abruzzo», prevedendo l’attribuzione di un punto «per ogni
anno di residenza a partire dal decimo anno di residenza e fino ad un massimo
di 6 Punti».
4.1.– Secondo il
ricorrente, la norma introdurrebbe un «requisito aggiuntivo regionale» rispetto
a quelli valutabili ai fini dell’attribuzione dei punteggi relativi alle
condizioni soggettive e oggettive del concorrente e del suo nucleo familiare,
nonché rispetto ai criteri di priorità riferiti al livello di gravità del
bisogno abitativo.
L’art. 4, comma 1,
della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019 violerebbe così l’art. 3 Cost., poiché
non sussisterebbe «alcuna ragionevole correlabilità
tra tale requisito e lo stato di bisogno riferito alla persona in quanto tale
che, per la sua stessa natura, non tollera distinzioni basate su particolari
tipologie di residenza».
La norma impugnata
avrebbe un carattere discriminatorio «non soltanto nei confronti dei cittadini
italiani che risiedono nella Regione Abruzzo da meno di dieci anni, ma anche
dei cittadini degli altri Stati membri dell’U.E., che versano nella medesima
situazione, ai quali è attribuita la parità di trattamento con i cittadini
degli Stati membri in cui risiedono ai sensi dell’art. 24 della direttiva
2004/39/CE […] recepita con d.lgs. 30/2007».
La Regione Abruzzo si
difende sostenendo che le censure mosse dal Presidente del Consiglio dei
ministri fanno leva su principi affermati da questa Corte in relazione a
disposizioni di portata del tutto diversa da quella delle norme oggetto
dell’odierno giudizio. In particolare, la norma regionale contestata, che assegna
un punto per ogni anno di residenza a partire dal decimo e fino a un massimo di
sei, non avrebbe previsto un requisito per l’accesso alle misure di assistenza
abitativa, a differenza di quanto stabilisce invece l’originario art. 2, comma
1, lettera b), della legge reg. Abruzzo n. 96 del 1996, che individua nella
residenza anagrafica da almeno cinque anni nel bacino di utenza del Comune che
emana il bando un vero e proprio requisito di accesso al servizio.
La disposizione
impugnata avrebbe introdotto «solo un meccanismo premiale, volto ad assegnare
[…] punti aggiuntivi ai soggetti che possano dimostrare un più incisivo
radicamento sul territorio e ciò a prescindere dalla cittadinanza italiana,
europea o extracomunitaria».
4.2.– La questione di
legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 34
del 2019 è fondata.
4.2.1.– Questa Corte ha
già avuto modo di soffermarsi, ai fini della valutazione della sua legittimità,
sul possibile rilievo dell’anzianità di residenza in un determinato territorio
in funzione dell’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica,
muovendo dalla generale considerazione che i criteri adottati dal legislatore
per la selezione dei beneficiari dei servizi sociali devono presentare un
collegamento con la funzione del servizio (ex plurimis,
sentenze n. 281
e n. 44 del 2020,
n. 166 e n. 107 del 2018,
n. 168 del 2014,
n. 172 e n. 133 del 2013
e n. 40 del 2011).
In particolare, nella sentenza n. 44 del
2020, ha affermato che «[i]l giudizio sulla sussistenza e sull’adeguatezza
di tale collegamento – fra finalità del servizio da erogare e caratteristiche
soggettive richieste ai suoi potenziali beneficiari – è operato da questa Corte
secondo la struttura tipica del sindacato svolto ai sensi dell’art. 3, primo
comma, Cost., che muove dall’identificazione della ratio della norma di
riferimento e passa poi alla verifica della coerenza con tale ratio del filtro
selettivo introdotto». Nella pronuncia è precisato inoltre che, «[m]entre si possono immaginare requisiti di accesso
sicuramente coerenti con la funzione – l’esclusione dal servizio, ad esempio,
dei soggetti che dispongono già di un proprio alloggio idoneo si pone in linea
con la sua ratio, che è appunto quella di dotare di un alloggio chi ne è privo
– risulta con essa incongrua l’esclusione di coloro che non abbiano risieduto
nella regione nei cinque anni precedenti la domanda di alloggio, non essendo
tale requisito rivelatore di alcuna condizione rilevante in funzione del
bisogno che il servizio tende a soddisfare», con l’effetto che l’accesso
all’ERP sarebbe negato «a prescindere da qualsiasi valutazione attinente alla
situazione di bisogno o di disagio del richiedente (quali ad esempio condizioni
economiche, presenza di disabili o di anziani nel nucleo familiare, numero dei
figli)»; conseguenza, questa, «incompatibile con il concetto stesso di servizio
sociale, come servizio destinato prioritariamente ai soggetti economicamente
deboli (sentenza
n. 107 del 2018, che cita l’art. 2, comma 3, della legge n. 328 del 2000)».
Questa Corte ha altresì
affermato che «[l]a previa residenza ultraquinquennale
non è di per sé indice di un’elevata probabilità di permanenza in un
determinato ambito territoriale, mentre a tali fini risulterebbero ben più
significativi altri elementi sui quali si può ragionevolmente fondare una
prognosi di stanzialità», osservando che «la rilevanza conferita a una
condizione del passato, quale è la residenza nei cinque anni precedenti, non
sarebbe comunque oggettivamente idonea a evitare il "rischio di instabilità”
del beneficiario dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica, obiettivo che
dovrebbe invece essere perseguito avendo riguardo agli indici di probabilità di
permanenza per il futuro».
Nello stesso contesto,
è stato chiarito che il «"radicamento” territoriale, quand’anche fosse
adeguatamente valutato (non con riferimento alla previa residenza protratta),
non potrebbe comunque assumere importanza tale da escludere qualsiasi rilievo
del bisogno», essendo irragionevole che «[d]ata la
funzione sociale del servizio di edilizia residenziale pubblica […] anche i
soggetti più bisognosi siano esclusi a priori dall’assegnazione degli alloggi
solo perché non offrirebbero sufficienti garanzie di stabilità».
Cosicché, se «[l]a
prospettiva della stabilità può rientrare tra gli elementi da valutare in sede
di formazione della graduatoria […]», essa «non può costituire una condizione
di generalizzata esclusione dall’accesso al servizio, giacché ne risulterebbe
negata in radice la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica»; di
conseguenza, le norme che prevedono come requisito la residenza protratta per
un certo periodo devono essere «vagliate con particolare attenzione, in quanto
implicano il rischio di privare certi soggetti dell’accesso alle prestazioni
pubbliche solo per il fatto di aver esercitato il proprio diritto di
circolazione o di aver dovuto mutare regione di residenza» (sentenza n. 107 del
2018).
4.2.2.– Nel presente
giudizio non sono impugnate le norme regionali che prevedono, come requisito
per la partecipazione, la residenza protratta per almeno cinque anni nel
territorio nazionale e nel bacino di utenza cui appartiene il Comune che emana
il bando (art. 2, comma 1, lettere a e b, della legge reg. Abruzzo n. 96 del
1996). Viene invece in rilievo la previsione, introdotta dalla legge reg.
Abruzzo n. 34 del 2019, che, come correttamente osserva la Regione, introduce,
non un requisito di accesso, ma un meccanismo premiale in ragione della residenza
prolungata per almeno dieci anni in comuni della Regione Abruzzo.
Questa Corte è quindi
chiamata a valutare «in concreto» (come indica la stessa sentenza n. 44 del
2020) se l’assegnazione di un determinato punteggio alla residenza
protratta per un certo periodo sia coerente con il fine perseguito (di garanzia
di un’adeguata stabilità nell’ambito della Regione), e se ciò non sia
discriminatorio.
La previsione deve
dunque essere sottoposta a uno scrutinio che ne valorizzi gli elementi di
contesto in relazione ai profili indicati: in altri termini essa deve essere
valutata all’interno del sistema costituito dalle norme che stabiliscono i
punteggi da assegnare ai richiedenti in ragione delle loro condizioni
soggettive e oggettive, e da quelle che definiscono i requisiti di accesso al
servizio.
Muovendo da questa
prospettiva, dalla disciplina regionale si deduce che il punteggio massimo da attribuire
alle condizioni soggettive (reddito e numero dei componenti il nucleo
familiare) è di 5 punti; quello per le condizioni oggettive (gravità del
disagio abitativo) è di 9 punti; quello per le «condizioni aggiuntive
regionali» è di 5 punti; infine, quello per la residenza protratta (di cui alla
norma impugnata) è di 6 punti.
Se si considera,
dunque, il complessivo punteggio attribuibile ai fini della selezione degli
assegnatari, e se solo si raffronta il punteggio massimo assegnabile per le
condizioni soggettive del richiedente con quello massimo ottenibile in base
alla residenza protratta, non si può non constatare l’evidente
"sopravvalutazione”, operata dal legislatore regionale, della situazione
connessa all’anzianità di residenza rispetto al rilievo conferito alle altre
condizioni, e segnatamente a quelle che più rispecchiano la situazione di
bisogno alla quale il servizio tende a porre rimedio. In applicazione dei
criteri anzidetti, infatti, si perverrebbe, solo per fare un esempio,
all’irragionevole conseguenza che un nucleo familiare numeroso, dotato di un
alloggio inadeguato o fatiscente, ma non in grado di far valere il punteggio
aggiuntivo connesso alla residenza ultradecennale, verrebbe sopravanzato in
graduatoria da un nucleo composto da una o due persone, dotato di analogo
alloggio, solo perché in grado di vantare una durata di residenza idonea a
produrre tutti i sei punti aggiuntivi a tale scopo assegnati.
Emerge quindi un
assetto normativo che tende a "sopravvalutare” una «condizione del passato» (sentenza n. 44 del
2020) rispetto alle condizioni (soggettive e oggettive) del presente, senza
peraltro che dalla residenza protratta per almeno dieci anni possa trarsi alcun
ragionevole indice di probabilità della permanenza nel futuro.
Nella più volte
richiamata sentenza
n. 44 del 2020, questa Corte ha precisato che il legislatore regionale ben
può dare rilievo, ai fini della determinazione del punteggio per la formazione
della graduatoria di accesso, alla «prospettiva della stabilità», ma tale
aspetto, se può concorrere a determinare la posizione dei beneficiari, deve
nondimeno conservare un carattere meno rilevante rispetto alla necessaria
centralità dei fattori significativi della situazione di bisogno alla quale
risponde il servizio, quali sono quelli che indicano condizioni soggettive e
oggettive dei richiedenti. E quale potrebbe invece essere, in ipotesi, un’"anzianità
di presenza” del richiedente, non genericamente nel territorio regionale, ma
precisamente nella graduatoria degli aventi diritto, giacché questa circostanza
darebbe evidenza a un fattore di bisogno rilevante in funzione del servizio
erogato, e quindi idoneo a combinare il dato del radicamento con quello dello
stesso bisogno.
A ciò si aggiunga, che,
come ricordato, la stessa residenza protratta costituisce solo un indice debole
di quella stessa «prospettiva della stabilità», alla quale, nei termini
anzidetti, può essere dato legittimo rilievo in ponderata concorrenza con i
fattori che dimostrano invece l’effettivo grado di necessità dell’alloggio da
parte dei richiedenti.
In conclusione, il peso
esorbitante assegnato al dato del radicamento territoriale nel più generale
punteggio per l’assegnazione degli alloggi, il carattere marginale del dato
medesimo in relazione alle finalità del servizio di cui si tratta, e la stessa
debolezza dell’indice della residenza protratta quale dimostrazione della prospettiva
di stabilità, concorrono a determinare l’illegittimità costituzionale della
previsione in esame, in quanto fonte di discriminazione di tutti coloro che –
siano essi cittadini italiani, cittadini di altri Stati UE o cittadini
extracomunitari – risiedono in Abruzzo da meno di dieci anni rispetto ai
residenti da almeno dieci anni.
Da questo punto di
vista, coglie nel segno l’argomentazione del ricorrente che, nel censurare la
norma impugnata, sottolinea come la normativa riguardante l’assegnazione degli
alloggi di edilizia residenziale pubblica sia finalizzata a soddisfare un
bisogno della «persona in quanto tale che, per sua stessa natura, non tollera
distinzioni basate su particolari tipologie di residenza». È il «pieno sviluppo
della persona umana» (art. 3, secondo comma, Cost.) la bussola che deve
orientare l’azione del legislatore, sia statale sia regionale, specie quando è
chiamato a erogare prestazioni e servizi connessi ai bisogni vitali
dell’individuo, come quello abitativo. Ogni tentativo di far prevalere sulle
condizioni soggettive e oggettive del richiedente valutazioni diverse, quali in
particolare quelle dirette a valorizzare la stabile permanenza nel territorio,
sia nazionale sia comunale, deve essere quindi oggetto di uno stretto scrutinio
di costituzionalità che verifichi la congruenza di siffatte previsioni rispetto
all’obiettivo di assicurare il diritto all’abitazione ai non abbienti e ai
bisognosi.
Per le ragioni
anzidette deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4,
comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della
legge della Regione Abruzzo 31 ottobre 2019, n. 34, recante «Modifiche alla
legge regionale 25 ottobre 1996, n. 96 (Norme per l’assegnazione e la gestione
degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e per la determinazione dei
relativi canoni di locazione) e ulteriori disposizioni normative», nella parte
in cui ha introdotto il comma 4.1 dell’art. 5 della legge della Regione Abruzzo
25 ottobre 1996, n. 96 (Norme per l’assegnazione e la gestione degli alloggi di
edilizia residenziale pubblica e per la determinazione dei relativi canoni di
locazione);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1,
della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019;
3) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge reg.
Abruzzo n. 34 del 2019, nella parte in cui ha introdotto il comma 4.2 dell’art.
5 della legge reg. Abruzzo n. 96 del 1996, promossa, in riferimento agli artt.
3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 18
del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato
dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla
legge 2 agosto 2008, n. 130, e all’art. 14 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata
a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,
n. 848, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in
epigrafe;
4) dichiara estinto il processo limitatamente alle questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1, lettera d), e 4, e 8, comma
3, della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019, promosse, in riferimento agli artt.
3 e 117, secondo comma, lettere g) e h), Cost., dal Presidente del Consiglio
dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio
2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO,
Presidente
Daria de PRETIS,
Redattore
Roberto MILANA,
Direttore della Cancelleria
Depositata in
Cancelleria il 29 gennaio 2021.