SENTENZA
N. 88
ANNO 2014
I. Manuela Salvago, I nuovi controlli della Corte dei conti sulla
gestione finanziaria regionale (art. 1, d.l. n. 174
del 2012) nei più recenti approdi della giurisprudenza costituzionale,
per g.c. di Federalismi.it
II. Luca Grimaldi, La
Corte accoglie solo parzialmente alcune istanze regionaliste, ma conferma,
nella sostanza, la disciplina di attuazione del principio di equilibrio dei
bilanci pubblici (note a margine della sentenza Corte
cost. n. 88/2014), per g.c. di Amministrazione in cammino
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 9, commi 2 e 3, 10,
commi 3, 4 e 5, 11 e 12 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni
per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo
81, sesto comma, della Costituzione), promossi
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di
Trento con ricorsi notificati il 16 marzo 2013, depositati in cancelleria il 20
ed il 21 marzo 2013 ed iscritti ai nn. 48 e 49 del
registro ricorsi 2013.
Visti
gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio
dei ministri;
udito
nell’udienza pubblica dell’11 febbraio 2014 il
Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi
gli avvocati Giandomenico Falcon
per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Giandomenico Falcon
e Luigi Manzi per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato
Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1.−
La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e la Provincia autonoma di Trento
hanno impugnato gli artt. 9, commi 2 e 3, 10, commi 3, 4 e 5, 11 e 12,
contenuti nel Capo IV, rubricato «Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli
enti locali e concorso dei medesimi enti alla sostenibilità del debito
pubblico», della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione
del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma,
della Costituzione), in quanto violerebbero le proprie prerogative
costituzionali e statutarie.
1.1.−
Nel rivolgere le proprie censure in primo luogo avverso l’art. 10, esse
evidenziano come, a mente dei commi 1 e 2 non impugnati, il ricorso delle
autonomie territoriali all’indebitamento sia consentito esclusivamente per
finanziare spese di investimento, e le relative operazioni possano essere
effettuate «solo contestualmente all’adozione di piani di ammortamento di
durata non superiore alla vita utile dell’investimento, nei quali sono
evidenziate l’incidenza delle obbligazioni assunte sui singoli esercizi finanziari
futuri nonché le modalità di copertura degli oneri corrispondenti».
La Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia e la Provincia autonoma di Trento impugnano,
invece, i commi 3, 4 e 5, che sarebbero lesivi delle proprie competenze perché
dettano una disciplina analitica e di dettaglio delle operazioni di
indebitamento già regolate in maniera più favorevole dagli statuti.
In
particolare, ai sensi del comma 3, «Le operazioni di indebitamento di cui al
comma 2 sono effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito
regionale che garantiscano, per l’anno di riferimento, l’equilibrio della
gestione di cassa finale del complesso degli enti territoriali della regione
interessata, compresa la medesima regione […]»; ciascun ente territoriale «può
in ogni caso ricorrere all’indebitamento nel limite delle spese per rimborsi di
prestiti risultanti dal proprio bilancio di previsione».
Il comma 4,
proseguono le ricorrenti, prevede che, «Qualora, in sede di rendiconto, non sia
rispettato l’equilibrio di cui al comma 3, primo periodo, il saldo negativo
concorre alla determinazione dell’equilibrio della gestione di cassa finale
dell’anno successivo del complesso degli enti della regione interessata,
compresa la medesima regione, ed è ripartito tra gli enti che non hanno
rispettato il saldo previsto».
Infine, in
base al comma 5, «Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
adottato d’intesa con la Conferenza permanente per il coordinamento della
finanza pubblica, sono disciplinati criteri e modalità di attuazione del
presente articolo».
1.2.−
Rammentano le ricorrenti che esse godono di autonomia finanziaria in forza dei
propri statuti [artt. 48 e seguenti della legge costituzionale 31 gennaio 1963,
n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) e artt. 69 e
seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige)].
1.2.1.−
La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in particolare, fa presente che ai
sensi dell’art. 52 dello statuto ha facoltà di emettere prestiti interni da
essa garantiti, per provvedere ad investimenti in opere permanenti, per un
importo annuale non superiore alle sue entrate ordinarie; che la sua competenza
in materia è collegata anche alla propria autonomia organizzativa, poiché la
materia «ordinamento degli uffici» (art. 4, comma 1, numero 1, dello statuto)
comprende anche la contabilità regionale, ed essa ha esercitato tale competenza
con la legge regionale 8 agosto 2007, n. 21 (Norme in materia di programmazione
finanziaria e contabilità regionale), che all’art. 24 regola il ricorso al
mercato finanziario, disponendo, al comma 2, che «L’importo complessivo annuale
delle rate di ammortamento per capitale e interessi derivante dal ricorso al
mercato finanziario non può superare il 10 per cento dell’ammontare complessivo
delle entrate derivanti dai tributi propri e dalle compartecipazioni nette di
tributi erariali previsto in ciascuno degli esercizi finanziari compresi nel
bilancio pluriennale».
1.2.2.−
La Provincia autonoma di Trento, invece, rammenta che l’art. 74 dello statuto
dispone che «la regione e le provincie possono ricorrere all’indebitamento solo
per il finanziamento di spese di investimento, per una cifra non superiore alle
entrate correnti»; l’art. 16 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268
(Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in
materia di finanza regionale e provinciale) statuisce che «Spetta alla regione
e alle provincie emanare norme in materia di bilanci, di rendiconti, di
amministrazione del patrimonio e di contratti della regione e delle province
medesime e degli enti da esse dipendenti».
Tale
competenza, prosegue la ricorrente, è stata esercitata con la legge provinciale
14 settembre 1979, n. 7 (Norme in materia di bilancio e di contabilità generale
della Provincia autonoma di Trento) e dell’indebitamento si occupa, in
particolare, l’art. 31. La materia sarebbe ulteriormente regolata dagli artt.
29, 29-bis e 30 del decreto del
Presidente della Provincia 29 settembre 2005, n. 18-48/Leg. (Regolamento di
contabilità di cui all’articolo 78-ter
della legge provinciale 14 settembre 1979, n. 7 e s.m.).
Lo stesso
statuto, poi, all’art. 79, regolerebbe in maniera precisa, esaustiva ed
esclusiva i modi in cui le Province assolvono gli «obblighi di carattere
finanziario posti dall’ordinamento comunitario, dal patto di stabilità interno
e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla
normativa statale», espressamente prevedendo che «Le misure di cui al comma 1
possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista
dall’articolo 104 e fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il
concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1», e che «non si
applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante
territorio nazionale».
1.3.−
Avendo le norme impugnate scopo di «stabilizzazione finanziaria», proseguono le
ricorrenti, esse non potrebbero essere unilateralmente imposte alle autonomie
speciali, dovendosi seguire il principio dell’accordo, fissato dalla legge 13
dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2011), e prima ancora dalla
legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al
Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione).
Entrambe le
ricorrenti precisano di non volersi sottrarre ai princìpi della sostenibilità
del debito delle pubbliche amministrazioni e dell’equilibrio di bilancio, ma
ritengono che la definizione delle loro modalità attuative debba avvenire con
le procedure previste dagli statuti.
1.4.−
Sotto altro profilo, poi, i commi 3, 4 e 5 dell’art. 10 citato sarebbero
illegittimi anche nella parte in cui si applicano ai Comuni insistenti nei
territori delle autonomie ricorrenti, avendo esse competenza legislativa in
materia di finanza locale [
Le norme
censurate, dunque, violerebbero tali parametri perché disciplinano in modo
dettagliato l’indebitamento dei Comuni e, aggiunge la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, avendo scopo di coordinamento della finanza pubblica, violerebbero
anche i commi 134, 154 e 155 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010, regolanti
in via esclusiva le modalità di realizzazione, da parte delle Regioni autonome
e dei loro enti locali, degli obiettivi sui saldi di finanza pubblica
concordati con lo Stato.
1.5.−
Proseguono le ricorrenti, evidenziando come il comma 5 dell’art. 10 impugnato,
in base al quale i criteri e le modalità di attuazione dell’articolo medesimo
sono rimessi ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sia
illegittimo perché contempla un atto normativo rimesso ad una fonte secondaria
statale in un ambito di competenza regionale, in violazione dell’art. 117,
sesto comma, Cost.; e perché viola l’art. 5, comma 2, lettera b), della legge cost. n. 1 del 2012, che
rinvia alla legge la disciplina dell’indebitamento.
1.6.−
Le ricorrenti ritengono, ancora, che il comma 5 impugnato sia illegittimo per
violazione del principio di leale collaborazione, in quanto prevede che il
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sia adottato non d’intesa con
la Conferenza unificata ma con la Conferenza permanente per il coordinamento
della finanza pubblica, ove le autonomie territoriali sono coinvolte solo in
modo parziale e con esclusione dei Presidenti di Regione e Provincia.
1.7.−
L’illegittimità dell’art. 10, commi 3 e 5, infine, renderebbe «illegittimo
anche l’art. 9, commi 2 e 3, nella parte in cui richiamano, rispettivamente, il
comma 4 dell’articolo 10, tenendone ferma la disciplina, e "le modalità
previste dall’articolo
1.8.−
Entrambe le ricorrenti censurano, poi, l’art. 12, rubricato «Concorso delle
regioni e degli enti locali alla sostenibilità del debito pubblico», il quale
articolo, ai commi 2 e 3, prevede che le Regioni e gli enti locali
contribuiscono, «Nelle fasi favorevoli del ciclo economico», al Fondo per
l’ammortamento dei titoli di Stato, in una misura definita con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministrisulla base del
documento di programmazione finanziaria.
Tali norme
violerebbero l’autonomia finanziaria delle ricorrenti, poiché una parte delle
risorse previste dagli statuti (e in particolare dagli artt. 48 e 49 dello
statuto del Friuli-Venezia Giulia e dagli artt. 75 e 79 dello statuto per il
Trentino-Alto Adige) verrebbero, mediante l’imposizione del dovere di
contribuzione al fondo in parola, ad esse unilateralmente sottratte; e
violerebbero altresì l’art. 1, commi 132, 136, 152 e 156, della legge n. 220 del
2010 e, per quanto riguarda
Le norme
impugnate, aggiunge la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, prevedendo che
gli enti locali concorrano al risanamento della finanza statale, violerebbero
anche la già ricordata competenza regionale in materia di finanza locale.
1.9.−
L’art. 12, prosegue la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, violerebbe anche
l’art. 5, comma 2, lettera c), della
legge cost. n. 1 del 2012, che si limiterebbe ad affidare alla legge statale la
fissazione delle modalità del concorso delle Regioni alla sostenibilità del
debito del complesso delle pubbliche amministrazioni, mentre «l’an ed il quantum del contributo», in relazione alle autonomie speciali,
andrebbero determinati secondo le consuete modalità consensuali.
1.10.−
L’art. 12, comma 3, infine, secondo entrambe le ricorrenti, violerebbe il
principio di leale collaborazione, nella misura in cui prevede che il decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri che ripartisce il citato contributo
sia adottato non d’intesa con la Conferenza unificata ma sentita la Conferenza
permanente per il coordinamento della finanza pubblica, ove le autonomie
territoriali sono coinvolte solo in modo parziale e con esclusione dei
Presidenti di Regione e Provincia.
1.11.−
La sola Provincia autonoma di Trento, poi, impugna l’art. 11, rubricato
«Concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni
fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi
eccezionali», ed istitutivo, in attuazione dell’art. 5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012, di
un fondo alimentato con l’indebitamento statale e destinato ad essere ripartito
tra tutti gli enti territoriali.
Nonostante
l’art. 11, di per sé, possa essere considerato «favorevole» per la Provincia,
viene impugnato «per coerenza» rispetto all’art. 12, «in quanto parte dello
stesso meccanismo giuridico complessivo».
Le due
questioni sarebbero collegate, nel senso che l’art. 11 prevede un contributo
statale in favore degli enti territoriali «nelle fasi avverse del ciclo
economico», mentre l’art. 12 prevede «nelle fasi favorevoli» un contributo
degli enti territoriali al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. La
ricorrente, tuttavia, ritiene di godere, in forza dello statuto, di un regime
speciale di «neutralità», nel senso che non deve concorrere al risanamento
della finanza pubblica se non nei modi previsti dallo statuto o sulla base di
esso.
1.12.−
Per la sola ipotesi di non accoglimento delle questioni sopra dette e relative
agli artt. 11 e 12, poi, la Provincia ricorrente impugna l’art. 11, comma
2.– In
entrambi i procedimenti si è costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo, con motivazioni identiche, che i ricorsi vengano rigettati.
Osserva la
difesa erariale come la legge cost. n. 1 del 2012, che ha formalmente introdotto
nella Costituzione i principi del pareggio di bilancio e della sostenibilità
del debito pubblico, abbia rimodulato gli artt. 81, 97, 117 e 119 Cost.,
attribuendo allo Stato competenza esclusiva in materia di armonizzazione dei
bilanci pubblici e specificando l’obbligo per tutti gli enti territoriali del
rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci.
Obiettivo
primario di tale intervento normativo sarebbe stato quello di assicurare, in
coerenza con gli impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea,
l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci pubblici e il rafforzamento
del coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di
governo statale e regionale.
Quanto alle disposizioni della legge costituzionale non «incorporate» nella
Costituzione, l’art. 5, commi 1 e 2, avrebbe elencato una serie di prescrizioni
specifiche destinate ad essere definite da una successiva «legge rinforzata»,
da approvare a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera ex art. 81, sesto comma, Cost.
Tale legge
rinforzata sarebbe una fonte atipica, in quanto a «competenza riservata e
dotata di una maggiore forza passiva» rispetto alle leggi ordinarie: in base
all’art. 1 della legge medesima, l’abrogazione, la modifica o la deroga alle
disposizioni da essa introdotte è possibile solo in modo espresso, attraverso
una legge successiva, da approvare sempre a maggioranza assoluta dei componenti
delle Camere. Essa, quindi, conterrebbe norme interposte e, pertanto, sarebbe
dotata di «prevalenza gerarchica di tipo contenutistico-sostanziale» sulla
legge ordinaria.
Il rispetto
dell’equilibrio di bilancio, espressamente enunciato nella nuova formulazione
dell’art. 119 Cost., non potrebbe quindi ritenersi un’illegittima limitazione
dell’autonomia finanziaria delle Regioni o degli enti locali, ma andrebbe
considerato come una regolamentazione costituzionalmente imposta, nel rispetto
dei vincoli economici e finanziari comunitari da assicurarsi in modo uniforme
su tutto il territorio nazionale.
Con
riferimento, invece, al ricorso all’indebitamento da parte delle Regioni e
degli enti locali, l’art. 10 censurato introdurrebbe importanti novità. Esso
sarebbe possibile: 1) solo laddove siano contestualmente adottati dei piani di
investimento della durata non superiore alla vita utile dell’investimento; 2)
apposite intese regionali garantiscano l’equilibrio della gestione di cassa
finale del complesso degli enti territoriali della Regione (compresa la Regione
medesima). Quest’ultima previsione, peraltro, corrisponderebbe a quanto
previsto nel novellato art. 119, ultimo comma, Cost.
Altro
vincolo all’amministrazione finanziaria delle Regioni e degli enti locali, poi,
sarebbe rappresentato, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, dalla
previsione del concorso di tutte le amministrazioni territoriali alla
sostenibilità del debito pubblico (art. 12), mediante contribuzione, nelle fasi
favorevoli del ciclo economico, ad un fondo per l’ammortamento dei titoli di
Stato, in attuazione dei princìpi costituzionali di solidarietà e unità
dell’ordinamento ricavabili dagli artt. 5 e 119 Cost.
Tutte le
disposizioni impugnate, dunque, non porrebbero alcuna limitazione all’autonomia
finanziaria delle ricorrenti, ma risponderebbero alle prescrizioni imposte dai
novellati artt. 81, sesto comma, e 119 Cost., oltre che dall’art. 5, comma 2,
lettere b) e c) della legge cost. n. 1 del 2012. Esse, inoltre, sarebbero state
dettate nella materia dell’armonizzazione dei bilanci pubblici attribuita alla
competenza esclusiva statale e si atteggerebbero a norme interposte alla
Costituzione.
Conclude il
Presidente del Consiglio dei ministri, ricordando come la giurisprudenza della
Corte costituzionale abbia elaborato una nozione ampia dei principi di
coordinamento della finanza pubblica e ritenuto legittimo l’intervento statale
anche mediante l’esercizio di poteri di ordine amministrativo, regolazione
tecnica e rilevazione di dati e controllo.
3.−
La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e la Provincia autonoma di Trento
hanno depositato memorie con cui hanno evidenziato come la difesa dello Stato
ritenga le disposizioni censurate riconducibili all’introduzione del principio
costituzionale del rispetto dell’equilibrio di bilancio, da intendersi riferito
anche alle autonomie territoriali, e all’art. 5 della legge cost. n. 1 del
2012, il quale regolerebbe il contenuto della legge organica prevista dall’art.
81, sesto comma, Cost.
Ritengono
le ricorrenti che la legittimità delle misure imposte dal legislatore statale
non possa essere rinvenuta nel citato art. 5, poiché quest’ultimo non fissa
limiti quantitativi all’indebitamento, né regolamenta il fondo per
l’ammortamento dei titoli di Stato.
Sostiene
poi la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, da un lato, che sarebbe
indimostrato che l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., come modificato dall’art. 3 della legge cost. n. 1 del
2012 (mediante attribuzione allo Stato della competenza esclusiva in materia di
armonizzazione dei bilanci), sia applicabile anche alle Regioni speciali;
dall’altro, che quest’ultima materia attiene alle regole tecniche di redazione
dei bilanci e non agli oggetti regolati dagli artt. 10 e 12 delle legge n. 243
del 2012.
Aggiunge,
infine, la Regione ricorrente che l’impugnato art. 10, comma 5, prevede un
potere normativo che va oltre la mera «regolazione tecnica», sicché esso non
potrebbe, in ogni caso, incidere sulla propria sfera di attribuzioni
costituzionalmente garantita.
Considerato in diritto
1.– La
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e la Provincia autonoma di Trento hanno
impugnato gli artt. 9, commi 2 e 3, 10, commi 3, 4 e 5, 11 e 12, contenuti nel
Capo IV, rubricato «Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali e
concorso dei medesimi enti alla sostenibilità del debito pubblico», della legge
24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del
pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione),
in quanto violerebbero le proprie prerogative costituzionali e statutarie.
In particolare, secondo entrambe le ricorrenti, i
commi 3, 4 e 5 dell’art. 10, rubricato «Ricorso all’indebitamento da parte
delle regioni e degli enti locali», detterebbero una disciplina dettagliata
nella materia dell’indebitamento già regolata in maniera più favorevole dai
rispettivi statuti, eccedendo dai limiti propri dell’intervento statale nella
materia del coordinamento della finanza pubblica, violerebbero la loro
autonomia finanziaria, invaderebbero la propria competenza legislativa in
materia di finanza locale ed eluderebbero il principio consensualistico
nella determinazione delle modalità di concorso delle autonomie speciali al
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica. I parametri invocati sono,
quanto alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, gli artt. 4, comma 1,
numero 1) e numero 1-bis), 48 e
seguenti, 52 e 54 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), nonché l’art. 9 del decreto legislativo
2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione
Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle
relative circoscrizioni), gli artt. 42 e seguenti della legge della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia 9 gennaio 2006, n. 1 (Principi e norme
fondamentali del sistema Regione-autonomie locali nel Friuli-Venezia Giulia);
quanto alla Provincia autonoma di Trento, gli artt. 69 e seguenti, 74, 79, 80,
81 e 104 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché l’art. 17 del decreto legislativo
16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), l’art. 31
della legge della Provincia autonoma di Trento 14 settembre 1979, n. 7 (Norme
in materia di bilancio e di contabilità generale della Provincia autonoma di
Trento), l’art. 25 della legge della Provincia autonoma di Trento 16 giugno
2006, n. 3 (Norme in materia di governo dell’autonomia del Trentino); quanto ad
entrambe, l’art. 1, commi 132, 136, 152 e 156, della legge 13 dicembre 2010, n.
220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato − legge di stabilità 2011) e la legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo
fiscale, in attuazione dell’articolo
119 della Costituzione).
Il comma 5 del medesimo articolo, poi, contemplerebbe
un atto regolamentare statale in un ambito di competenza regionale, in
violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., e violerebbe altresì l’art. 5,
comma 2, lettera b), della legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di
bilancio nella Carta costituzionale), e il principio di leale collaborazione.
Le ricorrenti hanno altresì impugnato i commi 2 e
3 dell’art. 9, rubricato «Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti
locali», per violazione derivata dall’illegittimità dei richiamati commi 3 e 5
dell’art. 10.
Anche
l’art. 12, rubricato «Concorso delle regioni e degli enti locali alla
sostenibilità del debito pubblico», violerebbe la loro autonomia finanziaria e
il principio consensualistico nella determinazione
delle modalità di concorso delle autonomie speciali al raggiungimento degli
obiettivi di finanza pubblica; secondo la Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia esso violerebbe anche la propria competenza in materia di finanza locale
e l’art. 5, comma 2, lettera c),
della legge cost. n. 1 del 2012 (gli ulteriori parametri invocati sono, quanto
al Friuli-Venezia Giulia, gli artt. 48 e 49 della legge cost. n. 1 del 1963, l’art. 9 del d.lgs. n. 9 del 1997, gli
artt. 42 e seguenti della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 1 del 2006,
l’art. 1, commi 132, 136, 152 e 156 della legge n. 220 del 2010, nonché, quanto
alla Provincia autonoma di Trento, gli artt. 75, 79, 104 e 109 del d.P.R. n. 670 del 1972).
Secondo entrambe le ricorrenti, poi, il comma 3
dell’art. 12 − nella parte in cui prevede che il decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri che ripartisce il contributo sia adottato sentita la
Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, anziché
d’intesa con la Conferenza unificata − violerebbe il principio di leale
collaborazione.
La sola Provincia autonoma di Trento ha impugnato
«per coerenza» l’art. 11, rubricato «Concorso dello Stato al finanziamento dei
livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o
al verificarsi di eventi eccezionali», istitutivo di un fondo alimentato con
l’indebitamento statale e destinato ad essere ripartito tra tutti gli enti
territoriali.
Per l’ipotesi di non
accoglimento di queste censure relative agli artt. 11 e 12, la Provincia
autonoma di Trento ha infine impugnato l’art. 11, comma
La
Presidenza del Consiglio dei ministri sostiene l’infondatezza complessiva del
ricorso sul presupposto che l’intera materia regolata dalla legge n. 243 del
2012 sarebbe riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato, a seguito
dell’inserimento − operato dalla legge cost. n. 1 del 2012 − della
«armonizzazione dei bilanci» nella lettera r)
del secondo comma dell’art. 117 Cost., nonché in ragione dei princìpi
dell’equilibrio di bilancio e della sostenibilità del debito pubblico.
2.– In considerazione della
sostanziale identità delle norme denunciate e delle censure proposte, i giudizi
possono essere riuniti per essere decisi congiuntamente.
3.– L’impugnazione della legge
n. 243 del 2012 è ammissibile, dal momento che, pur trattandosi di una legge
"rinforzata”, in ragione della maggioranza parlamentare richiesta per la sua
approvazione, essa ha comunque il rango di legge ordinaria e in quanto tale
trova la sua fonte di legittimazione – ed insieme i suoi limiti – nella legge
cost. n. 1 del 2012, di cui detta la disciplina attuativa.
4.– Le questioni sollevate
dalle ricorrenti attengono a tre diversi gruppi di disposizioni, aventi ad
oggetto la disciplina dell’indebitamento (art. 10), l’equilibrio dei bilanci
delle Regioni e degli enti locali (art. 9), il concorso dello Stato e delle
Regioni e delle Provincie autonome, rispettivamente, al finanziamento dei
livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai
diritti civili e sociali e alla sostenibilità del debito pubblico (artt. 11 e
12).
La tesi prospettata dal
Presidente del Consiglio dei ministri, con riferimento a tutte le censure, è
che la riforma costituzionale abbia introdotto una nuova competenza esclusiva
dello Stato, atta a giustificare l’intero raggio dell’intervento operato con la
legge n. 243 del 2012.
5.– Al fine di vagliare la tesi
è necessario tratteggiare il quadro normativo sovranazionale e interno in cui
si collocano le disposizioni censurate.
Con il patto "Euro Plus”,
approvato dai Capi di Stato e di Governo della zona euro l’11 marzo 2011 e
condiviso dal Consiglio europeo il 24-25 marzo 2011, gli Stati membri
dell’Unione europea si sono impegnati ad adottare misure volte a perseguire gli
obiettivi della sostenibilità delle finanze pubbliche, della competitività,
dell’occupazione e della stabilità finanziaria, e in particolare a recepire
nella legislazione nazionale le regole di bilancio dell’Unione europea fissate
nel patto di stabilità e crescita, ferma restando «la facoltà di scegliere lo
specifico strumento giuridico nazionale cui ricorrere», purché avente «una
natura vincolante e sostenibile sufficientemente forte (ad esempio costituzione
o normativa quadro)» e tale da «garantire la disciplina di bilancio a livello
sia nazionale che subnazionale».
Con il Trattato sulla
stabilità, sul coordinamento e sulla governance
nell’Unione economica e monetaria (meglio noto come Fiscal Compact),
sottoscritto a Bruxelles il 2 marzo 2012 e in vigore dal 1° gennaio 2013,
ratificato in Italia con la legge 23 luglio 2012, n. 114 (Ratifica ed
esecuzione del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e
monetaria […]), poi, gli Stati contraenti, all’art. 3, comma 2, si sono
impegnati a recepire le regole del «patto di bilancio» «tramite disposizioni
vincolanti e di natura permanente – preferibilmente costituzionale – o il cui
rispetto fedele è in altro modo rigorosamente garantito lungo tutto il processo
nazionale di bilancio».
Lo Stato italiano ha ritenuto
di adempiere a questi impegni con un’apposita legge costituzionale – la n. 1
del 2012 – la quale, in primo luogo e per quanto qui rileva, ha riformato gli
artt. 81, 97, 117 e 119 Cost.
L’art. 81, sesto comma,
novellato, afferma per il «complesso delle pubbliche amministrazioni» i
princìpi dell’equilibrio di bilancio tra
entrate e spese e della sostenibilità
del debito, riservando ad una legge del Parlamento approvata a
maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, il potere di stabilire,
oltre che il contenuto della legge di bilancio, «le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare»
l’implementazione dei due menzionati princìpi.
Secondo il nuovo primo comma
dell’art. 97 Cost., «Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con
l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la
sostenibilità del debito pubblico».
L’art. 117 Cost. è stato
modificato mediante lo scorporo della «armonizzazione
dei bilanci pubblici» dall’endiadi con il «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» e
la sua inclusione nell’ambito delle materie attribuite dal secondo comma alla
potestà legislativa esclusiva dello Stato.
All’art. 119 Cost. dopo il
riconoscimento dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle autonomie
territoriali, è stata aggiunta la seguente specificazione: «nel rispetto dell’equilibrio dei relativi
bilanci», nonché l’inciso: «concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli
economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea».
Al secondo periodo del sesto comma, secondo cui le autonomie «Possono ricorrere all’indebitamento solo per
finanziare spese di investimento», è stato poi aggiunto l’inciso: «con la
contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il
complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di
bilancio».
Sotto il versante delle
disposizioni della legge cost. n. 1 del 2012 non incorporate nella Costituzione
rilevano in questa sede quelle che determinano il contenuto necessario della
legge rinforzata. Ad essa è attribuito, in particolare, il compito di
disciplinare «l’introduzione di regole
sulla spesa che consentano di salvaguardare gli equilibri di bilancio e la
riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo nel lungo
periodo, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica» (art. 5,
comma 1, lettera e); «le
modalità attraverso le quali i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le
Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla
sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni»
(art. 5, comma 2, lettera c); e, da ultimo, «la facoltà dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane, delle
Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano di ricorrere
all’indebitamento, ai sensi dell’articolo 119, sesto comma, secondo periodo,
della Costituzione, come modificato dall’articolo 4 della presente legge
costituzionale» (art. 5, comma 2, lettera b).
6.− Ebbene, in questa
complessa riforma della finanza pubblica, l’unica nuova competenza esclusiva
dello Stato, invocata appunto dalla difesa dello Stato, è quella
dell’armonizzazione dei bilanci pubblici, che sino alla modifica operata con la
legge cost. n. 1 del 2012 si presentava in «endiadi» (sentenza n. 17 del
2004) con il coordinamento della finanza pubblica.
Essa, tuttavia, non può essere
interpretata così estensivamente da coprire l’intero ambito materiale regolato
dalla legge n. 243 del 2012: basti a tal fine considerare che la disciplina
dell’indebitamento delle autonomie territoriali, qui pure all’esame, è stata da
questa Corte ricondotta al coordinamento della finanza pubblica (sentenze n. 284 del 2009,
n. 285 del 2007,
n. 320 del 2004,
n. 376 del 2003),
pur sottolineandosi come sia «inscindibilmente connessa» alla «salvaguardia
degli equilibri di bilancio» (sentenza n. 70 del
2012).
Altro deve essere dunque
l’approccio per definire la natura e la portata dei princìpi di equilibrio di
bilancio e di sostenibilità del debito pubblico, pure invocati a sostegno della
sua tesi dalla difesa erariale. Come già affermato da questa Corte nel caso analogo del divieto
di indebitamento se non per spese di investimento (art. 119, sesto comma,
Cost.), questo tipo di disposizioni enunciano «un vincolo […] di carattere
generale» (sentenza
n. 245 del 2004) a cui deve soggiacere la finanza pubblica.
A differenza del caso
precedente, questa volta il legislatore costituzionale non si è limitato a
fissare principi generali, lasciando così all’interprete la ricerca dei
presupposti giustificativi della disciplina statale attuativa (rinvenuti dalla
sentenza citata nell’art. 5 Cost. e nella competenza concorrente del coordinamento
della finanza pubblica), ma ha puntualmente disciplinato sia la fonte – la
legge rinforzata − sia i suoi contenuti.
Il nuovo sistema di finanza
pubblica disegnato dalla legge cost. n. 1 del
7.− Le ricorrenti censurano anzitutto i
commi 3, 4 e 5 dell’art. 10, che disciplinano l’indebitamento degli enti
territoriali: le norme impugnate, avendo natura dettagliata, eccederebbero dai
limiti propri dell’intervento statale nella materia del coordinamento della
finanza pubblica, ponendosi in contrasto con disposizioni puntuali dei
rispettivi statuti già regolanti la materia, violerebbero la loro autonomia
finanziaria, invaderebbero la competenza in materia di finanza locale ed
eluderebbero il principio consensualistico nella
determinazione del concorso delle autonomie speciali al raggiungimento degli
obiettivi di finanza pubblica, in violazione dei parametri prima specificati.
7.1.− Alla luce di quanto sin qui chiarito,
occorre verificare se le norme censurate trovino copertura nelle nuove
disposizioni costituzionali.
Viene in rilievo, al riguardo, l’art. 5, comma 2,
lettera b), della legge cost. n. 1
del 2012, secondo cui la legge rinforzata disciplina «la facoltà dei Comuni,
delle Province, delle Città metropolitane, delle Regioni e delle Province
autonome di Trento e di Bolzano di ricorrere all’indebitamento, ai sensi dell’articolo 119, sesto comma, secondo periodo, della Costituzione,
come modificato dall’articolo 4 della presente
legge costituzionale». La
disposizione, dunque, prevede l’adozione di una disciplina statale attuativa
che non appare in alcun modo limitata ai principi generali e che deve avere un
contenuto eguale per tutte le autonomie. Pertanto, la circostanza che la
normativa censurata abbia un contenuto dettagliato e il fatto che sia più
rigorosa di quella contenuta negli statuti delle ricorrenti non comportano violazione
del parametro costituzionale.
La garanzia dell’omogeneità della disciplina è
connaturata alla logica della riforma, poiché, oggi ancor più che in passato,
non si può «ammettere che ogni ente, e così ogni Regione, faccia in proprio le
scelte di concretizzazione» (sentenza n. 425 del
2004) dei vincoli posti in materia di indebitamento. Si tratta infatti di
vincoli generali che devono valere «in modo uniforme per tutti gli enti, [e
pertanto] solo lo Stato può legittimamente provvedere a tali scelte» (sentenza n. 425,
citata).
7.2.− Questa esigenza di uniformità, del
resto, è il riflesso della natura ancillare della disciplina dell’indebitamento rispetto ai
princìpi dell’equilibrio di bilancio e della sostenibilità del debito pubblico:
essa, al pari di questi ultimi, deve intendersi riferita al «complesso
delle pubbliche amministrazioni» (così gli attuali artt. 81, sesto comma, e
97 Cost., e, con forme ancora più esplicite, il nuovo art. 119 Cost., nonché
l’art. 5, comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012). I
vincoli imposti alla finanza pubblica, infatti, se hanno come primo
destinatario lo Stato, non possono non coinvolgere tutti i soggetti
istituzionali che concorrono alla formazione di quel «bilancio consolidato
delle pubbliche amministrazioni» (sentenza n. 40 del
2014; si vedano anche le sentenze n. 39 del 2014,
n. 138 del 2013,
n. 425 e n. 36 del 2004), in relazione al
quale va verificato il rispetto degli impegni assunti in sede europea e
sovranazionale.
La
riforma poggia dunque anche sugli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., oltre che
– e soprattutto − sui princìpi fondamentali di unitarietà della
Repubblica (art. 5 Cost.) e di unità economica e giuridica dell’ordinamento
(art. 120, secondo comma, Cost.), unità che già nel precedente quadro
costituzionale era sottesa alla disciplina della finanza pubblica e che nel
nuovo ha accentuato la sua pregnanza.
Si
deve aggiungere che l’attuazione dei nuovi princìpi, e in particolare di quello
della sostenibilità del debito pubblico, implica una responsabilità che, in attuazione
di quelli «fondanti» (sentenza n. 264 del
2012) di solidarietà e di eguaglianza, non è solo delle istituzioni ma anche di
ciascun cittadino nei confronti degli altri, ivi compresi quelli delle
generazioni future.
7.3.− Sono pertanto non fondate le censure
delle ricorrenti di violazione dell’autonomia finanziaria, della propria
competenza in materia di finanza locale e
delle altre disposizioni statutarie invocate.
7.4.− Le medesime considerazioni comportano
la non fondatezza anche della censura di violazione del principio consensualistico. Difatti,
anche per i nuovi vincoli, per quanto più incisivi e pregnanti che in passato,
vale il principio enunciato nella più volte citata sentenza n. 425 del
2004, secondo cui la disciplina attuativa dei limiti all’indebitamento
posti dall’art. 119, sesto comma, Cost. trova «applicazione nei confronti di
tutte le autonomie, ordinarie e speciali, senza che sia necessario all’uopo
ricorrere a meccanismi concertati di attuazione statutaria».
8.– Le ricorrenti censurano, poi, il comma 5
dell’art. 10 della legge n. 243 del
Sotto altro profilo la norma sarebbe illegittima
per violazione del principio di leale collaborazione, in quanto prevede che il
decreto sia adottato d’intesa non con la Conferenza unificata ma con la
Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, ove le autonomie
territoriali sono coinvolte solo in modo parziale e con esclusione dei
Presidenti della Regione e della Provincia.
8.1.– Le prime due censure, che in quanto
strettamente connesse possono essere trattate congiuntamente, sono parzialmente
fondate.
Per il loro scrutinio occorre verificare l’ambito
operativo del decreto in parola e, in particolare, se esso abbia un contenuto
meramente tecnico. Se è indubbiamente corretto, infatti, il rilievo delle
ricorrenti, secondo cui la disciplina della materia è affidata dalla legge
cost. n. 1 del 2012 alla legge rinforzata, è anche vero che la natura stessa
dell’atto legislativo esclude che esso debba farsi carico di aspetti della
disciplina che richiedono solo apporti tecnici, cosicché questa Corte ha
affermato la legittimità di un tal genere di disciplina con riferimento al
parametro di cui all’art. 117, sesto comma, Cost. (sentenze
n. 139 del 2012
e n. 278 del
2010).
Poiché, peraltro, il comma censurato si limita a
stabilire che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri disciplina
criteri e modalità di attuazione dell’art. 10, è con riferimento agli altri
commi del medesimo articolo che va individuato l’effettivo spazio precettivo
nel quale esso è chiamato a muoversi.
Il primo comma stabilisce che il ricorso
all’indebitamento delle autonomie è consentito esclusivamente per finanziare
spese di investimento «con le modalità e nei limiti previsti dal presente
articolo e dalla legge dello Stato». Nessun compito, dunque, è assegnato al
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
Il secondo comma fissa la regola che le operazioni
d’indebitamento sono effettuate solo contestualmente all’adozione dei piani di
ammortamento di durata non superiore alla vita utile dell’investimento e nei
quali sono evidenziate sia l’incidenza delle obbligazioni assunte sui singoli
esercizi finanziari futuri che le modalità di copertura degli oneri
corrispondenti.
La prima parte del comma pone dunque un precetto "autoesecutivo”, che non richiede l’individuazione di
«criteri e modalità di attuazione».
Questi, per contro, vengono in gioco con
riferimento alla seconda parte relativa alla "evidenziazione” della incidenza
delle obbligazioni assunte sui singoli esercizi finanziari e delle tecniche di
copertura degli oneri corrispondenti. Tale attività è riconducibile
all’armonizzazione dei bilanci di competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. e richiede all’evidenza una
disciplina integrativa dal carattere esclusivamente tecnico.
Anche il terzo comma contiene diversi precetti.
Nell’ultima parte viene fissato direttamente il
limite quantitativo all’indebitamento, sicché nessuno spazio può avere il
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
Quanto alla prima parte, relativa alle operazioni
d’indebitamento, essa assegna al decreto solo il compito di stabilire le
modalità di comunicazione del saldo di cassa e degli investimenti che
s’intendono realizzare, con la conseguenza che l’ambito in cui esso è chiamato
a muoversi è quello del coordinamento informativo e statistico di competenza
esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lettera r, Cost.).
Il quarto comma, infine, disciplina, in caso di
mancato rispetto dell’equilibrio del bilancio regionale allargato, la
ripartizione del saldo negativo tra gli enti territoriali inadempienti, e in
questo ambito il decreto potrebbe intervenire a specificare i criteri di riparto.
La definizione del suo compito in termini così ampi (l’individuazione di
«criteri e modalità di attuazione») potrebbe qui comportare l’esercizio di un
potere tanto di natura meramente tecnica, quanto di natura discrezionale. Per
evitare tale ultima evenienza e quindi per ricondurre a legittimità
costituzionale la norma impugnata, deve essere riservato al decreto un compito
attuativo meramente tecnico.
Il comma 5 dell’art. 10, pertanto, è
costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede la parola
«tecnica», dopo le parole «criteri e modalità di attuazione» e prima delle
parole «del presente articolo».
Naturalmente, qualora il decreto dovesse
esorbitare dai limiti tracciati, incidendo così sulle prerogative delle
autonomie speciali, resta ferma la possibilità «di esperire i rimedi consentiti
dall’ordinamento, ivi compreso, se del caso, il conflitto di attribuzione
davanti a questa Corte» (sentenze n. 121 del 2007
e n. 376 del
2003).
8.2.− La censura di violazione del
principio di leale collaborazione non è fondata.
Una volta definito e limitato nei sensi
indicati il possibile contenuto del decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, la previsione dell’intesa con la Conferenza permanente per il
coordinamento della finanza pubblica appare «una garanzia procedimentale in sé
sufficiente» (sentenza
n. 376 del 2003; nello stesso senso sentenza n. 121 del 2007)
del coinvolgimento delle autonomie, attesa l’opportunità della scelta di una
sede connotata anche da competenze tecniche.
9.– Le ricorrenti hanno anche impugnato i commi 2
e 3 dell’art. 9, rubricato «Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti
locali», limitandosi ad affermare che «L’illegittimità dell’art. 10, commi 3 e
5, infine, renderebbe illegittimo anche l’art. 9, commi 2 e 3, nella parte in
cui richiamano, rispettivamente, il comma 4 dell’articolo 10, tenendone ferma
la disciplina, e le "modalità previste dall’articolo
La questione è inammissibile.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che «il
ricorso in via principale deve anzitutto "identificare esattamente la questione
nei suoi termini normativi”, indicando "le norme costituzionali e ordinarie, la
definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce
l’oggetto della questione di costituzionalità”, e altresì "contenere una seppur
sintetica argomentazione di merito a
sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità della legge” (ex plurimis,
sentenze n. 41
del 2013 e n.
114 del 2011, nonché ordinanza n. 123
del 2012), ponendosi l’esigenza di una adeguata motivazione a supporto della impugnativa
"in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti che in quelli
incidentali” (ordinanza
n. 123 del 2012, che menziona anche le sentenze n.
139 del 2006 e n. 450 del 2005)»
(sentenza n. 11
del 2014).
Nel caso di specie manca l’indicazione dei parametri
costituzionali ritenuti violati e inoltre le argomentazioni svolte dalle
ricorrenti a sostegno dell’impugnazione, anche avuto riguardo all’estrema
complessità tanto dell’art. 9 quanto dell’art. 10, «non raggiungono quella
soglia minima di chiarezza e completezza cui è subordinata l’ammissibilità
delle impugnative in via principale (ex plurimis, sentenza n. 312 del
2013)» (citata sentenza n. 11 del
2014).
10.– Come si è anticipato, il terzo gruppo di
censure proposte da entrambe le ricorrenti attiene all’art. 12, rubricato
«Concorso delle regioni e degli enti locali alla sostenibilità del debito
pubblico», il quale, ai commi 2 e 3, prevede che le Regioni e gli enti locali
contribuiscano «Nelle fasi favorevoli del ciclo economico» al fondo per
l’ammortamento dei titoli di Stato, in una misura definita con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri sulla base del documento di
programmazione finanziaria.
Le norme censurate violerebbero l’autonomia
finanziaria delle ricorrenti, poiché verrebbe ad esse sottratta una parte delle
risorse previste dagli statuti, nonché l’art. 5, comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012, che
si limiterebbe ad affidare alla legge statale la fissazione delle modalità del
concorso delle Regioni alla sostenibilità del debito del complesso delle
pubbliche amministrazioni, mentre «l’an
ed il quantum del contributo» in
relazione alle autonomie speciali, andrebbe determinato secondo le consuete
modalità consensuali.
Le norme impugnate, aggiunge la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, prevedendo che gli enti locali concorrano al risanamento
della finanza statale, violerebbero anche la sua competenza in materia di
finanza locale.
10.1.– La questione può essere esaminata
congiuntamente a quella, promossa dalla sola Provincia autonoma di Trento,
relativa all’art. 11, rubricato «Concorso dello Stato al finanziamento dei
livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o
al verificarsi di eventi eccezionali» ed istitutivo, in attuazione dell’art. 5,
comma 1, lettera g), della legge
cost. n. 1 del 2012, di un Fondo alimentato «dalle risorse derivanti dal ricorso
all’indebitamento consentito dalla correzione per gli effetti del ciclo
economico del saldo del conto consolidato» e destinato ad essere ripartito tra
tutti gli enti territoriali.
Sebbene sia ad essa «favorevole», la ricorrente ne
propone l’impugnazione «per coerenza» con le censure rivolte all’art. 12, «in
quanto parte dello stesso meccanismo giuridico complessivo».
10.2.– Le questioni non sono fondate.
Non a torto la Provincia autonoma di Trento ha
evidenziato la connessione esistente fra i due articoli: l’istituzione
contemporanea dei Fondi evidenzia plasticamente come la necessità di garantire,
anche a costo di sacrifici non indifferenti, il rigore finanziario (art. 12)
non possa essere disgiunta da quella, non meno rilevante, di tutelare i livelli
essenziali delle prestazioni e l’esercizio delle funzioni fondamentali inerenti
ai diritti civili e sociali (art. 11).
Entrambe le previsioni, nella loro
complementarità, trovano, dunque, la ragion d’essere in quel complesso di
princìpi costituzionali già richiamati, ed in particolare in quelli di
solidarietà e di eguaglianza, alla cui stregua tutte le autonomie territoriali,
e in definitiva tutti i cittadini, devono, anche nella ricordata ottica di
equità intergenerazionale, essere coinvolti nei sacrifici necessari per
garantire la sostenibilità del debito pubblico.
Quanto poi alla censura di violazione dell’art. 5,
comma 2, lettera c), della legge
cost. n. 1 del 2012, l’ampiezza della formula usata per individuare il
contenuto della legge rinforzata («le modalità attraverso le quali […] le Regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche
amministrazioni»), è tale da comprendere anche i profili relativi all’an ed al quantum della contribuzione, e ciò senza
che operi il limite del principio consensualistico,
per le stesse ragioni già dette con riferimento alle norme sull’indebitamento.
10.3.– Una ulteriore censura di violazione del
principio di leale collaborazione è poi rivolta da entrambe le ricorrenti al
comma 3 dello stesso art. 12, nella parte in cui prevede che il decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, che ripartisce il contributo di cui al
medesimo articolo, sia adottato sentita la Conferenza permanente per il coordinamento
della finanza pubblica, anziché d’intesa con la Conferenza unificata, ove le
autonomie territoriali sono maggiormente coinvolte e sono in particolare
presenti sia il Presidente della Regione che quello della Provincia.
La questione è fondata.
Se è innegabile che il concorso alla sostenibilità
del debito nazionale è un aspetto fondamentale della riforma, è anche vero che
esso ha una rilevante incidenza sull’autonomia finanziaria delle ricorrenti.
S’impone, quindi, l’esigenza di «contemperare le ragioni dell’esercizio
unitario di date competenze e la garanzia delle funzioni costituzionalmente
attribuite» alle autonomie (sentenze n. 139 del 2012
e n. 165 del
2011; nello stesso senso, sentenza n. 27 del
2010): è quindi indispensabile garantire il loro pieno coinvolgimento.
A tal fine è necessario, in primo luogo, che il
procedimento si svolga nell’ambito non della Conferenza permanente per il
coordinamento della finanza pubblica, bensì della Conferenza unificata, in modo
da garantire a tutti gli enti territoriali la possibilità di collaborare alla
fase decisionale. Ed è anche necessario che tale collaborazione assuma la forma
dell’intesa, considerate l’entità del sacrificio imposto e la delicatezza del
compito cui la Conferenza è chiamata.
A quest’ultimo proposito si osserva che ciò non
compromette la funzionalità del sistema: questo modulo partecipativo, infatti,
non comporta il rischio di uno stallo decisionale, poiché in caso di dissenso,
fatta salva la necessaria adozione di «idonee procedure per consentire
reiterate trattative volte a
superare le divergenze» (sentenze n. 179 del 2012,
n. 121 del 2010,
n. 24 del 2007
e n. 339 del
2005), la determinazione finale può essere adottata dallo Stato (sentenze n. 239 del 2013,
n. 179 del 2012,
n. 165 e n. 33 del 2011).
Il comma 3 dell’art. 12, pertanto, deve essere
dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede che «Il
contributo di cui al comma 2 è ripartito tra gli enti di cui al comma 1 con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza
permanente per il coordinamento della finanza pubblica », anziché «Il
contributo di cui al comma 2 è ripartito tra gli enti di cui al comma 1 con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d’intesa con la Conferenza
unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
e successive modificazioni».
11.− Per l’ipotesi di non accoglimento delle
questioni relative agli artt. 11 e 12 sopra esaminate, la Provincia autonoma di
Trento ha infine impugnato l’art. 11, comma 3, della legge n. 243 del
La questione non è fondata, perché l’intervento
censurato è riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117,
secondo comma, lettera m, Cost.)
nella materia della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale», sicché va
escluso che si imponga nella fattispecie un
particolare coinvolgimento delle autonomie (sentenze n. 62 del 2013,
n. 299, n. 293 e n. 234 del 2012).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 10, comma 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del
principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma,
della Costituzione), nella parte in cui non prevede la parola «tecnica», dopo le parole
«criteri e modalità di attuazione» e prima delle parole «del presente
articolo»;
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 3, della legge n. 243 del
2012, nella parte in cui prevede che «Il contributo di cui al comma 2 è
ripartito tra gli enti di cui al comma 1 con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza permanente per il coordinamento
della finanza pubblica», anziché «Il contributo di cui al comma 2 è ripartito
tra gli enti di cui al comma 1 con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni»;
3) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 3, 4 e 5, della legge n. 243 del
2012, promosse, in riferimento agli artt. 4, comma 1, numero 1) e numero 1-bis), 48 e seguenti, 52 e 54 della legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia), nonché all’art. 9 del decreto legislativo 2 gennaio
1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione
Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle
relative circoscrizioni), agli artt. 42 e seguenti della legge della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia 9 gennaio 2006, n. 1 (Principi e norme
fondamentali del sistema Regione-autonomie locali nel Friuli-Venezia Giulia),
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e, in riferimento agli artt. 69 e
ss., 74, 79, 80, 81 e 104 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto
1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché all’art. 17
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e
provinciale), all’art. 31 della legge della Provincia autonoma di Trento 14
settembre 1979, n. 7 (Norme in materia di bilancio e di contabilità generale
della Provincia autonoma di Trento), all’art. 25 della legge della Provincia
autonoma di Trento 16 giugno 2006, n. 3 (Norme in materia di governo
dell’autonomia del Trentino), dalla Provincia autonoma di Trento, nonché, con
riferimento all’art. 1, commi 132, 136, 152 e 156 della legge 13 dicembre 2010,
n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato − legge di stabilità 2011) e alla legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo
fiscale, in attuazione dell’articolo
119 della Costituzione), dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
4) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 5,
della legge n. 243 del 2012, promossa, in riferimento al principio di leale
collaborazione, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia
autonoma di Trento, con i ricorsi indicati in epigrafe;
5) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 11 e 12 della legge n. 243 del 2012,
promosse, in riferimento all’art. 5, comma 2, lettera c), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione
del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) e agli artt.
75 e 79, 104 e 109 del d.P.R. n. 670 del 1972, dalla
Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge n. 243 del 2012, promosse,
con riferimento all’art. 5, comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012, nonché agli artt. 48 e 49,
della legge cost. n. 1 del
1963, all’art. 9 del d.lgs. n. 9 del 1997, agli artt. 42 e
seguenti della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 1 del 2006, all’art. 1,
commi 132, 136, 152 e 156, della legge n. 220 del 2010, dalla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, con il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 3, della legge n. 243 del 2012,
promossa, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Provincia
autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;
8) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 2 e 3, della legge n. 243 del
2012, promosse, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia
autonoma di Trento, con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI,
Presidente
Giancarlo CORAGGIO,
Redattore
Gabriella MELATTI,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 10 aprile 2014.