SENTENZA N. 11
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo
Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA
”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 17, 35 e 37 della legge
della Regione Toscana 3 dicembre 2012, n. 69 (Legge di semplificazione
dell’ordinamento regionale 2012), promosso dal Presidente del Consiglio dei
ministri con ricorso
notificato il 5-8 febbraio 2013, depositato in cancelleria il 12 febbraio 2013
ed iscritto al n. 19 del registro ricorsi 2013.
Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;
udito nell’udienza pubblica del 20 novembre 2013 il
Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;
uditi
l’avvocato dello Stato Paolo Grasso
per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Toscana.
Ritenuto in fatto
1.− Con ricorso spedito per la
notifica il 5 febbraio 2013 e ricevuto l’8 febbraio 2013, iscritto al n. 19 del
registro ricorsi dell’anno 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 17, 35 e 37 della
legge della Regione Toscana 3 dicembre 2012, n. 69 (Legge di semplificazione
dell’ordinamento regionale 2012).
Il ricorrente censura, innanzitutto,
l’art. 1 della citata legge il quale modifica l’art. 2 della legge della
Regione Toscana 3 gennaio 1995, n. 3 (Norme sull’attività di tassidermia e
imbalsamazione).
Censura inoltre gli artt. 2 e 3 della
legge impugnata i quali abrogano gli artt. 3 e 4 della legge reg. n. 3 del 1995
che, ai sensi della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione
della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), disciplinavano
l’acceso all’attività di tassidermia subordinandolo ad apposita autorizzazione
regionale attraverso una specifica abilitazione rilasciata dalla Regione, a
seguito di superamento di un esame, nonché di una dichiarazione di inizio
attività.
Le disposizioni impugnate non solo prevedono
la Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) in luogo della
preesistente Denuncia di inizio attività (DIA), ma altresì abrogano le
disposizioni relative all’abilitazione tramite esame, prevedendo, in
sostituzione, l’obbligo di frequenza di un corso di formazione professionale
obbligatorio i cui contenuti devono essere definiti dalla Regione entro 120
giorni dall’entrata in vigore della legge regionale.
In tal modo gli artt. 1, 2 e 3
violerebbero l’art.
117, terzo comma, della Costituzione atteso che secondo il costante
orientamento della giurisprudenza costituzionale nella materia concorrente
delle professioni la potestà legislativa regionale deve rispettare il principio
per cui la individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e
titoli abilitanti è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario,
alla normativa dello Stato, mentre rientra nella competenza regionale la
disciplina degli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la
realtà regionale (come precisato nelle sentenze n. 300 del 2010,
n. 57 del 2007,
nn. 424 e 153 del 2006).
2.– Il ricorrente impugna, altresì,
l’art. 17 della legge reg. n. 69 del 2012 il quale sostituisce l’art. 41 della
legge della Regione Toscana 27 luglio 2004, n. 38 (Norme per la disciplina
della ricerca, della coltivazione e dell’utilizzazione delle acque minerali, di
sorgente e termali), e prevede che l’avvio di un’attività di utilizzazione
dell’acqua minerale naturale e di sorgente sia assoggettato a SCIA, attestante
il possesso dei requisiti previsti dall’art 42 e dal regolamento (CE) 29 aprile
2004, n. 852/2004 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio
sull’igiene dei prodotti alimentari). Il comma 4, inoltre, stabilisce che
l’azienda USL «può effettuare entro trenta giorni dal ricevimento della SCIA di
cui al comma 1, un sopralluogo di verifica presso la sede dell’attività di
utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente».
Tale disposizione contrasterebbe con gli
artt. 6 e 22 del decreto
legislativo 8 ottobre 2011, n. 176 (Attuazione della direttiva 2009/54/CE,
sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali),
che subordina l’utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente ad
autorizzazione regionale rilasciata «previo accertamento che gli impianti
destinati all’utilizzazione siano realizzati in modo da escludere ogni pericolo
di inquinamento e da conservare all’acqua le proprietà esistenti alla sorgente
corrispondenti alla sua qualificazione». Inoltre gli artt. 7 e 23 del citato
decreto stabiliscono che gli accertamenti devono essere effettuati dagli organi
regionali per il rilascio dell’autorizzazione.
Ebbene, la previsione della SCIA, la
quale costituisce una forma di controllo successivo, in luogo
dell’autorizzazione, che costituisce una forma di controllo preventivo,
esporrebbe i cittadini al pericolo di danni per la salute, tenuto anche conto
della circostanza che la normativa regionale prevede che i sopralluoghi della
ASL siano meramente facoltativi.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 244 del
2012, nel dichiarare non fondate le censure prospettate proprio dalla
Regione Toscana in relazione agli artt. 6, 7, comma 1, 22 e 23 del d.lgs. n. 176
del 2011, ha affermato che l’autorizzazione, essendo prevista dalla normativa
comunitaria, non può essere derogata dalla Regione, e che il legislatore
comunitario, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha ritenuto prevalente
l’esigenza di tutela della salute dei consumatori rispetto a quella di
semplificazione della attività amministrativa.
Inoltre la Corte ha affermato che il
d.lgs. n. 176 del 2011 contiene una disciplina di principio della materia non
modificabile dalla fonte regionale, pena la mancata o incompleta attuazione
dell’atto comunitario.
Conseguentemente, la disposizione
impugnata viola l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contrasta con il
d.lgs. n. 176 del 2011 che detta una disciplina di principio in materia di
tutela della salute, nonché l’art. 117, primo comma, Cost. dal momento che,
disattendendo le previsioni della normativa comunitaria, la quale subordina ad
autorizzazione l’utilizzazione di una sorgente d’acqua minerale naturale, si
pone in contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.
3.– È censurato, altresì, l’art. 35
della legge reg. n. 69 del 2012 il quale sostituisce l’art. 16 della legge
della Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 39 (Disposizioni in materia di
energia), prevedendo, al comma 1, che: «Gli interventi di cui ai commi 3 e 4
sono soggetti a SCIA, ai fini degli adempimenti in materia edilizia e di
energia, nel rispetto delle disposizioni di cui al titolo VI
della L.R. n. 1/2005, delle disposizioni di cui ai
commi 2, 5 e 6, del presente articolo, nonché nel rispetto degli articoli 3,
3-bis, 3-ter, 8, 10, 18, 20, 21, 26, 39 e 42, della presente legge».
Tale disposizione violerebbe l’art. 117, terzo comma,
Cost. con riguardo alla materia di governo del territorio e protezione
civile nella parte in cui prevede il rispetto dell’art. 10 della legge reg. n.
39 del 2005. Quest’ultimo articolo, infatti, a seguito delle modifiche
introdotte dalla legge della Regione Toscana 18 giugno 2012, n. 29 (Legge di
manutenzione dell’ordinamento regionale 2012), ha escluso talune opere dal
rilascio delle autorizzazioni per l’inizio dei lavori nelle zone sismiche. Il
ricorrente ricorda che proprio in relazione a tali disposizioni il Consiglio
dei ministri, nella seduta del 3 agosto 2012, aveva deliberato l’impugnativa
della suddetta legge regionale.
La previsione censurata contrasterebbe
con l’art. 19, comma 1, della legge
7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e
di diritto di accesso ai documenti amministrativi), il quale stabilisce che
le disposizioni in materia di SCIA non si applicano ai casi previsti dalla normativa
per le costruzioni in zona sismica.
Inoltre, la violazione dei principi
fondamentali della normativa statale che impongono specifici obblighi agli enti
regionali sarebbe dimostrata dalla abrogazione, ad opera dell’art. 32 della
legge reg. n. 69 del 2012, dell’art. 12, comma 5, legge reg. n. 39 del 2005 il
quale prevedeva la possibilità per la Regione di intervenire nel procedimento e
nella conferenza di servizi per il rilascio dell’autorizzazione unica, al fine
di assicurare il coordinamento interregionale e infraregionale.
Sarebbe altresì dimostrata dalla
abrogazione, ad opera dell’art. 47, comma 5, della legge censurata, dell’art.
39, comma 2, lettera k), legge reg. n. 39 del 2005 il quale prevedeva che il
regolamento regionale di attuazione della suddetta legge disciplinasse le
modalità e le forme di redazione e di presentazione degli elaborati progettuali
e della documentazione (di cui all’art. 10, commi 5 e 6) da presentare ai
competenti uffici regionali ai fini della prevenzione del rischio sismico.
4.– È impugnato, inoltre, l’art. 37, il
quale sostituisce l’art. 17 della legge reg. n. 39 del 2005. Tale disposizione,
ai commi 2, lettere a), b) e f), 3, lettera a), 5, lettere a), b) e c), e 11,
individua gli interventi concernenti l’installazione di impianti a fonti
rinnovabili che producono energia elettrica e termica per i quali non è
necessario il titolo abilitativo.
La norma impugnata, disciplinando il
regime abilitativo dei suddetti interventi in modo difforme rispetto a quanto
previsto dalla normativa statale ed in particolare dal decreto
legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla
promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e
successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), e dal
decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i
beni e le attività culturali 10 settembre 2010 (Linee guida per
l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabil),
contrasterebbe con il principio fondamentale della materia dei regimi di abilitazione
alla costruzione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.
In particolare, il ricorrente evidenzia
i seguenti profili di incostituzionalità:
a) mentre l’art. 7, commi 1 e 2, del
d.lgs. n. 28 del 2011 consente la comunicazione di inizio lavori secondo il
regime di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia), ovvero del decreto
legislativo 30 maggio 2008, n. 115 (Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa
all’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e
abrogazione della direttiva 93/76/CEE), ove ricorrano specifiche condizioni,
l’art. 17, comma 2, lettere a) e b), della legge reg. n. 39 del 2005 – come
modificato dall’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012 – pur prevedendo per
gli stessi interventi la comunicazione, non specifica quale delle due tipologie
si debba applicare, né recepisce le condizioni previste dalla normativa statale
per l’applicazione del regime semplificato;
b) mentre l’art. 6, comma 11, del d.lgs.
n. 28 del 2011 consente alle Regioni di prevedere il regime della comunicazione
per gli impianti a fonte rinnovabile qualunque essa sia, vale a dire tanto se
producono energia elettrica o termica, purché si tratti di impianti con potenza
non superiore a 50 KW, l’art. 17, comma 2, lettera f), della legge reg. n. 39
del 2005 prevede il regime della comunicazione per gli impianti alimentati da
biomassa fino a 0,5 MW termici, e quindi con potenza superiore a 50 KW;
c) in base al combinato disposto
dell’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 e del paragrafo 12.5, lettera
a), dell’allegato al d.m. 10 settembre 2010, il
regime della comunicazione si applica ai singoli generatori eolici purché
collocati su edifici esistenti e aventi una potenza nominale massima di 50 KW.
L’art. 17, comma 3, lettera a), della legge reg. n. 39 del 2005, invece, non
prevede tale ultimo limite ed estende la comunicazione anche agli impianti non
collocati su edifici;
d) l’art. 17, comma 5, lettera a), della
legge reg. n. 39 del 2005 contrasta con l’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28
del 2011 in quanto, nell’assoggettare al regime della comunicazione anche gli
impianti di produzione di energia elettrica e termica alimentati da fonti rinnovabili,
non fissa il limite di potenza fino a 50 KW stabilito dalla normativa statale;
e) l’art. 17, comma 5, lettera b), della
legge reg. n. 39 del 2005 assoggetta a comunicazione di inizio lavori gli
impianti che producono energia elettrica aventi una capacità di generazione
compatibile con il regime di scambio sul posto (i quali sono quelli con
capacità di generazione fino a 200 KW e in taluni casi superiore) in contrasto
con quanto statuito dall’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 il quale
prevede per l’applicazione del regime della comunicazione il limite di potenza
fino a 50 KW;
f) il comma 5, lettera c), della
disposizione regionale in parola contrasta con l’art. 7, commi 1 e 2, del
d.lgs. n. 28 del 2011 in quanto assoggetta a comunicazione gli impianti solari
senza richiamare le condizioni previste dalla legge statale, nonché in quanto
non specifica a quale comunicazione faccia riferimento (se quella di cui al
d.P.R. n. 380 del 2001, ovvero a quella del d.lgs. n. 115 del 2008). Inoltre
contrasta con l’art. 7, comma 5, del medesimo d.lgs. n. 28 del 2011 perché
consente la collocazione di detti impianti anche oltre i casi previsti dalla
normativa statale (edifici e spazi liberi privati annessi).
Ulteriori censure vengono mosse avverso
l’art. 17, comma 11, della legge reg. n. 39 del 2005 come modificato dalla
legge reg. n. 69 del 2012. Tale disposizione, stabilendo che non è necessario
il titolo abilitativo per le modifiche e manutenzioni degli impianti di cui
agli artt. 11, 13, 15, 16, comma 3, e 16-bis, comma 4, esistenti o in corso di
realizzazione, assoggetta tutte le modifiche degli impianti, siano esse
sostanziali o meno, alla mera comunicazione. In tal modo la norma impugnata
viola l’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011 il quale rinvia ad un
apposito decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa
con la Conferenza unificata, la individuazione degli interventi di modifica
sostanziale degli impianti da fonti rinnovabili da assoggettare ad
autorizzazione, e detta in via transitoria criteri per individuare le modifiche
non sostanziali da assoggettare alla procedura abilitativa semplificata (PAS).
Ad avviso del ricorrente, la norma
regionale, nell’assoggettare tutte le modifiche impiantistiche al regime di
libera attività, contrasta con la richiamata disposizione statale che
assoggetta in via transitoria a PAS (la quale, sebbene costituisca un regime
semplificato, è pur sempre più stringente della mera comunicazione) le sole
modifiche non sostanziali e per i soli impianti esistenti.
Quanto alle modifiche sostanziali, il
legislatore statale, in attesa della adozione di apposito decreto
interministeriale, ha fatto salvo il principio della identità di forma tra il
provvedimento abilitativo originario e la sua variante.
Conseguentemente, la disposizione
impugnata violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto l’individuazione
del regime abilitativo delle modifiche costituisce principio fondamentale della
materia «produzione trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», atteso
che detto regime non può che essere omogeneo su tutto il territorio nazionale
onde evitare ingiustificate discriminazioni tra iniziative economiche ed
assicurare «un equilibrio tra la competenza esclusiva statale in materia di
ambiente e paesaggio e quella concorrente in materia di energia».
5.– La Regione Toscana, costituitasi in
giudizio, ha sostenuto che le censure svolte dalla Stato sono inammissibili o
infondate.
Ad avviso della resistente gli artt. 1,
2 e 3 della legge reg. n. 69 del 2012 sarebbero espressione della competenza
attribuita alla Regione dall’art. 6 della legge n. 157 del 1992 a disciplinare,
con apposito regolamento, l’attività di tassidermia e imbalsamazione.
La legge regionale impugnata da un lato
avrebbe inteso ribadire la necessità della acquisizione di specifica
preparazione per coloro che svolgono tale attività; dall’altro lato avrebbe
voluto superare la previgente scelta legislativa della Regione che richiedeva
il superamento di un esame prevedendo, in suo luogo, un sistema di
qualificazione con svolgimento di un corso obbligatorio. E ciò la Regione
avrebbe fatto ispirandosi ai nuovi principi statali volti ad attuare la
semplificazione dei rapporti tra cittadini, imprese e istituzioni.
In tal modo le norme impugnate non
darebbero vita ad una nuova figura professionale, ma, in attuazione dell’art. 6
della legge n. 157 del 1992, avrebbero introdotto «un nuovo sistema di
acquisizione della conoscenza».
6.– Riguardo alle censure aventi ad
oggetto l’art. 17 della legge reg. n. 69 del 2012, la resistente sostiene che
l’iter di formazione di detta legge era già in uno stadio avanzato (essendo
stato il relativo progetto licenziato dalla Giunta regionale il 27 agosto 2012)
allorché è intervenuta la sentenza n. 244 del
2012 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni
di costituzionalità prospettate dalla Regione Toscana aventi ad oggetto le
norme del d.lgs. n. 176 del 2011 che imponevano alle Regioni il rilascio
dell’autorizzazione per l’avvio dell’attività di utilizzazione delle acque
naturali e di sorgente.
La resistente afferma che sarebbe in
fase di predisposizione una proposta di legge di modifica della norma impugnata
allo scopo di renderla conforme alle disposizioni del d.lgs. n. 176 citato.
7.– Inammissibile sarebbe la doglianza
avente ad oggetto l’art. 35, atteso che essa non risponderebbe ai requisiti di
chiarezza e completezza per la proposizione delle questioni di legittimità nei
giudizi in via principale.
La Regione fa inoltre presente che non
le sarebbe mai stato notificato un ricorso dello Stato avverso la legge reg. n.
29 del 2012 avanti alla Corte costituzionale.
Nel merito, la resistente sostiene che
ove la censura si dovesse intendere nel senso che il ricorrente lamenta che la
normativa regionale – attraverso il richiamo all’art. 10 della legge reg. n. 39
del 2005 − avrebbe esteso la previsione della SCIA anche per costruzioni
in zone sismiche in contrato con l’art. 19 della legge n. 241 del 1990, con
conseguente violazione di un principio fondamentale in materia di governo del
territorio, essa sarebbe infondata.
L’art. 10, infatti, sarebbe norma
generale che riguarda tutto il procedimento da seguire per ottenere titoli
abilitativi (qualunque essi siano) per la costruzione e l’esercizio di impianti
di produzione, trasporto, trasmissione e distribuzione di energia, di impianti
per la lavorazione e lo stoccaggio di oli minerali, gas naturali e liquefatti,
nonché impianti di illuminazione esterna.
Inoltre esso richiama espressamente la
necessità che tutti gli interventi disciplinati rispettino la normativa
antisismica.
Solo con riguardo ai titoli abilitativi
per la costruzione e l’esercizio delle linee elettriche aeree il comma 5
dell’art. 10 della legge reg. n. 39 del 2005 richiama una normativa speciale e
ciò fa allo scopo di adeguare la disposizione legislativa a tre pronunce del
Consiglio di Stato (sentenze n. 1526 e n. 1527 del 2008, n. 5278 del 2007) le
quali hanno annullato i decreti del Ministro dei lavori pubblici del 21
dicembre 2000 e 9 aprile 1999 concernenti la normativa tecnica relativa alle
linee aeree esterne.
Secondo quanto statuito dalle richiamate
decisioni del giudice amministrativo, mentre a tutte le opere in conglomerato
cementizio, normale, precompresso e a struttura metallica si applicano le norme
in materia antisismica contenute nel d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), alla
costruzione delle linee elettriche esterne si applica la normativa speciale di
cui alla legge 28 giugno 1986, n. 339 (Nuove norme per la disciplina della
costruzione e dell’esercizio di linee elettriche aeree esterne), e alla
relativa normativa di attuazione. Pertanto, la disposizione regionale impugnata
avrebbe inteso unicamente adeguare la normativa regionale a quanto stabilito
dall’art. 2 della legge n. 339 del 1986.
Conseguentemente, il richiamo all’art.
10 contenuto nella disposizione impugnata non può essere interpretato nel senso
che esso escluda per talune opere la necessità del rilascio dell’autorizzazione
per l’inizio dei lavori in zone sismiche.
Inoltre il legislatore regionale avrebbe
inteso adeguare la normativa concernente gli impianti di produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili allo specifico titolo abilitativo semplificato
(PAS) in armonia con quanto previsto dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990 e
dall’art. 5 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - prime
disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dalla
legge 12 luglio 2011, n. 106.
La norma impugnata, inoltre, rinviando
alla legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del
territorio), che riguarda l’attività edilizia − la quale all’art. 84
stabilisce che il progettista che presenta la SCIA deve dare atto nella sua
relazione del rispetto delle norme antisismiche − rende evidente che
detta segnalazione non sostituisce i nulla osta e le autorizzazioni richieste a
fini sismici la cui acquisizione è obbligatoria.
Inconferente sarebbe poi il richiamo all’abrogazione, disposta
dall’art. 32, comma 2, della legge reg. n. 69 del 2012, dell’art. 12, comma 5,
della legge reg. n. 39 del 2005 che prevedeva che, al fine di assicurare il
coordinamento interregionale e infraregionale, la
Regione potesse intervenire nel procedimento e nella conferenza di servizi di
cui al comma 2. Tale abrogazione avrebbe avuto lo scopo di semplificare il
procedimento unico per il rilascio dell’autorizzazione alla costruzione e
all’esercizio di impianti di energia, posto che la disposizione regionale era
priva di collegamento con i principi statali.
Né il ricorrente ha indicato quale norma
statale di principio sarebbe stata violata dalla abrogazione dell’art. 12,
comma 5.
Diversamente, nei casi in cui la
normativa statale configura l’intervento della Regione come necessario, la
normativa regionale è intervenuta con specifica disciplina.
8.– Riguardo alle censure relative
all’art. 37, che ha sostituito l’art. 17 della legge reg. n. 39 del 2005, il
quale disciplina una serie di interventi relativi all’installazione di impianti
alimentati da fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica e
termica, la Regione osserva, preliminarmente, come la norma impugnata sia stata
introdotta per la necessità di adeguare la normativa regionale alle norme
statali in materia di semplificazione (in particolare, al d.l. n. 70 del 2011,
al decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, recante «Disposizioni urgenti tributarie
e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e
nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti "caroselli” e
"cartiere”, di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria
anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti
recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda
in particolari settori», convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio
2010, n. 73, alle linee guida dettate dal d.m. 10
settembre 2010, nonché al d.lgs. n. 28 del 2011, ai decreti-legge 24 gennaio
2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle
infrastrutture e la competitività», convertito, con modificazioni, dalla legge
24 marzo 2012, n. 27, e 9 febbraio 2012, n. 5, recante «Disposizioni urgenti in
materia di semplificazione e di sviluppo», convertito, con modificazioni, dalla
legge 4 aprile 2012, n. 35) nonché alle sentenze n. 313 del 2010
e n. 248 del
2006 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
di talune disposizioni della legge reg. n. 39 del 2005.
Inoltre, alcune previsioni contenute
nella disposizione impugnata costituirebbero legittimo esercizio della facoltà
espressamente prevista al legislatore regionale di individuare ulteriori
interventi edilizi da sottoporre al regime dell’attività libera, in conformità
di quanto stabilito dall’art. 6, comma 6, del d.P.R. n. 380 del 2001 e
dall’art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 115 del 2008, i quali riguardano anche gli
interventi relativi all’utilizzo di fonti alternative mediante apparecchi
omogenei agli edifici per l’autoconsumo (come si evince dalla sentenza n. 313 del
2010).
Esaminando nel dettaglio le singole
censure, la difesa regionale sostiene l’infondatezza di quelle relative
all’art. 17, comma 2, lettere a) e b), della legge reg. n. 39 del 2005 come
modificato dall’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012, con cui lo Stato
deduce la violazione dell’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011.
Infatti tali ultime previsioni sarebbero state pedissequamente recepite
rispettivamente dal comma 3, lettera b), e dal comma 6 dell’art. 17 della legge
regionale.
Invece gli interventi previsti dall’art.
17, comma 2, lettere a) e b), riguarderebbero unicamente gli interventi minimi,
per la produzione della sola energia termica destinata all’utilizzo diretto,
relativi alla installazione di pannelli solari termici di sviluppo uguale o
inferiore a 20 mq, ovvero ai pannelli solari per applicazioni nel settore
vivaistico. Tali interventi sarebbero già sottoposti al solo regime edilizio.
Argomentando diversamente, si dovrebbe ritenere che l’elencazione contenuta
nell’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011 sia tassativa e sostitutiva della vigente
disciplina per gli impianti da fonti rinnovabili già sottoposti ad attività
libera e ciò in contrasto con la direttiva 23 aprile 2009, n. 2009/28/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’uso
dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione
delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE – Testo rilevante ai fini del SEE), che
persegue la finalità di incentivare il ricorso alla produzione di energia da
fonti rinnovabili anche attraverso percorsi semplificati per l’installazioni di
tali tipologie di impianti.
Infondate sarebbero, inoltre, le censure
mosse avverso l’art. 37 nella parte in cui introduce l’art. 17, comma 2,
lettera f), alla legge reg. n. 39 del 2005 per violazione dell’art. 6, comma
11, del d.lgs. n. 28 del 2011. Ad avviso della Regione, infatti, la
disposizione statale evocata sarebbe inconferente
atteso che essa avrebbe ad oggetto unicamente gli impianti di produzione di
energia elettrica e non termica, di tal che il limite di 50 KW da essa prevista
dovrebbe intendersi riferito unicamente ai KW elettrici, laddove invece la
norma regionale fa riferimento alla sola potenza termica. Si tratterebbe
peraltro di una previsione già contenuta nel testo originario della legge reg.
n. 39 del 2005.
Inconferente sarebbe altresì il richiamo all’art. 6, comma 11,
del d.lgs. n. 28 del 2011 di cui si deduce la violazione ad opera dell’art. 17,
comma 3, lettera a), della legge reg. n. 39 del 2005.
La disposizione statale, infatti, la
quale prevede la possibilità per le Regioni di estendere il regime semplificato
delle comunicazioni ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con
potenza nominale fino a 50 KW, riguarderebbe unicamente l’ipotesi in cui il
legislatore regionale voglia individuare tipologie di interventi da sottoporre
al regime di attività libera ulteriori rispetto a quelli già previsti ai sensi
dei paragrafi 11 e 12 delle linee guida.
La disposizione regionale impugnata,
invece, costituirebbe fedele riproduzione dell’art. 11, comma 3, del d.lgs. n.
115 del 2008 richiamato dal d.lgs. n. 28 del 2011 il quale dispone che «gli
interventi di incremento dell’efficienza energetica che prevedano
l’installazione di singoli generatori eolici con altezza complessiva non
superiore a 1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro, nonché di impianti
solari termici o fotovoltaici aderenti o integrati nei tetti degli edifici con
la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti
non modificano la sagoma degli edifici stessi, sono considerati interventi di
manutenzione ordinaria e non sono soggetti alla disciplina della denuncia di
inizio attività di cui agli articoli 22 e 23» del d.P.R. n. 380 del 2001,
«qualora la superficie dell’impianto non sia superiore a quella del tetto
stesso».
Le censure relative all’art. 17, comma
5, lettere a), b) e c), benché formulate distintamente dal ricorrente,
dovrebbero essere trattate unitariamente, atteso che solo dalla lettura
complessiva delle disposizioni impugnate sarebbe possibile comprenderne la
reale portata.
Il comma 5 prevede che non necessitino
di titolo abilitativo due diverse tipologie di impianti di produzione
energetica e cioè quelli realizzati in edifici esistenti, sempre che non
alterino i volumi e le superfici, non comportino modifiche delle destinazioni
d’uso, non riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino
aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento di
parametri urbanistici ed alla ulteriore condizione che:
1) vi sia produzione di energia
elettrica e la relativa capacità di generazione sia compatibile con il regime
di scambio sul posto (lettera b);
2) vi sia produzione di calore e questo
sia destinato alla climatizzazione o alla produzione di acqua calda sanitaria
dell’edificio stesso (lettera c).
Anche in questo caso la Regione non prevederebbe nuove forme di semplificazione, ma si
limiterebbe a recepire la disciplina statale che identifica gli interventi
soggetti al regime di attività libera.
In particolare, quanto agli impianti di
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, verrebbero in
considerazione il paragrafo 12 delle linee guida e l’art. 123 del d.P.R. n. 380
del 2001, nonché il connesso art. 6, comma 1, lettera a), e comma 2, lettera
a), dello stesso decreto.
Quanto agli impianti di produzione di
calore da fonti rinnovabili di cui al combinato disposto delle lettere a) e c)
del comma 5 dell’art. 17, la normativa recepirebbe le disposizioni dell’art. 7,
comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2011.
Riguardo poi alle censure relative alla
lettera b) del comma 5, la resistente sostiene che il parametro evocato sarebbe
inconferente atteso che la norma regionale «non
riguarda gli impianti solari termici che per loro intrinseca natura si
posizionano sugli edifici, [e dunque] sul loro involucro e mai all’interno
degli edifici».
Infondate sarebbero, infine, le censure
relative all’art. 17, comma 11, il quale si limiterebbe a chiarire che, ove gli
interventi di modifica o manutenzione degli impianti non comportino modifiche
assoggettate a PAS o a SCIA, esse possono essere realizzate in regime di
attività libera ai sensi degli artt. 16, 16-bis e 17 della legge reg. n. 39 del
2005.
Peraltro la disposizione censurata
sarebbe stata contenuta nella stessa formulazione nel testo dell’art. 17
anteriore alle modifiche introdotte dalla legge reg. n. 69 del 2012.
In prossimità dell’udienza, la
resistente ha depositato una memoria nella quale dà atto che, successivamente
alla proposizione del ricorso, è stata emanata la legge della Regione Toscana 9
agosto 2013, n. 47 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2013), il
cui art. 59 ha modificato l’art. 41 della legge reg. n. 38 del 2004 disponendo
che l’avvio dell’attività di utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di
sorgente sia assoggettato al rilascio di autorizzazione, e non più a SCIA. In
considerazioni di tali modifiche, la resistente ha chiesto che sia dichiarata
la cessazione della materia del contendere con riguardo alle censure
prospettate in relazione all’art. 17 della legge reg. n. 69 del 2012.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2,
3, 17, 35 e 37 della legge della Regione Toscana 3 dicembre 2012, n. 69 (Legge
di semplificazione dell’ordinamento regionale 2012).
2.– Il ricorrente impugna, innanzitutto,
gli artt. 1, 2 e 3 della legge richiamata i quali modificano talune previsioni
contenute nella legge della Regione Toscana 3 gennaio 1995, n. 3 (Norme
sull’attività di tassidermia e imbalsamazione).
In particolare l’art. 1 della legge reg.
n. 69 del 2012 modifica l’art. 2 della legge reg. n. 3 del 1995, mentre gli
artt. 2 e 3 abrogano rispettivamente gli artt. 3 e 4 della legge reg. n. 3 del
1995.
Per effetto di tali modifiche nella
Regione Toscana l’esercizio dell’attività di tassidermia ed imbalsamazione è
subordinato alla presentazione, in luogo della denuncia di inizio attività
(DIA) originariamente prevista, di una segnalazione certificata di inizio
attività (SCIA) nella quale viene attestata la frequenza ad un corso di
formazione professionale obbligatoria.
Vengono, inoltre, abrogate le
disposizioni della legge reg. n. 3 del 1995 che subordinavano l’esercizio di
tale attività al superamento di un esame di abilitazione, prevedendosi, in
sostituzione, la frequenza obbligatoria di un corso di formazione, i cui
contenuti sono rimessi ad un atto del dirigente della competente struttura
regionale.
Il ricorrente sostiene che tali
disposizioni violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto
interverrebbero nella materia concorrente delle professioni senza rispettare il
principio secondo il quale la individuazione delle figure professionali con i
relativi profili e titoli abilitanti è riservata alla normativa dello Stato.
2.1.– La questione non è fondata.
Questa Corte, con orientamento ormai
costante, ha affermato che «la potestà legislativa regionale nella materia concorrente
delle "professioni” deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione
delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è
riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato,
rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che
presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale; tale principio,
al di là della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi,
si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge
regionale, da ciò derivando che non è nei poteri delle Regioni dar vita a nuove
figure professionali» (da ultimo, sentenza n. 98 del
2013).
Una volta, però, che la legge statale
abbia dato vita ad un’autonoma figura professionale «non si spiega per quale
motivo le Regioni, dotate di potestà primaria in materia di formazione
professionale, non possano regolare corsi di formazione relativi alle professioni
[…] già istituite dallo Stato, fermo restando che l’esercizio di tale
attribuzione regionale non è necessariamente subordinato a siffatto requisito
preliminare, ma può venire realizzato nell’interesse formativo di qualunque
lavoratore, anche al di fuori di un tipico inquadramento professionale di
quest’ultimo, purché con ciò non si dia vita ad una nuova professione,
rilevante in quanto tale nell’ordinamento giuridico» (sentenze n. 108 del 2012
e n. 271 del
2009).
Con riguardo all’attività di tassidermia
e di imbalsamazione, le uniche disposizioni dettate dalla normativa statale
sono contenute nell’art. 6 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la
protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), il
quale, al comma 1, stabilisce che «Le regioni sulla base di apposito
regolamento disciplinano l’attività di tassidermia ed imbalsamazione e la detenzione
o il possesso di preparazioni tassidermiche e trofei», e al comma 4 dispone che
«Le regioni provvedono ad emanare, non oltre un anno dalla data di entrata in
vigore della presente legge, un regolamento atto a disciplinare l’attività di
tassidermia ed imbalsamazione di cui al comma 1».
La Regione Toscana aveva già dato
attuazione a tali previsioni con la legge reg. n. 3 del 1995 la quale, nella
formulazione originaria, subordinava l’esercizio di questa attività alla
presentazione di una DIA e al superamento di un apposito esame.
La legge impugnata ha eliminato la
necessità di tale esame prevedendo, invece, la partecipazione obbligatoria ad
un corso di formazione disciplinato dalla Regione stessa.
Alla luce di questo quadro normativo si
può affermare che le modifiche introdotte dalla legge reg. n. 69 del 2012 non
hanno istituito una nuova figura professionale, ma sono intervenute sulla
disciplina regionale già vigente in materia, prevedendo una diversa modalità di
accesso allo svolgimento dell’attività di imbalsamazione e tassidermia per la
quale è richiesta obbligatoriamente la frequenza di un corso di formazione. Le
disposizioni impugnate, pertanto, costituiscono esercizio della potestà
residuale delle Regioni in tema di formazione professionale.
3.– Lo Stato ha poi impugnato l’art. 17
della legge reg. n. 69 del 2012 il quale sostituisce l’art. 41 della legge
della Regione Toscana 27 luglio 2004, n. 38 (Norme per la disciplina della
ricerca, della coltivazione e dell’utilizzazione delle acque minerali, di
sorgente e termali).
A seguito di tali modifiche, la nuova
versione dell’art. 41 della legge reg. n. 38 del 2004 stabilisce che l’avvio
dell’attività di utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente è
assoggettato a SCIA, attestante il possesso dei requisiti previsti dal
regolamento (CE) 29 aprile 2004, n. 852/2004 (Regolamento del Parlamento
europeo e del Consiglio sull’igiene dei prodotti alimentari). Stabilisce,
inoltre, che l’ASL può effettuare un sopralluogo di verifica entro 30 giorni.
Il ricorrente deduce la violazione
dell’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto, prevedendo in luogo
dell’autorizzazione (forma di controllo preventivo), la SCIA (che implica
controlli successivi), la norma impugnata contrasterebbe con la disciplina di
principio in materia di tutela della salute dettata dal decreto legislativo 8
ottobre 2011, n. 176 (Attuazione della direttiva 2009/54/CE, sull’utilizzazione
e la commercializzazione delle acque minerali naturali). Gli artt. 6 e 22 del
citato decreto, infatti, subordinano l’inizio di tale attività ad
autorizzazione, la quale è rilasciata previo accertamento che gli impianti
destinati all’utilizzazione siano realizzati in modo da escludere ogni pericolo
di inquinamento e da conservare all’acqua le proprietà, corrispondenti alla sua
qualificazione, esistenti alla sorgente.
Ad avviso del ricorrente, la
disposizione impugnata violerebbe, altresì, l’art. 117, primo comma, Cost. in
quanto, disattendendo le previsioni della normativa comunitaria, la quale subordina
ad autorizzazione l’utilizzazione di una sorgente d’acqua minerale naturale, si
porrebbe in contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.
3.1.– Successivamente alla proposizione
del ricorso, la Regione Toscana ha emanato la legge 9 agosto 2013, n. 47 (Legge
di manutenzione dell’ordinamento regionale 2013), la quale, all’art. 59, ha
modificato l’art. 41 della legge reg. n. 38 del 2004 disponendo che l’avvio
dell’attività di utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente sia
assoggettato al rilascio di autorizzazione, e non più a SCIA.
La resistente ha chiesto che sia
dichiarata cessata la materia del contendere essendo dette modifiche satisfattive delle censure mosse dallo Stato e non avendo
avuto medio tempore applicazione la disposizione impugnata.
3.2.– Come noto, lo ius superveniens può determinare la
cessazione della materia del contendere solo ove al contempo rivesta efficacia satisfattiva rispetto alle ragioni del ricorrente e la
normativa censurata non abbia avuto medio tempore applicazione (ex plurimis,
sentenze n. 73
e n. 18 del 2013,
n. 300 e n. 193 del 2012).
Se nel caso in esame le modifiche
introdotte dalla legge reg. n. 47 del 2013, recependo senz’altro la normativa
statale appaiono soddisfare le censure mosse dal ricorrente, non vi è,
tuttavia, alcuna dimostrazione del fatto che la disposizione impugnata – la
quale contiene previsioni dotate di immediata efficacia – non abbia avuto
applicazione. Non ricorrono pertanto, nella specie, le condizioni richieste
dalla giurisprudenza di questa Corte perché possa essere dichiarata la
cessazione della materia del contendere.
3.3.– La disposizione censurata va
pertanto sottoposta allo scrutinio di costituzionalità.
Gli artt. 6 e 22 del d.lgs. n. 176 del
2011, nel disciplinare l’utilizzazione e la commercializzazione delle acque
minerali naturali in attuazione della direttiva 18 giugno 2009, n. 2009/54/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’utilizzazione e la
commercializzazione delle acque minerali naturali), stabiliscono che
l’utilizzazione delle acque minerali naturali e l’immissione in commercio delle
acque di sorgente siano subordinate ad una previa autorizzazione rilasciata
dopo aver accertato la ricorrenza delle condizioni ivi indicate.
Questa Corte, nella sentenza n. 244 del
2010, esaminando le censure proposte proprio dalla Regione Toscana avverso
tali disposizioni, laddove subordinano lo svolgimento delle attività in parola
ad una previa autorizzazione rilasciata dopo l’accertamento della sussistenza
delle condizioni ivi indicate, ha affermato che «Il legislatore comunitario,
nell’esercizio della propria discrezionalità normativa, ha ritenuto prevalente,
rispetto a quella della semplificazione amministrativa dei procedimenti, la
finalità di assicurare la tutela della salute dei consumatori di acque
minerali. Nell’ordinamento nazionale analoga finalità costituisce un interesse
generale, costituzionalmente rilevante, in quanto species del più ampio genus della salute del singolo individuo e della
collettività di cui all’art. 32 Cost. e, nel caso di specie, anche pienamente
conforme alla regola introdotta dal legislatore comunitario […]. La normativa
nazionale di recepimento, contenuta nel d.lgs. n. 176 del 2011 e censurata
dalla Regione Toscana, proprio perché in larga misura pedissequamente
riproduttiva delle previsioni comunitarie – sintetiche per definizione quanto
ai loro enunciati – contenute nella direttiva 2009/54/CE, detta nella specie
una disciplina di principio della materia, comunque non modificabile dalla
fonte regionale, pena la mancata o incompleta attuazione dell’atto
comunitario».
Alla luce di tale pronuncia le censure
prospettate, sia con riferimento al primo che al terzo comma dell’art. 117
Cost., risultano fondate.
La disposizione regionale impugnata,
infatti, subordinando lo svolgimento dell’attività a semplice SCIA, anziché ad
autorizzazione, viola un principio fondamentale della materia della tutela
della salute, ed inoltre si pone in contrasto la normativa comunitaria.
4.– Il ricorrente ha impugnato l’art. 35
della legge reg. n. 69 del 2012 il quale sostituisce l’art. 16 della legge
della Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 39 (Disposizioni in materia di
energia).
L’art. 16, inserito nel Capo III della
legge, concernente la disciplina delle attività energetiche, individua gli
interventi soggetti a SCIA.
Al comma 1 la citata disposizione
stabilisce che gli interventi previsti ai commi 3 e 4 «sono soggetti a SCIA, ai
fini degli adempimenti in materia edilizia e di energia, nel rispetto» tra le
altre, delle disposizioni di cui all’art. 10 della stessa legge regionale.
Il Presidente del Consiglio sostiene che
la disposizione impugnata violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. con
riguardo alla materia di governo del territorio e protezione civile nella parte
in cui prevede il rispetto dell’art. 10 della legge reg. n. 39 del 2005, il
quale ha escluso talune opere dal rilascio delle autorizzazioni per l’inizio
dei lavori nelle zone sismiche, laddove invece l’art. 19 della legge 7 agosto
1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi), stabilisce che le disposizioni
in materia di SCIA non si applicano ai casi previsti dalla normativa per le
costruzioni in zone sismiche.
La difesa della Regione Toscana ha
eccepito l’inammissibilità della censura in quanto essa difetterebbe dei
requisiti di chiarezza e completezza necessari per sollevare una questione di
legittimità costituzionale.
L’eccezione è fondata.
Secondo la giurisprudenza costante di
questa Corte, il ricorso in via principale deve anzitutto «identificare
esattamente la questione nei suoi termini normativi», indicando «le norme
costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o
incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità», e
altresì «contenere una seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno
della richiesta declaratoria di incostituzionalità della legge» (ex plurimis,
sentenze n. 41
del 2013 e n.
114 del 2011, nonché ordinanza n. 123
del 2012), ponendosi l’esigenza di una adeguata motivazione a supporto
della impugnativa «in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti che in
quelli incidentali» (ordinanza n. 123
del 2012, che menziona anche le sentenze n. 139 del 2006
e n. 450 del
2005).
Nel caso in esame, le argomentazioni
svolte dal ricorrente a sostegno dell’impugnazione dell’art. 35 della legge
reg. n. 69 del 2012 sono formulate in termini confusi e non raggiungono quella
soglia minima di chiarezza e completezza cui è subordinata l’ammissibilità
delle impugnative in via principale (ex plurimis, sentenza n. 312 del
2013).
5.– È impugnato l’art. 37 della legge
reg. n. 69 del 2012 il quale sostituisce l’art. 17 della legge reg. n. 39 del
2005. A seguito delle modifiche introdotte, la citata disposizione
individuerebbe, ai commi 2, lettere a), b), ed f), 3, lettera a), 5, lettere
a), b) e c), e 11, una serie di interventi concernenti l’installazione di
impianti da fonti rinnovabili che producono energia elettrica e termica per i
quali non è necessario il titolo abilitativo.
In tal modo la disposizione censurata violerebbe
l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto disciplinerebbe il regime abilitativo
per i suddetti interventi in modo difforme rispetto a quanto previsto dalla
normativa statale dettata dagli artt. 6 comma 11, e 7, commi 1, 2 e 5, del
decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE
sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e
successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), nonché dal
decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i
beni e le attività culturali 10 settembre 2010 (Linee guida per
l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili). I regimi di
abilitazione alla costruzione di impianti di produzione di energia da fonti
rinnovabili previsti dalle disposizioni richiamate costituirebbero infatti
principio fondamentale della materia «produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia».
Il ricorrente evidenzia, analiticamente,
diversi profili di contrasto della disposizione impugnata con i parametri
interposti evocati.
Innanzitutto censura le modifiche
introdotte dall’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012 all’art. 17, comma 2,
lettere a) e b), della legge reg. n. 39 del 2005 le quali prevedono che «Non
necessitano di titolo abilitativo, ai sensi della presente legge e della L.R. n. 1/2005, i seguenti interventi laddove realizzati
secondo le condizioni stabilite dal PAER e dai provvedimenti attuativi dello
stesso:
a) l’installazione di pannelli solari
termici di sviluppo uguale o inferiore a 20 metri quadrati;
b) l’installazione di pannelli solari
termici per applicazioni nel settore florovivaistico».
Tale disposizione violerebbe l’art. 117,
terzo comma, Cost. in quanto disciplina il regime abilitativo per i suddetti
interventi in modo difforme rispetto a quanto previsto dall’art. 7, commi 1 e
2, del d.lgs. n. 28 del 2011. Le difformità sono individuate dal ricorrente
nella mancata specificazione della tipologia di comunicazione alla quale gli
interventi in esso previsti sono soggetti, vale a dire se a quella di cui al
decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115 (Attuazione della direttiva
2006/32/CE relativa all’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi
energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE), ovvero a quella di cui
all’art. 6, comma 2, lettera a), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia). Inoltre la
realizzazione degli impianti in parola non sarebbe subordinata alle condizioni
previste dalla norma statale.
5.1.– Al fine di valutare la fondatezza
delle censure proposte è necessario preliminarmente analizzare la disciplina
dettata dall’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011, evocato
dall’Avvocatura a parametro interposto.
Tale disposizione ha ad oggetto il
regime di autorizzazione degli impianti di produzione di energia termica da
fonti rinnovabili.
Il comma 1 riguarda gli interventi di
installazione di impianti solari termici. Essi sono considerati attività libera
subordinata alla sola previa comunicazione di cui all’art. 11, comma 3, del
d.lgs. n. 115 del 2008 alle seguenti congiunte condizioni: a) siano installati
impianti aderenti o integrati nei tetti di edifici esistenti con la stessa
inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non
modifichino la sagoma degli edifici stessi; b) la superficie dell’impianto non
sia superiore a quella del tetto su cui viene realizzato; c) gli interventi non
ricadano nel campo di applicazione del codice dei beni culturali e del
paesaggio, di cui al d.lgs. n. 42 del 2004 e successive modificazioni.
Laddove ricorrano tali condizioni, per
la realizzazione degli impianti è richiesta la mera comunicazione preventiva,
anche per via telematica, al Comune, secondo quanto previsto dall’art. 11,
comma 3, del d.lgs. n. 115 del 2008.
Il comma 2 dell’art. 7 disciplina
l’installazione di impianti solari termici per i quali ricorrano congiuntamente
le seguenti condizioni: a) siano realizzati su edifici esistenti o su loro
pertinenze, ivi inclusi i rivestimenti delle pareti verticali esterne agli
edifici; b) gli impianti siano realizzati al di fuori della zona A), di cui al
decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444.
In questi casi gli impianti sono
realizzati previa comunicazione secondo le modalità definite dagli artt. 6,
comma 2, lettera a), e 123, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001.
L’art. 6, in particolare, stabilisce che
gli interventi di manutenzione straordinaria da essa previsti «possano essere
eseguiti senza alcun titolo abilitativo» previa comunicazione al Comune
dell’inizio dei lavori. Il comma 4 dello stesso art. 6, aggiunge che,
unitamente a tale comunicazione, l’interessato deve trasmettere i dati
identificativi dell’impresa cui saranno affidati i lavori e una relazione
tecnica, provvista di data certa e corredata degli opportuni elaborati
progettuali, a firma di tecnico abilitato, il quale assevera, sotto la propria
responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici e che per
essi la normativa statale e regionale non prevede il rilascio di un titolo
abilitativo.
L’art. 123 del medesimo d.P.R. n. 380
del 2001 rinvia al richiamato art. 6 e al regime ivi previsto per
l’installazione di impianti da fonti rinnovabili sugli edifici.
Il comma 5 dell’art. 7 del d.lgs. n. 28
del 2011, infine, prevede che gli impianti di produzione di energia termica
diversi da quelli indicati sopra, i quali siano realizzati negli edifici
esistenti e negli spazi liberi privati annessi e purché destinati unicamente
alla produzione di acqua calda e aria per l’uso nei medesimi edifici, sono
soggetti alla previa comunicazione di cui all’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001.
5.2.– L’art. 17 della legge reg. n. 39
del 2005, al comma 2, stabilisce che sono considerati attività libera, e «non
necessitano di titolo abilitativo ai sensi della presente legge e della L.R. n. 1/2005», tra gli altri: a) l’installazione di
pannelli solari termici di sviluppo uguale o inferiore a 20 metri quadrati; b)
l’installazione di pannelli solari termici per applicazioni nel settore
florovivaistico.
Per questi interventi il comma 10
dell’art. 17 della legge reg. dispone che l’interessato dia «preventiva
comunicazione al comune».
La Regione nelle sue difese sostiene che
le previsioni della norma statale asseritamente violata sono pedissequamente
recepite dall’art. 17 al comma 3, lettera b) e al comma 6 della legge reg. n.
39 del 2005; inoltre che la disposizione censurata concerne interventi diversi
da quelli suddetti.
Questi sarebbero assoggettati ad
attività libera in coerenza con la normativa statale che già sottopone al solo
regime edilizio tali interventi (art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 e art. 11,
comma 4, del d.lgs. n. 115 del 2008) nonché della normativa comunitaria che
prevede percorsi semplificati per l’installazione di impianti da fonti
rinnovabili al fine di incentivarne l’utilizzo.
La censura è fondata.
Per ciò che concerne la ricostruzione
iniziale, è esatto quanto sostiene la resistente. La normativa regionale
recepisce, infatti, le disposizioni dell’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011 dal
momento che l’art. 17, comma 3, lettera b), della legge reg. n. 39 del 2005 ha
un disposto che richiama il contenuto dell’art. 7, comma 1, mentre il comma 6
recepisce il disposto dell’art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 28.
Tuttavia, la disposizione regionale
impugnata ha ad oggetto due specifiche tipologie di impianti solari termici e
cioè i pannelli solari di sviluppo uguale o inferiore a 20 metri quadrati e i
pannelli solari per applicazioni nel settore florovivaistico. Poiché questi
impianti sono descritti unicamente con riferimento alle suddette
caratteristiche, risultano diversi da quelli considerati dalla norma statale,
potendo trattarsi di pannelli solari non collocati su edifici esistenti o che
comunque non ne rispettino le dimensioni e le caratteristiche. Tali interventi
sono, altresì, assoggettati dal legislatore regionale ad un regime ancora più
semplificato rispetto a quello dettato dall’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011
dal momento che, in luogo della comunicazione di cui all’art. 6 del d.P.R. n.
380 del 2001 – la quale, come si è detto sopra, richiede anche ulteriori
adempimenti tra cui, in particolare, la presentazione di una relazione tecnica
– prevede (art. 17, comma 10) la mera comunicazione al Comune e cioè un regime
analogo a quello dell’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 115 del 2008 riservato
dal legislatore statale solo a particolari interventi, comunque diversi da
quelli in oggetto.
Questa Corte, occupandosi più volte
della materia, ha affermato che la normativa del d.lgs. n. 28 del 2011 «è
espressione della competenza statale in materia di energia, poiché detta il
regime abilitativo per gli impianti non assoggettati all’autorizzazione unica,
regime da applicarsi in tutto il territorio nazionale» (sentenza n. 272 del
2012).
Inoltre, nella sentenza n. 313 del
2010 (avente ad oggetto proprio la legge reg. n. 39 del 2005) ha dichiarato
costituzionalmente illegittime quelle disposizioni che o assoggettavano a DIA o
deregolamentavano, qualificando come attività libera, interventi che, ai sensi
della normativa, statale avrebbero dovuto essere assoggettati ad autorizzazione
unica. La ragione dell’illegittimità costituzionale di tali disposizioni è
stata individuata nel fatto che le procedure previste dalla disciplina statale
sono volte a consentire il vaglio dei molteplici interessi coinvolti (per la
tutela dei quali è disposta la partecipazione di soggetti diversi alla
conferenza di servizi prevista per il rilascio dell’autorizzazione).
Le medesime considerazioni possono
svolgersi con riguardo al caso di specie. La Regione, nell’estendere il regime
semplificato della mera comunicazione ad interventi ulteriori rispetto a quelli
previsti dalla normativa statale, ha violato il principio fondamentale nella
materia dell’energia costituito dalla disciplina del regime dei titoli
abilitativi dettata dall’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011.
6.– L’art. 37 della legge reg. n. 69 del
2012 è poi censurato nella parte in cui modifica l’art. 17, comma 2, lettera
f), della legge reg. n. 39 del 2005. La disposizione legislativa inserisce alla
lettera f) «l’installazione di impianti di produzione energetica alimentati a
biomassa fino a 0,5 megawat termici» tra gli
interventi che «non necessitano di titolo abilitativo ai sensi della presente
legge e della L.R. n. 1/2005, […] laddove [essi
siano] realizzati secondo le condizioni stabilite dal PAER e dai provvedimenti
attuativi dello stesso».
L’Avvocatura dello Stato ha dedotto la
violazione dell’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 che consente alle
Regioni di estendere il regime dell’attività libera agli impianti alimentati da
fonti rinnovabili, purché aventi potenza nominale fino a 50 KW.
Secondo la difesa regionale, tali
censure sarebbero prive di pregio dal momento che la norma statale, richiamando
le "Linee guida” dettate dal d.m. 10 settembre 2010,
si riferirebbe solo agli impianti di produzione di energia elettrica, mentre la
norma regionale riguarderebbe gli impianti di produzione di energia termica.
6.1.– La censura è fondata.
L’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del
2011, di cui si lamenta la violazione, stabilisce che «La comunicazione
relativa alle attività in edilizia libera, di cui ai paragrafi 11 e 12 delle
linee guida adottate ai sensi dell’articolo 12, comma 10 del decreto
legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 continua ad applicarsi, alle stesse
condizioni e modalità, agli impianti ivi previsti. Le Regioni e le Province
autonome possono estendere il regime della comunicazione di cui al precedente
periodo ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza
nominale fino a 50 kW, nonché agli impianti fotovoltaici di qualsivoglia
potenza da realizzare sugli edifici, fatta salva la disciplina in materia di
valutazione di impatto ambientale e di tutela delle risorse idriche».
Nel procedere all’esame di questa
censura è necessario fare una premessa che precisi l’incidenza che, nel
processo valutativo demandato a questa Corte, assumono atti di normazione secondaria che, come le "Linee guida”,
costituiscono, in un ambito esclusivamente tecnico, il completamento del
principio contenuto nella disposizione legislativa. Se è ovvio che essi,
qualora autonomamente presi, non possono assurgere al rango di normativa
interposta, altra è la conclusione cui deve giungersi ove essi vengano
strettamente ad integrare, in settori squisitamente tecnici, la normativa
primaria che ad essi rinvia. In detti campi applicativi essi vengono ad essere
un corpo unico con la disposizione legislativa che li prevede e che ad essi
affida il compito di individuare le specifiche caratteristiche della
fattispecie tecnica che, proprio perché frutto di conoscenze periferiche o
addirittura estranee a quelle di carattere giuridico le quali necessitano di
applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale, mal si conciliano con
il diretto contenuto di un atto legislativo. Non a caso per la loro definizione
è prevista una procedura partecipativa estremamente ampia ed articolata. Poiché
essi, come si è detto, fanno corpo con la disposizione legislativa che ad essi
rinvia, il loro mancato rispetto comporta la violazione della norma interposta
e determina, nel caso si verta nelle materie di cui al terzo comma dell’art.
117 Cost. e qualora la norma interposta esprima principi fondamentali,
l’illegittimità costituzionale della norma censurata.
Si tratta, peraltro, di principi già
espressi da questa Corte, quando ha affermato (sentenza n. 275 del
2011) che: «Il d.m. 10 settembre 2010 contiene
norme finalizzate a disciplinare, in via generale ed astratta, il procedimento
di autorizzazione alla installazione degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili, alle quali sono vincolati tutti i soggetti, pubblici e privati,
coinvolti nell’attività in questione». O quando, con molteplici pronunce (ex multis:
sentenze nn. 344 e 168 del 2010)
si è affermato che in assenza delle suddette "Linee guida” era preclusa alle
Regioni la possibilità di determinare l’individuazione dei parchi eolici
«poiché l’indicazione da parte delle Regioni dei luoghi preclusi alla
costruzione dei suddetti impianti può avvenire solo a seguito dell’approvazione
delle linee guida nazionali per il corretto inserimento degli impianti eolici
nel paesaggio da parte della Conferenza unificata ex art. 12, comma 10, del
d.lgs. n. 387 del 2003».
Si è in presenza, come si è detto, di un
canone interpretativo di carattere generale, avendo questa Corte, anche
recentemente (sentenza
n. 62 del 2013) ribadito che «nelle materie di competenza concorrente,
allorché vengono attribuite funzioni amministrative a livello centrale allo
scopo di individuare norme di natura tecnica che esigono scelte omogenee su
tutto il territorio nazionale improntate all’osservanza di standard e
metodologie desunte dalle scienze, il coinvolgimento della Conferenza Stato
Regioni può limitarsi all’espressione di un parere obbligatorio (sentenze n. 265 del 2011,
n. 254 del 2010,
n. 182 del 2006,
n. 336 e n. 285 del 2005).
In tali casi la disciplina statale costituisce principio generale della materia
(sentenze n. 254
del 2010 e n.
182 del 2006)»
Ciò precisato, occorre osservare che le
"Linee guida” dettate dal d.m. 10 settembre 2010 al
paragrafo 12.3, lettera a), assoggettano a comunicazione la realizzazione di
impianti alimentati a biomasse purché «operanti in assetto cogenerativo»
e «aventi una capacità di generazione massima inferiore a 50 kWe».
Il paragrafo 12.4 assoggetta a DIA (oggi
«procedura abilitativa semplificata» − PAS − ai sensi dell’art. 6
del d.lgs. n. 28 del 2011) gli impianti di generazione elettrica alimentati da
biomasse i quali abbiano una capacità di generazione massima inferiore a 1.000 kWe ovvero a 3.000 kWt.
Le "Linee guida”, pertanto,
nell’individuare il diverso regime abilitativo degli impianti alimentati da
biomasse, fanno riferimento tanto ad un limite di potenza espresso in kW
elettrici, quanto ad un limite espresso in kW termici.
Tutto ciò considerato, si rileva che,
mentre la normativa statale stabilisce che gli impianti alimentati da biomassa
che hanno una capacità di generazione massima fino a 3.000 kWt
sono assoggettati alla PAS (procedura abilitativa semplificata), la
disposizione regionale invece assoggetta gli impianti, con capacità di
produzione fino a 0,5 MWt (e cioè 500 kWt) ad un regime diverso rispetto a quello previsto dalle
disposizioni statali, richiedendo per la loro realizzazione la semplice
comunicazione (secondo quanto disposto dall’art. 17, commi 2, lettera f, e 10).
Tale intervento regionale contrasta,
dunque, con quanto previsto dall’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011,
il quale consente alle Regioni di estendere il regime semplificato soltanto
limitatamente agli impianti con potenza nominale fino a 50 kW.
Pertanto la disposizione impugnata
contrasta con la normativa statale concernente la disciplina dei titoli abilitativi
di tal che essa, violando un principio fondamentale in materia della
«produzione e trasporto di energia», deve essere dichiarata costituzionalmente
illegittima.
7.– L’art. 37 della legge reg. n. 69 del
2012 è poi censurato nella parte in cui modifica l’art. 17, comma 3, lettera
a), della legge reg. n. 39 del 2005, assoggettando al regime della attività
libera l’installazione di singoli generatori eolici con altezza complessiva non
superiore ad 1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro.
Ad avviso dell’Avvocatura, la
disposizione contrasterebbe con il combinato disposto dell’art. 6, comma 11,
del d.lgs. n. 28 del 2011 e del paragrafo 12.5, lettera a), del d.m. 10 settembre 2010, in quanto non rispetterebbe i
limiti posti da tale disposizione la quale prevede il regime della
comunicazione per i singoli generatori eolici purché collocati su edifici
esistenti e aventi una potenza nominale massima di 50 KW.
7.1.– La censura non è fondata.
Come si è innanzi detto, l’art. 6, comma
11, del d.lgs. n. 28 del 2011 consente alle Regioni di estendere il regime
della comunicazione di cui alle Linee guida ad impianti da fonti rinnovabili
con potenza fino a 50 KW nonché agli impianti fotovoltaici di qualunque potenza
da realizzare sugli edifici.
Il paragrafo 12.5, lettera a), delle
"Linee guida” assoggetta a comunicazione la realizzazione degli impianti eolici
installati sui tetti degli edifici esistenti purché si tratti di singoli
generatori eolici con altezza complessiva non superiore a 1,5 metri e diametro
non superiore ad un metro e purché gli interventi non ricadano nel campo di
applicazione del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002,
n. 137).
Ciò posto, si osserva che l’art. 6,
comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011, al primo periodo, stabilisce che il regime
della comunicazione previsto dai paragrafi 11 e 12 delle "Linee guida” continua
ad applicarsi alle stesse condizioni e modalità agli impianti ivi previsti. Ciò
significa che la previsione del secondo periodo del comma 11 dell’art. 6, che
consente alle Regioni di estendere il regime semplificato, concerne interventi
diversi ed ulteriori rispetto a quelli già contemplati dalle Linee guida ed è
pertanto solo ad essi che si applica il limite dei 50 KW.
La disposizione regionale, invece, è
conforme a quanto statuito dal paragrafo 12.5, lettera a), delle "Linee guida”.
Essa, inoltre, appare rispettosa di quanto previsto dall’art. 11, comma 3, del
d.lgs. n. 115 del 2008 il quale dispone espressamente che «gli interventi di
incremento dell’efficienza energetica che prevedano l’installazione di singoli
generatori eolici con altezza complessiva non superiore a 1,5 metri e diametro
non superiore a 1 metro […] sono considerati interventi di manutenzione
ordinaria» e per essi è sufficiente una «comunicazione preventiva al Comune».
8.– Il Presidente del Consiglio impugna,
inoltre, l’art. 17, comma 5, lettere a), b) e c), della legge reg. n. 39 del
2005, come modificato dall’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012, il quale
stabilisce che «Nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 80, comma 2,
lettera a), e comma 5, della L.R. n. 1/2005, non
necessitano di titolo abilitativo, anche ai sensi della presente legge, l’installazione
degli impianti di produzione energetica aventi tutte le seguenti
caratteristiche: a) realizzati in edifici esistenti sempre che non alterino i
volumi e le superfici, non comportino modifiche delle destinazioni d’uso, non
riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del
numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri
urbanistici; b) laddove vi sia produzione di energia elettrica, la relativa
capacità di generazione sia compatibile con il regime di scambio sul posto; c)
laddove vi sia produzione di calore, questo sia destinato alla climatizzazione
o alla produzione di acqua calda sanitaria dell’edificio stesso».
Il ricorrente lamenta la violazione
dell’art. 117, terzo comma Cost., perché la disposizione impugnata si porrebbe
in contrasto con i principi fondamentali in materia di energia. Diversi sono i
parametri interposti che si assumono violati dalla disposizione. In
particolare: la lettera a) dell’art. 17, comma 5, contrasterebbe con l’art. 6, comma
11, del d.lgs. n. 28 del 2011 in quanto, nell’assoggettare al regime della
comunicazione anche gli impianti di produzione di energia elettrica e termica
alimentati da fonti rinnovabili, non fissa il limite di potenza fino a 50 KW
stabilito dalla normativa statale; la lettera b) assoggetta a comunicazione di
inizio lavori gli impianti che producono energia elettrica aventi una capacità
di generazione compatibile con il regime di scambio sul posto (i quali sono
quelli con capacità di generazione fino a 200 KW e in taluni casi superiore) in
contrasto con quanto statuito dall’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011
il quale prevede per l’applicazione del regime della comunicazione il limite di
potenza fino a 50 KW; la lettera c) contrasterebbe con l’art. 7, commi 1 e 2,
del d.lgs. n. 28 del 2011 in quanto assoggetta a comunicazione gli impianti
solari senza richiamare le condizioni previste dalla legge statale ed in quanto
non specifica a quale comunicazione la disposizione regionale faccia
riferimento, se a quella di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, ovvero a quella di
cui al d.lgs. n. 115 del 2008.
La disposizione impugnata, inoltre,
contrasterebbe con l’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2011 perché consente
la collocazione di detti impianti anche oltre i casi previsti dalla normativa
statale (edifici e spazi liberi privati annessi).
8.1.– La censura non è fondata.
Il comma 5 dell’art. 17 individua le
condizioni che devono sussistere congiuntamente perché gli interventi in esso
previsti siano assoggettati al regime della libera attività.
La disposizione contempla due tipi di
interventi. Innanzitutto quelli descritti dal combinato disposto delle lettere
a) e b), vale a dire l’installazione di impianti di produzione di energia
elettrica in edifici esistenti che non alterino i volumi e le superfici, non
comportino modifiche delle destinazioni d’uso, non riguardino le parti
strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità
immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici, i quali, nel
caso vi sia produzione di energia elettrica, abbiano capacità di generazione
compatibile con il regime di scambio sul posto.
La disposizione regionale stabilisce che
l’installazione di tali impianti, «nel rispetto di quanto disposto dall’art.
80, comma 2, lettera a), e comma 5», della legge della Regione Toscana 3
gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio), non necessita di
titolo abilitativo.
Le disposizioni richiamate prevedono il
regime della comunicazione, assoggettandolo ad una disciplina del tutto analoga
a quella dettata dall’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, vale a dire, la previa
comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte
dell’interessato all’amministrazione comunale e la trasmissione di una
relazione tecnica provvista di data certa e corredata degli opportuni elaborati
progettuali, a firma di un tecnico abilitato, il quale asseveri, sotto la
propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici
approvati e ai regolamenti edilizi vigenti e che per essi le vigenti norme non
prevedono la formazione di un titolo abilitativo.
Ciò posto, si osserva che gli interventi
contemplati dall’art. 17, comma 5, lettere a) e b), corrispondono a quelli già
previsti da disposizioni statali.
In particolare, le "Linee guida” al
paragrafo 12.3, lettera b), assoggettano gli impianti alimentati da biomasse,
gas di discarica ecc., al regime della comunicazione laddove si tratti di
interventi che «non alterino i volumi e le superfici, non comportino modifiche
delle destinazioni di uso, non riguardino parti strutturali dell’edificio, non
comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino
incremento dei parametri urbanistici» ed inoltre abbiano «una capacità di
generazione compatibile con il regime di scambio sul posto».
Il paragrafo 12.7, lettera a), prevede
le medesime condizioni per gli impianti idroelettrici e geotermici.
L’art. 123 del d.P.R. n. 380 del 2001 al
secondo periodo del comma 1 stabilisce che gli interventi di utilizzo delle
fonti di energia rinnovabili in edifici ed impianti industriali non sono
soggetti ad autorizzazione specifica e sono assimilati alla manutenzione
straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lettera a), dello stesso decreto. Il
paragrafo 11.7 delle "Linee guida” precisa che tale disposizione deve
intendersi riferita a «quegli interventi in edifici ed impianti industriali
esistenti in cui gli impianti hanno una capacità di generazione compatibile con
il regime di scambio sul posto».
Tali tipi di interventi sono
assoggettati dall’art. 6, comma 2, lettera a), e comma 4, del d.P.R. n. 380 del
2001 alla previa comunicazione, sempre che «non riguardino le parti strutturali
dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non
implichino incremento dei parametri urbanistici».
Dall’esame complessivo delle
disposizioni richiamate, appare chiaro come la disciplina dettata dall’art. 17,
comma 5, lettere a) e b), della legge reg. n. 39 del 2005 sia conforme alla
normativa statale concernente i medesimi impianti, laddove invece, l’art. 6 del
d.lgs. n. 28 del 2011, di cui lo Stato lamenta la violazione, concerne
interventi ulteriori e diversi rispetto a quelli in oggetto.
8.2.– La seconda tipologia di interventi
disciplinata dall’art. 17 risulta dal combinato disposto delle lettere a) e c).
Si tratta dell’installazione degli impianti di produzione energetica realizzati
in edifici esistenti, sempre che non alterino i volumi e le superfici, non
comportino modifiche delle destinazioni d’uso, non riguardino le parti
strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità
immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici, i quali
producano calore che sia destinato alla climatizzazione o alla produzione di
acqua calda sanitaria dell’edificio stesso. Anche tali interventi sono
assoggettati al medesimo regime semplificato visto sopra della comunicazione di
cui all’art. 80 della legge reg. n. 1 del 2005.
Il ricorrente sostiene che tale
disposizione contrasterebbe con l’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del
2011: a) in quanto prevede la comunicazione senza tuttavia richiamare le
condizioni previste dalla legge statale; b) in quanto non specifica a quale
comunicazione essa faccia riferimento, se a quella di cui al d.P.R. n. 380 del
2001, ovvero a quella del d.lgs. n. 115 del 2008. Inoltre violerebbe l’art. 7,
comma 5, perché consentirebbe la collocazione di detti impianti anche oltre i
casi previsti dalla normativa statale (edifici e spazi liberi privati annessi).
Anche tali censure non sono fondate.
Innanzitutto si rileva che il richiamo
all’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011, è inconferente
in quanto esso disciplina interventi diversi da quelli contemplati dalla
disposizione impugnata e per i quali la legge regionale detta una disciplina
uguale a quella prevista dalla norma statale (cfr. art. 17, comma 3, lettera b,
e comma 6).
La norma impugnata, a differenza di
quanto sostenuto dal ricorrente, riproduce la disciplina statale risultante dal
combinato disposto dell’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2011 e dell’art.
6, comma 2, lettera a), e comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001.
Essa, infatti, contempla impianti di
produzione di energia termica diversi da quelli previsti dai commi 1 e 2
dell’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011. Mentre tale ultima disposizione ha ad
oggetto gli impianti solari termici aderenti e integrati nei tetti di edifici
esistenti, ovvero posti su tali edifici, la disposizione impugnata fa
riferimento a impianti realizzati all’interno di edifici esistenti e destinati
alla produzione di acqua calda e aria per gli edifici stessi. Essa, inoltre,
richiede il rispetto dei parametri urbanistici e degli altri requisiti previsti
dall’art. 6, comma 2, lettera a), dal d.P.R. n. 380 del 2001.
Non fondata è anche la censura relativa
alla asserita mancata specificazione di quale tipologia di comunicazione
troverebbe applicazione riguardo agli interventi in parola.
Infatti, come si è già detto, la norma
regionale richiama l’art. 80, commi 2, lettera a), e 5, della legge reg. n. 1
del 2005 che prevede il medesimo regime di cui all’art. 6, comma 2, del d.P.R.
n. 380 del 2001.
9.– Il Presidente del Consiglio ha,
infine, impugnato l’art. 17, comma 11, della legge reg. n. 39 del 2005 come
modificato dalla legge reg. n. 69 del 2012.
Tale disposizione stabilisce che «Non
necessitano di titolo abilitativo, ai sensi della presente legge e della L.R. n. 1/2005, le modifiche e manutenzioni degli impianti
di cui agli articoli 11, 13, 15, 16, comma 3, e 16-bis, comma 4, esistenti o in
corso di realizzazione, salvo quanto previsto dall’articolo 16, comma 4 e
dall’articolo 16-bis, comma 5».
Il ricorrente lamenta la violazione
dell’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto la disposizione impugnata
contrasterebbe con il principio fondamentale della materia «produzione
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» dettato dall’art. 5, comma 3,
del d.lgs. n. 28 del 2011 il quale in via transitoria assoggetta alla procedura
abilitativa semplificata (PAS) le sole modifiche non sostanziali e per i soli
impianti esistenti, mentre per le modifiche sostanziali, in attesa della
adozione di apposito decreto interministeriale, fa salvo il principio della
identità di forma tra il provvedimento abilitativo originario e la sua
variante.
In particolare, l’art. 5, comma 3,
richiamato stabilisce che «Con decreto del Ministro dello sviluppo economico,
di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del
mare, previa intesa con la Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono individuati, per ciascuna
tipologia di impianto e di fonte, gli interventi di modifica sostanziale degli
impianti da assoggettare ad autorizzazione unica, fermo restando il rinnovo
dell’autorizzazione unica in caso di modifiche qualificate come sostanziali ai
sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Fino all’emanazione del
decreto di cui al periodo precedente non sono considerati sostanziali e sono
sottoposti alla disciplina di cui all’articolo 6 gli interventi da realizzare
sugli impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici esistenti, a prescindere
dalla potenza nominale, che non comportano variazioni delle dimensioni fisiche
degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell’area destinata ad
ospitare gli impianti stessi, né delle opere connesse. Restano ferme, laddove
previste, le procedure di verifica di assoggettabilità e valutazione di impatto
ambientale di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Per gli
impianti a biomassa, bioliquidi e biogas non sono
considerati sostanziali i rifacimenti parziali e quelli totali che non
modifichino la potenza termica installata e il combustibile rinnovabile
utilizzato».
La questione non è fondata nei termini
di seguito specificati.
Il ricorrente sostiene che la norma
regionale assoggetterebbe tutte le modifiche impiantistiche, a prescindere
dalla loro natura sostanziale, al regime della libera attività, in contrasto
con quanto stabilito in via transitoria dall’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28
del 2011.
In realtà, l’art. 17, comma 11,
stabilisce che non necessitano di titolo abilitativo le manutenzioni e le
modifiche di tutti gli impianti esistenti che non rientrino tra quelle per cui
è prevista la PAS ai sensi dell’art. 16-bis, comma 5, o la SCIA, ai sensi
dell’art. 16, comma 4. Nulla prevede invece con riguardo alle modifiche
sostanziali.
La mancanza di un espresso richiamo a
tale tipologia di modificazioni non può tuttavia essere interpretata nel senso
che le medesime siano senz’altro assoggettate al regime della libera attività,
tanto più in presenza di una specifica disciplina per tipologie di modifiche
meno incisive, dettata dagli art. 16, comma 4, e 16-bis, comma 5.
In realtà, le modifiche sostanziali
devono ritenersi rientrare nell’art. 13 della legge reg. n. 39 del 2005 il
quale, nel disciplinare l’autorizzazione per gli impianti di produzione di
energia elettrica da fonti rinnovabili, al comma 10 rinvia per quanto da esso
non disciplinato alle norme di cui al d.lgs. n. 28 del 2011.
Pertanto, la norma regionale impugnata
deve essere interpretata nel senso che essa sottopone al regime semplificato
unicamente le modifiche non sostanziali. Per quelle sostanziali, invece, in
forza del rinvio operato dall’art. 13 della legge reg., si applicano le
disposizioni contenute nell’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011.
per
questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 17 della legge della Regione Toscana 3
dicembre 2012, n. 69 (Legge di semplificazione dell’ordinamento regionale
2012);
2) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 37 della legge reg. Toscana n. 69 del 2012 nella parte
in cui modifica l’art. 17, comma 2, lettere a), b) ed f), della legge della
Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 39 (Disposizioni in materia di energia);
3) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35 della legge
reg. Toscana n. 69 del 2012, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo
comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il
ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3
della legge reg. Toscana n. 69 del 2012, promosse, in riferimento all’art. 117,
terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso
indicato in epigrafe;
5) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37 della legge
reg. Toscana n. 69 del 2012, nella parte in cui modifica l’art. 17, commi 3,
lettera a), 5, lettere a), b) e c), e 11, della legge reg. Toscana n. 39 del
2005, promosse, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente
del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 gennaio
2014.