SENTENZA
N. 244
ANNO 2012
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
composta dai signori:
-
Alfonso QUARANTA Presidente
-
Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
-
Sabino CASSESE ”
-
Giuseppe TESAURO ”
- Paolo
Maria NAPOLITANO ”
-
Giuseppe FRIGO ”
-
Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
-
Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
-
Sergio MATTARELLA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli
articoli 6, 7, comma 1, 16, 17, 22, 23, comma 1, 29 e 30 del decreto
legislativo 8 ottobre 2011, n. 176 (Attuazione della direttiva 2009/54/CE, sull’utilizzazione
e commercializzazione delle acque minerali naturali), promosso dalla Regione
Toscana con ricorso notificato il 2 – 4 gennaio 2012, depositato in cancelleria
il 10 gennaio 2012 ed iscritto al n. 2 del registro ricorsi 2012.
Visto l’atto di
costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 9 ottobre 2012 il Giudice
relatore Aldo Carosi;
uditi l’avvocato Marcello Cecchetti
per
1.— Con ricorso
notificato il 2 – 4 gennaio 2012 e depositato il 10 gennaio 2012, iscritto al
n. 2 del registro ricorsi 2012, previa delibera della Giunta regionale del 27
dicembre 2012, n. 1245,
2. — La ricorrente
sostiene che gli artt. 6 e 7, comma 1, nonché gli artt. 22 e 23, comma 1,
disciplinando l’utilizzazione di una sorgente d’acqua minerale naturale ovvero
di un’acqua di sorgente e stabilendo che detta utilizzazione sia subordinata
all’autorizzazione regionale, rilasciata previo accertamento dei requisiti
previsti dallo stesso decreto, violino gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.
2.1. — In particolare,
è stabilito che detta utilizzazione e/o immissione in commercio sia subordinata
ad autorizzazione regionale rilasciata previo accertamento che gli impianti
destinati all’utilizzazione siano realizzati in modo da escludere ogni pericolo
di inquinamento e da conservare all’acqua le proprietà, corrispondenti alla sua
qualificazione, esistenti alla sorgente nonché – per le acque minerali – fatte
salve le modifiche apportate con i trattamenti di cui all’art. 7, comma 1,
lettere b), c) e d) dello stesso decreto; mentre – per le acque di sorgente –
allorché sussistano le condizioni di cui all’art. 23,
tenendo conto delle operazioni consentite dall’art. 24.
A seguito del citato d.lgs. n. 105 del 1992, del
regolamento (CE) 29 aprile 2004, n. 852/2004 (Regolamento del Parlamento
europeo e del Consiglio sull’igiene dei prodotti alimentari) e del regolamento
(CE) 29 aprile 2004, n. 853/2004 (Regolamento del Parlamento europeo e del
Consiglio che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti
di origine animale),
A giudizio della
ricorrente, la disciplina oggetto del d.lgs. n. 176 del 2011 sarebbe
riconducibile alle materie della tutela della salute e dell’alimentazione,
entrambe di competenza legislativa concorrente delle Regioni ex art. 117, terzo
comma, Cost.
2.2. — Inoltre,
evidenzia la ricorrente, fin dal decreto del Presidente della Repubblica 24
luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della l. 22
luglio 1975, n. 382) sono state trasferite alle Regioni le funzioni
amministrative relative alla materia «acque minerali e termali», le quali
concernono, secondo il disposto degli artt. 50 e 61 del citato decreto, la
ricerca e l’utilizzazione delle acque minerali e termali e la vigilanza sulle
attività relative, ivi compresa la pronuncia di decadenza del concessionario,
così come successivamente confermato dall’art. 22 della legge 15 marzo 1997, n.
59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed
enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la
semplificazione amministrativa).
Secondo
2.3. — Sul punto ricorda
infine la ricorrente come già in sede di Conferenza Stato-Regioni queste ultime
avessero rilevato i suddetti profili di incostituzionalità, cui lo Stato aveva
opposto quanto previsto all’Allegato II della direttiva 2009/54/CE, secondo cui
«1. L’utilizzazione di una sorgente d’acqua minerale
naturale è subordinata all’autorizzazione dell’autorità responsabile del paese
in cui l’acqua è stata estratta, previo accertamento della sua conformità ai
criteri di cui all’allegato I parte I». Secondo la ricorrente, tuttavia, la
previsione indicata nell’Allegato II della direttiva 2009/54/CE in ordine alla
necessità che siano previamente accertati i «criteri di cui all’allegato I,
parte I» sarebbe riferita al procedimento di riconoscimento di acqua minerale naturale,
senza che ciò contempli da parte dell’Autorità sanitaria locale specifici
accertamenti di natura tecnico-professionale. Tale adempimento sarebbe quindi
compatibile con lo strumento autorizzatorio
regionale, che contempla
La previsione
dell’autorizzazione formale contrasterebbe, peraltro, a giudizio della
ricorrente, con il regime delle liberalizzazioni avviato con il decreto-legge
13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo), in specie all’art. 3, e portato a compimento
dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la
crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), di cui richiama
l’art. 34.
In conclusione,
secondo la ricorrente, le disposizioni in esame rappresenterebbero
un’illegittima lesione delle prerogative regionali costituzionalmente garantite
dagli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., in quanto disciplinerebbero in
maniera puntuale il procedimento autorizzativo con
riferimento a materie, quali la tutela della salute e l’alimentazione, di
competenza regionale concorrente, in relazione alle quali
lo Stato deve limitarsi, invece, a dettare esclusivamente i principi
fondamentali.
3. —
3.1. — Ancorché in
via meramente cautelativa la ricorrente censura gli
articoli impugnati, rilevando che violerebbero la competenza regionale ai sensi
dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di tutela della salute e
dell’alimentazione, ove il richiamo alla parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006
dovesse essere interpretato nel senso di ritenere preclusa alle Regioni la
previsione di misure di protezione più rigorose.
Infatti,
3.2. — In
conclusione si assume la lesione delle competenze regionali costituzionalmente
garantite dagli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. in materia di tutela della
salute ed alimentazione da parte degli artt. 7, comma 1, lettera a), e 23,
comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 176 del 2011, ove i richiamati limiti di cui
alla parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006 dovessero considerarsi inderogabili e preclusa quindi alle Regioni l’adozione di
misure più rigorose.
4. —
4.1. — La ricorrente
rileva che le disposizioni richiamate riproducono nella sostanza la disciplina
contenuta nei previgenti d.lgs. n. 105 del 1992 (artt. 14 e 15) e decreto
legislativo 4 agosto 1999, n. 339 (Disciplina delle acque di sorgente e
modificazioni al D.Lgs. 25 gennaio 1992, n. 105,
concernente le acque minerali naturali, in attuazione della direttiva 96/70/CE)
agli artt. 11 e 12. La riproposizione delle disposizioni di vigilanza così come
previste dai detti decreti – disciplina peraltro non contenuta nella direttiva
2009/54/CE, a cui il d.lgs. n. 176 del 2011 dà attuazione – finirebbero per
configurare, secondo
4.2. — Le norme
censurate sarebbero, innanzitutto, lesive delle attribuzioni regionali, recando
una disciplina puntuale delle funzioni di vigilanza attribuite da sempre alle
Regioni, secondo quanto già rilevato, ed afferenti alla materia della tutela
della salute e dell’alimentazione, in cui lo Stato potrebbe intervenire solo
con disposizioni di principio. Di conseguenza le disposizioni impugnate si
porrebbero in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.
4.3. — Inoltre
secondo
A titolo
esemplificativo
Sotto questo profilo
viene pertanto dedotta la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in
quanto la normativa statale di cui si tratta contrasterebbe con quanto disposto
a livello comunitario.
Anche in tal caso,
come per il regime autorizzativo, la disciplina
statale in esame differirebbe da quanto disposto dalla Regione Toscana,
coerentemente con la citata normativa comunitaria, all’art. 46 della legge reg.
Toscana n. 38 del 2004, poi specificato negli artt. 25 e seguenti del d.P.G.R. n. 11/R del 2009, che dispone: «1.
Il controllo ufficiale sull’attività di utilizzazione delle acque minerali
naturali e di sorgente è effettuato dalle aziende USL in conformità alle
disposizioni del regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento e del Consiglio,
del 29 aprile 2004 relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la
conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme
sulla salute e sul benessere degli animali. 1-bis. Con regolamento d’attuazione
sono individuate le modalità di svolgimento del controllo ufficiale sulle acque
minerali naturali e di sorgente, e in particolare: a) le procedure e le
modalità del prelievo dei campioni delle acque minerali naturali e di sorgente
e dell’esecuzione delle relative analisi compresi i criteri e le modalità per
l’aggiornamento anticipato delle analisi in etichetta; b) le modalità di
trasporto dei campioni e la definizione del personale competente all’esecuzione
dei prelievi e delle ispezioni; c) le frequenze minime di controllo nelle varie
parti della filiera; d) le modalità di effettuazione dei controlli, ivi
compresi quelli analitici, e di ripartizione dei costi; e) i metodi analitici
per la determinazione dei parametri chimici, chimico-fisici e microbiologici;
f) le procedure per l’emissione del giudizio di accettabilità sui campioni
prelevati e per l’invio dei referti analitici; g) le procedure di verifica
della corretta applicazione del piano di autocontrollo».
4.4. — Pertanto gli
artt. 16, 17, 29 e 30 del d.lgs. n. 176 del 2011 violerebbero gli artt. 117,
primo e terzo comma, e 118 Cost.
5. — Con memoria di
costituzione depositata in cancelleria il 13 febbraio 2012, previa delibera del
Consiglio del ministri del 3 febbraio 2012, si è costituito
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato.
5.1. — Il resistente
nega in primo luogo la fondatezza delle censure di incostituzionalità formulate
dalla Regione Toscana avverso gli artt. 6 e 7, comma
1, nonché gli artt. 22 e 23, comma 1, del d.lgs. n. 176 del 2011, per
violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. Rileva preliminarmente al
riguardo che il d.lgs. n. 176 del 2011 è stato emanato in attuazione della
delega conferita al Governo dalla legge comunitaria 4 giugno 2010, n. 96
(Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza
dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 2009), al fine di
recepire nell’ordinamento interno la direttiva 2009/54/CE sull’utilizzazione e
la commercializzazione delle acque minerali naturali, la cui ratio è quella di armonizzare le legislazioni degli Stati
membri al fine di migliorare la libera circolazione nell’ambito del mercato
interno, mediante la previsione di un uniforme e più stringente sistema di
controllo delle acque, nell’ottica di una più efficace tutela della
concorrenza, della salute pubblica e dell’ambiente. Le disposizioni contenute
nel d.lgs. n. 176 del 2011 rientrerebbero, pertanto, nell’ambito della potestà
legislativa dello Stato senza impingere nella
competenza delle Regioni in materia di acque minerali.
5.2. — A tale
proposito ricorda come la stessa Corte costituzionale abbia chiarito nella sentenza n. 1 del
2010 che il bene della vita «acque minerali e termali» va considerato sotto
due punti di vista: quello dell’uso o della fruizione, di competenza regionale,
e quello della tutela ambientale delle acque stesse, che è invece di competenza
esclusiva statale, ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
La tutela
dell’ambiente costituirebbe infatti una «materia
trasversale», nel senso che sullo stesso oggetto insistono interessi diversi:
da un lato, quello teso alla conservazione dell’ambiente; dall’altro, quelli di
natura diversa relativi alle sue utilizzazioni. In questa prospettiva, secondo
il resistente, la disciplina diretta alla tutela del bene complessivo ambiente
non potrebbe che essere unitaria e pertanto rimessa in via esclusiva al
legislatore statale, con l’ulteriore conseguenza di prevalere su quella
specifica e di settore dettata dalle Regioni o dalle Province autonome nelle
materie di propria competenza. Secondo il resistente, in questo senso potrebbe
legittimamente affermarsi che la competenza statale, quando sia espressione
della tutela dell’ambiente, costituisca certamente un limite all’esercizio
delle competenze regionali (a sostegno di tale conclusione sono richiamate le
sentenze di questa Corte n. 12 e n. 225 del 2009).
5.3. — Secondo il
Presidente del Consiglio, analoghe osservazioni potrebbero svolgersi in punto
di tutela del diritto alla salute, da considerarsi, più che una materia, un
valore costituzionalmente protetto ed, in quanto tale, una sorta di materia
trasversale in funzione della tutela di interessi unitari o, comunque, di
esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale. A
giudizio del resistente, infatti, l’unica strada per garantire una pari incisività del diritto della salute a livello
nazionale sarebbe quella di demandare allo Stato il compito di individuare i
requisiti unitari per il rilascio delle autorizzazioni all’utilizzazione delle
acque minerali naturali e di sorgente, affidando alle Regioni quello di
stabilire le modalità per l’accertamento della loro sussistenza. Il limite alla
potestà legislativa primaria delle Regioni sarebbe quindi imposto in virtù
degli obblighi di salvaguardia di standard uniformi di
tutela dei beni primari.
5.4. — Secondo il
resistente
Sarebbe pertanto
infondato il rilievo regionale per cui la direttiva comunitaria non prevedrebbe
il necessario preventivo accertamento della sussistenza dei requisiti propri
delle acque minerali naturali ai fini del rilascio dell’autorizzazione
all’utilizzazione. E tale tesi sarebbe vieppiù
smentita dall’Allegato II della direttiva 2009/54/CE. Secondo il resistente
Alla luce delle
osservazioni svolte emergerebbe, secondo il resistente, l’infondatezza
dell’avversa censura di incostituzionalità degli artt. 6, 7 comma 1, 22 e 23
del d.lgs. n. 176 del 2011.
5.5. — Rileva il
Presidente del Consiglio che secondo l’interpretazione accolta dalla Corte
costituzionale nelle sentenze n. 79 del 2011
e n. 303 del
2003, il principio di sussidiarietà stabilito dall’art. 118 Cost. allo
scopo di sovrintendere alla distribuzione delle funzioni amministrative fra
Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni si espande a livello
legislativo, nel senso che, tendendo tale principio ad una migliore
distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni, la sua effettiva attuazione
postula l’assorbimento della competenza legislativa regionale in capo allo
Stato ogni qual volta sussistano esigenze di unitarietà dell’ordinamento
nazionale. Ne deriverebbe che la disciplina statale uniforme prevista dal
d.lgs. n. 176 del 2011 vada considerata strettamente necessaria, sia perché di
attuazione comunitaria, sia perché una diversa normativa regionale in materia
di requisiti necessari al rilascio delle autorizzazioni per l’utilizzazione
delle acque comporterebbe una disparità di trattamento tra gli utilizzatori, in
violazione del principio costituzionale di uguaglianza, in ragione di un
diverso livello di tutela del diritto alla salute e di tutela dell’ambiente.
La direttiva
2009/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’utilizzazione e la
commercializzazione delle acque minerali naturali, di cui il d.lgs. n. 176 del
2011 costituisce attuazione, individuerebbe infatti
quale suo obiettivo primario quello della libera circolazione delle acque
minerali naturali e di sorgente all’interno del mercato unico, da raggiungersi
attraverso il riavvicinamento della normativa dei diversi Stati membri in
materia.
Pertanto
l’individuazione di una disciplina uniforme dei requisiti per il rilascio
dell’autorizzazione all’utilizzazione delle acque non costituirebbe una scelta
irragionevole del legislatore nazionale, dovendosi al contrario ritenere
l’unico strumento utilizzabile, in ossequio al disposto comunitario, per il
raggiungimento degli scopi perseguiti, ossia la tutela dell’ambiente, della
salute, dell’uguaglianza, intesa come diritto all’utilizzazione delle acque a
pari condizioni per tutti gli utilizzatori, della libera circolazione delle
merci sul suolo nazionale ed europeo.
6. — Quanto
all’illegittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, lettera a), e 23,
comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 176 del 2011 per violazione dell’art. 117,
terzo comma, e 118 Cost., secondo il resistente la questione dovrebbe ritenersi
inammissibile.
6.1. — Difatti, dopo
avere rilevato che per giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale
deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale di una norma solo qualora
non sia possibile darne interpretazioni costituzionalmente orientate assume che
la medesima giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che in materia di tutela
dell’ambiente lo Stato detta una disciplina inderogabile in pejus,
nel senso che stabilisce una tutela «adeguata e non riducibile» dell’ambiente,
che vincola le Regioni nell’esercizio delle loro competenze, salva la facoltà
per queste ultime di stabilire, per il raggiungimento dei fini propri delle
loro competenze che vengono a contatto con quella dell’ambiente, livelli di
tutela più elevati (sentenze n. 30 e n.12 del 2009; n. 105, n. 104 e n. 62 del 2008).
Sulla base di tale presupposto
6.2. — Rileva il
resistente che
7. — Parimenti
sarebbero infondate, secondo il resistente, le censure di illegittimità
sollevate in ordine agli artt. 16 e 17, 29 e 30 del d.lgs. n. 176 del 2011.
7.1. — Premesso che
le norme denunciate prevedrebbero un’intensa partecipazione degli organi
regionali nelle varie fasi in cui si articolano le funzioni di vigilanza di cui
alle norme censurate, il resistente assume che dovrebbero valere le
considerazioni già svolte con riferimento al primo motivo di censura proposto
dalla ricorrente: la trasversalità dei concetti di tutela della salute,
dell’ambiente e di tutela della concorrenza, che rileverebbero anche rispetto
alle attività di vigilanza sull’utilizzazione delle acque, giustificherebbe un
intervento del legislatore nazionale limitativo della disciplina regionale, in
nome di superiori esigenze di uniformità, fermo restando il rispetto dei principi
di sussidiarietà, di differenziazione e di adeguatezza sanciti dall’art. 118,
primo comma, Cost.
7.2. — Inoltre, la
disciplina dell’attività di vigilanza e controllo sull’utilizzazione e sul
commercio delle acque minerali e di sorgente troverebbe il proprio fondamento,
a giudizio del resistente e diversamente da quanto ritenuto dalla Regione,
direttamente nella direttiva 2009/54/CE ed in particolare nel già menzionato
punto 4 dell’Allegato II, da cui emergerebbe l’interesse principale del
legislatore comunitario a garantire che le particolari qualità delle acque di
sorgente e minerali naturali siano sempre monitorate. Tale obiettivo sarebbe
stato quindi recepito dal legislatore nazionale il quale, per le stesse
esigenze di unitarietà di disciplina esposte con riferimento alle altre
censure, avrebbe disposto un sistema di controllo unico per tutto il territorio
nazionale.
Infine, secondo il
Presidente del Consiglio i controlli in considerazione non potrebbero essere
effettuati, così come ritenuto dalla Regione, secondo quanto disposto dai
regolamenti (CE) n. 882/2004 e n. 178/2002. Tali fonti normative, infatti, non
disciplinerebbero l’utilizzazione ed i controlli relativi alle acque destinate
al consumo umano, che invece sono regolati dalla direttiva 3 novembre 1998, n.
98/83/CE (Direttiva del Consiglio concernente la qualità delle acque destinate
al consumo umano), non applicabile, per espressa previsione dell’art. 3 della
stessa, alle acque naturali minerali e di sorgente. Ciò a riprova che queste
ultime per la loro particolare composizione necessitano di una disciplina ad
hoc, da rinvenirsi nella direttiva n. 2009/54/CE, correttamente trasposta dal
d.lgs. n. 176 del 2011 che prevede particolari ed accurati controlli periodici.
L’obbligo di eseguire tali controlli sarebbe stato già previsto anche al
momento dell’entrata in vigore della legge reg. Toscana n. 38 del 2004 sia dal
d.lgs. n. 105 del 1992 che dal d.lgs. n. 339 del 1999, i quali riprendevano
fedelmente quanto disposto dalla direttiva n. 80/777/CE. Ancora una volta,
quindi, secondo il resistente, dovrebbe negarsi l’illegittimità costituzionale
delle disposizioni in esame ed, al contrario, ritenersi abrogata la legge reg.
Toscana n. 38 del 2004 per contrasto con la normativa sovraordinata.
8. — Con memoria
depositata in prossimità dell’udienza pubblica,
9. — In particolare,
quanto all’asserita legittimità costituzionale degli artt. 6, 7, comma 1, 22 e 23, comma 1, del d.lgs. n. 176 del 2011, che
richiedono, ai fini dell’utilizzo delle acque minerali naturali e
dell’immissione in commercio di quelle di sorgente, il rilascio di
un’autorizzazione da parte delle Regioni, previo accertamento dei prescritti
requisiti, la ricorrente ribadisce la sussistenza della competenza regionale in
quanto – in applicazione del criterio della prevalenza – la finalità
prioritaria perseguita dalla normativa impugnata sarebbe la tutela della salute
umana, di competenza legislativa concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo
comma, Cost.
9.1. — A sostegno di
tale assunto, si argomenta che la direttiva 2009/54/CE sull’utilizzazione e la
commercializzazione delle acque minerali naturali, recepita dal d.lgs. n. 176
del 2011, richiama l’art. 95 TCE (recte : art. 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea , rubricato «Protezione della salute», il quale prevede che «ogni
persona ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere le
cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali.
Nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività
dell’Unione è garantito un livello elevato della protezione della salute umana»). Nello stesso senso viene citato il quinto Considerando
della direttiva 2009/54/CE, nel quale espressamente si afferma che «le norme in
materia di acque minerali naturali perseguono l’obiettivo prioritario di
proteggere la salute del consumatore».
9.2. — Secondo la
ricorrente, inoltre, non potrebbe essere utilmente invocata la competenza
legislativa statale in materia di ambiente, in quanto nel d.lgs. n. 176 del
2011, ed in particolare nella previsione che impone alle Regioni
l’autorizzazione formale, non verrebbe in rilievo l’utilizzo dell’ambiente ai
fini dell’emungimento delle acque, bensì l’impiego delle stesse ai fini della loro
commercializzazione. Ne conseguirebbe che la decisione in ordine ai titoli
abilitativi all’utilizzo delle acque minerali e di sorgente, che fanno parte
del patrimonio indisponibile delle Regioni, spetterebbe alle stesse, ai sensi
dell’art. 11, comma 5, della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti
finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario).
9.3. — Sul punto
osserva ancora la ricorrente come tale competenza sia stata da sempre allocata
in capo alle amministrazioni regionali, richiamando in tal senso il decreto del
Presidente della Repubblica 14 gennaio 1972, n. 2 (Trasferimento alle Regioni a
statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di acque
minerali e termali, di cave e torbiere e di artigianato e del relativo
personale), che all’art. 1 trasferisce alle Regioni le funzioni concernenti
l’autorizzazione all’apertura ed alla messa in esercizio di stabilimenti di
produzione ed alla utilizzazione di acque minerali
naturali o superficiali (comma 1, lettera b); il d.P.R.
n. 616 del
A giudizio della
ricorrente, la nuova disciplina, imponendo alle Regioni il rilascio di
un’autorizzazione formale, costituirebbe un’evidente lesione delle attribuzioni
spettanti alle stesse, già prima della riforma del titolo V della Costituzione,
in ordine ai procedimenti amministrativi per l’avvio dell’attività di utilizzo
e commercializzazione delle acque minerali, così risolvendosi in un
inammissibile passo indietro rispetto al nuovo ruolo delle Regioni nella
Costituzione. Si cita a tal proposito la sentenza n. 200 del
2004, peraltro in modo inconferente.
9.4. — Questa tesi,
secondo
Sotto tale profilo,
rileva la ricorrente, le norme impugnate nel presente giudizio riguarderebbero
proprio i profili relativi all’utilizzo delle acque minerali, disciplinando il
procedimento amministrativo volto ad accertare i requisiti e le condizioni per
l’avvio dell’attività di fruizione e commercializzazione di tale bene. Inoltre
si ricorda che con riferimento alla materia del turismo, anch’essa di spettanza
regionale,
9.5. — Inoltre
Anche i controlli
periodici prescritti all’Allegato II, punto 4, della direttiva 2009/54/CE
sarebbero quelli svolti in Italia dall’Amministrazione statale e si
riferirebbero alla permanenza delle condizioni per il riconoscimento delle
acque quali acque minerali e di sorgente. Detti controlli sarebbero
disciplinati dall’art. 17, comma 3, del decreto ministeriale 17 novembre 1992,
n. 542 (recte 12 novembre 1992) (Regolamento recante
i criteri di valutazione delle caratteristiche delle acque minerali naturali),
ove è contenuta una normativa specifica finalizzata alla verifica del permanere
delle caratteristiche proprie dell’acqua minerale naturale.
L’autorizzazione
formale preventiva che le Regioni, ai sensi della normativa impugnata,
dovrebbero rilasciare sarebbe un provvedimento distinto, in quanto si porrebbe
a valle del procedimento, del quale è titolare lo Stato, finalizzato al
riconoscimento di queste acque e ne presupporrebbe la definizione positiva. Di
conseguenza, la direttiva 2009/54/CE, contrariamente a quanto sostenuto dallo Stato,
non prevedrebbe alcun obbligo di autorizzazione preventiva ai fini dell’uso e
della commercializzazione delle acque minerali e/o di sorgente.
9.6. — Peraltro,
secondo la ricorrente, l’obiettivo prioritario di proteggere la salute del
consumatore di cui al d.lgs. n. 176 del 2011 potrebbe essere conseguito anche
attraverso
In tal senso si
porrebbe anche l’Accordo tra il Governo, le Regioni e le
Province autonome relativo alle «Linee guida applicative del regolamento
n. 852/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’igiene dei prodotti
alimentari», il quale al punto 2 del relativo allegato prevede che «tutte le
attività di produzione, trasformazione, trasporto, magazzinaggio,
somministrazione e vendita sono soggette a procedura di registrazione/DIA,
qualora non sia previsto il riconoscimento ai sensi dei regolamenti nn. 852 e 853/2004».
Ne conseguirebbe, a
detta della ricorrente, che la legge reg. Toscana n. 38 del 2004, nella parte
in cui prevede
Per altro verso,
rileva
L’ordinamento
europeo avrebbe allora fondato tutta la disciplina del settore alimentare sulla
responsabilità primaria dell’operatore del settore alimentare, in applicazione
delle procedure di autocontrollo secondo il sistema Hazard
Analysis Critical Control Point (HACCP). Di conseguenza, secondo la
ricorrente, affermare la necessità dell’autorizzazione regionale preventiva per
le acque in questione non solo non attuerebbe un
obbligo comunitario, ma contraddirebbe i principi e la ratio
della normativa dell’Unione europea. In senso contrario, non potrebbe
sostenersi che il d.lgs. n. 105 del 1992 e il d.lgs. n. 339 del 1999 già
prevedevano per l’utilizzazione delle acque in questione l’autorizzazione
formale, dal momento che entrambe queste fonti normative sono precedenti
all’entrata in vigore dei regolamenti europei in materia di sicurezza
alimentare, introduttivi del principio della DIA, nonché antecedenti alla
riforma del titolo V della Costituzione.
9.7. — Da ultimo, le
disposizioni impugnate non troverebbero giustificazione neppure alla luce del
principio di sussidiarietà, pure invocato dalla difesa statale.
Secondo la
ricorrente, infatti, le norme impugnate sarebbero incostituzionali in quanto
finirebbero per realizzare una avocazione da parte
dello Stato delle sole funzioni legislative, del tutto sganciate da quelle
amministrative, che permangono nella titolarità delle Regioni. In tal modo le
norme censurate attuerebbero un’ipotesi di chiamata in sussidiarietà non rispettosa
delle condizioni individuate dalla giurisprudenza costituzionale per un
legittimo esercizio di siffatta attrazione al livello centrale di governo.
Difatti, sulla base di presunte esigenze di carattere unitario, le disposizioni
impugnate attuerebbero la così detta chiamata in sussidiarietà delle sole
funzioni legislative ed a prescindere da specifiche funzioni amministrative
rispetto alle quali si ritenga inadeguato il livello regionale (nella memoria
si richiama la sentenza
n. 232 del 2011). In realtà, a giudizio della Regione, la suddetta tesi
statale evocherebbe quel limite generale e di merito della legislazione
regionale già rappresentato dalla tutela del così detto «interesse nazionale»,
criticato nel precedente assetto costituzionale e definitivamente superato con
la riforma del titolo V della Costituzione.
9.8. — In
conclusione, la ricorrente ribadisce che gli artt. 6, 7 comma 1, 22, e 23,
comma 1, del d.lgs. n. 176 del 2011, costituiscono una lesione delle
prerogative regionali costituzionalmente garantite dagli artt. 117, terzo
comma, e 118 Cost., disciplinando in maniera puntuale il procedimento autorizzativo con riferimento a materie, quali la tutela
della salute e l’alimentazione, di competenza concorrente, in relazione alle quali lo Stato deve limitarsi a dettare esclusivamente
i principi fondamentali.
10. — Quanto agli
artt. 7, comma 1, lettera a), e 23, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 176 del
2011,
10.1. — In
particolare, verrebbe in rilievo l’art. 94, comma 3, del citato decreto
legislativo, che sarebbe chiaramente riferito alle acque destinate al consumo
umano, disciplinate dal d.lgs. n. 31 del 2001, ovvero alle così dette acque
potabili, di cui all’art. 74 d.lgs. n. 152 del 2006. Rileva
Inoltre,
10.2. — Da questi
rilievi secondo la ricorrente si evincerebbe chiaramente che le misure di
protezione che devono essere individuate ai fini della tutela del corpo idrico
«acqua minerale naturale» – in particolare, la perimetrazione
della zona di tutela assoluta – dovrebbero poter essere più rigorose rispetto
alle analoghe misure individuate per i corpi idrici superficiali e sotterranei
destinati alla produzione di acqua per il consumo umano. Non potrebbe pertanto
legittimamente escludersi che le Regioni valutino, sulla base di criteri più
restrittivi rispetto a quelli imposti dal d.lgs. n. 152 del 2006,
l’identificazione delle necessarie aree di salvaguardia (sentenze n. 307 del 2003;
n. 407 del 2002;
n. 382 del 1999).
Specificamente, la perimetrazione della zona di tutela assoluta per le acque
minerali e di sorgente, in assenza di trattamenti di potabilizzazione di dette
acque, non potrebbe che essere individuata nello specifico dalla Regione sulla
base delle caratteristiche idrogeologiche del bacino sotterraneo, ciò
coerentemente con le competenze costituzionalmente garantite delle Regioni in
materia di tutela della salute ed alimentazione, con le funzioni amministrative
alle stesse spettanti già a partire dai trasferimenti operati con il d.P.R. n. 2 del 1972 e il d.P.R.
n. 616 del
10.3. — Sul punto
11. — Quanto alla
legittimità costituzionale degli artt. 16 e 17, nonché 29 e 30, che
intervengono in materia di vigilanza sulla utilizzazione
e sul commercio, rispettivamente, delle acque minerali e di sorgente, non
sarebbe condivisibile, a giudizio della ricorrente, la tesi statale secondo la
quale tale sistema di controllo ad hoc per dette acque risponderebbe ad
esigenze di unitarietà della disciplina per tutti gli Stati membri, imposte
dalla direttiva 2009/54/CE.
11.1. — In senso
contrario
Secondo la
ricorrente, la citata direttiva europea si limiterebbe ad individuare i
requisiti di cui all’Allegato I, parte I, che devono essere accertati
dall’autorità responsabile di uno Stato membro, che nel caso dell’Italia è il
Ministero della salute, ai fini del riconoscimento delle acque medesime, ivi
compresi i controlli periodici, anch’essi di competenza ministeriale,
finalizzati al mantenimento della condizione di riconoscimento, presupposto
indispensabile per la utilizzazione e commercializzazione
delle acque minerali e le acque di sorgente.
Anche sul punto,
Sarebbe evidente, a
giudizio della Regione, che le predette funzioni siano tutte riconducibili alle
materie della tutela della salute e della alimentazione
di competenza regionale ed il suddetto riparto sarebbe del tutto coerente con
il quadro costituzionale successivo alla riforma del titolo V della
Costituzione.
11.2. —
Sul punto rileva
altresì
Altra conferma
dell’appartenenza delle acque minerali al settore alimentare discenderebbe,
secondo la ricorrente, dalle ispezioni eseguite dal Food
& Veterinary Office (F.V.O.)
ovvero l’Ufficio della Commissione Europea che lavora per garantire sistemi di
controllo efficaci nel settore alimentare e per valutare la conformità con le
norme dell’UE all’interno dell’Unione stessa e nei Paesi terzi per quanto
riguarda le loro esportazioni verso l’UE. Il F.V.O. a
partire dal
A tal proposito la
ricorrente segnala che una delle predette ispezioni (DG SANCO/2007-7193
11-15/0672007) è stata condotta anche in Italia, in particolare in Toscana, nel
giugno del 2007 ed in quella sede gli ispettori europei hanno verificato il
sistema di controllo ufficiale attuato a livello regionale nella materia delle
acque minerali naturali, confermando la coerenza di quanto disposto dalla legge
reg. Toscana n. 38 del 2004 con la disciplina dei controlli contenuta nei
regolamenti (CE) n. 852/2004 e n. 882/2004. Inoltre i rilievi di non conformità
delle acque minerali naturali imbottigliate sono inseriti nel sistema di
allerta rapido per alimenti e mangimi, istituito ai sensi del regolamento (CE)
n. 178/2002. La stessa direttiva 2009/54/CE nell’ottavo Considerando afferma
che le acque minerali sono soggette per quanto riguarda l’etichettatura alle
norme fissate dalla direttiva 20 marzo 2000, n. 2000/13/CE (Direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio relativa al
riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti
l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa
pubblicità). L’art. 13 della citata direttiva inoltre prevede che le decisioni
che possono avere effetti sulla salute pubblica sono adottate dalla Commissione
previa consultazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, mentre
l’art. 14 dispone che
A livello nazionale
Da queste
osservazioni emergerebbe, secondo la ricorrente, che le acque minerali e di
sorgente sarebbero già ricondotte nell’ambito del sistema di controllo e di
allerta previsto dall’ordinamento europeo per la sicurezza alimentare,
correttamente attuato in Toscana con la legge regionale n. 38 del 2004.
11.3. —
Contrariamente a
quanto sostenuto dalla difesa statale, a giudizio della ricorrente solo
l’applicazione delle disposizioni contenute nei regolamenti europei concernenti
la sicurezza alimentare garantirebbe l’effettiva omogeneità a livello nazionale
ed europeo delle regole inerenti il controllo
ufficiale, assicurando sia la protezione della salute del consumatore sia
lealtà ed equità nelle operazioni commerciali, secondo quanto periodicamente
verificati dalla DG SANCO della Commissione Europea attraverso gli ispettori
dell’FVO.
Inoltre la
previsione da parte del d.lgs. n. 176 del 2011 di una disciplina di controlli
specifica per le acque minerali e di sorgente si risolverebbe in una
duplicazione di procedimenti, che si porrebbe in contrasto con i principi del
decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di
semplificazione e di sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 4
aprile 2012, n.
11.4. — In
conclusione
11.5. — Le norme
censurate sarebbero lesive delle attribuzioni regionali, in quanto
interverrebbero, con una disciplina puntuale, a regolamentare le funzioni di
vigilanza attribuite da sempre alle Regioni ed attinenti alla materia tutela
della salute e dell’alimentazione, in cui lo Stato può intervenire solo con
disposizioni di principio. Vi sarebbe dunque contrasto con gli artt. 117, terzo
comma, e 118 Cost.
11.6. — Peraltro, la
disciplina impugnata non terrebbe in alcun conto la disciplina introdotta a
livello comunitario con il regolamento (CE) n. 882/2004 e con il regolamento
(CE) n. 178/2002, con ulteriore violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
1. — Con ricorso n.
2 del 2012
Le censure proposte
sono tre.
Anzitutto
In secondo luogo la
ricorrente ritiene che gli artt. 7, comma 1, lettera a), e 23, comma 1, lettera
a), del d.lgs. n. 176 del 2011 – nella parte in cui annoverano, tra i criteri
per il rilascio dell’autorizzazione all’utilizzazione di una sorgente d’acqua
minerale naturale ovvero all’immissione in commercio di un’acqua di sorgente,
l’accertamento che la sorgente o il punto di emergenza siano protetti contro
ogni pericolo di inquinamento e prevedono che siano applicate, ai fini della
tutela dei corpi idrici, le disposizioni di cui alla parte terza del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) – contrastino
con gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., qualora il riferimento alla parte
terza del d.lgs. n. 152 del 2006 sia interpretato non come livello minimo di
protezione, bensì come preclusione per le Regioni di applicare misure di
protezione più rigorose.
Infine,
2. — La censura
rivolta agli artt. 6 e 7, comma 1, e agli artt. 22 e 23, comma 1, del d.lgs. n.
176 del
La ricorrente
sostiene che gli artt. 6 e 7, comma 1, nonché gli artt. 22 e 23, comma 1, –
nella parte in cui disciplinano l’utilizzazione di una sorgente d’acqua
minerale naturale ovvero di un’acqua di sorgente, stabilendo che detta
utilizzazione sia subordinata all’autorizzazione regionale, la quale è
rilasciata previo accertamento dei requisiti previsti dallo stesso decreto –
porrebbero in essere una lesione delle prerogative regionali costituzionalmente
garantite, dal momento che disciplinerebbero in maniera puntuale il
procedimento autorizzatorio con riferimento a
materie, quali la tutela della salute e l’alimentazione, di competenza
concorrente, in relazione alle quali il legislatore
statale può dettare esclusivamente i principi fondamentali in conformità agli
artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. Peraltro
L’Allegato II della
direttiva 18 giugno 2009, n. 2009/54/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali
naturali), nella parte in cui viene precisato che «1.
L’utilizzazione di una sorgente d’acqua minerale naturale è subordinata
all’autorizzazione dell’autorità responsabile del paese in cui l’acqua è stata
estratta, previo accertamento della sua conformità ai criteri di cui
all’allegato I parte I», dovrebbe essere inteso – ad
avviso della Regione – in senso lato, in modo da ricomprendere tutti gli
strumenti autorizzatori compresi quelli succedanei
come
L’assunto della
Regione non può essere condiviso.
L’art. 41, comma 1,
della legge reg. Toscana n. 38 del 2004 prescrive che «l’avvio
di un’attività di utilizzazione dell’acqua minerale e naturale di sorgente è
assoggettato ad una dichiarazione di inizio di attività, presentata al comune e
attestante il possesso dei requisiti previsti dall’articolo 42 e dal
regolamento (CE) 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile
2004 sull’igiene dei prodotti alimentari. L’attività può essere avviata dalla
data di ricevimento della dichiarazione».
Non rileva ai fini
del presente giudizio la sostituzione dell’istituto della DIA (prescritta
dall’art. 41 della legge regionale n. 38 del 2004) con quello della SCIA
introdotto dall’art. 49 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti
in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), che ha
modificato l’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi), prevedendo al comma 4-bis, in luogo della dichiarazione di
inizio di attività, la segnalazione certificata di inizio di attività. Il comma
4-ter del citato art. 49 prevede che le espressioni «segnalazione certificata
di inizio attività» e «SCIA» sostituiscano rispettivamente «dichiarazione di
inizio di attività» e «DIA», ovunque ricorrano, anche come parte di
un’espressione più ampia e stabilisce che la normativa in materia di SCIA
sostituisca direttamente quella della dichiarazione di inizio di attività
recata da ogni normativa statale e regionale.
Quel che rileva in
questa sede è che la procedura semplificata prevista dalla disciplina regionale
non rispetta il principio, indicato dalla direttiva 2009/54/CE, del previo
accertamento del rispetto dei criteri prescritti ai fini del rilascio
dell’autorizzazione.
Peraltro, il vigente
regime di liberalizzazione delle attività economiche, introdotto con l’art. 3
(«Abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle
professioni e delle attività economiche») del decreto-legge 13 agosto 2011, n.
138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e lo
sviluppo), convertito dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, e completato dal
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,
l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito dalla legge 22
dicembre 2011, n. 214, oltre a riaffermare la competenza statale in tema di disciplina
ed utilizzazione di dette procedure semplificate, contiene una disposizione
pienamente conforme alle scelte operate dal legislatore nel caso in esame.
L’art. 34 del citato d.l. n. 201 del 2011 dispone infatti
che «la disciplina delle attività economiche è improntata al principio di
libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le esigenze
imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili
con l’ordinamento comunitario, che possono giustificare l’introduzione di previ atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di
controllo, nel rispetto del principio di proporzionalità» (comma 2) e che
«l’introduzione di un regime amministrativo volto a sottoporre a previa
autorizzazione l’esercizio di un’attività economica deve essere giustificato
sulla base dell’esistenza di un interesse generale, costituzionalmente
rilevante e compatibile con l’ordinamento comunitario, nel rispetto del
principio di proporzionalità» (comma 4).
A ben vedere si
tratta di una fattispecie astratta pienamente comprensiva di quella venuta
all’esame in questa sede. Il legislatore comunitario, nell’esercizio della
propria discrezionalità normativa, ha ritenuto prevalente, rispetto a quella
della semplificazione amministrativa dei procedimenti, la finalità di
assicurare la tutela della salute dei consumatori di acque minerali.
Nell’ordinamento nazionale analoga finalità costituisce un interesse generale,
costituzionalmente rilevante, in quanto species del
più ampio genus della salute del singolo individuo e
della collettività di cui all’art. 32 Cost. e, nel caso di specie, anche
pienamente conforme alla regola introdotta dal legislatore comunitario.
Peraltro,
l’accertamento ai fini del riconoscimento dell’acqua minerale naturale - secondo
la formulazione contenuta nella direttiva comunitaria – risulta procedimento
distinto e propedeutico a quello richiesto ai fini dell’utilizzazione. Non può infatti ritenersi pleonastico l’inciso «previo accertamento
della sua conformità ai criteri di cui all’Allegato I, parte I» contenuto
nell’Allegato II (Condizioni di utilizzazione e di commercializzazione delle
acque minerali naturali) della direttiva 2009/54/CE.
In senso conforme
alle richiamate disposizioni comunitarie, il d.lgs. n. 176 del 2011, agli artt.
6 e 7, comma 1, e agli artt. 22 e 23, comma 1, prevede che l’utilizzazione
delle acque minerali naturali e l’immissione in commercio delle acque di
sorgente siano subordinate ad una previa autorizzazione rilasciata dopo aver
accertato la ricorrenza delle condizioni ivi indicate, riproduttive di quelle
contenute nella direttiva 2009/54/CE.
Sotto quest’ultimo
profilo occorre ricordare che, come noto, ai sensi dell’art. 288 del Trattato
sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) la direttiva vincola di regola lo
Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere,
salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai
mezzi. Dunque, è l’atto di diritto europeo secondario che determina gli
obiettivi da perseguire da parte degli Stati membri al fine di realizzare
un’armonizzazione della disciplina. La normativa nazionale di recepimento,
contenuta nel d.lgs. n. 176 del 2011 e censurata dalla Regione Toscana, proprio
perché in larga misura pedissequamente riproduttiva delle previsioni
comunitarie – sintetiche per definizione quanto ai loro enunciati – contenute
nella direttiva 2009/54/CE, detta nella specie una disciplina di principio
della materia, comunque non modificabile dalla fonte regionale, pena la mancata
o incompleta attuazione dell’atto comunitario.
Poiché tale
normativa si pone quale disciplina di principio – senza peraltro modificare il
riparto delle funzioni amministrative tra Stato, Regioni ed enti locali in
materia, come delineato sia dalle disposizioni della legge 15 marzo 1997, n. 59
(Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed
enti locali, per la riforma della Pubblica amministrazione e per la
semplificazione amministrativa) e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed
agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59),
che da quelle contenute nella legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), in particolare
all’art. 118 Cost. – essa non appare in contrasto né con l’art. 117, terzo
comma, né con l’art. 118 Cost.
3. — Parimenti, non
è fondata la censura inerente alla pretesa illegittima applicazione – disposta
dagli artt. 7, comma 1, lettera a), e 23, comma 1, lettera a), del d.lgs. n.
176 del 2011 – delle disposizioni contenute nella parte terza del d.lgs. n. 152
del
Sul punto è costante
la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui sul medesimo bene giuridico
unitariamente inteso (ambiente) coesistono la tutela (o conservazione), di
competenza esclusiva dello Stato, e la fruizione (in particolare il governo del
territorio), di competenza concorrente regionale. In tale prospettiva è stato
affermato che le Regioni possono prevedere, nell’ambito dell’esercizio delle
loro competenze, misure di tutela ulteriori e/o maggiori rispetto agli standards unitari così definiti per disciplinare il diverso
oggetto delle loro competenze (sentenze n. 30 e n. 12 del 2009;
n. 105 e n. 104 del 2008).
Ne consegue che le
disposizioni di cui agli artt. 7, comma 1, lettera a), e 23, comma 1, lettera
a), del d.lgs. n. 176 del 2011 devono essere intese, nella parte in cui
rinviano alla parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006, come prescrittive
del limite minimo di protezione rispetto al quale le Regioni possono
prevedere l’applicazione di misure più rigorose nell’ambito dell’esercizio
delle loro competenze in materia di tutela della salute e dell’alimentazione.
Le censure della ricorrente vanno dunque rigettate.
4. — Le questioni
proposte nei confronti degli artt. 16 e 17 e degli artt. 29 e 30 del d.lgs. n.
176 del 2011 per violazione degli artt. 117, primo e terzo comma, e 118 Cost.
sono in parte inammissibili ed in parte infondate.
4.1. — È
inammissibile la censura delle richiamate norme posta in riferimento all’art.
117, primo comma, Cost., per carenza nella definizione del percorso logico
seguito per ricondurre le norme impugnate al parametro costituzionale invocato.
Secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, l’esigenza di un’adeguata motivazione a
sostegno dell’impugnativa si pone «in termini perfino più pregnanti nei giudizi
diretti che non in quelli incidentali» (sentenza n. 450 del
2005) e la questione di legittimità costituzionale sollevata in rapporto all’art.
117, primo comma, Cost. è ammissibile solo se «ridonda in una limitazione delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni» (sentenza n. 225 del
2009).
Nel caso di specie
il ricorso introduttivo della Regione Toscana risulta carente di argomentazioni
a sostegno di tale ridondanza.
4.2. — Non sono
fondate le questioni proposte nei confronti degli artt. 16 e 17 e degli artt.
29 e 30 del d.lgs. n. 176 del
Al contrario, le
norme impugnate ribadiscono principi già contenuti nella normativa comunitaria
di settore (regolamento CE 29 aprile 2004, n. 882/2004 – Regolamento del
Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli ufficiali intesi a
verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e
alle norme sulla salute e sul benessere degli animali), quali la periodicità,
l’estemporaneità e la generalità dei controlli. Va in proposito osservato che
in più disposizioni della direttiva 2009/54/CE emerge l’esigenza di assicurare
che le caratteristiche richieste ai fini del riconoscimento quale acqua
minerale naturale persistano nel tempo (considerando n. 7: «è necessario
vigilare affinché le acque minerali naturali conservino nella fase di
commercializzazione, le caratteristiche in base a cui sono state riconosciute
come tali»; art. 1, paragrafo 2: «il periodo di
validità dell’accertamento di cui al secondo comma non può superare il periodo
di cinque anni. Qualora l’accertamento sia rinnovato prima della fine di tale
periodo non è necessario un nuovo riconoscimento ai sensi del primo comma»; Allegato II dove si prevedono controlli periodici da
parte dell’autorità competente del Paese di origine della conformità dell’acqua
minerale, di cui sia autorizzata l’utilizzazione della sorgente, alle
disposizioni di cui all’allegato I, parte I, e dell’osservanza degli obblighi
posti a carico dell’imprenditore al fine di preservare le caratteristiche
microbiologiche delle acque stesse) e che tale circostanza sia acclarata con appositi controlli. Peraltro l’impugnato art.
29 fa esplicito riferimento, in ordine alla vigilanza sull’utilizzazione e sul
commercio, alle competenze degli organi delle Regioni e degli altri enti locali
in ossequio ai rispettivi ordinamenti. Non è quindi ipotizzabile alcuno
straripamento della normativa statale dal proprio alveo costituzionale,
limitandosi la stessa ad enucleare i principi entro i quali dovranno essere
esercitate le competenze degli enti territoriali.
5. — Dalle
considerazioni fin qui esposte deriva che le questioni di legittimità
costituzionale promosse dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in
epigrafe devono essere dichiarate, nei termini di cui sopra, in parte non
fondate e in parte inammissibili con riferimento ai parametri evocati.
LA CORTE
COSTITUZIONALE
1) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 16, 17,
29 e 30 del decreto legislativo 8 ottobre 2011, n. 176 (Attuazione della
direttiva 2009/54/CE, sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque
minerali naturali), sollevata dalla Regione Toscana in riferimento all’art.
117, primo comma, della Costituzione con il ricorso in epigrafe;
2) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 6, 7, comma
1, 16, 17, 22 e 23, comma 1, 29 e 30 del medesimo
d.lgs. n. 176 del 2011, sollevate dalla Regione Toscana in riferimento agli
artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre
2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA,
Presidente
Aldo CAROSI,
Redattore
Gabriella MELATTI,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 31 ottobre 2012.