SENTENZA N. 142
ANNO 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Augusto Antonio BARBERA
Giudici: Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 123, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 11; 124, commi 1, 2, 3 e 4; 125, comma 7; 126, comma 1; 127; 128, comma 1, lettere a) e b); 131 e 133 della legge della Regione Sardegna 23 ottobre 2023, n. 9 (Disposizioni di carattere istituzionale, ordinamentale e finanziario su varie materie), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 22 dicembre 2023, depositato in cancelleria in pari data, iscritto al n. 35 del registro ricorsi 2023 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2024.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna;
udito nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2024 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;
uditi l’avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giovanni Parisi, Roberto Silvio Murroni e Mattia Pani per la Regione autonoma Sardegna;
deliberato nella camera di consiglio dell’8 maggio 2024.
Ritenuto in fatto
1.− Con ricorso depositato il 22 dicembre 2023 e iscritto al n. 35 del registro ricorsi 2023, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 123, commi da 1 a 7 e 11; 124, commi da 1 a 4; 125, comma 7; 126, comma 1; 127, 128, comma 1, lettere a) e b); 131 e 133 della legge della Regione Sardegna 23 ottobre 2023, n. 9 (Disposizioni di carattere istituzionale, ordinamentale e finanziario su varie materie) in riferimento agli artt. 9, secondo comma, 117, commi secondo, lettera s), e terzo, e 120 della Costituzione, nonché in riferimento all’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).
1.1.– Il ricorrente premette che tutte le disposizioni impugnate vanno ascritte alla materia «edilizia ed urbanistica», la quale è assegnata dall’art. 3 dello statuto speciale alla potestà legislativa primaria della Regione autonoma Sardegna (lettera f), con il limite «[dell’]armonia con la Costituzione e i princìpi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e [del] rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica».
1.2.– Con un primo motivo di ricorso, lo Stato lamenta che il dettato degli articoli da 123 a 128 e 133 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 – tutti ricompresi nel Capo XI intitolato «Norme in materia di recupero del patrimonio edilizio e urbanistica» –, nel consentire in via generale incontrollati incrementi di cubatura, lederebbe, anzitutto, l’interesse all’ordinato sviluppo urbano, presidiato dalle norme fondamentali di riforma economico-sociali che limitano la competenza legislativa primaria riconosciuta dal predetto art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto speciale e dai princìpi fondamentali posti dal legislatore statale ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. nella materia «governo del territorio», e, al contempo, danneggerebbe il territorio nel suo aspetto paesaggistico e ambientale (tutelato dagli artt. 9, secondo comma, 117, secondo comma, lettera s, Cost.).
Sarebbe, inoltre, violato il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., per mancata osservanza dell’obbligo di pianificazione concertata e condivisa.
1.2.1.– In via principale, il ricorrente si diffonde sulle dedotte illegittimità costituzionali di natura urbanistico-edilizia.
La normativa impugnata autorizzerebbe − per la totalità degli immobili esistenti, in via stabile e non eccezionale e senza una apposita previsione in sede di strumenti urbanistici attuativi − diversi interventi edilizi recanti ampliamenti volumetrici con «profonda alterazione degli standard urbanistici […], ponendosi in contrasto con il principio fondamentale di pianificazione urbanistica unitaria del territorio».
Pertanto, le previsioni regionali contrasterebbero con le norme nazionali, richiamate a parametri interposti, stabilite dall’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765) e dagli artt. 14 e 2-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)».
1.3.– Per illustrare la censura, l’Avvocatura dello Stato si sofferma, anzitutto, sulle singole disposizioni impugnate.
1.3.1.– L’art. 123 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 consente gli «[i]nterventi per il riuso e per il recupero con incremento volumetrico dei sottotetti esistenti».
In primo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri si duole che, secondo il combinato disposto delle disposizioni contenute nei primi cinque commi, sarebbe autorizzato, tra l’altro, il riuso di «b) […] terrazze coperte e aperte su uno, due, tre o quattro lati, non rilevanti ai fini volumetrici dalle vigenti disposizioni di legge regionali e regolamenti comunali» nonché «c) […] spazi e […] volumi delimitati da altezza di imposta delle falde nulla» e, dunque, sarebbe possibile “chiudere” anche spazi coperti, ma non delimitati lateralmente. Il così assentito aumento di cubatura residenziale, di consistenza non controllabile, darebbe luogo a un incremento di carico urbanistico, con squilibrio degli «standard minimi urbanistici degli strumenti di pianificazione generale».
In secondo luogo, il ricorso contesta che «[i]l comma 6 del medesimo articolo consente ulteriori ampliamenti volumetrici, anche esterni all’involucro geometrico del sottotetto esistente, realizzabili anche in zona A (territorio con agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale) ai sensi del comma 7».
In terzo luogo, è censurato il comma 11 dell’art. 123 il quale, a chiusura della suddetta disciplina, dispone che il volume urbanistico dei sottotetti per i quali sono consentiti gli interventi è «determinato dal volume geometrico del sottotetto, misurato all’esterno delle pareti perimetrali e all’intradosso del solaio di copertura». Il ricorrente si duole dell’espressione derogatoria contenuta nella disposizione secondo cui il nuovo volume «è ammesso anche mediante il superamento degli indici volumetrici e dei limiti di altezza previsti dalle vigenti disposizioni comunali e regionali».
1.3.2.– L’art. 124 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 disciplina gli «[i]nterventi di recupero dei seminterrati, dei piani pilotis e dei locali al piano terra».
Secondo la difesa statale, anche tale disposizione arrecherebbe «deroghe agli standard urbanistici», posto che con i primi quattro commi consente, negli immobili ad uso abitativo, il riuso dei seminterrati (comma 1, lettera a) − definiti «piani siti alla base dell’edificio e realizzati parzialmente fuori terra, quando la superficie delle pareti perimetrali comprese al di sopra della linea di terra è superiore al 50 per cento della superficie totale delle stesse pareti perimetrali» − e dei piani pilotis (comma 1, lettera b) – definiti «superfici aperte, a piano terra o piano rialzato, delimitate da colonne portanti, la cui estensione complessiva è non inferiore ai due terzi della superficie coperta».
1.3.3.– L’art. 125 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 è rubricato «[i]nterventi per il riuso degli spazi di grande altezza».
La doglianza del ricorrente si appunta sul suo comma 7, secondo cui «[i]n caso di realizzazione di spazi di grande altezza in edifici esistenti, mediante la demolizione parziale di solaio intermedio, è escluso il ricalcolo del volume urbanistico dell’edificio o della porzione di edificio, anche in caso di riutilizzo di spazi sottotetto che originariamente non realizzano cubatura, a condizione che non si realizzino mutamenti nella sagoma dell’edificio o nella porzione di edificio». Non sarebbe, dunque, «considera[ta] come cubatura il riutilizzo di sottotetti che precedentemente non costituivano volume urbanistico».
1.3.4.– A parere dell’Avvocatura dello Stato, l’art. 126, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 contrasterebbe a sua volta, oltre che con i già citati parametri interposti, anche con l’art. 6, comma 1, lettera e-bis), t.u. edilizia.
La disposizione sarda consente taluni «[i]nterventi nelle strutture destinate all’esercizio di attività turistico-ricettive» e, in particolare, la chiusura con elementi amovibili, anche a tenuta, delle verande e tettoie coperte già legittimamente autorizzate, per un periodo non superiore a duecentoquaranta giorni.
La previsione contrasterebbe anche con la predetta disposizione statale nella parte in cui consente sì in regime di edilizia libera le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee, ma solo se mantenute sino al termine massimo di centottanta giorni.
Il legislatore statale annovererebbe tali interventi precari nell’edilizia libera per la limitata rilevanza urbanistico-edilizia; ove, però, sia superato lo stabilito limite temporale, l’opera dovrebbe essere considerata stabile e, di conseguenza, sarebbe soggetta a tutti «i limiti urbanistici ed edilizi previsti, indipendentemente dal titolo necessario». Per contro, il legislatore regionale non avrebbe subordinato l’intervento al necessario titolo, né disciplinato gli effetti del mantenimento delle opere dopo i duecentoquaranta giorni.
1.3.5.– L’art. 127 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 detta «Disposizioni edilizie in favore dei portatori di handicap gravi», autorizzando interventi funzionali di ampliamento volumetrico in continuità all’unità immobiliare destinata ad abitazione principale di un disabile grave per un massimo di centoventi metri cubi, anche in deroga alle norme previste negli strumenti urbanistici vigenti, purché nel rispetto delle disposizioni del codice civile.
Secondo il ricorrente, ancora una volta, con una previsione generica e indeterminata, si assentirebbero ampliamenti volumetrici in deroga alla pianificazione urbanistica generale.
1.3.6.– L’art. 128 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 stabilisce le condizioni di ammissibilità degli interventi di riuso e recupero previsti dai suddetti articoli da 123 a 127.
L’Avvocatura dello Stato ne lamenta l’illegittimità costituzionale sotto due profili.
1.3.6.1.– Quanto alla delimitazione dell’ambito oggettivo stabilito dal comma 1, lettera a), si denuncia la norma che ammette le opere sugli immobili realizzati in difformità dall’originario titolo abilitativo e successivamente oggetto di condono.
In particolare, ammettere gli ampliamenti anche nei cespiti che hanno ottenuto la sanatoria di abusi non solo formali, ma anche sostanziali − perché realizzati in violazione della normativa urbanistico-edilizia − contrasterebbe con «“il carattere generale del divieto di concessione di premialità volumetriche per gli immobili abusivi, espressivo della scelta fondamentale del legislatore statale di disconoscere vantaggi in caso di abuso e di derogare a tale principio in ipotesi tassative”» (si cita la sentenza di questa Corte n. 24 del 2022).
A dire del ricorrente, sarebbe stato riproposto «nella sostanza» il contenuto dell’art. 11, comma 1, lettera a), della precedente legge della Regione Sardegna 18 gennaio 2021, n. 1 (Disposizioni per il riuso, la riqualificazione ed il recupero del patrimonio edilizio esistente ed in materia di governo del territorio. Misure straordinarie urgenti e modifiche alle leggi regionali n. 8 del 2015, n. 23 del 1985, n. 24 del 2016 e n. 16 del 2017), dichiarato costituzionalmente illegittimo con la citata sentenza n. 24 del 2022.
1.3.6.2.– Quanto alla delimitazione temporale stabilita dal comma 1, lettera b), del medesimo art. 128, la previsione esclude gli interventi per gli edifici completati successivamente all’entrata in vigore della medesima legge regionale (24 ottobre 2023).
Il ricorso contesta la norma che assentirebbe, a contrario, cubature aggiuntive per tutti gli innumerevoli immobili esistenti alla data del 24 ottobre 2023, «senza alcun riferimento alla pianificazione generale e alla dotazione minima degli standard minimi urbanistici».
1.3.7.– Con il motivo, in ultimo, il ricorrente impugna l’art. 133 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 che prevede la «[v]alorizzazione degli immobili della borgata di pescatori di Marceddì», attraverso un programma integrato di riordino urbano adottato ai sensi dell’art. 40 della legge della Regione Sardegna 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio).
L’intervento normativo è censurato poiché: a) nonostante tale area sia caratterizzata dalla presenza di opere non sanabili, dispone che, in esito all’approvazione del suddetto programma, «l’Assessorato regionale competente in materia di patrimonio procede, nel rispetto della normativa vigente, all’avvio delle procedure di regolarizzazione dell’assetto occupativo degli immobili», b) ammetterebbe, in virtù del rinvio alla disciplina di cui all’art. 40 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, ampliamenti volumetrici del quaranta per cento, incrementabili ulteriormente del trenta per cento, nei casi espressamente previsti, al di fuori della pianificazione e senza il pieno rispetto degli standard minimi previsti dalla normativa statale, c) non escluderebbe dal possibile aumento di incrementi volumetrici gli immobili regolarizzati tramite condoni.
1.4.– Il ricorrente, a sostegno dell’intero motivo, muove poi osservazioni trasversali.
1.4.1.– I diversi interventi disciplinati dagli articoli da 123 a 127 e 133 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, disattendendo i limiti della densità edilizia, violerebbero il principio del primario interesse generale all’ordinato sviluppo urbano.
In particolare, le disposizioni impugnate autorizzerebbero − con procedimenti abilitativi singoli e non coordinati, senza una apposita previsione pianificatoria attuativa − opere di incremento delle cubature esistenti, oltre i limiti massimi di densità edilizia fissati dagli standard stabiliti dall’art. 7 del d.m. n. 1444 del 1968 e recepiti in Sardegna dall’art. 4 del decreto assessoriale «22 dicembre» 1983, n. 2266/U (Disciplina dei limiti e dei rapporti relativi alla formazione di nuovi strumenti urbanistici ed alla revisione di quelli esistenti nei comuni della Sardegna) e dalla pianificazione territoriale.
1.4.2.– L’Avvocatura dello Stato traccia il quadro posto dagli evocati parametri interposti.
In primo luogo, il ricorrente richiama «il principio fondamentale» di pianificazione urbanistica unitaria del territorio espresso dall’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942: gli interventi di trasformazione edilizia devono trovare rispondenza, quanto a presupposto e prescrizioni, in un atto di pianificazione, a sua volta sottoposto, ai sensi dei commi ottavo e nono dello stesso articolo, ai limiti di densità, altezze e distanze di cui agli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 del d.m. n. 1444 del 1968.
Il Presidente del Consiglio dei ministri precisa, tuttavia, che le prescrizioni dei piani urbanistici non sono caratterizzate da assoluta inderogabilità.
La stessa legislazione nazionale prevederebbe ipotesi di deroga alle previsioni pianificatorie tanto di tipo puntuale, quanto di tipo generale: infatti, il testo unico dell’edilizia, da un lato, per singoli interventi che soddisfano un peculiare interesse pubblico, disciplinerebbe il rilascio di un permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici (art. 14), e, dall’altro, per intere categorie di opere edilizie, autorizzerebbe discostamenti da parte delle leggi regionali («art[…] 2-bis»). Tuttavia, queste ultime sarebbero ammissibili solo se eccezionali, temporanee e per obiettivi specifici.
In secondo luogo, il ricorrente invoca l’efficacia vincolante, anche nei confronti del legislatore delle regioni autonome, delle prescrizioni poste dal d.m. n. 1444 del 1968 che trovano il loro fondamento nei commi ottavo e nono del menzionato art. 41-quinquies, della legge n. 1150 del 1942.
L’Avvocatura dello Stato puntualizza che, anche in relazione ai limiti fissati dagli standard urbanistici, le regioni possano dettare disposizioni derogatorie, ma alla sola condizione che esse siano recepite dalla pianificazione.
Infatti, l’art. 2-bis t.u. edilizia accorda tale facoltà al legislatore regionale, ma solo «nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali» (comma 1) e con la finalità di «orientare i Comuni nella definizione dei limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio» (comma 1-bis).
Piuttosto, le disposizioni censurate acconsentirebbero al superamento delle densità massime, a prescindere dal loro recepimento in appositi piani attuativi.
1.5.– Secondo il ricorrente, le norme impugnate violerebbero, inoltre, i parametri costituzionali posti a tutela del paesaggio.
Per un verso, esse contrasterebbero con gli artt. 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), Cost., poiché, la previsione di «“interventi edilizi in deroga alla pianificazione urbanistica per un tempo indefinito”» sarebbe idonea di per sé a «“compromettere l’imprescindibile visione di sintesi, necessaria a ricondurre ad un assetto coerente i molteplici interessi che afferiscono al governo del territorio ed intersecano allo stesso tempo l’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”», finendo per «“danneggiare il territorio anche nel suo aspetto paesaggistico e ambientale”» (si citano le sentenze di questa Corte n. 229 del 2022 e n. 219 del 2021).
Per altro verso, confliggerebbero con «il principio di leale collaborazione ex art. 120 Cost., per mancata osservanza dell’obbligo della pianificazione concertata e condivisa, prescritta dalle norme statali in quanto idonea a garantire l’ordinato sviluppo urbanistico e ad individuare le trasformazioni compatibili con le prescrizioni statali del Codice dei beni culturali e del paesaggio».
1.6.– Con un ulteriore motivo di ricorso, lo Stato impugna l’art. 131 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. e l’art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto speciale, per il tramite dell’art. 6 t.u. edilizia, assunto a principio fondamentale della materia «governo del territorio» e a norma fondamentale di riforma economico-sociale nella materia «edilizia ed urbanistica».
Con la disposizione impugnata, il legislatore regionale aggiunge all’elenco degli interventi eseguibili senza titolo abilitativo, previsto dall’art. 15, comma 1, della legge della Regione Sardegna 11 ottobre 1985, n. 23 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, di risanamento urbanistico e di sanatoria di insediamenti ed opere abusive, di snellimento ed accelerazione delle procedure espropriative), la lettera f-bis), avente ad oggetto il posizionamento delle «pergole bioclimatiche», definite «come pergole aperte almeno su tre lati, coperte con elementi retraibili tipo teli o lamelle anche orientabili e motorizzabili, per consentire il controllo dell’apertura e della chiusura, tanto in aderenza a fabbricato esistente che isolate».
L’inserimento di tali opere nel regime dell’edilizia libera, disciplinato dal legislatore nazionale con l’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, sarebbe costituzionalmente illegittimo per più ragioni.
Di tali opere si occupa nel dettaglio il decreto ministeriale 2 marzo 2018 (Approvazione del glossario contenente l’elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222): ebbene, il d.m. non menzionerebbe le pergole bioclimatiche, ma altri elementi di arredo delle aree di pertinenza, cui le prime non sarebbero assimilabili (voci n. 46 e n. 50: pergole, pergolati e pergotende).
Il ricorso tratteggia nello specifico la distinzione tra le diverse strutture con funzione di ombreggiamento e riparo, richiamando le definizioni elaborate dalla giurisprudenza amministrativa.
In particolare, le pergole e i pergolati sono manufatti di supporto alle piante rampicanti, che creano ombra allo spazio sottostante, senza offrire protezione dalle precipitazioni piovose, e hanno sostegni puntiformi, senza elementi strutturali alle pareti. Le pergole bioclimatiche di cui alla norma regionale se ne distinguerebbero in quanto presentano una copertura.
A loro volta, le pergotende sono individuabili nelle opere, anche di superficie non modesta, formate da montanti ed elementi orizzontali di raccordo e sormontate da una protezione fissa o ripiegabile, di tessuto o altro materiale impermeabile, che riparano sia dal sole, che dalla pioggia. Diversamente da queste, le pergole bioclimatiche non presenterebbero un rivestimento di materiale leggero.
A dire del ricorrente, piuttosto, le pergole bioclimatiche, anche se aperte su tutti i lati, in quanto coperte da lamelle, pur orientabili, creerebbero stabilmente un piano chiuso e, in quanto tali, sarebbero assimilabili alle tettoie.
Queste ultime, infatti, consistono in coperture stabili sostenute da pilastri, o comunque da strutture verticali discontinue, in aderenza o meno al muro di un edificio, con la funzione di riparo e protezione dell’area sottostante. Per il loro posizionamento, la giurisprudenza amministrativa richiederebbe un apposito titolo di abilitativo, individuabile, a seconda dei casi, nel permesso di costruire o nella segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA).
Il ricorrente rafforza la conclusione con la notazione che la libera collocazione di pergole bioclimatiche, specie in zone costiere a forte vocazione turistica, comporterebbe il rischio di grave incidenza sul paesaggio urbano, tramite l’alterazione dei prospetti degli edifici.
2.− Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate improcedibili, inammissibili o non fondate.
2.1.– La resistente premette che le disposizioni impugnate ripropongono quelle della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, come modificata dalla legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, in ordine alle quali la sentenza di questa Corte n. 24 del 2022 avrebbe ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale allora promosse dallo Stato.
L’esigenza di riproposizione di tali norme sarebbe stata determinata dalla circostanza che la predetta pronuncia ha caducato l’art. 17 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che regolava l’efficacia del Titolo II − Capo I (Norme per il miglioramento del patrimonio edilizio esistente) della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, in cui era ricompresa tanto la disciplina del cosiddetto Piano casa, quanto quella degli interventi di recupero di sottotetti, seminterrati e spazi di grande altezza, oggetto di ricorso.
Diversamente dall’impostazione seguita dal Presidente del Consiglio, con le disposizioni impugnate non vi sarebbe la riedizione delle norme straordinarie sul Piano casa e dei relativi ampliamenti volumetrici in deroga alle competenze pianificatorie comunali, bensì si consentirebbe, attraverso interventi di ristrutturazione edilizia, il riutilizzo di partizioni esistenti con cambio di destinazione d’uso al fine di ridurre il consumo di suolo e di consentire l’efficientamento energetico.
D’altra parte, la normativa contestata andrebbe raccordata con gli altri istituti normativi regionali e statali, che garantiscono, comunque, il rispetto delle competenze urbanistico edilizie locali e statali (in primis, i permessi edilizi e le autorizzazioni paesaggistiche e, inoltre, la disciplina della verifica di coerenza).
La difesa regionale rammenta, peraltro, che in quasi tutte le regioni sarebbero vigenti discipline analoghe, tese al recupero del patrimonio edilizio esistente, più volte giudicate in termini di «legittimità costituzionale» (si citano le sentenze di questa Corte n. 54 del 2021 e n. 282 del 2016).
Infine, la Regione autonoma invoca la competenza legislativa primaria in materia di edilizia e urbanistica, attribuita dall’art. 3,primo comma, lettera f), dello statuto speciale, i cui limiti sono rinvenibili nelle norme statali che assurgano a norme fondamentali di riforma economico-sociale. Lo Stato ne avrebbe fatto richiamo solo in termini formali.
2.2.– Tanto premesso, in via preliminare, la resistente eccepisce l’improcedibilità dell’intero primo motivo in quanto l’art. 4, comma 1, lettera c), numero 2), della legge della Regione Sardegna 19 dicembre 2023, n. 17 (Modifiche alla legge regionale n. 1 del 2023, variazioni di bilancio, riconoscimento di debiti fuori bilancio e passività pregresse e disposizioni varie) avrebbe riportato a sistema la regolamentazione degli standard urbanistici. Ciò in quanto lo ius superveniens avrebbe riscritto l’art. 128, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, subordinando gli interventi di cui agli artt. 123, 124 e 125 al reperimento degli spazi di parcheggio e degli spazi pubblici o, in caso di impossibilità di reperimento, all’obbligo di corrispondere il controvalore monetario delle aree.
2.3.– La Regione autonoma Sardegna si sofferma, poi, sulle contestazioni delle singole disposizioni.
2.3.1.– In ordine all’impugnazione dell’art. 123 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, ancora in via preliminare, la resistente eccepisce che nella deliberazione del Consiglio dei ministri si fa riferimento ai soli commi 5, 6, 7 e 11 dell’art. 123, sicché «il ricorso deve essere limitato a tali disposizioni».
Quanto al comma 5, la resistente rappresenta che con esso è riproposto l’art. 6, lettera c), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, il quale aveva introdotto il comma 3-ter nell’art. 32 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015: in proposito la citata sentenza n. 24 del 2022 avrebbe respinto l’impugnazione allora articolata dallo Stato sul presupposto che le opere erano sottoposte a rigorose limitazioni, limitazioni corrispondenti a quelle ora stabilite nell’art. 128 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023.
Anche la norma contenuta nel comma 6 trova corrispondenza in una disposizione presente nella legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, e avrebbe già superato il vaglio di questa Corte.
La previsione, letta in combinato disposto con il successivo comma 7, ammetterebbe i recuperi dei sottotetti con modifiche esterne alle unità immobiliari nelle zone urbanistiche A-centro storico, solo se conformi al piano particolareggiato, adeguato al piano paesaggistico regionale (PPR), rispetto a cui la disposizione non porrebbe alcuna deroga.
D’altronde, la necessaria conformità delle opere di ristrutturazione con il piano particolareggiato sarebbe ribadita dall’art. 128, comma 1, lettera g), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 anche per zone diverse da quella A.
2.3.2.– La Regione autonoma Sardegna controbatte, poi, alle censure di mancato rispetto degli standard urbanistici per gli interventi relativi ai seminterrati e piani pilotis (art. 124) e agli spazi di grande altezza nella parte in cui non «si considera come cubatura il riutilizzo di sottotetti che precedentemente non costituivano volume urbanistico» (art. 125).
Ad avviso della resistente, la violazione da parte di tali norme degli standard e del principio di pianificazione sarebbe stata dedotta genericamente e non terrebbe neppure conto che la normativa censurata deve essere raccordata con le vigenti prescrizioni urbanistico-edilizie statali e regionali.
D’altra parte, analoghe censure sarebbero state dichiarate non ammissibili e non fondate dalla citata pronuncia n. 24 del 2022 che ha sindacato le disposizioni in materia di sottotetti, seminterrati, piani pilotis e riuso di spazi di grande altezza, con motivazioni estensibili alla fattispecie in esame.
In particolare, è richiamato il passaggio della decisione secondo cui il ricorrente deve indicare con precisione il precetto violato e «approfondire il complesso contenuto della previsione regionale, particolarmente pregnante alla luce del carattere articolato della disposizione statale richiamata e delle successive specificazioni, contenute nel D.M. 1444 del 1968 e nel decreto assessoriale 20 dicembre 1983, n. 2266/U che nel contesto sardo ha recepito la disciplina statale».
2.3.3.– La resistente rafforza la difesa richiamando, ancora una volta, il sopravvenuto art. 4, comma 1, lettera c), numero 2), della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023, con cui si è garantito il rispetto degli standard urbanistici relativi a spazi pubblici, verde pubblico e parcheggi.
2.3.4.– La difesa regionale assume poi la non fondatezza della doglianza relativa all’art. 126 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 − che prevede la possibilità, per le strutture ricettive alberghiere, di chiudere, con elementi amovibili, verande e tettoie coperte già legittimamente autorizzate − per tre diverse ragioni: a) anzitutto, sarebbe erroneamente evocato il parametro interposto, in quanto l’art. 6, comma 1, lettera e-bis), del d.P.R. n. 380 del 2001 riguarda l’edilizia libera, mentre la disposizione regionale censurata riguarderebbe interventi minori sottoposti alla SCIA; b) inoltre, l’art. 6 t.u. edilizia non sarebbe norma fondamentale di riforma economico-sociale; c) infine, anche questa disposizione sarebbe analoga ad altra contenuta nella legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, la quale sarebbe stata ritenuta esente dai lamentati vizi di legittimità costituzionale dalla ricordata sentenza n. 24 del 2022.
2.3.5.– Inammissibile e non fondata sarebbe anche la censura dell’art. 127 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, che consente ampliamenti volumetrici a favore dei portatori di handicap grave, ripetendo disposizioni introdotte nell’ordinamento sardo sin dal 2007.
In primo luogo, il motivo estenderebbe del tutto genericamente e immotivatamente le doglianze svolte con riguardo ai precedenti articoli, rispetto a una disposizione edilizia di tipo speciale, rivolta alle abitazioni dei disabili; in secondo luogo, il ricorrente non terrebbe conto che l’intervento consentito è subordinato a precise e rigorose condizioni, tra cui anche un vincolo quinquennale di intrasferibilità dell’immobile e un vincolo di modifica della destinazione d’uso; in terzo luogo, l’incremento volumetrico in parola non comporterebbe né l’aumento del carico insediativo, né modifiche dell’assetto urbanistico, in quanto limitato all’abitazione del soggetto portatore di disabilità.
2.3.6.– A dire della Regione, ancora non fondato sarebbe il vizio di illegittimità costituzionale delle norme contenute nell’art. 128, comma 1, lettere a) e b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023.
La prima norma escluderebbe legittimamente dall’ammissibilità degli interventi derogatori «non legittimamente realizzati, ovvero non ancora legittimati», consentendoli, per contro, per i cespiti che abbiano preventivamente ottenuto «l’autorizzazione, sotto tutti i profili, delle opere eventualmente realizzate sine titulo».
La seconda norma − che limita i disciplinati riutilizzi agli immobili esistenti alla data di entrata in vigore della legge − non contrasterebbe con i parametri evocati, per le medesime ragioni difensive espresse con riguardo alle censure proposte in relazione alle norme che regolano i singoli interventi.
2.3.7.– Ancora, priva di pregio sarebbe la doglianza spiegata nei confronti dell’art. 133 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, dettata per la valorizzazione degli immobili della borgata di pescatori di Marceddì.
Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, da un lato, la norma non consentirebbe la sanatoria di immobili abusivi, i quali se non sanabili, saranno destinati ad essere demoliti, secondo l’ordinaria disciplina; dall’altro lato, gli interventi previsti sarebbero subordinati all’approvazione di un atto pianificatorio appositamente previsto dall’art. 40 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 per la riqualificazione degli ambiti urbani e delle periferie, anche attraverso l’incremento di dotazione degli standard.
2.4.– In ultimo, la Regione si difende sul secondo motivo di ricorso relativo all’art. 131 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023.
In via preliminare, il motivo con cui si contesta l’inserimento nell’edilizia libera dell’apposizione delle pergole bioclimatiche sarebbe improcedibile in quanto oggetto di ius superveniens.
Infatti, l’art. 4, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023, a decorrere dal 20 dicembre 2023, ha sostituito il termine «pergole bioclimatiche» proprio con quello di «pergotenda», invocato dal ricorrente «come parametro di riferimento utile ai fini dell’individuazione di interventi soggetti a edilizia libera».
3.– In vista dell’udienza pubblica, il ricorrente ha depositato memoria.
In via preliminare, il Presidente del Consiglio dei ministri ha confermato l’interesse al ricorso nonostante le modifiche apportate dalla legge reg. Sardegna n. 17 del 2023 alle disposizioni impugnate, non potendosi escludere che queste ultime abbiano trovato applicazione.
Nel merito, ha ribadito le difese già spiegate e aggiunto che, benché la normativa regionale non faccia rinvio espressamente al Piano casa, sostanzialmente ne rappresenta una indiretta e parziale promanazione, ma senza limiti temporali e dimensionali e senza, quindi, quel carattere di straordinarietà che lo caratterizzava.
Considerato in diritto
1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 35 del 2023), ha impugnato, tra le altre, varie disposizioni della legge della reg. Sardegna n. 9 del 2023.
Riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il medesimo ricorso, lo scrutinio deve essere qui limitato a quelle proposte con il dodicesimo e quattordicesimo motivo, con cui si censurano diversi articoli contenuti nel Capo XI (recante «Norme in materia di recupero del patrimonio edilizio e urbanistica»), in riferimento agli artt. 9, secondo comma, 117, commi secondo, lettera s), e terzo, e 120 Cost., nonché in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale.
1.1.− In particolare, con il primo dei suddetti motivi, lo Stato impugna l’art. 123, commi da 1 a 7 e 11 (relativo agli interventi per il riuso e per il recupero con incremento volumetrico dei sottotetti esistenti), l’art. 124, commi da 1 a 4 (relativo agli interventi di recupero dei seminterrati, dei piani pilotis e dei locali al piano terra), l’art. 125, comma 7 (relativo agli interventi per il riuso degli spazi di grande altezza), l’art. 126, comma 1 (relativo ad opere nelle strutture turistiche recettive), l’art. 127 (recante «Disposizioni edilizie in favore dei portatori di handicap gravi»), l’art. 128, comma 1, lettere a) e b) (che delimita l’ambito di applicazione di tutte le suddette opere edilizie), e l’art. 133 (che detta la disciplina per la «[v]alorizzazione degli immobili della borgata di pescatori di Marceddì»).
1.1.1.− Il ricorrente lamenta l’illegittimità costituzionale delle disposizioni sotto il profilo urbanistico-edilizio: sarebbero violati l’art. 117, terzo comma, Cost., nella materia «governo del territorio» e l’art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto speciale nella materia «edilizia ed urbanistica» in relazione all’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, al d.m. n. 1444 del 1968, recepito nella Regione autonoma con il decreto assessoriale n. 2266/U del 1983, nonché agli artt. 2-bis e 14 t.u. edilizia.
Le disposizioni impugnate consentirebbero − per la generalità degli immobili esistenti, in via stabile e non eccezionale – opere edilizie implicanti aumenti di cubatura con «profonda alterazione degli standard urbanistici» e «in contrasto con il principio fondamentale di pianificazione urbanistica unitaria del territorio». In particolare, le deroghe previste dalle norme regionali opererebbero a prescindere dal loro recepimento in uno strumento urbanistico di tipo attuativo come preteso, invece, dall’art. 2-bis t.u. edilizia.
Quanto all’art. 126, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 – che consente nelle strutture alberghiere la chiusura con elementi amovibili delle verande e tettoie per un periodo massimo di duecentoquaranta giorni –, oltre alla lesione dei suddetti parametri interposti, è denunciato il contrasto anche con l’art. 6, comma 1, lettera e-bis), t.u. edilizia che autorizza, senza titolo abilitativo, le opere temporanee solo se mantenute nel più ridotto periodo di centottanta giorni.
1.1.2.− Dalle doglianze di tipo urbanistico-edilizio, l’Avvocatura dello Stato inferisce la violazione degli artt. 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), Cost.: la previsione di interventi edilizi in deroga alla pianificazione urbanistica per un tempo indefinito danneggerebbe il territorio anche nel suo aspetto paesaggistico e ambientale.
1.1.3.− Infine, sarebbe leso l’art. 120 Cost. «per mancata osservanza dell’obbligo di pianificazione concertata e condivisa».
1.2.− Con il secondo dei suddetti motivi di ricorso, il Governo ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 131 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 nella parte in cui inserisce il posizionamento delle «pergole bioclimatiche» tra le opere che nel territorio sardo possono essere realizzate in regime di edilizia libera, ai sensi dell’art. 15, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985.
La norma regionale – dettata dal comma 1, lettera a), numero 1), del predetto articolo − vulnererebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. sub «governo del territorio» e l’art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto speciale, nella materia «edilizia ed urbanistica», per il tramite dell’art. 6 t.u. edilizia. Infatti, la norma statale consentirebbe il libero posizionamento di pergolati e pergotende, ma non di pergole bioclimatiche che, in quanto assimilabili alle tettoie, richiederebbero un apposito titolo abilitativo.
2.− In via preliminare, la Regione autonoma Sardegna ha resistito al ricorso sostenendo l’«improcedibilità» tanto del primo, quanto del secondo motivo di ricorso, nonché l’inammissibilità, per diversi profili, di alcune delle questioni promosse.
2.1.− Occorre esaminare con priorità l’eccezione di improcedibilità per intervento dello ius superveniens, tesa a precludere trasversalmente la disamina del merito.
Secondo la resistente, le doglianze statali sarebbero state superate per effetto delle modifiche apportate alle disposizioni censurate dalla legge reg. Sardegna n. 17 del 2023.
Nello specifico, quanto alle censure di cui al primo motivo, l’art. 4, comma 1, lettera c), numero 2), della novella, modificando l’art. 128 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, avrebbe «riportat[o] a sistema la regolamentazione degli standard urbanistici» per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, con tacitazione dei rilievi statali.
Quanto al secondo motivo, l’art. 4, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023 avrebbe superato la promossa questione di legittimità costituzionale tramite la sostituzione del termine «pergole bioclimatiche» con quello di «pergotenda», con conseguente raccordo della disciplina regionale al regime in proposito stabilito dal legislatore statale.
2.1.1.− L’eccezione non ha fondamento per ambedue i motivi di impugnazione.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la modifica della disposizione oggetto di questione di legittimità costituzionale in via principale, intervenuta in pendenza di giudizio, determina la cessazione della materia del contendere quando ricorrono simultaneamente due condizioni: il carattere satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e la mancata applicazione medio tempore della disposizione impugnata (tra le molte, sentenze n. 240 del 2022 e n. 82 del 2021; ordinanza n. 96 del 2023).
Quando, invece, come nella specie, la modifica della normativa censurata intervenga prima dell’impugnazione, al ricorrere delle predette condizioni consegue l’inammissibilità dell’impugnazione per difetto di interesse.
2.1.2.− In relazione ad entrambe le impugnative non risultano integrati i menzionati requisiti.
Per quanto attiene al primo motivo, è carente la condizione della satisfattività.
Per effetto della menzionata novella, l’art. 128, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 prevede ora che «[g]li interventi di cui agli articoli 123, 124 e 125 sono subordinati al reperimento degli spazi per parcheggi previsti dall’articolo 41-sexies della legge n. 1150 del 1942, e successive modifiche ed integrazioni, nonché degli spazi pubblici previsti dagli articoli 6, 7 e 8 del decreto assessoriale n. 2266/U del 1983» e in caso di impossibilità di reperimento delle aree ne è consentita la monetizzazione e, dunque, il pagamento al comune di una somma pari al valore di mercato di aree con caratteristiche simili a quelle che si sarebbero dovute reperire.
La disposizione sopravvenuta ha così condizionato il riutilizzo di sottotetti, piani pilotis, seminterrati e spazi di grande altezza al rispetto o alla monetizzazione degli standard su parcheggi e spazi a fruizione pubblica, ma nulla ha disposto in ordine al rispetto dei limiti della densità edilizia su cui – come meglio si preciserà − esclusivamente si appunta il ricorso.
Inoltre, il novum legislativo non è affatto intervenuto sulle ulteriori norme impugnate, contenute negli artt. 126, 127 e 128, comma 1, lettere a) e b), e 133 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023.
2.1.3.− Per quanto concerne il secondo motivo, difetta la prova della mancata applicazione medio tempore dell’impugnato art. 131, comma 1, lettera a), numero 1), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023.
La disposizione impugnata ha consentito nell’immediato l’apposizione delle pergole bioclimatiche in regime di edilizia libera e ha avuto vigenza per circa due mesi (dal 24 ottobre al 19 dicembre 2023): pertanto − come anche dichiarato nella nota della Direzione generale della pianificazione urbanistica territoriale e della vigilanza edilizia della Regione autonoma Sardegna depositata in giudizio − non si può escludere che sull’intero territorio regionale sia stata eretta, senza titolo abilitativo, qualche opera di tal fatta, nel pur breve termine intercorrente tra l’entrata in vigore della norma impugnata e di quella sopravvenuta.
2.2.− Quanto alle ulteriori eccezioni di inammissibilità, spiegate dalla resistente in relazione alle censure rivolte alle singole disposizioni, è opportuno differirne la disamina alla trattazione di ciascuna di esse.
3.− Ancora in via preliminare, deve rilevarsi di ufficio l’inammissibilità della doglianza di violazione del principio di copianificazione proposta a chiusura del primo dei motivi di ricorso.
Il ricorrente sostiene in proposito che le disposizioni sul recupero del patrimonio edilizio confliggano con «il principio di leale collaborazione ex art. 120 Cost., per mancata osservanza dell’obbligo della pianificazione concertata e condivisa, prescritta dalle norme statali in quanto idonea a garantire l’ordinato sviluppo urbanistico e ad individuare le trasformazioni compatibili con le prescrizioni statali del Codice dei beni culturali e del paesaggio».
Per costante giurisprudenza di questa Corte, nei giudizi in via principale il ricorrente ha l’onere non soltanto di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali di cui denuncia la violazione, ma anche quello di allegare, a sostegno delle questioni proposte, una motivazione non meramente assertiva, sufficientemente chiara e completa (tra le tante, sentenze n. 155, n. 125 e n. 80 del 2023, n. 265, n. 259 e n. 135 del 2022).
Il Presidente del Consiglio dei ministri non ha adempiuto all’onere di dedurre specificamente in quali termini confliggano con l’evocato parametro le disposizioni impugnate, le quali più volte (artt. 123, 125 e 128) richiamano il piano paesaggistico di cui la Regione autonoma Sardegna si è dotata (approvato con la delibera della Giunta regionale 5 settembre 2006, n. 36/7, recante «L.R. 25 novembre 2004, n. 8, articolo 1, comma 1, Approvazione del Piano Paesaggistico - Primo ambito omogeneo» relativo alle aree costiere), e non ne disattendono espressamente le previsioni, ma anzi fissano condizioni volte a salvaguardare i valori dell’ambiente e del paesaggio (art. 128, comma 1, lettere d, e, f e g). Questa Corte, infatti, ha già dato atto del «percorso di leale collaborazione che la Regione autonoma Sardegna e lo Stato hanno intrapreso nel procedimento di revisione del piano delle aree costiere e nell’elaborazione del piano relativo alle aree interne, mediante un confronto costante, scandito anche dalla sottoscrizione di un protocollo di intesa [stipulato il 19 febbraio 2007] e di successivi disciplinari attuativi [siglati dalla Regione e dal Ministero per i beni e le attività culturali il 1° marzo 2013 e il 18 aprile 2018], in armonia con quanto è previsto dalla legislazione statale» (sentenza n. 24 del 2022).
4.− L’esame del merito delle doglianze deve essere preceduto, anzitutto, dall’individuazione dell’ambito materiale cui ricondurre la normativa impugnata, necessaria a segnare i confini della contestata potestà legislativa regionale.
Le disposizioni aventi ad oggetto il recupero del patrimonio edilizio esistente, la valorizzazione urbanistica di un’area degradata e la realizzazione di interventi edili in edilizia libera − in ragione della loro ratio, della finalità perseguita e del loro contenuto, tralasciando la considerazione degli aspetti marginali e degli effetti riflessi (tra le altre e da ultimo, sentenze n. 26 del 2024, n. 223, n. 124 e n. 6 del 2023) − vanno ascritte alla materia «edilizia ed urbanistica» in cui la Regione autonoma Sardegna ha potestà normativa primaria ai sensi dell’art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto speciale.
La previsione statutaria pone tra i limiti a tale competenza legislativa i princìpi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e le norme fondamentali delle riforme economico-sociali, dettate dal legislatore statale per «rispond[ere] complessivamente ad un interesse unitario» e che «esig[o]no, pertanto, un’attuazione su tutto il territorio nazionale» (per tutte, sentenza n. 198 del 2018).
A siffatte norme − con le precisazioni che si vedranno − questa Corte ha già ricondotto i parametri interposti individuati dal ricorrente e, in particolare, il principio della necessaria pianificazione urbanistica del territorio, espresso nell’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942 (da ultimo, sentenze n. 147, n. 136 e n. 90 del 2023); la disciplina degli standard urbanistici, che nel medesimo art. 41-quinquies rinviene il suo fondamento (sentenza n. 90 del 2023); le norme del t.u. edilizia concernenti i titoli abilitativi (sentenze n. 90 del 2023 e n. 24 del 2022); la normativa a tutela del paesaggio (sentenze n. 90 del 2023; n. 248, n. 24 e n. 21 del 2022).
4.1.− Il riscontro della potestà legislativa primaria nella materia «edilizia ed urbanistica» consente subito di rilevare d’ufficio la palese inconferenza e, pertanto inammissibilità (tra le altre, sentenze n. 171 del 2023, n. 172 del 2021 e n. 144 del 2020), dell’evocazione da parte del ricorrente della violazione dei princìpi fondamentali nella materia «governo del territorio» di cui all’art. 117, comma terzo, Cost., che si riferisce al diverso ambito della potestà legislativa concorrente.
5.− Nel contesto delle delineate considerazioni, va esaminato, anzitutto, il primo motivo di impugnazione.
Questo è strutturato con una argomentazione trasversale a sostegno dei due gruppi di censure (quello urbanistico-edilizio e quello paesaggistico-ambientale) − tutta basata sull’assunto secondo cui la disciplina censurata di riutilizzo del patrimonio esistente deroghi ai limiti di densità edilizia − e con la declinazione delle doglianze con riguardo alle singole disposizioni impugnate.
In termini corrispondenti ne andrà affrontato l’esame, procedendo, dapprima, alla verifica del nucleo argomentativo di fondo del ricorrente e, di seguito, al vaglio delle specifiche critiche rivolte alle singole disposizioni.
Ciò richiede una breve illustrazione sulla genesi della normativa impugnata e l’inquadramento della sua portata con i conseguenti risvolti esegetici che, in uno, all’esatta perimetrazione delle censure, consentono di tracciare le coordinate con cui condurre il giudizio di costituzionalità sulle singole norme.
5.1.− L’adozione degli articoli da 123 a 128 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 trae origine dalle vicende che hanno interessato le disposizioni contenute nel Capo I del Titolo II della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 − il cosiddetto “secondo piano casa sardo” − come modificate dalla legge reg. Sardegna n. 1 del 2021.
Tale Capo della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, denominato «Norme per il miglioramento del patrimonio esistente», ricomprende: a) le disposizioni che consentono interventi di ristrutturazione, mirati al miglioramento del patrimonio immobiliare esistente, con riconoscimento di incrementi del volume urbanistico disponibile (artt. 30 e 31), e dunque delle premialità volumetriche che contraddistinguono le discipline regionali straordinarie del Piano casa, adottate prima sulla base dell’intesa tra Stato, regioni ed enti locali sottoscritta il 1° aprile 2009 e, di seguito, in virtù dell’art. 5 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106; b) le disposizioni che disciplinano gli interventi di riuso e recupero di spazi e volumi di vario genere (art. 31, comma 7-bis, relativo alle verande delle strutture ricettive, art. 32, relativo ai sottotetti, art. 32-bis, relativo a seminterrati, piani pilotis e locali al piano terra, e art. 33, relativo agli spazi di grande altezza); c) le disposizioni che riconoscono uno speciale ampliamento di volumetria alle abitazioni dei disabili gravi (artt. 30, comma 8, e 36, comma 15-bis): d) le disposizioni che regolano le condizioni di ammissibilità (art. 34), gli aspetti procedimentali (art. 35) e dettano regole comuni ai vari interventi (art. 36).
Il suddetto complesso di disposizioni ha cessato di avere effetto in seguito alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che aveva differito al 31 dicembre 2023 il termine di efficacia dell’intero Capo, fissato dall’art. 37 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 (da ultimo) al 31 dicembre 2020.
In particolare, la sentenza n. 24 del 2022 ha giudicato costituzionalmente illegittima la protrazione (ennesima) del termine di vigenza della normativa in parola. Ciò in quanto l’art. 17, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 «nel sancire per un tempo apprezzabile un’ulteriore proroga di disposizioni che derogano alla pianificazione urbanistica, consente reiterati e rilevanti incrementi volumetrici del patrimonio edilizio esistente, isolatamente considerati e svincolati da una organica disciplina del governo del territorio».
Preso atto della pronuncia di questa Corte, il legislatore regionale è nuovamente intervenuto in materia di recupero del patrimonio edilizio e − omettendo la riproposizione delle norme di attribuzione di volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente riconosciuta dalla pianificazione urbanistica (contenute negli artt. 30 e 31) e delle specifiche regole a queste dedicate (art. 36, commi da 1 a 5, da 8 a 10 e 13) − ha rieditato, con alcune modifiche, negli articoli da 123 a 128 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, le norme sugli interventi di riutilizzo di spazi e volumi di vario genere, sull’ampliamento volumetrico delle abitazioni dei disabili gravi e quelle trasversali su condizioni di ammissibilità, regole comuni e procedure.
Nell’operazione normativa, per quanto qui rilevante, la Regione autonoma Sardegna ha poi aggiunto la disposizione sulla valorizzazione della borgata di Marceddì (art. 133) e quella sulla realizzazione di pergole bioclimatiche (art. 131)
5.2.− Quanto alla portata della nuova disciplina relativa al recupero del patrimonio edilizio esistente, deve convenirsi – secondo quanto del resto dedotto anche dalle parti, nelle pur diverse prospettive – sul suo carattere non più, come in passato, di disciplina straordinaria e derogatoria, bensì di disciplina «a regime».
In primo luogo, le disposizioni fuoriescono dalla sfera applicativa della normativa eccezionale del Piano casa − a sua volta caratterizzata dalla temporaneità (sentenze n. 90 e n. 17 del 2023) − come si ricava tanto dalla illustrata mancata riproposizione delle speciali premialità volumetriche, quanto dal mancato richiamo sia all’intesa del 1° aprile 2009, sia all’art. 5 del d.l. n. 70 del 2011, come convertito.
In secondo luogo, plurimi indici rivelano la stabilità dell’intervento normativo. In particolare, il complesso delle previsioni: a) non si auto-qualifica come disciplina straordinaria e temporanea di riutilizzo dell’edificato (come invece riscontrato da questa Corte con riguardo ad altre similari normative regionali in tema di governo del territorio sottoposte al suo sindacato); b) non prevede un termine finale di efficacia della disciplina (a differenza del previgente art. 37 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015); c) non contiene una norma di generale deroga alla disciplina urbanistico-edilizia; d) non fa riferimento ad esigenze contingenti e, anzi, esplicita finalità stabili e durevoli quali la riduzione del consumo di suolo (artt. 123 e 124), la massima fruibilità delle abitazioni dei disabili (art. 127), l’adeguamento delle strutture ricettive all’obiettivo dell’allungamento della stagione turistica (art. 126).
A tanto si accompagna l’ampiezza dell’ambito oggettivo della normativa.
Le disposizioni de quibus hanno ad oggetto interventi di riutilizzo di un novero particolarmente ampio di spazi e volumi (piani pilotis, seminterrati e locali al piano terra, soppalchi, spazi di grande altezza, verande, tettoie, sottotetti che, nel caso del riuso, includono anche le terrazze aperte su tutti i lati e gli spazi e i volumi delimitati da altezza di imposta delle falde nulla) con riguardo all’intero edificato esistente alla data di entrata in vigore della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, vale a dire alla data del 24 ottobre 2023 (termine ricavabile, a contrario, dall’art. 128, comma 1, lettera b, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, il quale esclude l’ammissibilità degli interventi per gli edifici completati dopo la sua entrata in vigore). Inoltre, la legge regionale non pone un termine finale per la presentazione delle domande per l’ottenimento del necessario titolo edilizio.
5.3.− Dalla natura stabile della disciplina in esame derivano rilevanti conseguenze interpretative, in parte diverse da quelle da cui muove il ricorrente.
5.3.1.− La giurisprudenza di questa Corte ha già riconosciuto che gli interventi di recupero volumetrico perseguono interessi ambientali certamente apprezzabili, quali la riduzione del consumo di suolo e l’efficientamento energetico (sentenze n. 147 e n. 90 del 2023, n. 54 del 2021), ma al contempo ha «affermato che le leggi regionali che li consentano debbono prevedere (o devono essere interpretate nel senso che devono prevedere) il rispetto tanto della normativa sugli standard urbanistici, quanto del codice dei beni culturali (sentenze n. 17 del 2023, n. 24 del 2022, n. 124 e n. 54 del 2021, n. 208 del 2019, n. 282 del 2016)» (ancora, sentenza n. 90 del 2023).
Con riguardo, in particolare, agli standard urbanistici, il cui rispetto è stato espressamente imposto anche alla legislazione speciale del Piano casa – art. 5, comma 11, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, e art. 1, comma 271, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)» –, questa Corte ha già avuto modo di precisare che l’art. 2-bis t.u. edilizia consente alle leggi regionali di prevedere disposizioni derogatorie al d.m. n. 1444 del 1968, ma esclusivamente «nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali» e dunque «a condizione che le deroghe siano recepite da strumenti urbanistici attuativi (funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio) e non riguardino singoli edifici» (sentenza n. 217 del 2020).
Evidentemente, tali ristretti margini di derogabilità degli indici imposti dagli standard valgono in termini equivalenti tanto per la normativa eccezionale quanto, e a maggior ragione, per la normativa stabile.
5.3.2.− Differente discorso va condotto con riguardo al rapporto della legislazione sul riutilizzo degli immobili e le previsioni pianificatorie.
Come più volte rimarcato dalla giurisprudenza costituzionale, la pianificazione del territorio non è funzionale solo all’interesse all’ordinato sviluppo edilizio del territorio, ma è rivolta anche alla realizzazione contemperata di una pluralità di differenti interessi pubblici, incidenti sul medesimo territorio, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti (sentenze n. 219 e n. 202 del 2021 e similmente sentenze n. 90, n. 19 e n. 17 del 2023 e n. 229 del 2022). In altri termini, sulla medesima res (il territorio) incidono una pluralità di interessi che si traducono in una pluralità di beni giuridici.
In tale cornice, diviene rilevante la portata ordinaria o straordinaria della disciplina edilizia.
5.3.2.1.− In particolare, nei casi, come quelli in esame, in cui una legge regionale regoli non in via eccezionale, bensì a regime, il riutilizzo degli spazi e volumi esistenti va, anzitutto, escluso − diversamente dall’impostazione generale da cui muove il ricorrente − che tale disciplina possa essere interpretata nel senso di porre “di per sé” una generale deroga alle previsioni dei piani urbanistici e agli standard cui questi devono conformarsi.
Piuttosto, secondo un approccio sistematico e una loro lettura costituzionalmente orientata, siffatte normative devono intendersi come naturalmente rispettose della pianificazione.
5.3.2.2.− Diversamente, se la disciplina regionale stabile ponga deroghe espresse agli strumenti urbanistici ne andrà valutata la legittimità costituzionale.
In proposito, in più occasioni questa Corte ha affermato che alla legge regionale – che è fonte normativa primaria sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali – non è impedito in assoluto di consentire interventi in deroga a tali strumenti urbanistici, quantitativamente, qualitativamente e temporalmente circoscritti (sentenze n. 202 e n. 124 del 2021 e n. 245 del 2018). In particolare, il legislatore regionale può ragionevolmente conformare, senza vanificare, la funzione pianificatoria per perseguire interessi generali (ancora sentenze n. 202 del 2021, n. 179 del 2019 e n. 160 del 2016), con una valutazione più ampia delle esigenze proprie di quel territorio (sentenza n. 378 del 2000).
Ove, dunque, le leggi regionali consentano deroghe espresse al principio di pianificazione – che, come rammentato, vincola anche regioni a statuto speciale che abbiano competenza primaria in materia urbanistica − esse soggiacciono a un giudizio di proporzionalità da condurre in astratto sulla «legittimità dello scopo perseguito dal legislatore regionale e quindi in concreto con riguardo alla necessità, alla adeguatezza e al corretto bilanciamento degli interessi coinvolti» (ancora sentenza n. 179 del 2019).
In tale prospettiva, anzitutto − come recentemente ribadito (sentenza n. 119 del 2024) – è vero che il legislatore regionale può consentire deroghe di tipo generale a quanto stabilito dai piani con riguardo a determinate tipologie di interventi edilizi, purché connotate dalla «eccezionalità e […] temporaneità» e dal perseguimento di «obiettivi specifici, coerenti con i detti caratteri» (sentenza n. 17 del 2023).
Va peraltro avvertito che, ove le norme derogatorie siano inserite in una normativa di tipo stabile – come quella in esame −, il vaglio di proporzionalità deve essere necessariamente più stringente di quello da condurre su analoghe norme di tipo temporaneo.
Infine, è appena il caso di ricordare, che il t.u. dell’edilizia consente anche per singoli interventi di ristrutturazione edilizia la possibile deviazione dallo strumento urbanistico comunale, rimettendone l’autorizzazione all’esito di un apposito procedimento (quello del permesso di costruire in deroga previsto dall’art. 14, comma 1-bis, t.u. edilizia), nell’ambito del quale il Consiglio comunale attesta che la «realizzazione [dello specifico intervento] è diretta a soddisfare un interesse pubblico che si ritiene prevalente, a determinate condizioni, rispetto all’assetto generale definito dal piano». Le disposizioni impugnate non rimettono all’ente comunale la valutazione in concreto dei singoli interventi di riutilizzo degli spazi e volumi, ma − si ripete − li hanno direttamente assentiti in termini generali e astratti.
Consegue dalla chiarita impostazione ermeneutica che, solo laddove la disciplina in parola consenta un effettivo incremento volumetrico disattendendo i limiti imposti dagli standard e dai piani urbanistici, andrà valutata – nei limiti delle censure proposte – la legittimità costituzionale delle relative norme derogatorie.
5.4.− Ancora, per la valutazione dell’articolato motivo di ricorso, è necessaria l’esatta perimetrazione delle questioni.
5.4.1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta la violazione di parametri urbanistico-edilizi per la «profonda alterazione degli standard urbanistici» e per contrasto con il «principio fondamentale di pianificazione urbanistica unitaria del territorio», determinato dal consentito generale aumento delle cubature.
La complessiva lettura degli argomenti a sostegno della doglianza porta a restringerne il contenuto: con essa il Presidente del Consiglio lamenta esclusivamente che siano disattesi i limiti della densità edilizia fissati dagli standard urbanistici (disciplinati, a livello nazionale, dall’art. 7 del d.m. n. 1444 del 1968 e, nella Regione autonoma Sardegna, dall’art. 4 del decreto assessoriale n. 2266/U del 1983) o da quelli più rigorosi stabiliti dalla pianificazione. Non è, invece, contestata la disciplina e l’eventuale superamento degli ulteriori limiti di altezza, distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti e gli spazi destinati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi.
5.4.2.− Per quanto attiene poi alle questioni di matrice paesaggistica che il ricorrente promuove (artt. 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s, Cost.), deve osservarsi che – salvo con riferimento alla sola impugnazione di una norma di cui si dirà (combinato disposto dei commi 6 e 7 dell’art. 123) − esse sono formulate non già quale diretta violazione di norme statali poste a presidio del paesaggio o delle prescrizioni del piano paesaggistico, bensì quale conseguenza in sé della generale deroga al principio di pianificazione urbanistica.
In particolare, con il rinvio alle sentenze n. 229 del 2022 e n. 219 del 2021, l’Avvocatura dello Stato si limita all’assunto che la previsione di «“interventi edilizi in deroga alla pianificazione urbanistica per un tempo indefinito”» sarebbe idonea di per sé a «compromettere l’imprescindibile visione di sintesi, necessaria a ricondurre ad un assetto coerente i molteplici interessi che afferiscono al governo del territorio ed intersecano allo stesso tempo l’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», finendo per «danneggiare il territorio anche nel suo aspetto paesaggistico e ambientale».
Va preliminarmente osservato che il principio stabilito da tali precedenti (ribadito dalla sentenza n. 19 del 2023 ad essi successiva e conforme) non si attaglia al caso in esame, in quanto affermato con riguardo a normative straordinarie − quelle attuative del Piano casa – che sono state concepite, in virtù della loro peculiare genesi, come prevalenti in via generale sui piani urbanistici. E tale prevalenza è stata anche esplicitata dal legislatore nazionale in sede di interpretazione autentica dell’art. 5 del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, da parte del già richiamato art. 1, comma 271, della legge n. 190 del 2014.
Differentemente, per la disciplina censurata che detta in via “ordinaria” il riutilizzo dell’edificato esistente vale, in senso opposto, il chiarito presupposto esegetico (punto 5.3.2.1.) della tendenziale compatibilità delle normative a regime con il principio di pianificazione: dalla negazione della generale portata derogatoria agli strumenti urbanistici da parte delle disposizioni impugnate deriva, allora, in astratto il difetto della conseguenziale lesione paesaggistica.
È, piuttosto, attraverso l’analisi puntuale della disciplina in questione, che deve valutarsi se, alle eventuali deroghe espresse alla pianificazione urbanistica, per la loro consistenza, consegua anche il danneggiamento del territorio nel suo aspetto paesaggistico e ambientale.
D’altra parte, questa Corte ha già escluso che norme regionali che consentono deroghe agli strumenti di pianificazione urbanistica integrino di per sé anche una deroga alle prescrizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio e al PPR (sentenze n. 119 del 2024, n. 17 del 2023 e n. 124 del 2021).
6.− Così fissate le coordinate dello scrutinio, può procedersi all’analisi delle questioni come declinate con riguardo alle singole disposizioni impugnate, esaminate non secondo la loro successione numerica, bensì sulla base delle pertinenti argomentazioni logiche.
6.1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 124, commi da 1 a 4, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, rubricato «Interventi di recupero dei seminterrati, dei piani pilotis e dei locali al piano terra».
La Regione autonoma Sardegna replica in via preliminare che la violazione degli indici volumetrici è genericamente dedotta e non tiene conto che gli interventi in parola sono subordinati al rispetto delle vigenti prescrizioni urbanistiche statali e regionali.
6.1.1.– L’eccezione di inammissibilità deve essere disattesa.
Con riguardo alla disciplina delle opere in parola, la difesa statale individua le disposizioni oggetto di censura e motiva la violazione dei parametri evocati con l’assunto che il recupero dei suddetti locali comporti la realizzazione di nuove cubature anche oltre i valori massimi posti dagli standard urbanistici e dagli atti di pianificazione.
Pertanto, la motivazione della doglianza supera la soglia minima di chiarezza e completezza che, secondo la rammentata giurisprudenza costituzionale, rende ammissibile l’impugnativa proposta.
Piuttosto, la denunciata genericità della dedotta violazione dei limiti di densità edilizia è profilo che attiene al merito delle censure.
6.1.2.– Tanto premesso, le questioni promosse con riguardo all’art. 124, commi da 1 a 4, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 non sono fondate.
Le disposizioni recano le definizioni di seminterrati, piani pilotis e piano terra (comma 1), le finalità per le quali è ammesso il riuso negli immobili destinati ad uso abitativo (comma 2), le condizioni alle quali è subordinato, da un lato, il riuso dei piani pilotis (comma 3) e, dall’altro, il recupero dei seminterrati (comma 4).
Nel sostenere il superamento delle potenzialità edificatorie con riguardo alla specifica disciplina, il ricorso si limita effettivamente a riportare la definizione legislativa del comma 1 senza dedurre quale sia la specifica norma derogatoria.
Escluso, per quanto esposto (punto 5.3.2.1.), che la disciplina sul riutilizzo di spazi e volumi dia luogo di per sé alla deroga agli indici volumetrici, non si rinviene nelle disposizioni censurate alcuna norma che ne consenta espressamente la disapplicazione.
Tanto trova conferma a contrario nello ius superveniens che ha modificato il comma 2 dell’art. 124.
Infatti, l’art. 4, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023 ha aggiunto alla norma che consente il riuso dei seminterrati, piani pilotis e locali al piano terra esistenti negli immobili destinati ad uso abitativo, l’inciso «anche mediante il superamento degli indici volumetrici e dei limiti di altezza e numero dei piani previsti dalle vigenti disposizioni urbanistico-edilizie comunali e regionali».
Solo con tale addizione, il legislatore regionale ha espressamente autorizzato la superabilità della densità edilizia. Tale norma innovativa è stata impugnata con autonomo ricorso (reg. ric. n. 6 del 2024), sicché non ricorrono i presupposti per l’estensione del presente giudizio alla nuova formulazione (tra le altre, sentenze n. 17 del 2023, n. 240 del 2022, n. 36 del 2021 e n. 286 del 2019).
In conclusione, risultano indimostrate nella disposizione impugnata le lamentate violazioni dei parametri, sia di natura urbanistico-edilizia, sia di natura paesaggistica che − per quanto chiarito (punto 5.4.2.) − sono proposte esclusivamente come conseguenziali alle prime.
6.2.− Il ricorrente si duole anche dell’illegittimità costituzionale dell’art. 125 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, rubricato «Interventi per il riuso degli spazi di grande altezza».
L’impugnativa statale si appunta sul solo comma 7, secondo cui «[i]n caso di realizzazione di spazi di grande altezza in edifici esistenti, mediante la demolizione parziale di solaio intermedio, è escluso il ricalcolo del volume urbanistico dell’edificio o della porzione di edificio, anche in caso di riutilizzo di spazi sottotetto che originariamente non realizzano cubatura, a condizione che non si realizzino mutamenti nella sagoma dell’edificio o nella porzione di edificio».
Preliminarmente, la resistente ha ancora eccepito l’inammissibilità delle relative questioni.
6.2.1.− L’eccezione è questa volta fondata e le questioni devono essere, pertanto, dichiarate inammissibili.
Il ricorrente non spiega, in alcun modo, come la ristrutturazione oggetto di disciplina, che per sua natura non determina volumi aggiuntivi e non aumenta la superficie calpestabile, comporti cubatura assentibile.
Deve in proposito richiamarsi quanto già affermato dalla sentenza n. 24 del 2022, in relazione allo scrutinio dell’impugnazione della stessa norma contenuta nell’art. 33 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, come modificata dalla legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, e di cui l’art. 125, comma 7, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, costituisce la riedizione: «[i]l ricorrente trascura di indicare il precetto violato [della normativa sugli standard urbanistici] dalla legge impugnata e di approfondire il complesso contenuto della previsione regionale che esclude, a precise condizioni, il ricalcolo del volume. Tale onere di specificazione è ancora più pregnante, alla luce del carattere articolato della legislazione statale richiamata e delle successive specificazioni, contenute nel d.m. n. 1444 del 1968 e nel decreto assessoriale 20 dicembre 1983, n. 2266/U, che nel contesto sardo ha recepito la disciplina statale in tema di densità, altezze e distanze» (punto 30.3.).
6.3.− Ancora, lo Stato censura i commi da 1 a 7 e 11 dell’art. 123 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, rubricato «Interventi per il riuso e per il recupero con incremento volumetrico dei sottotetti esistenti», e, in particolare: i) le norme che, per estendere gli spazi e i volumi oggetto di possibile riuso, ampliano la nozione dei sottotetti sino a ricomprendere gli spazi coperti, anche se non delimitati lateralmente (comma 5, lettere b e c); ii) la norma che ammette il recupero di sottotetti con incrementi volumetrici anche in zona A (combinato disposto dei commi 6 e 7); iii) la norma che consente il riutilizzo dei sottotetti anche in ipotesi di superamento dei limiti volumetrici (comma 11).
6.3.1.− In via preliminare, la Regione eccepisce la carenza, nella delibera di autorizzazione ad impugnare, di ogni riferimento ai primi quattro commi dell’art. 123.
L’eccezione è fondata.
Né l’atto autorizzativo al ricorso del Consiglio dei ministri, né l’allegata relazione, cui esso rinvia, fanno menzione di tale porzione normativa (rispetto alla quale, peraltro, l’Avvocatura dello Stato non ha svolto precipue critiche).
La riscontrata omissione comporta l’esclusione della volontà del ricorrente di promuovere le relative questioni e, dunque, la loro inammissibilità. Infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nei giudizi in via principale deve sussistere una piena e necessaria corrispondenza tra la deliberazione con cui l’organo legittimato si determina all’impugnazione e il contenuto del ricorso, attesa la natura politica dell’atto d’impugnazione (tra le tantissime, sentenze n. 134, n. 58 del 2023 e n. 179 del 2022).
Il merito delle censure va scrutinato, pertanto, in relazione agli ulteriori commi impugnati.
6.3.2.− Le questioni rivolte verso il comma 5 dell’art. 123 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 non sono fondate.
La disposizione, al fine di individuare l’ambito oggettivo degli interventi di riuso, aggiunge alla nozione tradizionale di sottotetto − inteso come lo spazio ricompreso tra l’intradosso della copertura dell’edificio e l’estradosso del solaio del piano sottostante (art. 123, commi 1, 4 e 5, lettera a, della legge regionale impugnata, in termini corrispondenti a quella riportata nel «Quadro delle definizioni uniformi» di cui all’Allegato A dello Schema di regolamento edilizio tipo, adottato a seguito di intesa in Conferenza unificata del 20 ottobre 2016) − «b) le terrazze coperte e aperte su uno, due, tre o quattro lati, non rilevanti ai fini volumetrici dalle vigenti disposizioni di legge regionali e regolamenti comunali; c) gli spazi e i volumi delimitati da altezza di imposta delle falde nulla».
Ebbene, deve ritenersi che la definizione del sottotetto adottata dal legislatore regionale sia, come sostenuto in ricorso, particolarmente ampia, in quanto giunge a ricomprendere la chiusura di spazi esistenti che in precedenza non costituivano volumi, come le terrazze aperte su quattro lati. Tuttavia, non vi sono elementi che inducano a ritenere che l’ammissione della realizzazione di tale nuova volumetria disattenda, di per sé, i limiti di edificabilità stabiliti dagli standard o dagli strumenti urbanistici.
Anche in questo caso, allora, la potestà legislativa primaria in materia di edilizia e urbanistica va interpretata in conformità alle suddette norme fondamentali di grande riforma economico-sociale.
Inoltre, come in precedenza, in difetto di una esplicita deroga alla pianificazione, cade anche la censura formulata in via conseguenziale di lesione degli artt. 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
6.3.3.− Le questioni aventi ad oggetto il comma 11 del medesimo art. 123, promosse in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale, per contrasto con l’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, con l’art. 4 del decreto assessoriale n. 2266/U del 1983, nonché con gli artt. 2-bis e 14 t.u. edilizia sono fondate, come di seguito precisato.
La disposizione di chiusura della disciplina sul riutilizzo dei sottotetti prevede, tra l’altro, che tanto gli interventi di «riuso» (senza incremento della sagoma esterna dell’immobile, disciplinati dai commi da 2 a 5) quanto quelli di «recupero» (con incremento della sagoma esterna dell’immobile disciplinati dai commi da 6 a 9) possano creare nuovo volume urbanistico anche «mediante il superamento degli indici volumetrici e dei limiti di altezza previsti dalle vigenti disposizioni comunali e regionali».
Di tale proposizione è oggetto di dubbio di illegittimità costituzionale la sola norma che consente il superamento delle soglie volumetriche e non anche quella relativa alle altezze.
Evidentemente la previsione normativa consente espressamente, in via stabile e in termini generali, di disattendere gli standard di densità edilizia fissati dall’art. 4 del decreto assessorile n. 2266/U/1983, o quelli, eventualmente superiori, previsti dai piani urbanistici senza rispettare le condizioni cui − come si è rammentato (punto 5.3.1.) − al legislatore regionale è consentito introdurre deroghe alle evocate norme fondamentali di riforma economico-sociale.
In particolare, quanto agli indici volumetrici dettati dalla normativa regionale, l’impugnata disposizione derogatoria prescinde dalla necessità del relativo recepimento negli strumenti urbanistici, come prescritto dall’art. 2-bis t.u. edilizia.
Quanto invece alla deroga alla potenzialità edificatoria eventualmente stabilita, in termini più rigorosi, dalle disposizioni dei piani comunali, la disciplina non rispetta il principio di proporzionalità.
Infatti, l’art. 123, comma 11, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, pur nella apprezzabile finalità di ridurre il consumo di suolo, disattende la densità prevista dagli strumenti urbanistici in termini stabili, assentendo in via generale gli interventi di riutilizzo con riguardo ad un novero particolarmente ampio di spazi e volumi.
La norma regionale impugnata, in conclusione, vulnera, per entrambi i versi, l’interesse all’ordinato sviluppo edilizio presidiato dagli standard e dal principio di pianificazione.
Per ripristinare la legittimità costituzionale della disposizione regionale censurata è sufficiente espungere l’inciso «degli indici volumetrici e», permanendo, in quanto non impugnata, la norma derogatoria alla disciplina delle altezze.
Va, pertanto, dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 123, comma 11, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, limitatamente all’inciso «degli indici volumetrici e».
6.3.3.1.− Restano assorbite le ulteriori questioni promosse con riguardo al medesimo comma 11, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
6.3.4.− Va ora esaminata la censura formulata nei confronti del combinato disposto dei commi 6 e 7 dell’art. 123 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023.
Con la previsione impugnata anche «nelle zone urbanistiche A dotate di Piano particolareggiato adeguato al Piano paesaggistico regionale» sono consentiti gli interventi di recupero dei sottotetti esistenti per il solo scopo abitativo con incremento volumetrico. In particolare, l’ampliamento dell’involucro geometrico esterno degli edifici ad uso residenziale con copertura a falde è autorizzato esclusivamente per «[il] raggiungimento dei requisiti minimi di agibilità, nella misura massima di 50 centimetri di altezza all’imposta interna della falda, ferma restando la quota massima del colmo, e con pendenza massima ammissibile del 30 per cento».
In proposito, il ricorso contesta la norma che ammette il recupero con incremento volumetrico dei sottotetti esistenti anche in zona A, e dunque nella parte di territorio con agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale.
In questo caso, diversamente dal resto del motivo, la lesione da parte della norma impugnata degli artt. 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), Cost., è dedotta, pur stringatamente, quale diretta lesione del bene paesaggistico.
Tanto chiarito, le questioni non sono fondate.
In primo luogo, deve rimarcarsi – come già affermato dalla sentenza n. 24 del 2022 (punto 28.3.1.) sulla norma corrispondente contenuta nel previgente art. 32 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, come modificato dalla legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 – che la disciplina «non contiene alcuna deroga alle previsioni del piano paesaggistico regionale e alla normativa dettata dal d.lgs. n. 42 del 2004».
In secondo luogo, il legislatore regionale ha sottoposto l’intervento di recupero de quo a più condizioni che garantiscono i valori dell’ambiente e del paesaggio. Infatti, per un verso, la stessa norma impugnata consente le opere solo nelle zone A «dotate di Piano particolareggiato adeguato al Piano paesaggistico regionale», sicché la loro realizzazione deve rispondere alle relative prescrizioni e, per altro verso, gli interventi di recupero dei sottotetti sono assoggettati alle condizioni fissate dall’art. 128, comma 1, lettere d) ed e), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 (similmente, sentenza n. 24 del 2022, punto 28.3.2.).
In particolare, a mente di tale ultima disposizione è escluso il riutilizzo dei diversi spazi e volumi di cui agli artt. 123-127 sia negli edifici di interesse artistico, storico, archeologico o etno-antropologico vincolati ai sensi della Parte II del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) (lettera d), sia negli edifici di interesse paesaggistico o identitario individuati nel Piano paesaggistico regionale ed inclusi nel Repertorio del mosaico (lettera e).
6.4.− La difesa statale dubita, ancora, dell’art. 126, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 che, allo scopo di favorire il prolungamento della stagione turistica, ammette nelle strutture ricettive alberghiere esistenti «per un periodo non superiore a duecentoquaranta giorni, la chiusura con elementi amovibili, anche a tenuta, delle verande e tettoie coperte già legittimamente autorizzate».
In proposito, l’Avvocatura dello Stato, oltre a lamentare la violazione dei parametri già richiamati secondo la motivazione comune all’intero motivo di ricorso, assume il contrasto anche con l’art. 6, comma 1, lettera e-bis), del d.P.R. n. 380 del 2001, che annovera nell’edilizia libera opere stagionali e temporanee con durata temporale limitata a centottanta giorni.
Secondo il ricorrente, al superamento del termine previsto dalla legislazione statale, le opere perderebbero il carattere della temporaneità e acquisterebbero rilievo dal punto di vista urbanistico-edilizio, così soggiacendo a tutti «i limiti urbanistici ed edilizi previsti». Per contro, la norma regionale neppure imporrebbe un titolo abilitativo, né regolerebbe gli effetti del mantenimento delle opere oltre il termine stabilito.
La Regione autonoma Sardegna si difende, principalmente, assumendo l’erronea invocazione dell’art. 6 t.u. edilizia, posto che la disposizione regionale impugnata disciplinerebbe le condizioni di ammissibilità di un intervento minore, la cui realizzazione soggiacerebbe alla ordinaria disciplina statale e regionale, compresa la necessità della SCIA.
6.4.1.− Preliminarmente, deve chiarirsi che, dalla lettura complessiva del motivo, si ricava che lo Stato non contesta, di per sé, la violazione del regime dei titoli edilizi dettato dalle norme fondamentali di riforma economico-sociale contenute nel t.u. edilizia, bensì, al pari delle altre doglianze, la creazione di nuovi volumi senza il rispetto dei limiti di potenzialità edificatoria da parte delle opere prive del carattere della temporaneità. In aggiunta a tale quadro, è lamentato anche che la legge regionale nulla disporrebbe sul necessario titolo edilizio.
6.4.2.− Tanto premesso, le questioni sollevate non sono fondate.
6.4.2.1.− Risulta utile iniziare lo scrutinio dal lamentato contrasto con l’art. 6, comma 1, lettera e-bis), t.u. edilizia.
La censura statale non è fondata.
Come affermato da entrambe le parti, la disposizione impugnata nulla dispone sul titolo abilitativo necessario per la chiusura temporanea delle verande e tettoie degli alberghi.
Tuttavia, dal silenzio della previsione speciale non deriva la violazione del parametro interposto: in difetto di elementi letterali e sistematici in senso contrario, risulta piuttosto applicabile la disciplina generale sulle opere stagionali dettata dalla Regione autonoma con l’art. 15 della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985, la quale risulta coerente con quanto dettato dal t.u. edilizia, e anzi rispetto a questo maggiormente rigorosa.
Infatti, per un verso, l’art. 15, comma 2, lettera e), della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985 annovera tra gli interventi che possono essere eseguiti senza alcun titolo edilizio, previa comunicazione dell’avvio dei lavori, le «opere oggettivamente precarie dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee tali da poter essere immediatamente rimosse alla cessazione della necessità» e, comunque, entro un termine di utilizzazione, non superiore a centoventi giorni» (e, pertanto, inferiore a quello statale fissato in centottanta giorni).
Per altro verso, l’art. 15, comma 6, ultimo periodo, della medesima legge regionale, impone all’interessato di informare l’amministrazione comunale dell’avvenuta rimozione dei manufatti, entro dieci giorni dallo scadere del tempo di permanenza delle opere temporanee.
Al superamento dell’arco temporale definito dal legislatore sardo, al pari del quadro delle norme fondamentali di riforma economico-sociale poste dal t.u. edilizia, le costruzioni temporanee fuoriescono dal regime dell’edilizia libera e soggiacciono, a seconda dei casi, alla necessità della SCIA o del permesso di costruire (artt. 10-bis e 3 della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985).
Non fanno a ciò eccezione la chiusura con elementi amovibili, anche a tenuta, delle verande e tettoie coperte delle strutture alberghiere.
6.4.2.2.− Ancora una volta, poi, alla luce dell’adottata interpretazione adeguatrice, non coglie nel segno il lamentato contrasto della disposizione con i limiti di potenzialità edificatoria.
Anzitutto, non si riscontra nell’art. 126, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 alcuna proposizione di espressa deroga ai limiti volumetrici stabiliti dagli standard o dalla pianificazione.
Inoltre, appare ragionevole che, limitatamente alle strutture alberghiere e in considerazione dei contemporanei flussi turistici mutati per effetto dei cambiamenti delle situazioni meteorologiche, sia determinato in circa otto mesi (sostanzialmente corrispondente al periodo ricompreso tra aprile e novembre), il termine per escludere che le chiusure in parola configurino spazi stabilmente chiusi e generino nuova volumetria.
6.4.2.3.− Dal riscontrato difetto di deroga ai limiti di densità previsti da standard e pianificazione si inferisce il rigetto della censura conseguenziale di matrice paesaggistica.
6.5.− Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta, ancora, l’illegittimità costituzionale dell’art. 127 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, recante «Disposizioni edilizie in favore dei portatori di handicap gravi».
Quanto all’oggetto della doglianza deve osservarsi che, sebbene sia impugnato l’intero art. 127, dalla motivazione del ricorso si evince che i dubbi di illegittimità costituzionale sono rivolti al solo comma 1 di tale articolo, ed è in relazione a tale comma che va di conseguenza condotto lo scrutinio di costituzionalità (sentenze n. 88 e n. 7 del 2022, n. 270 e n. 267 del 2020).
La previsione regionale impugnata recita «[…] al fine di assicurare la massima fruibilità degli spazi destinati ad abitazione principale dei disabili gravi, negli edifici a destinazione residenziale ricompresi nelle zone A e nelle restanti zone [...], se legittimamente realizzati, sono consentiti anche in deroga alle norme previste negli strumenti urbanistici vigenti, purché nel rispetto delle disposizioni del Codice civile, interventi funzionali di ampliamento volumetrico realizzati in continuità all'unità immobiliare interessata per un massimo di 120 mc».
Con i successivi commi il legislatore regionale: i) prescrive la documentazione necessaria per l’ottenimento del titolo abilitativo (comma 2); ii) prevede, all’atto del rilascio del titolo abilitativo, l’istituzione di un vincolo quinquennale di intrasferibilità e uno di variazione della destinazione d’uso (comma 3); iii) dichiara prioritaria l’istruzione delle pratiche edilizie per gli ampliamenti a favore dei portatori di handicap gravi rispetto a quelle ordinarie (comma 4); iv) dispone l’esclusione dall’ottenimento dell’incremento degli immobili che in precedenza avevano ottenuto analoghi benefici ai sensi dell’art. 17 della legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione) e degli artt. 30, comma 8, e 36, comma 15-bis, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 (comma 5).
6.5.1.− La Regione autonoma Sardegna ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità delle censure.
Il motivo estenderebbe del tutto genericamente e immotivatamente le doglianze svolte con riguardo ai precedenti articoli a una disposizione edilizia di tipo speciale, rivolta alle sole abitazioni dei disabili, che non comporterebbe né l’aumento del carico insediativo, né modifiche dell’assetto urbanistico. Inoltre, il ricorso non terrebbe conto delle rigorose condizioni cui è sottoposta la concessione del maggior volume.
L’eccezione è fondata e le questioni devono essere dichiarate inammissibili.
Come eccepito, non risulta adempiuto l’onere di una adeguata motivazione delle censure.
Il ricorso, nell’unica parte in cui si sofferma sull’art. 127, si limita ad affermare che il consentito incremento volumetrico in deroga agli strumenti urbanistici è caratterizzato, «anche in questo caso, [dalla] genericità e indeterminatezza della previsione, [sicché] valgono le considerazioni sopra espresse in ordine agli ampliamenti volumetrici in deroga agli strumenti urbanistici generali».
La consentita ristrutturazione edilizia in parola, però, si differenzia nettamente dalle altre opere di riutilizzo del patrimonio esistente ammesse con gli impugnati articoli da 123 a 126, con la conseguenza che alla prima non si attagliano le considerazioni che trasversalmente l’Avvocatura dello Stato svolge con riferimento alle seconde.
Infatti, diversamente dalle altre norme contestate, quella in esame è rivolta solo a vantaggio di un numero limitato di immobili, quelli destinati ad abitazione principale dei disabili gravi, sicché per essa non risultano calzanti le contestazioni del ricorrente in ordine a un «aumento di cubatura residenziale prima non esistente, di imprevedibile e incontrollabile consistenza, con un possibile e generalizzato aumento di carico urbanistico conseguente a nuova cubatura residenziale e abitanti insediabili» riguardante una «vastissima platea di immobili».
Tra l’altro, la norma che consente l’incremento pone eccezione alla sola pianificazione e non anche agli standard, sul cui rispetto, anzitutto, si incentra il ricorso.
In conclusione, la specificità e limitatezza della disciplina imponeva al ricorrente un apposito approfondimento delle ragioni di contrasto con le evocate norme di grande riforma-economico sociale.
6.6.− Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita, poi, della legittimità costituzionale dell’art. 128, comma 1, lettere a) e b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 che pongono le «[c]ondizioni di ammissibilità degli interventi [di recupero del patrimonio edilizio di cui agli articoli da 123 a 127] e [le] disposizioni comuni».
Le disposizioni prevedono che «1. Gli interventi di cui agli articoli da 123 a 127 non sono ammessi: a) negli edifici o nelle unità immobiliari privi di titolo abilitativo, ove prescritto; qualora le unità immobiliari siano difformi da quanto assentito con regolare titolo abilitativo, la richiesta per gli interventi di cui ai presenti articoli è ammissibile a condizione che per le difformità siano conclusi positivamente i procedimenti di condono o accertamento di conformità, anche a seguito di accertamento di compatibilità paesaggistica, ove previsto; b) negli edifici completati successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, come risultante dalla comunicazione di fine lavori o da perizia giurata di un tecnico abilitato, che attesti il completamento dell’ingombro volumetrico con realizzazione delle murature perimetrali e della copertura».
In particolare, il ricorrente critica, da un lato, la norma che consente le opere di riutilizzo degli spazi e volumi su immobili che presentano difformità dal titolo abilitativo, ma sanate con il procedimento di condono (lettera a) e, dall’altro, la norma che, a contrario, le ammette su tutti gli edifici completati alla data di entrata in vigore della stessa legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 (lettera b).
6.6.1.− Per quanto concerne la previsione temporale di cui all’art. 128, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, il ricorso deduce che la norma autorizzerebbe, per una vastissima platea di cespiti, cubature aggiuntive in distonia con la pianificazione generale e la dotazione minima degli standard minimi urbanistici.
D’ufficio deve rilevarsi l’inammissibilità delle questioni formulate.
In tutto il complesso normativo in scrutinio, il legislatore regionale delimita agli edifici «esistenti» la realizzabilità dei diversi interventi regolati; e la disposizione di chiusura non fa altro che delimitare la nozione a quelli già completati alla data della sua entrata in vigore.
A fronte di tale quadro normativo, il ricorrente non argomenta minimamente come la norma possa, di per sé, vulnerare i limiti di densità edilizia.
Va, dunque, dichiarata l’inammissibilità delle questioni promosse avverso l’art. 128, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023.
6.6.2.− Per quanto concerne l’impugnazione della norma che consente il riutilizzo degli immobili con difformità sanate con condono (art. 128, comma 1, lettera a, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023), deve precisarsi che, diversamente dalla restante parte del ricorso, l’illegittimità costituzionale non è sostenuta in relazione alla sua portata derogatoria rispetto alla potenzialità volumetrica stabilita dagli standard urbanistici e dalla pianificazione. Piuttosto, tramite il richiamo di quanto affermato dalla sentenza n. 24 del 2022, il ricorrente contesta che sarebbe violato «“il carattere generale del divieto di concessione di premialità volumetriche per gli immobili abusivi, espressivo della scelta fondamentale del legislatore statale di disconoscere vantaggi in caso di abuso e di derogare a tale principio in ipotesi tassative”».
La questione è fondata in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale, come di seguito precisato.
Il divieto di riconoscimento di benefici edilizi per gli immobili abusivi, pur condonati, assurge a principio dell’ordinamento giuridico della Repubblica e, come tale, costituisce limite della potestà legislativa primaria della Regione autonoma Sardegna.
Tale principio, con la precisazione di cui appresso, si ricava dalla legislazione dei condoni edilizi e trova conferma nell’art. 5, comma 10, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito.
6.6.2.1.− Come noto, con la normativa concernente il condono (art. 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, recante «Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive»; art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, recante «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica» e art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante «Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326), il legislatore nazionale, in via straordinaria e con regole ad hoc, ha consentito di sanare situazioni di abuso, perpetrate sino ad una certa data, di natura sostanziale, in quanto difformi dalla disciplina urbanistico-edilizia (tra le altre, sentenze n. 42 del 2023, n. 68 del 2018, n. 232 e n. 50 del 2017).
Le diverse pronunce di questa Corte sulla legislazione sui condoni edilizi sono accomunate dall’«insistente ricorso ad aggettivi come “eccezionale”, “straordinario”, “temporaneo” e “contingente” utilizzati per descriver[la]» e dalla sottolineatura della «peculiare ratio di queste misure, da considerare come assolutamente extra ordinem e destinate a operare una tantum in vista di un definitivo superamento di situazioni di abuso» (così, sentenza n. 181 del 2021).
Quanto agli effetti, il condono non elide la situazione di illiceità, ma opera unicamente su due piani e in particolare «sul piano penale, al ricorrere dei presupposti di legge, determina l’estinzione dei reati edilizi [e] su quello amministrativo comporta il conseguimento della concessione in sanatoria (e l’estinzione dell’illecito amministrativo)» (sentenze n. 44 del 2023 e n. 70 del 2008).
Dalla limitata portata delle sanatorie straordinarie si ricava che l’immobile che ne è oggetto non può giovarsi delle normative che riconoscono vantaggi edilizi che esorbitino dagli interventi di manutenzione, ordinaria o straordinaria, e di ristrutturazione finalizzati alla tutela dell’integrità della costruzione e alla conservazione della sua funzionalità.
A tale ultimo proposito, può rammentarsi che questa Corte ha già avuto modo di statuire la ragionevolezza della sottoposizione degli immobili condonati ad un regime più rigoroso quanto alle opere edilizie che alterino le caratteristiche visibili all’esterno o comunque la sagoma, l’altezza, la superficie o la volumetria dell’edificio rispetto a quello previsto per gli interventi tesi a preservare l’integrità e la funzionalità delle costruzioni (sentenza n. 238 del 2000).
6.6.2.2.− Dell’affermato principio generale fa applicazione l’art. 5, comma 10, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito.
Tale disposizione speciale esclude la realizzabilità negli immobili abusivi, ad eccezione di quelli per cui sia stato rilasciato il titolo abilitativo in sanatoria, di tutti gli interventi eccezionali consentiti dalla legislazione del Piano casa (e dunque, oltre agli incrementi volumetrici premiali, la delocalizzazione delle volumetrie in aree diverse, le modifiche delle destinazioni d’uso, le modifiche alla sagoma).
Secondo quanto già precisato da questa Corte (sentenza n. 24 del 2022 e, in senso conforme, sentenze n. 119 del 2024 e n. 90 del 2023), il riferimento di tale norma al titolo in sanatoria «si deve interpretare in senso restrittivo, in coerenza con la terminologia adoperata dal legislatore e con la ratio della normativa in esame». Dunque, esso è da riferire esclusivamente all’«accertamento di conformità» di cui all’art. 36 t.u. edilizia, il quale consente «la regolarizzazione postuma di abusi difettosi nella forma, ma non nella sostanza, in quanto privi di danno urbanistico» (sentenza n. 42 del 2023).
Così delimitata, la norma speciale – deve ripetersi − è espressione «della scelta fondamentale del legislatore statale di disconoscere vantaggi in caso di abuso e di derogare a tale principio in ipotesi tassative» (ancora, sentenza n. 24 del 2022).
In conclusione, la disposizione regionale impugnata, nel consentire gli interventi di riutilizzo del patrimonio esistente per i cespiti che abbiano sanato le difformità da quanto assentito dal titolo abilitativo con il procedimento di condono, al pari di quelli che abbiano ottenuto l’accertamento di conformità, viola il menzionato principio.
Pertanto, si deve dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 128, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, limitatamente all’inciso «condono o».
6.7.− Il primo motivo di ricorso si conclude con l’impugnazione dell’art. 133 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023.
La disciplina promuove il riordino e la valorizzazione degli immobili della borgata di pescatori di Marceddì − sorta con edilizia spontanea tra il 1950 e il 1970 su aree demaniali ora acquisite al patrimonio regionale − affidando alla Regione la predisposizione di un «programma integrato di riordino urbano», come previsto dall’art. 40 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
A seguito della sua approvazione, «l’Assessorato regionale competente in materia di patrimonio procede, nel rispetto della normativa vigente, all’avvio delle procedure di regolarizzazione dell’assetto occupativo degli immobili».
A dire dell’Avvocatura dello Stato la disciplina sarebbe illegittima, al pari delle altre, in quanto attraverso il programma integrato sarebbero consentiti rilevanti ampliamenti volumetrici (pari al quaranta per cento del volume esistente, ulteriormente incrementabile a determinate condizioni) al di fuori della logica della pianificazione e senza il pieno rispetto degli standard urbanistici.
Inoltre, anche per il recupero delle costruzioni della borgata – per lo più caratterizzata da costruzioni abusive non sanabili − sarebbe illegittima la mancata esclusione degli immobili condonati dalle previste premialità volumetriche.
Le questioni non sono fondate.
6.7.1.− In primo luogo, nella disciplina, letta in uno con il richiamato art. 40 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, non si rinvengono deroghe di sorta alle richiamate norme di riforma economico-sociali che impongono i limiti della densità edilizia e che, a determinate condizioni, ne consentono la derogabilità.
Piuttosto, la normativa censurata affida la risistemazione dell’area al programma integrato di riordino, che è espressamente qualificato quale piano urbanistico attuativo dal comma 8 dell’art. 40 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015. Sulla base della previsione regionale, in piena rispondenza con quanto disposto dall’art. 2-bis t.u. edilizia, tale atto pianificatorio potrà prevedere interventi di riqualificazione, di sostituzione edilizia, di modifica di destinazione d’uso di aree e di immobili con un incremento volumetrico fino al quaranta per cento del demolito, anche con la possibile elevazione della dotazione degli standard urbanistici.
6.7.2.− In secondo luogo, nella disposizione impugnata non vi è né alcuna deroga (dal ricorrente, peraltro, solo adombrata) al sistema sanzionatorio previsto dal t.u. edilizia per gli immobili non sanabili, né il riconoscimento dei benefici volumetrici in favore degli immobili condonati.
Quanto al primo aspetto, il richiamo alle «procedure di regolarizzazione dell’assetto occupativo degli immobili» è da intendersi come riferito alla stipula, «nel rispetto della normativa vigente», di contratti tra amministrazione proprietaria e occupanti, che legittimino questi ultimi alla detenzione dei beni regionali.
Quanto al secondo, nel silenzio della disciplina in ordine agli immobili che possano beneficiare degli incrementi volumetrici, essa deve essere letta in senso conforme a Costituzione e quindi rispettosa del menzionato principio di divieto di riconoscimento di benefici edilizi per gli immobili abusivi, pur condonati.
7.− Residua l’esame del secondo dei motivi di ricorso.
L’impugnazione ha ad oggetto l’art. 131 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, limitatamente al comma 1, lettera a), che aggiunge la lettera f-bis) all’art. 15, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985, per violazione dell’art. 3 dello statuto speciale per il tramite dell’art. 6 t.u. edilizia.
La norma impugnata inserisce nell’elenco delle opere consentite in Sardegna senza titolo abilitativo e senza previa comunicazione, previsto dall’art. 15, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985, «gli interventi finalizzati al posizionamento di pergole bioclimatiche, intese come pergole aperte almeno su tre lati, coperte con elementi retraibili tipo teli o lamelle anche orientabili e motorizzabili, per consentire il controllo dell’apertura e della chiusura, tanto in aderenza a fabbricato esistente che isolate».
L’Avvocatura dello Stato ne lamenta il contrasto con la predetta norma fondamentale di riforma economico-sociale che autorizza in regime di edilizia libera, tra l’altro, l’apposizione degli elementi di arredo delle aree pertinenziali: in tale nozione sarebbero annoverabili i pergolati, le pergole e le pergotende, ma non le «pergole bioclimatiche», piuttosto assimilabili alle tettoie, che richiedono un apposito titolo abilitativo.
7.1.− In via preliminare, è necessario rammentare che la formula normativa oggetto di scrutinio è quella dell’art. 15, comma 1, lettera f-bis), della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985, nella versione vigente sino al 19 dicembre 2023, in quanto il menzionato ius superveniens (art. 4, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023) − non impugnato − ha sostituito nella stessa lettera f-bis), a far data dal 20 dicembre 2023, la dizione «pergole bioclimatiche» con quella di «pergotend[e]», lasciando, invece, immutata la definizione della copertura liberalizzata.
La chiarita delimitazione temporale esime questa Corte da qualsivoglia confronto con la recentissima modifica − ad opera del decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica), peraltro non convertito − del parametro interposto, che ora espressamente prevede, a determinate condizioni, la libera collocazione delle tende a pergola (ma, comunque, non anche alle pergole bioclimatiche).
7.2.− La questione è fondata, come di seguito precisato.
L’art. 6, comma 1, lettera e-quinquies), t.u. edilizia, annovera tra gli interventi che non richiedono alcun titolo abilitativo «gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici». A sua volta, il decreto del Ministero delle infrastrutture 2 marzo 2018, di approvazione del glossario contenente l’elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività in edilizia libera, inserisce nella categoria degli elementi di arredo delle aree pertinenziali il pergolato (voce numero 46, se di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo), nonché la tenda a pergola e la pergotenda (voce numero 50, cui sono accomunate la tenda e la copertura leggere di arredo).
Tutti i menzionati manufatti sono preordinati a ombreggiare lo spazio circostante e, eventualmente, anche a ripararlo da agenti atmosferici. Inoltre, secondo la giurisprudenza amministrativa, pur nelle loro diverse caratteristiche, tutti tali manufatti sono strutture che, nella copertura e nell’eventuale chiusura perimetrale, non presentano elementi di fissità, stabilità e permanenza e, conseguentemente, non danno vita a nuovi volumi (si veda per tutte, Consiglio di Stato, sezione seconda, sentenza 15 novembre 2023, n. 9808; sezione sesta, sentenza 25 gennaio 2017, n. 306).
In particolare, per rientrare tra le opere erigibili senza titolo abilitativo, devono avere una struttura leggera e l’elemento orizzontale con funzione protettiva deve essere non massiccio e apribile. In presenza di tali caratteristiche, non è rilevante il materiale da cui quest’ultimo è costituito, che può essere di tessuto, di plastica o di alluminio.
Come affermato dal ricorrente, da tali arredi si distingue la pergola bioclimatica.
Infatti, questa è una struttura di nuova generazione che, nel linguaggio edile e delle prime pronunce dei giudici amministrativi che se ne sono occupati, si contraddistingue per la dotazione di una copertura a lamelle sì orientabili, ma non retraibili.
In difetto di una protezione completamente retrattile, l’opera è da assimilare a una tettoia in quanto genera uno stabile spazio chiuso e richiede un apposito titolo edilizio.
La reductio ad legitimitatem della norma impugnata si ottiene con l’espunzione dell’inciso «pergole bioclimatiche, intese come». Infatti, l’ulteriore porzione della norma sarda − che definisce l’intervento liberalizzato nel posizionamento di «pergole aperte almeno su tre lati, coperte con elementi retraibili tipo teli o lamelle anche orientabili e motorizzabili, per consentire il controllo dell’apertura e della chiusura, tanto in aderenza a fabbricato esistente che isolate» − non collide, per quanto esposto, con l’evocato parametro interposto.
In conclusione, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 131, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, che aggiunge la lettera f-bis) all’art. 15, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985, limitatamente all’inciso «pergole bioclimatiche, intese come».
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 123, comma 11, della legge della Regione Sardegna 23 ottobre 2023, n. 9 (Disposizioni di carattere istituzionale, ordinamentale e finanziario su varie materie), limitatamente all’inciso «degli indici volumetrici e»;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 128, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, limitatamente all’inciso «condono o»;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 131, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, nella parte in cui aggiunge la lettera f-bis) all’art. 15, comma 1, della legge della Regione Sardegna 11 ottobre 1985, n. 23 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, di risanamento urbanistico e di sanatoria di insediamenti ed opere abusive, di snellimento ed accelerazione delle procedure espropriative) limitatamente all’inciso «pergole bioclimatiche, intese come»;
4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 123, commi 1, 2, 3 e 4, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, promosse, in riferimento agli artt. 9, secondo comma, 117, secondo comma, lettera s), e 120 della Costituzione, e all’art. 3, primo comma, lettera f), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 123, commi 5, 6, 7 e 11; 124, commi 1, 2, 3 e 4; 125, comma 7; 126, comma 1; 127, comma 1; 128, comma 1, lettere a) e b); 131, comma 1, lettera a), e 133 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, promosse, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 123, commi 5, 6, 7 e 11; 124, commi 1, 2, 3, e 4; 125, comma 7; 126, comma 1; 127, comma 1; 128, comma 1, lettere a) e b); 131, comma 1, lettera a), e 133 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, promosse, in riferimento all’art. 120 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 125, comma 7; 127, comma 1, e 128, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, promosse, in riferimento agli artt. 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), Cost. e all’art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto speciale, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
8) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 123, commi 5, 6 e 7; 124, commi 1, 2, 3 e 4; 126, comma 1, e 133 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, promosse, in riferimento agli artt. 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), Cost. e all’art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto speciale, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 maggio 2024.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2024