SENTENZA N. 238
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8, settimo comma, della legge della Regione Umbria 2 settembre 1974, n. 53 (Prime norme di politica urbanistica) come modificata dalla legge della Regione Umbria 21 ottobre 1997, n. 31 (Disciplina della pianificazione urbanistica comunale e norme di modificazione delle leggi regionali 2 settembre 1974, n. 53, 18 aprile 1989, n. 26, 17 aprile 1991, n. 6 e 10 aprile 1995, n. 28), per la parte relativa alla esclusione dei fabbricati destinati ad abitazione oggetto di condono edilizio, promosso con ordinanza emessa l'11 novembre 1998 dal Tribunale amministrativo regionale per l'Umbria sul ricorso proposto da Miecchi Stefania contro il Comune di Terni ed altra, iscritta al n. 377 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1999.
Udito nella camera di consiglio del 24 maggio 2000 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto in fatto
1.- Il Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, nel corso di un giudizio diretto ad ottenere l'annullamento del diniego di rilascio di una concessione edilizia per la realizzazione di lavori di ristrutturazione di un immobile, ha sollevato, con ordinanza emessa l'11 novembre 1998 (r.o. n. 377 del 1999), questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, settimo comma, della legge della Regione Umbria 2 settembre 1974, n. 53 (Prime norme di politica urbanistica), come sostituito dall'art. 34, comma 1, della legge regionale 21 ottobre 1997, n. 31 (Disciplina della pianificazione urbanistica comunale e norme di modificazione delle leggi regionali 2 settembre 1974, n. 53, 18 aprile 1989, n. 26, 17 aprile 1991, n. 6 e 10 aprile 1995, n. 28).
La norma in questione disciplina gli interventi edilizi nelle zone agricole e più precisamente gli interventi su fabbricati ad uso di abitazione preesistenti all'entrata in vigore della legge; da tali interventi sono esclusi i fabbricati oggetto di condono edilizio; per questi ultimi, secondo l'interpretazione recepita dal Comune e non contestata dalla ricorrente, non sarebbe consentito alcun intervento.
Ad avviso del collegio rimettente, la disposizione in esame istituirebbe un regime differenziato per i fabbricati abitativi in zone agricole, a seconda che si tratti di fabbricati realizzati legittimamente sin dall'origine, oppure di fabbricati originariamente abusivi e poi condonati.
Per questi ultimi non sarebbe ammesso alcun intervento, neppure - stando alla lettera della legge - di manutenzione ordinaria e straordinaria, tanto meno di ristrutturazione o di ampliamento.
Per i primi sarebbero consentiti interventi, oltre che manutentivi e conservativi, anche di ristrutturazione e di ampliamento, sia pure entro limiti ristretti.
Ad avviso del giudice a quo, il divieto di opere di manutenzione o di conservazione, comportando un irreparabile e progressivo degrado del fabbricato, arrecherebbe un irrimediabile pregiudizio al privato.
Tale duplicità di regime tra le due categorie di fabbricati (condonati e non condonati) potrebbe - secondo il giudice a quo - essere considerata come una forma surrettizia di sanzione dell'originario abuso, esprimente, quindi, nient'altro che una volontà punitiva.
Nell'ordinanza si censura la irrazionalità della normativa nel confronto con la legislazione statale in materia di condono, ispirata, quest'ultima, al principio secondo cui, verificati i presupposti del condono ed assolti gli oneri inerenti, il fabbricato si intende regolarizzato a tutti gli effetti.
Si denuncia pertanto la violazione dell'art. 117 della Costituzione, per contrasto della normativa regionale con quella statale.
Nell'ordinanza si invocano, altresì, l'art. 3 della Costituzione, per la irragionevole discriminazione tra proprietari di fabbricati condonati e quelli di fabbricati non condonati, nonché gli artt. 41 e 42 della Costituzione, in quanto l'interdizione di ogni intervento manutentivo e conservativo ovvero migliorativo ed ampliativo (nei ristretti e sorvegliati limiti in cui ciò è concesso per i restanti fabbricati in zona agricola) comprimerebbe irragionevolmente l'esercizio tanto dell'iniziativa economica quanto della proprietà privata.
Un divieto così rigoroso sottrarrebbe in modo permanente e definitivo la possibilità per il privato di utilizzare e godere del bene per il quale si accerti la necessità di opere di manutenzione.
2.- In via subordinata, qualora si ritenesse ammissibile una discriminazione tra il fabbricato condonato e quello originariamente legittimo, il giudice a quo pone la questione di costituzionalità dell'art. 8, settimo comma, della legge della Regione Umbria 2 settembre 1974, n. 53, come modificato dall’art 34, comma 1, della legge regionale 21 ottobre 1997, n. 31, nella parte in cui esclude l'ammissibilità degli interventi di cui all'art. 31, lettere a, b, c e d, della legge 5 agosto 1978, n. 457 sugli immobili oggetto di condono edilizio.
Sottolinea, infatti, il giudice rimettente come la soluzione concretamente adottata dal legislatore regionale risulti eccessivamente restrittiva, in particolare, in relazione al divieto di procedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria, al restauro ed al risanamento conservativo ed alla stessa ristrutturazione edilizia strettamente intesa; a tutti quegli interventi, cioè, che si risolvono in una semplice conservazione dell'esistente, ovvero in migliorie estetiche e funzionali, senza incremento di volumetria, né modifica di destinazione d'uso.
Considerato in diritto
1.- La questione di legittimità costituzionale sollevata in via incidentale concerne l’art. 8, settimo comma, della legge della Regione Umbria 2 settembre 1974, n. 53 (Prime norme di politica urbanistica) come modificato dall’art 34, comma 1, della legge della Regione Umbria 21 ottobre 1997, n. 31 (Disciplina della pianificazione urbanistica comunale e norme di modificazione delle leggi regionali 2 settembre 1974, n. 53, 18 aprile 1989, n. 26, 17 aprile 1991, n. 6 e 10 aprile 1995, n. 28), per la parte relativa alla esclusione dei fabbricati destinati ad abitazione oggetto di condono edilizio.
Viene denunciata la violazione degli artt. 3, 41, 42 e 117 della Costituzione sotto i profili: di una irragionevole duplicità di regime tra fabbricati originariamente legittimi e fabbricati condonati, che potrebbe essere considerata come forma surrettizia di sanzione; di una irrazionalità della normativa rispetto alla legislazione statale; di una compromissione irragionevole dell’esercizio della iniziativa economica, in relazione alla proprietà privata; ed, in via subordinata, di una eccessiva restrittività della soluzione adottata dal legislatore regionale, nella parte in cui sarebbero esclusi gli interventi ex art. 31, lettere a, b, c, e d, della legge n. 457 del 1978.
2.- La questione è fondata nei sensi e nei limiti come appresso specificati.
L’art. 8 della legge della Regione Umbria 2 settembre 1974, n. 53, nel testo sostituito dall’art. 34, comma 1, della legge della Regione Umbria 21 ottobre 1997, n. 31, contiene una disciplina a tutela del territorio agricolo, dettando, tra l’altro, una regolamentazione (destinata a prevalere sugli strumenti urbanistici generali vigenti con indici più ampi) delle costruzioni, che collega obbligatoriamente (anche con un asservimento ai terreni interessati) la realizzazione ad esigenze abitative e produttive dell’impresa agricola.
L'art. 8 al comma 7 disciplina, inoltre, gli interventi ammissibili, nell’ambito del territorio agricolo, nei "fabbricati destinati ad abitazione, già esistenti al momento dell’entrata in vigore della presente legge" - (si noti, la disposizione è stata introdotta con la legge 21 ottobre 1997, n. 31, cioè dopo la legge statale 28 febbraio 1985, n. 47 contenente il condono e la sanatoria delle opere edilizie abusive) - prevedendo la ammissibilità di interventi di manutenzione ordinaria, di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia (secondo la definizione contenuta nell’art. 31, lettere a, b, c e d, della legge 5 agosto 1978, n. 457), nonché ampliamenti per un incremento massimo di mc. 300, purché il fabbricato ristrutturato, comprensivo dell’ampliamento, non risulti superiore a mc. 1400.
Lo stesso settimo comma esclude dalla previsione i fabbricati costituenti beni culturali sparsi sul territorio (come castelli, torri, ville, abbazie, casolari tipici), per i quali gli interventi sono limitati al consolidamento e restauro (art. 6 della legge della Regione Umbria 2 settembre 1974, n. 53), nonché i fabbricati che siano stati oggetto di condono edilizio con rilascio di concessione in sanatoria. Tale esclusione per gli immobili condonati (la cui legittimità rispetto alle previsioni urbanistiche deriva solo dalla sanatoria-condono) viene, in modo plausibile, interpretata ed applicata nel giudizio a quo, come esclusione impeditiva di tutti gli interventi previsti come ammissibili per gli altri edifici esistenti.
La esclusione, attese le finalità della disciplina di tutela del territorio con destinazione urbanistica a fini agricoli, deve ritenersi non manifestamente irragionevole e conforme al regime della proprietà privata, soggetta ai limiti di utilizzazione urbanistica e ai vincoli culturali in ragione della qualità dei beni, esclusivamente per quanto riguarda gli ampliamenti e tutti gli interventi che comportino modifiche della sagoma o aumenti di volumetria o di superficie o simili.
3. - Al contrario, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 529 del 1995), la privazione della possibilità (in via assoluta e generale, senza alcuna valutazione di compatibilità concreta, circa il modo e l’entità degli interventi, con le esigenze di tutela ambientale e - si può aggiungere - anche urbanistica) per il titolare del diritto di proprietà su di un immobile, di procedere ad interventi di manutenzione, aventi quale unica finalità la tutela della integrità della costruzione e la conservazione della sua funzionalità, senza alterare l’aspetto esteriore (sagoma e volumetria) dell’edificio, rappresenta certamente una lesione al contenuto minimo della proprietà. Infatti l’anzidetto divieto incide addirittura sulla essenza stessa e sulle possibilità di mantenere e conservare il bene (costruzione) oggetto del diritto, producendo un inevitabile deterioramento di esso, con conseguente riduzione in cattivo stato e un progressivo abbandono e perimento (strutturale e funzionale) del medesimo.
Deve, pertanto, escludersi la legittimità di una disposizione che comporti per il proprietario, ancorché non espropriato della titolarità, uno svuotamento del contenuto del suo diritto nel modo più irrimediabile e definitivo, e cioè con graduale degrado e perimento del bene (costruzione) ed una progressiva inutilizzabilità e distruzione dell’edificio, in rapporto alla destinazione inerente alla sua natura (conforme a licenze, concessioni e autorizzazioni ancorché in sanatoria).
Si tratta in ogni caso di edifici legittimamente esistenti e ovviamente regolarmente assentiti (fin dall’origine o con valido condono in sanatoria non oggetto di successivi interventi repressivi o di annullamento) dal punto di vista urbanistico o sotto il profilo di speciali vincoli (assistiti da specifiche autorizzazioni e pareri ove richiesti: sentenza n. 529 del 1995).
Deve essere sottolineato che i suddetti interventi, ammissibili rispetto agli edifici esistenti, soggiacciono al rispetto delle caratteristiche tipologiche e costruttive della edilizia rurale dei relativi territori (art. 8, comma 10, della legge della Regione Umbria n. 53 del 1974, nel testo introdotto con la legge della Regione Umbria n. 31 del 1997) nonché alle regole generali che consentono la possibilità di impedire le anzidette opere di manutenzione quando il modo o l’entità degli interventi siano tali da alterare l’equilibrio e la conservazione del territorio agricolo anche per l’aumento degli utilizzatori (sentenza n. 529 del 1995, citata).
Infine esiste un principio nell’ambito della legislazione statale in ordine ad un regime meno rigoroso degli interventi di manutenzione e similari, rispetto alle altre opere edilizie, che alterino, invece, le caratteristiche visibili all’esterno o comunque la sagoma o l’altezza o la superficie o la volumetria dell'edificio (arg. da d.l. 27 giugno 1985 n. 312, convertito, con modifiche, in legge 8 agosto 1985, n. 431; sentenza n. 529 citata).
4.- Pertanto deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, settimo comma, della legge della Regione Umbria 2 settembre 1974, n. 53, come modificato dalla legge della Regione Umbria 21 ottobre 1997, n. 31, nella parte in cui esclude i fabbricati oggetto di condono edilizio dalla ammissibilità di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria o di ristrutturazione che non comportino aumento di volumetria o di superficie o modifiche di sagoma o delle destinazioni d’uso.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, settimo comma, della legge della Regione Umbria 2 settembre 1974, n. 53 (Prime norme di politica urbanistica), come modificato dalla legge della Regione Umbria 21 ottobre 1997, n. 31 (Disciplina della pianificazione urbanistica comunale e norme di modificazione delle leggi regionali 2 settembre 1974, n. 53, 18 aprile 1989, n. 26, 17 aprile 1991, n. 6 e 10 aprile 1995, n. 28), nella parte in cui esclude i fabbricati oggetto di condono edilizio dalla ammissibilità di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria o di ristrutturazione che non comportino aumento di volumetria o di superficie o modifiche di sagoma o delle destinazioni d’uso.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in cancelleria il 23 giugno 2000.