Sentenza n. 133 del 2024

SENTENZA N. 133

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Giulio PROSPERETTI

Giudici: Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 104 (Disposizioni urgenti a tutela degli utenti, in materia di attività economiche e finanziarie e investimenti strategici), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2023, n. 136, promossi dalle Regioni Veneto, Piemonte e Campania con ricorsi notificati il 7 dicembre 2023, e, rispettivamente, depositati in cancelleria il 7, l’11 e il 14 dicembre 2023, iscritti ai numeri 32, 33 e 34 del registro ricorsi 2023 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, n. 52 dell’anno 2023 e n. 1 dell’anno 2024.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udita nell’udienza pubblica del 17 aprile 2024 la Giudice relatrice Antonella Sciarrone Alibrandi;

uditi gli avvocati Mario Bertolissi per le Regioni Veneto e Piemonte, Almerina Bove per la Regione Campania e l’avvocato dello Stato Marco Corsini per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 9 maggio 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato il 7 dicembre 2023 e iscritto al n. 32 del registro ricorsi 2023, la Regione Veneto ha impugnato l’art. 17, comma 1, del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 104 (Disposizioni urgenti a tutela degli utenti, in materia di attività economiche e finanziarie e investimenti strategici), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2023, n. 136, in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 5, 97, secondo comma, 81, terzo comma, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione.

1.1.– La Regione premette che il fondo per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, (cosiddetto fondo TPL) è stato istituito, con riferimento alle regioni ad autonomia ordinaria, dall’art. 1, comma 301, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», che ha sostituito l’art. 16-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135. La nuova disciplina è stata applicata a partire dall’anno 2013 e il riparto delle risorse ivi contenute è stato effettuato, secondo prassi consolidate, sulla base del criterio della spesa storica, cui si riferisce il d.P.C.m. 11 marzo 2013 (Definizione dei criteri e delle modalità con cui ripartire il Fondo nazionale per il concorso dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario) e quelli successivi che lo hanno modificato.

Secondo la ricorrente, tale criterio della spesa storica si è rivelato incoerente rispetto a numerosi obiettivi, fra i quali la necessità di tener conto delle esigenze dei territori, dell’innovazione e dell’efficienza della spesa. Pertanto, il legislatore ha adottato l’art. 27 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2017, n. 96, con cui si è provveduto a modificare i criteri di riparto del fondo e si è sostituito il meccanismo della sua quantificazione, che era variabile, con determinazioni fisse delle somme, iscritte nel bilancio dello Stato, al capitolo 1315 dello stato di previsione della spesa del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili.

Tuttavia, la Regione ricorda che l’attuazione della riforma del 2017 è stata differita più volte. Pertanto, sia per il 2020 (per effetto del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, recante «Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili», convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 2019, n. 157), sia per il 2021 (per effetto del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di collegamenti digitali, di esecuzione della decisione UE, EURATOM 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonché in materia di recesso del Regno Unito dall’Unione europea», convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2021, n. 21) e anche per il 2022 (per effetto del decreto-legge 16 giugno 2022, n. 68, recante «Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo delle infrastrutture, dei trasporti e della mobilità sostenibile, nonché in materia di grandi eventi e per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili», convertito, con modificazioni, nella legge 5 agosto 2022, n. 108), la ripartizione del fondo TPL è avvenuta secondo il d.P.C.m. 11 marzo 2013, e cioè sulla base del criterio della spesa storica.

La Regione ricorrente sottolinea, inoltre, che, alla vigilia dell’entrata in vigore dell’impugnato art. 17 del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, il riparto del fondo TPL per l’anno 2023 si sarebbe dovuto effettuare in base all’art. 27, comma 2, del d.l. n. 50 del 2017, come convertito e modificato dal decreto-legge 18 novembre 2022, n. 176 (Misure urgenti di sostegno nel settore energetico e di finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 13 gennaio 2023, n. 6. In base a tale modifica, sarebbe dovuto intervenire un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, e previa intesa in sede di Conferenza unificata, per ripartire il fondo secondo le seguenti modalità: a) per una quota pari al cinquanta per cento, tenendo conto dei costi standard di cui all’art. 1, comma 84, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)»; b) per una quota pari al restante cinquanta per cento, tenendo conto dei livelli adeguati dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale (LAS). In virtù di una clausola di garanzia, inserita al comma 2-ter del medesimo art. 27 del d.l. n. 50 del 2017, come convertito, e poi modificato dall’art. 7-bis, comma 1, lettera b), del d.l. n. 176 del 2022, come convertito, veniva altresì disposto che l’applicazione dei richiamati criteri non avrebbe potuto determinare, per ciascuna Regione, un’assegnazione di risorse inferiore a quella stabilita, sulla base dei precedenti criteri, per l’anno 2020. Inoltre, il comma 6 del medesimo articolo demandava a un decreto interministeriale, da adottarsi previa intesa in sede di Conferenza unificata, la definizione degli indicatori per determinare i LAS e le modalità di applicazione degli stessi, in vista dell’obiettivo dell’abbandono graduale del criterio della spesa storica.

In questa prospettiva – ricorda ancora la Regione Veneto – il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti aveva incaricato il Dipartimento di ingegneria informatica, automatica e gestionale «Antonio Ruberti» (DIAG) dell’Università di Roma La Sapienza di calcolare i costi standard, separatamente, per le quattro modalità di trasporto (autolinea, ferrovia, metropolitana, tramvia) previste dal decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 28 marzo 2018, n. 157 (Definizione dei costi standard dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale e dei criteri di aggiornamento e applicazione). La ricorrente segnala, inoltre, che, in un documento del 2 agosto 2022 elaborato dal succitato Dipartimento e contenente una simulazione di applicazione dei costi standard in base alle percentuali di riparto, tali percentuali risultavano calcolate secondo due criteri alternativi: il primo di essi (costi standard comprensivi dei servizi finanziati con risorse locali) avvantaggerebbe le regioni che maggiormente finanziano con proprie risorse il trasporto pubblico locale; il secondo (costi standard depurati delle percentuali di servizi finanziati con risorse locali) risolverebbe, invece, la “distorsione” individuata nel precedente scenario.

Sempre la ricorrente rammenta che, in vista della definizione dei LAS da completarsi entro il 31 luglio 2023, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti aveva istituito un gruppo di lavoro con il compito di individuare, in sede tecnica, gli indicatori idonei a determinare i LAS nel settore del trasporto pubblico locale e regionale, nonché le modalità di applicazione e aggiornamento degli stessi, sempre ai fini della ripartizione del fondo TPL. Tuttavia, la ricorrente sottolinea che il gruppo di lavoro non ha, a tutt’oggi, ancora perfezionato la prima proposta di definizione dei LAS.

1.2.– Tanto premesso, la Regione Veneto impugna l’art. 17 del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, sull’assunto che esso abbia introdotto modifiche «distorsive» ai criteri di riparto delle risorse del fondo TPL, previsti dall’art. 27 del d.l. n. 50 del 2017 nella sua formulazione previgente. Ciò, in specie, là dove ha stabilito: (a) che la quota del cinquanta per cento del fondo deve essere ripartita tenendo conto dei costi standard «considerato il complesso dei servizi di trasporto pubblico locale eserciti sul territorio di ciascuna regione risultanti dalla banca dati dell’Osservatorio» nazionale per il trasporto locale (art. 27, comma 2, lettera a) (costi standard totali); (b) che, limitatamente agli anni 2023-2024, al riparto del fondo TPL si provvede, per una quota predeterminata dal legislatore, secondo le percentuali utilizzate per l’anno 2020, mentre, a valere sulle risorse residue del fondo, si applica, quanto al cinquanta per cento, il criterio dei costi standard totali, e per il restante cinquanta per cento quello dei LAS (art. 27, comma 2-quater); (c) che, nelle more dell’adozione del decreto di definizione dei LAS, si provvede alla ripartizione integrale delle risorse residue del fondo con riferimento esclusivo ai costi standard totali (art. 27, comma 6).

Pertanto, la ricorrente promuove le questioni di legittimità costituzionale di seguito indicate, precisando, preliminarmente, che non è oggetto di contestazione il potere di intervento dello Stato ‒ legittimo in applicazione del principio di sussidiarietà finanziaria, considerata la perdurante carenza di risorse per il trasporto pubblico locale ‒, ma solo le modalità di esercizio dello stesso.

1.3.– In primo luogo, la disposizione impugnata violerebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., in quanto il legislatore statale, nel prevedere che il cinquanta per cento delle risorse del fondo TPL sia ripartito tenendo conto dei costi standard «considerato il complesso dei servizi di trasporto pubblico locale eserciti sul territorio di ciascuna regione risultanti dalla banca dati dell’Osservatorio di cui all’articolo 1, comma 300, della legge 24 dicembre 2007, n. 244» favorirebbe le poche regioni che maggiormente finanziano con risorse proprie il TPL, discriminando le altre, fra cui la ricorrente. Quest’ultima verrebbe, infatti, a trovarsi nella condizione di non poter erogare tutte le prestazioni da essa deliberate sulla base di un riparto di risorse dapprima conforme a Costituzione e poi illegittimamente modificato anche in suo danno, con conseguente lesione del potere di gestione del servizio pubblico regionale e locale, ambito che rientra nella competenza legislativa regionale residuale.

L’impugnato art. 17 si porrebbe anche in contrasto con l’art. 119, in specie con il primo e quarto comma, Cost., in quanto, favorendo le poche regioni che maggiormente finanziano con risorse proprie il trasporto pubblico locale, discriminerebbe le altre (ivi compresa la Regione Veneto) sottraendo a queste ultime le risorse necessarie a finanziare in modo integrale le funzioni pubbliche loro attribuite, tra cui rientra il trasporto pubblico regionale e locale.

La disposizione statale impugnata recherebbe, poi, anche un vulnus agli artt. 3, primo comma, 97, secondo comma, e 81, terzo comma, Cost., sotto diversi profili.

Anzitutto, detterebbe una disciplina espressiva di scelte contraddittorie rispetto al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) (e agli impegni assunti a livello europeo) e a quanto lo stesso legislatore statale ha stabilito con il d.l. n. 176 del 2022, come convertito, in termini di superamento del criterio della spesa storica e di definizione dei LAS e dei costi standard. Tali scelte – come quella di adottare il criterio del costo standard “totale”, comprensivo cioè dei servizi finanziati con risorse locali – produrrebbero, infatti, esiti oggettivamente ingiusti, che, peraltro, per il fatto di essere riferiti a un tempo limitato, risulterebbero anche irragionevoli.

Inoltre, premiando le regioni che hanno deciso di far ricorso a fondi propri per accordare agevolazioni, la disposizione impugnata determinerebbe una serie di disfunzioni a carico delle altre regioni, addebitabili alla conseguente riduzione della percentuale di riparto del fondo indirizzata a queste ultime, in violazione del principio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione.

Infine, le minori risorse accordate, a fine esercizio, alle regioni discriminate, come la ricorrente, farebbero venir meno la copertura finanziaria della spesa a suo tempo deliberata, in violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost.

Sarebbe, inoltre, violato l’art. 5 Cost., in quanto la disposizione statale impugnata avrebbe l’effetto di rompere «una unità di intenti conseguita, per l’innanzi, dalle Regioni nell’ambito della Conferenza Unificata e nei rapporti con lo Stato», nonché l’art. 2 Cost. Essa, infatti, agevolerebbe una «solidarietà alla rovescia», incentivando una «politica, propensa a dilatare gli interventi agevolativi, tra l’altro, nei confronti delle categorie deboli e, comunque, a disporre liberamente in tema di trasporto pubblico regionale e locale», con l’effetto di riversare parte dei relativi oneri su altri enti e collettività regionali.

2.– Con ricorso depositato l’11 dicembre 2023 e iscritto al n. 33 del registro ricorsi 2023, la Regione Piemonte ha impugnato l’art. 17, comma 1, del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, in riferimento agli stessi parametri evocati nel ricorso della Regione Veneto (artt. 2, 3, primo comma, 5, 97, secondo comma, 81, terzo comma, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost.) e sulla base di argomenti identici a quelli svolti nel medesimo ricorso.

3.– Con ricorso depositato il 14 dicembre 2023 e iscritto al n. 34 del registro ricorsi 2023, anche la Regione Campania impugna l’art. 17 del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 5, 77, 81, 97, 117, quarto comma, 118, 119 e 120 Cost.

3.1.– La disposizione è impugnata, anzitutto, in riferimento all’art. 77 Cost., sull’assunto dell’insussistenza dei presupposti di necessità, urgenza e straordinarietà a sostegno delle previsioni in esso contenute. Queste ultime introdurrebbero, infatti, una riforma strutturale delle modalità di riparto del fondo TPL, come sarebbe dimostrato anche dalla presenza di disposizioni a efficacia differita, come quella secondo cui, ai fini del riparto, si deve tener conto anche dei costi di gestione dell’infrastruttura ferroviaria di competenza regionale solo «a partire dal 2024».

L’originaria mancanza dei presupposti di necessità e urgenza non potrebbe, d’altro canto, ritenersi sanata dall’approvazione della legge di conversione, «dovendosi, piuttosto, ritenere travolte dall’illegittimità qui dedotta anche le modifiche da quest’ultima apportate», in linea con la giurisprudenza costituzionale costante. Le impugnate disposizioni, illegittimamente adottate con decretazione d’urgenza, erodendo arbitrariamente la quota di riparto del fondo TPL – che rappresenta oggi la principale fonte di finanziamento del trasporto pubblico locale – avrebbero una diretta ricaduta sull’autonomia riconosciuta dagli artt. 5 e 119 Cost. alla Regione Campania, che risulterebbe menomata nella propria capacità organizzativa e finanziaria.

È, inoltre, denunciata la violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5, 117 e 120 Cost.: la disposizione statale impugnata, introducendo all’art. 27, comma 2, lettera a), del d.l. n. 50 del 2017, come convertito, ulteriori e particolareggiati criteri di dettaglio da tenere in considerazione ai fini del riparto del fondo TPL, eluderebbe la ratio dell’intesa, prevista all’art. 27, comma 2, del d.l. n. 50 del 2017, come convertito, quale necessario strumento di collaborazione tra lo Stato e le regioni nell’ipotesi di chiamata in sussidiarietà che vede lo Stato intervenire in una materia assegnata dalla Costituzione alla competenza legislativa regionale residuale.

Al pari del Veneto e del Piemonte, la Regione Campania ravvisa, poi, la violazione degli artt. 5, 117, 118 e 119 Cost., in quanto la disposizione statale impugnata introdurrebbe criteri di riparto del fondo TPL che terrebbero in considerazione elementi del tutto estranei all’esigenza di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti, l’unica a poter legittimare l’intervento statale di finanziamento del settore. In tal modo si determinerebbe una evidente lesione delle esigenze di autonomia anche finanziaria e di decentramento, nonché dei principi di adeguatezza, sussidiarietà e differenziazione.

L’art. 17 del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, introdurrebbe, inoltre, previsioni irrazionali, illogiche e inique, destinate a produrre grave pregiudizio allo svolgimento di un servizio pubblico fondamentale, generando ingiustificate e arbitrarie discriminazioni tra le regioni e abdicando alla necessità di assicurare uno standard omogeneo quanto alla fruizione del servizio su tutto il territorio nazionale, in violazione degli artt. 3 e 97 Cost.

In contrasto con l’art. 81 Cost., tale disposizione genererebbe, per l’anno 2023, a carico delle regioni svantaggiate dalla novella normativa, tra cui la Regione Campania ricorrente, entrate di gran lunga inferiori a quelle preventivate sulla base della disciplina previgente e fisserebbe criteri, per gli anni successivi, tali da non consentire una copertura finanziaria, con le risorse del fondo TPL, dei servizi necessari, arrecando quindi un vulnus da cui scaturirebbero gravissime ripercussioni sulla finanza e sull’attività programmatoria regionale.

Infine, la ricorrente ritiene che la citata disposizione statale sia foriera di gravi incertezze interpretative ed applicative, in violazione del principio del buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), nella parte in cui inserisce una disciplina transitoria, al comma 2-quater dell’art. 27 del d.l. n. 50 del 2017, come convertito, secondo cui, limitatamente agli anni 2023 e 2024, solo una quota dell’intera somma stanziata deve essere ripartita secondo le percentuali utilizzate per l’anno 2020, mentre, per la restante parte, si deve procedere al riparto secondo i criteri – indicati dal comma 2, lettere a) e b) del citato art. 27 – del costo standard “totale” e dei LAS, laddove il comma 2-ter (già vigente) garantisce, in via strutturale e senza limitazioni temporali, un’assegnazione di risorse alle regioni mai inferiore a quella risultante per l’anno 2020.

4.– In tutti e tre i giudizi si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che i ricorsi siano dichiarati inammissibili e comunque non fondati.

4.1.– In primo luogo, la difesa statale eccepisce l’inammissibilità dei ricorsi, in considerazione della genericità dei rilevati effetti negativi sull’autonomia legislativa, amministrativa e programmatoria regionale derivanti dall’attuazione dei criteri di riparto previsti dalle disposizioni impugnate.

L’Avvocatura generale dello Stato ricorda che la lesione lamentata dalle Regioni ricorrenti attiene all’inadeguatezza della dotazione finanziaria a causa della inclusione, nella base di computo dei costi standard, del complesso dei servizi di trasporto pubblico locale eserciti sul territorio di ciascuna regione. Ritiene, tuttavia, che siffatta lesione resti virtuale e indimostrata, sia perché le modifiche censurate riguardano solo il cinquanta per cento del fondo da ripartire, sia perché l’impugnato art. 17 del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, si limiterebbe a delineare un meccanismo di mera «parametrizzazione» e non già di correlazione assoluta.

4.2.– Nel merito, sarebbe priva di fondamento, anzitutto, la questione promossa in riferimento all’art. 77 Cost., dalla Regione Campania.

Premesso che il cambio di paradigma nell’orizzonte del finanziamento del trasporto pubblico locale, registratosi con il d.l. n. 50 del 2017, come convertito, ha inteso superare il criterio della spesa storica, sostituendolo con quello dei costi standard e dei livelli adeguati di servizio, da determinarsi con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti previa intesa in Conferenza unificata, le reiterate proroghe legate al periodo dell’emergenza pandemica avrebbero comportato un’inevitabile moratoria nel varo di questo nuovo sistema di criteri. Pertanto, non potrebbe ritenersi illegittimo l’intervento d’urgenza del Governo, che, in coerenza con tale finalità, ha dettato misure urgenti per consentire un tempestivo riparto delle risorse fra le regioni nelle more dell’adozione del provvedimento per la determinazione degli indicatori dei LAS.

Anche le censure di violazione degli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost., nonché dei più generali principi di buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost. e di copertura di bilancio ex art. 81 Cost. oltre che le censure di contraddittorietà e irragionevolezza (ex art. 3 Cost.) sarebbero prive di fondamento.

La difesa statale ricorda che il fondo TPL è stato istituito dall’art. 16-bis, comma 1, del d.l. n. 95 del 2012, come sostituito dalla legge n. 228 del 2012, e che su di esso si è pronunciata questa Corte riconoscendone la funzione di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti tutelati dalla Costituzione.

La difesa statale ricorda, inoltre, che, nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del d.l. n. 104 del 2023, si afferma che le modifiche introdotte dall’art. 17 mirano ad «assicurare una contribuzione equa ed uniforme, tra i richiamati Enti, per tutti i servizi di trasporto pubblico locale attualmente eserciti». La scelta del legislatore di ancorare il riparto del fondo TPL al sistema dei costi standard, basandolo anche sul complesso dei servizi eserciti in ciascuna regione, consentirebbe, infatti, di calibrare meglio la modulazione dei costi standard in relazione ai fabbisogni espressi dai vari territori.

Peraltro, tale criterio riguarderebbe a regime solo il cinquanta per cento del fondo e sarebbe temperato dalla previsione di cui alla successiva lettera b) dell’art. 27 del d.l. n. 50 del 2017, come modificato dalla disposizione impugnata, che destina la quota residua tenendo conto dei LAS.

Inoltre, non sarebbe stata abrogata, né modificata la previsione secondo cui il riparto del fondo TPL è comunque effettuato, entro il 31 ottobre di ogni anno, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata (art. 27, comma 2, del d.l. n. 50 del 2017, come convertito).

Non sarebbero lese, pertanto, le prerogative regionali di compartecipazione alle decisioni inerenti al riparto del fondo, in quanto l’art. 17, comma 1, del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, non impedirebbe l’effettiva erogazione delle risorse in maniera meramente applicativa di criteri stabiliti tramite la previa intesa.

Né potrebbe denunciarsi alcuna inerzia del Governo nella adozione del decreto per la determinazione degli indicatori dei LAS, posto che le censurate modifiche dell’art. 27 del d.l. n. 50 del 2017 sarebbero state attuate proprio «al fine di superare le difficoltà tecniche e di condivisione in sede di Conferenza Unificata per l’adozione del decreto con cui sono definiti gli indicatori necessari a determinare i livelli adeguati di servizio e le modalità di applicazione degli stessi» ed evitare che la mancata adozione del medesimo «possa ritardare o impedire la ripartizione del citato Fondo», come risulterebbe dalla relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del d.l. n. 104 del 2023.

Non sussisterebbe, pertanto, alcuna violazione delle competenze costituzionalmente garantite delle ricorrenti, in riferimento a nessuno dei parametri costituzionali evocati.

5.– All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle rispettive conclusioni.

Considerato in diritto

1.– Con tre distinti ricorsi (iscritti ai numeri 32, 33 e 34 reg. ric. 2023), le Regioni Veneto, Piemonte e Campania impugnano l’art. 17, comma 1, del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, là dove, con riguardo alla ripartizione del fondo per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, (cosiddetto fondo TPL), introduce alcune modifiche ai criteri di riparto previsti dall’art. 27 del d.l. n. 50 del 2017, come convertito e successivamente modificato da ultimo a seguito della riforma operata dalla legge n. 6 del 2023.

1.1.– Più precisamente, la disposizione statale è impugnata nella parte in cui, modificando il suddetto art. 27, ha stabilito: (a) che la quota del cinquanta per cento del fondo deve essere ripartita tenendo conto dei costi standard, definiti «considerato il complesso dei servizi di trasporto pubblico locale eserciti sul territorio di ciascuna regione risultanti dalla banca dati dell’Osservatorio» nazionale per il trasporto locale (art. 27, comma 2, lettera a) (costi standard totali); (b) che, limitatamente agli anni 2023-2024, al riparto del fondo TPL si provvede, per una quota predeterminata dallo stesso legislatore, secondo le percentuali utilizzate per l’anno 2020, mentre, a valere sulle risorse residue del fondo, si applica, in via generale, il criterio dell’assegnazione, per il cinquanta per cento, sulla base dei costi standard totali e, per il restante cinquanta per cento, sulla base dei livelli adeguati dei servizi (LAS) (art. 27, comma 2-quater); (c) che, nelle more dell’adozione del decreto di definizione dei LAS, le risorse residue del fondo sono ripartite con riferimento esclusivo ai costi standard totali (art. 27, comma 6).

1.2.– Tali previsioni costituirebbero, secondo le tre Regioni ricorrenti, modifiche “distorsive” dei nuovi criteri di riparto delle risorse del fondo nazionale TPL, stabiliti dall’art. 27 del d.l. n. 50 del 2017, come convertito, a seguito della riforma operata dalla legge n. 6 del 2023, nel solco di quanto già previsto dalla legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione), in specie dall’art. 8, comma 1, lettera c), sebbene non ancora attuato.

Le richiamate modifiche – lungi dall’obbedire all’esigenza di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti sul territorio nazionale – sarebbero tali da privilegiare le regioni che maggiormente finanziano con risorse proprie i servizi di trasporto pubblico locale, sostanzialmente reintroducendo, per il tramite dei costi standard “totali” (e cioè comprensivi della spesa relativa a tutti i servizi già erogati sul territorio), il criterio della spesa storica, così discriminando le altre regioni, fra cui rientrerebbero le ricorrenti. Queste ultime, a causa delle minori risorse assegnate, si troverebbero nella condizione di non poter erogare tutte le prestazioni da esse deliberate, con conseguente lesione del potere di gestione del servizio di trasporto pubblico regionale e locale, ambito che rientra nella competenza legislativa regionale residuale, nonché dell’autonomia finanziaria regionale, considerato che non disporrebbero delle risorse necessarie a finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite, con conseguente violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost.

Secondo quanto sostenuto in tutti e tre i ricorsi, le medesime previsioni si porrebbero, inoltre, in contrasto: con gli artt. 3 e 97 Cost., in considerazione dei gravi disagi che si produrrebbero – per effetto della irragionevole richiamata riduzione dell’assegnazione delle risorse del fondo a scapito solo di alcune regioni – nello svolgimento del servizio pubblico di trasporto locale e regionale nelle medesime regioni; nonché con l’art. 81 Cost., in quanto le minori risorse accordate, a fine esercizio, alle regioni discriminate, come le ricorrenti, farebbero venir meno la copertura finanziaria della spesa a suo tempo deliberata.

La Regione Campania impugna, inoltre, il medesimo art. 17 anche per violazione dell’art. 77 Cost., in quanto non sussisterebbero i presupposti di necessità, urgenza e straordinarietà a sostegno delle censurate previsioni, che introdurrebbero una riforma strutturale delle modalità di riparto del fondo TPL. Né il difetto dei richiamati presupposti potrebbe ritenersi sanato dalla legge di conversione, in linea con la giurisprudenza costituzionale.

Sarebbe, inoltre, leso – secondo la medesima Regione – anche il principio di leale collaborazione: la disposizione statale impugnata avrebbe, infatti, introdotto la previsione di ulteriori elementi da tenere in considerazione ai fini del riparto del fondo, così particolareggiati da eludere la ratio dell’intesa, prevista dall’art. 27, comma 2, del d.l. n. 50 del 2017, come convertito, quale necessario strumento di collaborazione tra Stato e regioni nella chiamata in sussidiarietà che vede lo Stato intervenire in una materia di competenza legislativa regionale residuale.

Con specifico riferimento a quanto previsto dall’art. 27, comma 2-quater, del d.l. n. 50 del 2017, come convertito, la Regione Campania lamenta, infine, che tale disposizione, come aggiunta dall’impugnato art. 17, sia foriera di gravi incertezze interpretative e applicative, in violazione del principio del buon andamento dell’amministrazione, nella parte in cui dispone che solo una quota dell’intera somma stanziata sia ripartita, limitatamente agli anni 2023 e 2024, secondo le percentuali utilizzate per l’anno 2020 e che, per la restante frazione, si proceda al riparto secondo i criteri indicati dal comma 2, lettere a) e b), del citato art. 27, mentre il comma 2-ter garantisce, in via strutturale e senza limitazioni temporali, un’assegnazione di risorse alle regioni mai inferiore a quella risultante per l’anno 2020.

Le Regioni Veneto e Piemonte – i cui ricorsi sono di identico tenore letterale – contestano specificamente, oltre all’irragionevolezza e irrazionalità delle modifiche apportate ai criteri di riparto delle risorse statali, anche il loro contrasto con l’art. 2 Cost., in quanto determinerebbero una «solidarietà alla rovescia», e con l’art. 5 Cost., in quanto avrebbero l’effetto di rompere «una unità di intenti conseguita, per l’innanzi, dalle Regioni nell’ambito della Conferenza unificata e nei rapporti con lo Stato».

2.– Innanzitutto, sussistono le condizioni per disporre la riunione dei giudizi, secondo l’ormai costante giurisprudenza di questa Corte (di recente, sentenza n. 21 del 2024). I tre ricorsi hanno, infatti, a oggetto la medesima disposizione, impugnata per la pretesa violazione di parametri in larga misura coincidenti e sulla base di argomentazioni sostanzialmente analoghe.

3.– Per comprendere più chiaramente la portata delle questioni promosse, è necessaria una ricostruzione del quadro normativo su cui ha inciso l’art. 17 del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, e della sua portata riformatrice, nei limiti di quanto di interesse.

3.1.– Già prima della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, l’art. 20 del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) aveva stabilito che le risorse statali per il finanziamento delle funzioni conferite a regioni ed enti locali nel settore dei «servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con qualsiasi modalità effettuati ed in qualsiasi forma affidati» (art. 1, comma 1, del medesimo decreto legislativo) fossero «individuate e ripartite» tramite decreti del Presidente del Consiglio dei ministri «previa intesa con la Conferenza permanente tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano» (comma 5).

A seguito della revisione costituzionale del 2001, nonostante la configurazione della materia del trasporto pubblico locale come materia di competenza regionale residuale e la ridefinizione dell’autonomia finanziaria regionale riconosciuta dall’art. 119 Cost., il modello di finanziamento delineato dal citato art. 20 del d.lgs. n. 422 del 1997 ha continuato a essere seguito, a causa della «perdurante situazione di mancata attuazione delle prescrizioni costituzionali in tema di garanzia dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali» (sentenza n. 222 del 2005). Ciò, però, con il temperamento costituito dal necessario coinvolgimento delle regioni e degli enti locali nei processi decisionali concernenti il riparto delle risorse statali relative a fondi istituiti in ambiti di competenza regionale, mediante intesa da raggiungere in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie e i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali).

È in questo contesto che si colloca il «Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri per il trasporto pubblico locale, anche ferroviario», istituito dall’art. 1, comma 301, della legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228 del 2012), in sostituzione del precedente «Fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale, anche ferroviario» di cui all’art. 21, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111.

Inizialmente, si prevedeva che tale fondo fosse alimentato per intero dalla compartecipazione al gettito delle accise sulla benzina e sul gasolio da autotrazione e si demandava a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottarsi previa intesa in sede di Conferenza unificata, la definizione di criteri e modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni le risorse del fondo. Si precisava, tuttavia, che tali criteri avrebbero dovuto essere stabiliti «tenendo conto del rapporto tra ricavi da traffico e costi dei servizi […] in materia di servizi di trasporto pubblico locale e di servizi ferroviari regionali, salvaguardando le esigenze della mobilità nei territori anche con differenziazione dei servizi» (comma 3 dell’art. 16-bis del d.l. n. 95 del 2012, come sostituito dalla legge n. 228 del 2012) e in linea con una serie di criteri incentivanti già previsti per il precedente fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale (volti, fra l’altro, al «progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi», nonché alla «progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e [al] corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata»: così le lettere b e c del medesimo comma 3).

A seguito dell’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata il 7 febbraio 2013, è stato adottato il d.P.C.m. 11 marzo 2013, con cui si sono fissati i criteri e le modalità di riparto del fondo. Questi ultimi, tuttavia, sono stati individuati, quanto al novanta per cento delle risorse, in base al criterio della spesa storica (mediante rinvio a un’apposita Tabella) e solo per il residuo dieci per cento in base ai citati criteri premiali.

Tale disciplina ha superato indenne lo scrutinio di legittimità costituzionale di questa Corte (sentenza n. 273 del 2013) sull’assunto della non compiuta attuazione della legge n. 42 del 2009, dichiaratamente volta a dare forma al sistema di finanziamento delle funzioni degli enti territoriali previsto dall’art. 119 Cost. (cosiddetto federalismo fiscale), fra cui deve ritenersi compreso il trasporto pubblico locale. In particolare, in quella occasione si dava atto della mancata individuazione dei LAS nonché dei costi standard, prescritti dall’art. 8 della citata legge n. 42 del 2009 ai fini della determinazione dell’ammontare del finanziamento della spesa per il trasporto pubblico locale. Pertanto, questa Corte concludeva che «il mancato completamento della transizione ai costi e fabbisogni standard, funzionale ad assicurare gli obiettivi di servizio e il sistema di perequazione, non consente, a tutt’oggi, l’integrale applicazione degli strumenti di finanziamento delle funzioni regionali previsti dall’art. 119 Cost.» e legittima «l’intervento del legislatore statale diretto a garantire un contributo al finanziamento del trasporto pubblico locale, per garantire quelle esigenze di omogeneità nella fruizione del servizio che rispondono ad inderogabili esigenze unitarie» (ancora sentenza n. 273 del 2013).

Con l’art. 27 del d.l. n. 50 del 2017, come convertito, il fondo TPL è stato oggetto di una significativa riforma, che ha introdotto, anzitutto, la predeterminazione della dotazione annuale dello stesso, fissandone cioè per legge la consistenza, anno per anno, e definendone i relativi stanziamenti nel bilancio dello Stato, sul capitolo 1315 dello Stato di previsione della spesa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. La medesima disposizione ha, poi, provveduto anche a modificare i criteri di ripartizione del fondo stabilendo essenzialmente che: a) il dieci per cento delle risorse dello stesso doveva essere assegnato alle regioni sulla base dei proventi complessivi da traffico e dell’incremento dei medesimi registrato tra il 2014 e l’anno di riferimento, con rilevazione effettuata dall’Osservatorio nazionale (e con la previsione dell’incremento della percentuale, negli anni successivi al primo, di un ulteriore cinque per cento annuo fino a raggiungere il venti per cento dell’importo del fondo); b) un altro dieci per cento (con la previsione di un ulteriore incremento del cinque per cento negli anni successivi al primo, fino a raggiungere il venti per cento dell’importo del fondo) doveva essere assegnato in base al cosiddetto costo standard, come definito da un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, in base all’art. 1, comma 84, della legge n. 147 del 2013; c) la quota residua, ma prevalente, del fondo (corrispondente all’ottanta per cento) doveva essere suddivisa sulla base della percentuale storica di ripartizione fra le regioni (che, a partire dal 2019, avrebbe dovuto tener conto dei LAS, da definirsi con decreto interministeriale, previa intesa in Conferenza unificata, nonché previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, ai sensi del comma 6 del medesimo articolo).

L’applicazione di tale riforma – che avrebbe dovuto avere luogo dapprima a partire dal 2018 e poi, in base all’art. 47 del d. l. n. 124 del 2019, come convertito, dal 2020 – è stata più volte posposta nel tempo.

Pertanto, per gli anni 2020-2021, la ripartizione del fondo ha continuato a essere effettuata sulla base del d.P.C.m. 11 marzo 2013, come modificato dal d.P.C.m. 26 maggio 2017, e quindi sulla base del prevalente criterio della spesa storica.

In sostanza, per gli anni dal 2018 al 2022, il novanta per cento del fondo doveva essere assegnato alle regioni sulla base della spesa storica e il residuo dieci per cento sempre in base alle medesime percentuali, ma subordinatamente alla verifica del raggiungimento di specifici obiettivi di efficientamento.

Anche sulla base del successivo d.l. n. 68 del 2022, come convertito, la quota decisamente prevalente del medesimo fondo – individuata per legge (ex art. 8, comma 7, lettera a), con riguardo al 2022, nella somma di 4.879.079.381 euro – è stata ripartita fra le regioni secondo il criterio della spesa storica, mentre solo una limitata somma, pari a 75.350.957 euro (ex art. 8, comma 7, lettera b), che avrebbe dovuto essere suddivisa secondo modalità che tenessero conto dei costi standard e dei LAS, da definire con decreto interministeriale, previa intesa in sede di Conferenza unificata, entro il 31 ottobre 2022, è stata – in assenza di quest’ultimo – suddivisa sulla base di indicatori di carattere generale per la determinazione dei LAS individuati con il decreto interministeriale 29 dicembre 2022, n. 421 (Decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze per il riparto del saldo per l’anno 2022 del Fondo Nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, ai sensi dell’articolo 27, comma 2, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50), ma ritenuti utilizzabili solo per le risorse relative al 2022.

È, pertanto, solo con il d.l. n. 176 del 2022, come convertito, che si è assistito a una modifica rilevante dei criteri di ripartizione del fondo in esame, là dove si è previsto che tale ripartizione – da effettuarsi, entro il 31 ottobre di ogni anno, con decreto interministeriale, previa intesa in sede di Conferenza unificata – dovesse avvenire tenendo conto, quanto al cinquanta per cento del fondo, dei costi standard di cui all’art. 1, comma 84, della legge n. 147 del 2013 (attuato con d.m. n. 157 del 2018) e, per la restante quota del cinquanta per cento, dei LAS, da definirsi con un decreto interministeriale, previa intesa in Conferenza unificata entro il 31 luglio 2023. Al fine di «garantire una ragionevole certezza delle risorse disponibili», si è introdotta, inoltre, una clausola di garanzia, in forza della quale l’applicazione dei nuovi criteri non avrebbe dovuto determinare, per ciascuna regione, un’assegnazione di risorse inferiore a quella risultante dalla ripartizione del fondo per l’anno 2020.

3.2.– In questo contesto si collocano le modifiche introdotte dall’art. 17 del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, adottate dal Governo, a seguito del decorso del termine del 31 luglio 2023 senza che fosse stato emanato il decreto interministeriale di definizione dei LAS e quindi in assenza delle condizioni di applicabilità dei nuovi criteri.

Con esse, da un lato, si è stabilito che, in via generale, la ripartizione del cinquanta per cento del fondo deve essere effettuata sulla base dei costi standard computati tenendo conto del «complesso dei servizi di trasporto pubblico locale eserciti sul territorio di ciascuna regione, risultanti dalla banca dati dell’Osservatorio» nazionale (art. 27, comma 2, lettera a, del d.l. n. 50 del 2017, come convertito) (costi standard totali). Dall’altro lato, si è introdotta (incidendo sull’art. 27, comma 6, del medesimo decreto-legge) una disciplina transitoria, articolata in due parti. Con specifico riguardo agli anni 2023-24, l’art. 17 del d.l. n. 50 del 2017, come convertito, ha provveduto a disporre che una quota decisamente prevalente delle risorse già stanziate, con la legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), per il fondo in esame (pari a 4.873.335.361,50 euro, su complessivi 5.054.130.338,00 euro stanziati) fosse ripartita secondo le percentuali utilizzate per l’anno 2020 (somma, peraltro, essenzialmente corrispondente all’intera dotazione del fondo per l’anno 2020) e quindi, in sostanza, sulla base del criterio della spesa storica, laddove solo la quota residua (pari a 180.794.976,50 euro) fosse suddivisa sulla base dei criteri di cui all’art. 27, comma 2, del d.l. n. 50 del 2017, come convertito.

Infine, incidendo sull’art. 27, comma 6, di quest’ultimo, si è previsto che, nelle more dell’adozione del decreto di definizione dei LAS, tutte le risorse del fondo sono da ripartirsi con riferimento esclusivo ai costi standard totali.

In specifica attuazione di tali indicazioni, è stato adottato il decreto interministeriale 11 dicembre 2023, n. 328 (Decreto di riparto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze per la ripartizione, per l’esercizio 2023, tra le Regioni a statuto ordinario delle risorse del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del T.P.L. - articolo 16 bis comma 5 del decreto legge 6 luglio 2012 n. 95 come modificato dall’articolo 27 del decreto legge n. 50 del 24 aprile 2017 e successive integrazioni e modificazioni), di ripartizione delle risorse fra le regioni che, come risulta dalle Tabelle allegate al medesimo, è avvenuta: a) per un ammontare pari a 4.873.335.361,50 euro secondo le percentuali di riparto relative all’anno 2020 (basate sul criterio della spesa storica) (Tabella 1); b) per un ammontare pari a 180.794.976,50 euro secondo il nuovo criterio del costo standard “totale” (comprensivo di tutti i servizi eserciti sul territorio regionale) (Tabella 2).

4.– Così ricostruito il complesso e più volte mutato quadro normativo di riferimento, si deve passare all’esame delle questioni preliminari.

4.1.– Innanzitutto, occorre dichiarare l’inammissibilità delle censure promosse dalle Regioni Veneto e Piemonte in riferimento agli artt. 2 e 5 Cost.

Per costante giurisprudenza di questa Corte, «“l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento della richiesta declaratoria d’illegittimità costituzionale si pone in termini […] più pregnanti nei giudizi proposti in via principale, rispetto a quelli instaurati in via incidentale” (ex multis, sentenza n. 171 del 2021; in senso analogo, sentenze n. 119 del 2022 e n. 219 del 2021). Il ricorrente, pertanto, “ha non solo l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali lamenta la violazione, ma anche quello di allegare, a sostegno delle questioni proposte, una motivazione non meramente assertiva. Il ricorso deve, cioè contenere l’indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati e una, sia pur sintetica, argomentazione a supporto delle censure” (così sentenza n. 95 del 2021)» (sentenza n. 155 del 2023).

Nella specie, le Regioni si limitano ad affermare, quanto all’art. 5 Cost., che la sua lesione deriverebbe dalla circostanza che la disposizione impugnata avrebbe l’effetto di rompere «una unità di intenti conseguita, per l’innanzi, dalle Regioni nell’ambito della Conferenza unificata e nei rapporti con lo Stato»; quanto all’art. 2 Cost., che la medesima disposizione lo violerebbe in quanto agevolerebbe una «solidarietà alla rovescia», incentivando una «politica, propensa a dilatare gli interventi agevolativi».

Le richiamate censure sono, evidentemente, proposte in termini talmente generici e assertivi, da non superare quella «soglia minima di chiarezza e di completezza» (sentenza n. 193 del 2023) necessaria a consentire l’esame nel merito delle medesime.

Peraltro, trattandosi di censure riferite a parametri costituzionali non inerenti al riparto delle competenze fra Stato e regioni, non sono neppure soddisfatte le condizioni richieste, a tal proposito, dalla ormai costante giurisprudenza costituzionale al fine di valutare l’ammissibilità delle stesse: e cioè «la chiara individuazione degli ambiti di competenza regionale indirettamente incisi dalla disciplina statale e, in secondo luogo, una illustrazione adeguata del vizio di ridondanza» (sentenza n. 40 del 2022). A sostegno dell’ammissibilità della dedotta lesione dei principi di unità e di solidarietà non risultano, infatti, né individuate le attribuzioni regionali che sarebbero indirettamente incise, né fornite le ragioni per cui la pretesa lesione dell’unità e la asserita violazione del principio di solidarietà si risolverebbero nella lesione di un’attribuzione regionale.

4.2.– Del pari inammissibile è la questione promossa dalla Regione Campania in riferimento all’art. 97 Cost. nella parte in cui la Regione contesta la contraddittorietà del quadro normativo, derivante dalle modifiche apportate dalla disposizione impugnata, in specie, per quanto concerne l’introduzione del comma 2-quater all’art. 27 del d.l. n. 50 del 2017. Quest’ultimo sarebbe di «problematica applicazione» e quindi «foriero di gravi incertezze interpretative e applicative», così da tradursi «in cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura della pubblica amministrazione» (sentenza n. 70 del 2013).

Anche in tal caso, non sono soddisfatte le due condizioni richieste dalla giurisprudenza costituzionale ai fini dell’ammissibilità di questioni promosse in riferimento a parametri non inerenti al riparto costituzionale delle competenze: non risultano, infatti, esplicitate né l’attribuzione regionale che si assume lesa, né le ragioni per cui la contraddittorietà o la scarsa chiarezza della disciplina introdotta si dovrebbe tradurre nella lesione dell’autonomia regionale.

4.3.– Le richiamate condizioni di ammissibilità sussistono, all’opposto, con riguardo alle censure promosse da tutte e tre le Regioni in riferimento agli artt. 3, 81 e 97 Cost., nonché dalla Regione Campania in riferimento all’art. 77 Cost.

4.3.1.– Quanto alla dedotta violazione degli artt. 3, 81 e 97 Cost., le ricorrenti sostanzialmente contestano che l’art. 17 del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, discriminerebbe in modo irragionevole le regioni che hanno effettuato minori spese per il trasporto pubblico locale, le quali, per questa ragione, si vedrebbero assegnate minori risorse del fondo, così da rendere difficile l’erogazione dei servizi di trasporto pubblico locale, precedentemente programmati, con conseguente violazione del buon andamento dei medesimi servizi e del principio di copertura finanziaria.

È dunque chiaramente individuato l’ambito di competenza regionale indirettamente inciso dalla disposizione impugnata, costituito dalla competenza amministrativa in materia di servizi di trasporto pubblico regionale e locale e dalla connessa autonomia finanziaria; così come risultano sufficientemente indicate le ragioni che ne determinerebbero le relative lesioni, ravvisate nella riduzione delle risorse assegnate, in conseguenza dell’applicazione dei nuovi criteri di riparto del fondo.

4.3.2.– Anche la censura di violazione dell’art. 77 Cost. supera il vaglio di ammissibilità, quanto alla motivazione in ordine alla ridondanza sulle attribuzioni regionali della denunciata insussistenza dei presupposti di necessità e urgenza.

Questa Corte ha, da tempo risalente, riconosciuto l’ammissibilità di questioni di legittimità costituzionale promosse dalle regioni avverso un decreto-legge per carenza dei suoi presupposti, sull’assunto che, quando quest’ultimo incide su un ambito di competenza regionale, le regioni possono lamentare che, attraverso il ricorso al medesimo decreto, lo Stato abbia illegittimamente invaso la loro sfera di competenza, utilizzando uno strumento improprio, ammesso dalla Costituzione per esigenze diverse (sentenza n. 22 del 2012).

In linea con tale indirizzo, la ricorrente contesta che la disposizione impugnata, «erodendo arbitrariamente e illegittimamente la quota di riparto del fondo nazionale de quo – che […] rappresenta oggi la principale fonte di finanziamento del trasporto pubblico locale – ha una diretta ricaduta sull’autonomia riconosciuta dagli articoli 5 e 119 della Costituzione alla Regione Campania, che risulta menomata nella propria capacità organizzativa e finanziaria».

4.4.– Occorre, ora, esaminare l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato in considerazione della ritenuta genericità dei rilevati effetti negativi sull’autonomia legislativa, amministrativa e programmatoria regionale derivanti dall’attuazione dei criteri di riparto previsti dall’art. 17 del d.l. n. 104 del 2023, come convertito. Più precisamente, la difesa statale contesta che la lesione lamentata dalle Regioni ricorrenti relativamente all’inadeguatezza della dotazione finanziaria – conseguente all’inclusione del complesso dei servizi di trasporto pubblico locale erogati sul territorio di ciascuna regione nella base di computo dei costi standard – ai fini dello svolgimento della funzione regionale del trasporto pubblico regionale e locale sia «virtuale» e non adeguatamente dimostrata, al punto da rendere la questione promossa in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 Cost. inammissibile.

4.4.1.– L’eccezione è priva di fondamento.

I ricorsi, contrariamente a quanto assume l’Avvocatura, sono assistiti da sufficiente motivazione sulla lesività della disposizione impugnata. In essi è, infatti, correttamente prospettata l’asserita incidenza delle misure introdotte dall’art. 17 del d.l. n. 104 del 2023, come convertito – e cioè della previsione del criterio dei costi standard totali, che pregiudicherebbe le regioni che hanno effettuato minori spese per i servizi in questione, e dei criteri transitori di ripartizione delle risorse del fondo TPL, che farebbero venir meno anche la garanzia del limite delle risorse assegnate nel 2020 – sulle risorse destinate al trasporto pubblico regionale e locale, nonché sulla programmazione e gestione del relativo servizio (sentenza n. 137 del 2018).

L’esigenza di un’adeguata prova dell’impossibilità di svolgere le funzioni in esame per effetto della disposizione impugnata esula, infatti, dallo scrutinio di ammissibilità, per rientrare nella valutazione del merito della questione inerente al rispetto del principio di corrispondenza tra funzioni e risorse, ricavabile dall’art. 119, quarto comma, Cost.

5.– Si può ora procedere all’esame del merito delle singole questioni.

5.1.– Fra di esse, quella promossa dalla Regione Campania in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost., «assume carattere pregiudiziale, poiché attiene ai presupposti del corretto esercizio della funzione normativa primaria (sentenze n. 151 del 2023, n. 8 del 2022, n. 30 del 2021, n. 186 e n. 115 del 2020, n. 288 e n. 247 del 2019, n. 189 del 2018 e n. 169 del 2017)» (sentenza n. 215 del 2023).

La ricorrente ritiene che non sussistano i presupposti di necessità e urgenza necessari a legittimare l’adozione del d.l. n. 104 del 2023 e, in specie, dell’impugnato art. 17, considerato che né dal titolo, né dal preambolo del medesimo sarebbe possibile desumere alcun «riferimento a concrete circostanze sulla base delle quali sia ravvisata […] [l]’esigenza di consentire un tempestivo riparto» delle risorse del Fondo nazionale TPL. Le modifiche introdotte, peraltro, introdurrebbero una riforma strutturale, come sarebbe dimostrato dalla presenza di previsioni a efficacia differita. Il difetto dei richiamati presupposti non potrebbe, peraltro, ritenersi sanato dalla legge di conversione, «dovendosi, piuttosto, ritenere travolte dall’illegittimità qui dedotta anche le modifiche da quest’ultima apportate».

5.1.1.– La questione non è fondata.

5.1.1.1.– Secondo l’indirizzo costante della giurisprudenza costituzionale sul punto, «la sindacabilità della scelta del Governo di intervenire con decreto-legge va limitata ai soli casi di evidente mancanza dei presupposti in questione o di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della relativa valutazione (ex plurimis, sentenze n. 151 del 2023, n. 8 del 2022 e n. 213 del 2021)» (sentenza n. 200 del 2023). Al fine di rendere trasparente e controllabile tale sindacato, questa Corte ha individuato alcuni criteri, fra cui vi sono: «a) coerenza della norma rispetto al titolo del decreto e al suo preambolo (ad esempio, sentenze n. 288 e n. 33 del 2019, n. 137 del 2018); b) omogeneità contenutistica o funzionale della norma rispetto al resto del decreto-legge (ex plurimis, sentenze n. 149 del 2020, n. 97 del 2019 e n. 137 del 2018); c) utilizzo dei lavori preparatori (ad esempio, sentenze n. 288 del 2019, n. 99 e n. 5 del 2018); d) carattere ordinamentale o di riforma della norma (ad esempio, sentenze n. 33 del 2019, n. 99 del 2018 e n. 220 del 2013)» (sentenza n. 186 del 2020).

Nella specie, se già il titolo del d.l. n. 104 del 2023 – recante «Disposizioni urgenti a tutela degli utenti, in materia di attività economiche e finanziarie e investimenti strategici» – è sufficientemente ampio da poter comprendere la disciplina del servizio di trasporto pubblico locale, anche con riguardo alle modalità di finanziamento dello stesso, nel preambolo il settore del trasporto è richiamato in modo espresso fra quelli «considerati strategici per il loro rilievo nel contesto economico-sociale del Paese», per i quali si afferma «la straordinaria necessità e urgenza di intervenire» e, in particolare, «di adottare disposizioni in materia di trasporto pubblico locale volte a consentire un tempestivo riparto delle risorse alle regioni».

Non si può, inoltre, ignorare che, nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione, viene esplicitamente chiarito che la modifica introdotta con l’art. 17 alla disciplina dei criteri di ripartizione del fondo TPL, come riformati dalla legge n. 6 del 2023, si rende «necessaria al fine di superare le difficoltà tecniche e di condivisione in sede di Conferenza Unificata per l’adozione del decreto con cui sono definiti gli indicatori necessari a determinare i livelli adeguati di servizio e le modalità di applicazione degli stessi» in modo da evitare che tale difficoltà «possa ritardare o impedire la ripartizione del citato Fondo», prevista entro il 31 ottobre 2023. L’applicazione dei nuovi criteri introdotti dalla legge n. 6 del 2023 allo scopo di dare finalmente attuazione alle indicazioni della legge n. 42 del 2009 era, infatti, condizionata al citato decreto interministeriale, che avrebbe dovuto essere adottato, previa intesa in sede di Conferenza unificata, entro il termine, ampiamente scaduto, del 31 luglio 2023. Da qui la ritenuta necessità e urgenza di una disciplina transitoria (introdotta al comma 2-quater e nell’ultimo periodo del comma 6 dell’art. 27 del d.l. n. 50 del 2017, come convertito), volta a sopperire alla mancata individuazione di uno dei due criteri di assegnazione delle risorse – quello dei LAS – e a ridefinire le modalità di suddivisione della dotazione finanziaria del fondo fra le regioni, con riguardo agli anni 2023-2024. Ma da qui anche la ritenuta necessità e urgenza – ai fini dell’imminente ripartizione delle risorse – di ancorare il computo dei costi standard al complesso dei servizi di trasporto pubblico locale eserciti sul territorio di ciascuna regione, al fine di «assicurare una contribuzione equa ed uniforme tra i richiamati Enti, per tutti i servizi di trasporto pubblico localmente eserciti».

5.1.1.2.– Neppure coglie nel segno il denunciato carattere di riforma strutturale della disposizione statale impugnata.

Premesso che le previsioni introdotte dall’art. 17 del d.l. n. 104 del 2023 introducono modifiche prevalentemente contraddistinte dalla temporaneità – come riconosciuto dalle stesse ricorrenti –, esse in ogni caso si innestano sul tessuto normativo già definito dall’art. 27 del d.l. n. 50 del 2017, come riformato dalla legge n. 6 del 2023, e innovano solo parzialmente, in riferimento a specifici aspetti. Pertanto, non sono tali da assurgere al rango di disposizioni di riforma organica e di sistema, non compatibile con la decretazione d’urgenza (sentenza n. 236 del 2017).

5.1.1.3.– Né costituisce indizio dell’evidente mancanza dei requisiti di necessità e urgenza la presenza di disposizioni a efficacia differita.

Questa Corte ha in più occasioni chiarito che «la necessità di provvedere con urgenza non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni normative contenute nel decreto-legge (sentenze n. 97 del 2019, n. 5 del 2018, n. 236, n. 170 e n. 16 del 2017)» (sentenza n. 149 del 2020), essendo «fisiologico e non incompatibile con i presupposti della necessità e urgenza che il decreto-legge articoli alcuni passaggi procedurali e preveda per determinati aspetti un risultato differito (sentenze n. 5 del 2018, n. 170 del 2017 e n. 160 del 2016)» (sentenza n. 33 del 2019).

Nella specie, le disposizioni impugnate hanno, nella maggior parte dei casi, immediata efficacia precettiva, proprio in ragione della necessità di consentire il tempestivo riparto delle risorse, e solo con riguardo ad alcuni specifici aspetti rinviano a una data successiva. Sussistono, pertanto, le condizioni già illustrate dalla giurisprudenza costituzionale secondo cui l’intervento del Governo «ben può fondarsi sulla necessità di provvedere con urgenza, anche laddove il risultato sia per qualche aspetto necessariamente differito (sentenza n. 16 del 2017)» (sentenza n. 170 del 2017).

5.2.– La Regione Campania (reg. ric. n. 34 del 2023) impugna, inoltre, l’art. 17 del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, per violazione del principio di leale collaborazione. La disposizione statale in esame, introducendo all’art. 27, comma 2, lettera a), del d.l. n. 50 del 2017, come convertito, ulteriori e particolareggiati criteri di dettaglio da tenere in considerazione ai fini del riparto del fondo TPL, eluderebbe la ratio dell’intesa, prevista all’art. 27, comma 2, del medesimo decreto-legge, quale necessario strumento di collaborazione tra Stato e regioni nella chiamata in sussidiarietà dello Stato in una materia di competenza regionale residuale.

5.2.1.– La questione non è fondata.

Questa Corte ha da tempo riconosciuto che il fondo TPL, pur non essendo riconducibile «a nessuno degli strumenti di finanziamento previsti dall’art. 119 Cost.» (sentenza n. 273 del 2013), rappresenta uno strumento con cui lo Stato, nella «perdurante inattuazione della legge n. 42 del 2009, che non può non tradursi in incompiuta attuazione dell’art. 119 Cost.» (ancora sentenza n. 273 del 2013), mira a soddisfare l’esigenza di «assicurare un livello uniforme di godimento di diritti tutelati dalla Costituzione stessa, “in funzione di sostegno ed integrazione delle limitate risorse regionali disponibili” (sentenza n. 211 del 2016)» (sentenza n. 74 del 2019).

Tuttavia, proprio perché tale finanziamento interviene in un ambito di competenza legislativa regionale residuale, quale è il trasporto pubblico locale, sin dal 2005 questa Corte ha sottolineato la necessità di assicurare il pieno coinvolgimento delle regioni nei processi decisionali concernenti il riparto dei fondi statali in materia, dichiarando l’illegittimità costituzionale della disposizione statale là dove non imponeva che il decreto del Presidente del Consiglio che ripartisce le risorse statali fra le regioni fosse adottato sulla base di una vera e propria intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997, al fine di «assicurare in modo adeguato la leale collaborazione fra le istituzioni statali e regionali» (sentenza n. 222 del 2005).

In armonia con tali indicazioni, fin dall’istituzione del fondo in esame, avvenuta con l’art. 1, comma 301, della legge di stabilità 2013, il legislatore ha previsto che la definizione delle modalità di ripartizione e trasferimento alle regioni delle risorse del fondo sia demandata a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottarsi previa intesa in sede di Conferenza unificata. Ciò, tuttavia, sempre sulla base dell’indicazione, da parte del medesimo legislatore statale, di una serie di criteri “guida”, individuati soprattutto in vista dell’obiettivo di soddisfare le esigenze di omogeneità nella fruizione del servizio e di garanzia dell’uniforme godimento dei diritti.

Tali criteri sono, come si è detto, più volte variati nel tempo senza tuttavia mutare natura: dapprima per effetto della riforma introdotta dall’art. 27 del d.l. n. 50 del 2017; poi, in conseguenza delle rilevanti modifiche apportate dall’art. 7-bis del d.l. n. 176 del 2022, convertito nella legge n. 6 del 2023; infine, con la disposizione ora impugnata, là dove, in particolare, il riferimento ai costi standard «considerato il complesso dei servizi di trasporto pubblico locale eserciti sul territorio di ciascuna regione risultanti dalla banca dati dell’Osservatorio» costituisce una formula non univoca nella sua portata applicativa, non chiarita neppure dal d. interm. n. 328 del 2023, attuativo, che costruisce la relativa Tabella secondo mere percentuali, senza esplicitarne i presupposti.

Tutti questi criteri, infatti, hanno costituito e continuano a costituire direttive, la cui interpretazione e applicazione è rimessa alla concorde volontà delle istituzioni regionali e di quelle statali (e locali), in vista dell’adozione congiunta, nella sede della Conferenza unificata, delle decisioni relative alla ripartizione del fondo, peraltro in linea con quanto puntualmente stabilito dal medesimo art. 27, comma 2, del d.l. n. 50 del 2017.

5.3.– In tutti e tre i ricorsi, infine, le Regioni Veneto, Piemonte e Campania denunciano la lesione dell’autonomia amministrativa e dell’autonomia finanziaria regionale, cui si connette la pretesa violazione dei principi di ragionevolezza, buon andamento e copertura finanziaria, così da indurre a un esame congiunto di tutte le richiamate censure.

Con argomenti sostanzialmente sovrapponibili, le ricorrenti, infatti, sostengono che le modifiche al riparto del fondo TPL, introdotte dall’art. 17 del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, siano tali da privilegiare le regioni che maggiormente finanziano con risorse proprie i servizi di trasporto pubblico locale, in sostanza – a loro dire – reintroducendo il criterio della spesa storica, per il tramite dei costi standard totali e cioè comprensivi della spesa relativa a tutti i servizi di trasporto pubblico locale già erogati sul territorio. Per converso, verrebbero discriminate irragionevolmente (in violazione dell’art. 3 Cost.) le altre regioni, fra cui rientrerebbero le ricorrenti. Queste ultime, a causa delle minori risorse assegnate, si troverebbero nella condizione di non poter erogare tutte le prestazioni da esse deliberate, con conseguente lesione del potere di gestione del servizio di trasporto pubblico regionale e locale, ambito che rientra nella competenza legislativa regionale residuale, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost., nonché dell’autonomia finanziaria regionale (e quindi dell’art. 119 Cost.), considerato che si vedrebbero private delle risorse necessarie a finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.

Ciò determinerebbe l’ulteriore conseguenza di provocare gravi disagi nello svolgimento del servizio pubblico di trasporto locale e regionale, in violazione dell’art. 97 Cost., nonché l’effetto di far venir meno, a fine esercizio, la copertura finanziaria della spesa a suo tempo deliberata, in violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost.

5.3.1.– Le censure, pur se promosse in riferimento a svariati parametri costituzionali, sono formulate in maniera tale da proporre all’attenzione di questa Corte essenzialmente una questione: quella della asserita violazione ̶ per effetto della pretesa irragionevolezza dei nuovi criteri di ripartizione del fondo TPL individuati dalla disposizione statale impugnata ̶ del principio di corrispondenza tra funzioni attribuite e risorse, ricavabile dal quarto comma dell’art. 119 Cost., da cui conseguirebbe anche la lesione del buon andamento dell’amministrazione e dell’obbligo di copertura finanziaria delle spese.

5.3.2.– La questione non è fondata.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «l’autonomia finanziaria costituzionalmente garantita agli enti territoriali non comporta una rigida garanzia quantitativa» (sentenza n. 73 del 2023), sicché le risorse disponibili possono subire modifiche, anche in diminuzione. Tuttavia, «simili riduzioni non devono comunque rendere “difficile, o addirittura impossibile, lo svolgimento delle funzioni attribuite” (sentenza n. 155 del 2020)» (sentenza n. 73 del 2023). Ciò vale tanto più in presenza di un sistema di finanziamento che dovrebbe essere coordinato con il riparto delle funzioni, «“così da far corrispondere il più possibile […] esercizio di funzioni e relativi oneri finanziari da un lato, disponibilità di risorse […] dall’altro” (sentenza n. 138 del 1999 e, più di recente, sentenza n. 241 del 2012)» (sentenza n. 188 del 2015).

In alcuni casi, l’impossibilità di svolgimento delle funzioni è stata ritenuta evidente in presenza di norme di legge che assegnavano compiti e funzioni agli enti territoriali, senza alcun trasferimento di risorse (sentenza n. 73 del 2023), o determinavano drastiche riduzioni di dotazioni finanziarie degli enti (ad esempio pari al cinquanta per cento rispetto all’anno precedente) «ad invarianza di funzioni e senza un progetto di riorganizzazione» (sentenza n. 188 del 2015).

Più di frequente, tuttavia, questa Corte (sentenza n. 155 del 2020), pur in presenza di significative riduzioni di finanziamenti, ha riconosciuto la necessità che le regioni dimostrino l’inadeguatezza delle risorse a loro disposizione «con puntuali riferimenti a dati analitici riferiti alle entrate del caso di specie» (sentenza n. 155 del 2020) o che tale inadeguatezza sia desunta dalla lettura dei bilanci regionali o ancora accertata nei giudizi a quibus (sentenza n. 10 del 2016).

In altri termini, si è affermato il principio secondo cui grava sulla regione ̶ che contesti le modalità con cui il legislatore statale ha stabilito una determinata riduzione di risorse, presuntivamente tale da impedire o rendere difficile l’esercizio delle sue funzioni ̶ l’onere di fornire una adeguata prova di tale situazione, sempre che quest’ultima non si desuma in maniera “autoevidente” dalla stessa formulazione della disposizione statale oggetto di censure.

Nel caso di specie, l’evoluzione della normativa sopra richiamata – che è ancora in attesa di andare a regime una volta emanato il decreto di definizione dei LAS – e la successione dei provvedimenti di riparto delle risorse del fondo TPL, quale si è avuta fino al 2023, non assegnano al mutamento dei criteri di ripartizione delle predette risorse stabilito dall’impugnato art. 17 del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, l’evidenza della pretesa lesione. Nel 2023, infatti, il nuovo criterio (dei costi standard totali) risulta utilizzato solo con riferimento alle risorse aggiuntive (rispetto a quelle individuate e ripartite in linea con quanto accaduto nell’anno 2020), mentre il precedente criterio dei costi standard puri non ha mai trovato applicazione, come risulta confermato dai decreti ministeriali di riparto adottati fino al 2023.

Peraltro, la clausola di garanzia, in virtù della quale l’applicazione dei nuovi criteri non deve determinare, in ogni caso, per ciascuna regione, un’assegnazione di risorse inferiore a quella risultante dalla ripartizione del fondo per l’anno 2020, al fine di «garantire una ragionevole certezza delle risorse disponibili», permane anche nell’art. 27 del d.l. n. 50 del 2017, così come modificato dalla disposizione impugnata ed è destinato a operare anche per il futuro.

Considerato perciò che, a fronte della mancanza di indizi che rivelino in maniera palese la violazione del principio di corrispondenza fra funzioni e risorse, le ricorrenti non hanno fornito documentazione di alcun genere a sostegno dell’evocata lesione e dunque non hanno adempiuto al preciso onere di fornire adeguata prova dell’impossibilità dello svolgimento delle funzioni per effetto della disposizione statale impugnata, la relativa questione promossa dalle Regioni Veneto, Piemonte e Campania risulta priva di fondamento, così come le censure di violazione del principio di buon andamento dell’amministrazione e dell’obbligo di copertura finanziaria delle spese.

5.3.3.– Nel giungere a tale conclusione di non fondatezza della questione oggetto dell’odierno giudizio, questa Corte non può, tuttavia, esimersi dal formulare l’auspicio che, quanto al finanziamento dei servizi di trasporto pubblico locale, si porti al più presto a conclusione il complesso iter di transizione ai costi e fabbisogni standard, prefigurato già dalla legge n. 42 del 2009 e funzionale ad assicurare gli obiettivi di servizio pubblico e il sistema di perequazione.

Tale percorso, sebbene avviato in tempi ormai risalenti, è stato, infatti, sospeso, quando non contraddetto, dal susseguirsi di una pluralità di interventi normativi che, nel segno della temporaneità, hanno impedito il conseguimento di un assetto del sistema di trasporto pubblico locale stabile e coerente con gli obiettivi di garanzia di un servizio efficiente e idoneo a soddisfare i bisogni delle comunità territoriali, secondo criteri di omogeneità sull’intero territorio nazionale. A tal fine, occorre, pertanto, che siano al più presto definiti i LAS e identificati in modo univoco i costi standard nella prospettiva di un riassetto organico del settore cui solo il legislatore potrà e dovrà provvedere.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 104 (Disposizioni urgenti a tutela degli utenti, in materia di attività economiche e finanziarie e investimenti strategici), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2023, n. 136, promosse, in riferimento agli artt. 2 e 5 della Costituzione, dalle Regioni Veneto e Piemonte, con i ricorsi iscritti ai numeri 32 e 33 del registro ricorsi 2023;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, nella parte in cui introduce il comma 2-quater all’art. 27 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2017, n. 96, promossa, in riferimento all’art. 97 Cost., dalla Regione Campania con il ricorso iscritto al n. 34 del registro ricorsi 2023;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, promossa, in riferimento all’art. 77 Cost., dalla Regione Campania, con il ricorso iscritto al n. 34 del registro ricorsi 2023;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, promossa, in riferimento al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5, 117 e 120 Cost., dalla Regione Campania, con il ricorso iscritto al n. 34 del registro ricorsi 2023;

5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del d.l. n. 104 del 2023, come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 3, 81, 97, 117, 118 e 119 Cost., dalle Regioni Veneto, Piemonte e Campania, con i ricorsi iscritti ai numeri 32, 33 e 34 del registro ricorsi 2023.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2024.

F.to:

Giulio PROSPERETTI, Presidente

Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Redattrice

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2024