SENTENZA N. 247
ANNO 2019
Commento alla decisione di
Renzo Dickmann
per g.c. di Federalismi.it
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giorgio
LATTANZI;
Giudici: Aldo CAROSI,
Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio
PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale dell’art. 25-septies del decreto-legge
23 ottobre 2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e
finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n.
136, promosso dalla Regione Molise con ricorso
notificato il 15-20 febbraio 2019, depositato in cancelleria il 25 febbraio
2019, iscritto al n. 31 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di
costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza
pubblica del 22 ottobre 2019 il Giudice relatore Franco Modugno;
uditi l’avvocato
Massimo Luciani per la Regione Molise e gli avvocati dello Stato Leonello Mariani
e Diana Ranucci per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.– Con ricorso spedito
per la notifica il 15 febbraio 2019 e depositato il 25 febbraio 2019, la
Regione Molise ha impugnato in via principale l’art. 25-septies del decreto-legge
23 ottobre 2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e
finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n.
136.
La norma impugnata –
rammenta la ricorrente – ha disposto, nei commi 1 e 2, la incompatibilità del
conferimento e del mantenimento dell’incarico di commissario ad acta per
l’attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario delle Regioni,
rispetto all’espletamento di incarichi istituzionali presso la Regione soggetta
a commissariamento, stabilendo, al tempo stesso, i requisiti professionali di
cui deve godere la persona da nominare quale commissario. Il comma 3 dello
stesso articolo censurato ha, a sua volta, sancito l’applicabilità di tale
incompatibilità anche agli incarichi in corso alla data di entrata in vigore
della legge di conversione; con la conseguenza che l’attuazione di tale
previsione comporterà la decadenza dall’incarico commissariale dei Presidenti
di Regione a far data dalla nomina dei nuovi commissari ad acta.
Dopo aver svolto una
diffusa premessa intesa a ricostruire la evoluzione della normativa succedutasi
in materia di commissariamenti delle Regioni in piano di rientro dal disavanzo
nel settore sanitario, la ricorrente sottolinea come per le Regioni
commissariate ai sensi dell’art. 4, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007,
n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e
l’equità sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 29 novembre 2007,
n. 222, quali – da oltre un decennio – la Regione Molise, vigeva, prima della
novella oggetto di censura, un regime per il quale: 1) il Consiglio dei
ministri nominava commissario ad acta il Presidente della Regione; 2) solo in
caso di dimissioni o di impedimento del Presidente della Regione, il Consiglio
dei ministri poteva nominare un commissario ad acta fino all’insediamento del
nuovo Presidente della Regione o alla cessazione della causa di impedimento.
La norma impugnata
avrebbe dunque prodotto per la Regione Molise i seguenti effetti: 1) viene
reintrodotta la incompatibilità tra affidamento dell’incarico di commissario ad
acta rispetto a qualsiasi incarico istituzionale regionale, anche per le
Regioni commissariate ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d.l.
n. 159 del 2007; 2) viene introdotto il principio vincolante secondo il quale
il commissario deve possedere gli specifici requisiti previsti dal comma 2
dello stesso art. 25-septies; 3) viene abrogato l’art. 84-bis dell’art. 2 della
legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2010)», dal quale
emergeva la ordinaria coincidenza tra la persona del commissario e il
Presidente della Regione commissariata. Inoltre, il comma 3 della disposizione
impugnata dispone retroattivamente la operatività della nuova disciplina della
incompatibilità, anche per gli incarichi commissariali in atto; ed è stabilito,
infine, che «il Consiglio dei ministri provvede entro novanta giorni […] alla
nomina di un commissario ad acta per ogni regione in cui si sia determinata
l’incompatibilità del commissario, il quale resta comunque in carica fino alla
nomina del nuovo commissario ad acta».
1.1.– Dopo aver
sottolineato che la disciplina dei piani di rientro dai disavanzi in materia sanitaria
si iscrive in un duplice ambito di competenza concorrente, rappresentato dalla
tutela della salute, da un lato, e dal coordinamento della finanza pubblica,
dall’altro, la Regione ricorrente lamenta la violazione dell’art. 77 della
Costituzione in riferimento alle attribuzioni costituzionali riconosciute
alla Regione nelle materie della «tutela della salute» e del «coordinamento
della finanza pubblica», ai sensi degli artt. 117, terzo comma,
e 118 Cost.,
nonché la violazione del principio di leale collaborazione.
A proposito della
violazione dell’art. 77 Cost., la ricorrente sottolinea la relativa ridondanza
in termini di violazione del riparto delle competenze tra Stato e Regione
Molise. Attraverso la norma impugnata, infatti, lo Stato non soltanto avrebbe
utilizzato uno strumento improprio, privo dei requisiti costituzionali, ma
avrebbe vincolato la ricorrente senza il rispetto delle procedure
collaborative, da osservare anche nell’esercizio della funzione legislativa
(viene citata la sentenza
n. 251 del 2016 di questa Corte).
Si osserva, al
riguardo, che la norma impugnata (che precedentemente il Governo aveva invano
tentato di inserire, anche in altri decreti d’urgenza) violerebbe l’art. 77
Cost. a causa della sua evidente estraneità rispetto alla materia disciplinata
dalle altre disposizioni del decreto-legge in cui è stata inserita in sede di
conversione. Quanto ai contenuti, si osserva, basta esaminare i titoli di cui
si componeva il testo del decreto presentato per la conversione al Senato. Quanto
alle finalità, si rileva che le ragioni di straordinaria necessità ed urgenza
sono state ricondotte alla previsione di «misure per esigenze fiscali e
finanziarie indifferibili»; sicché, sarebbe arduo affermare che la normativa
censurata rispondesse realmente ad esigenze "fiscali” o "finanziarie”, per di
più indifferibili.
Si segnala, anzi, la
incongruenza di un decreto-legge teso a fronteggiare esigenze fiscali e
finanziarie, il quale determini un aumento, a regime, della spesa pubblica, che
discende dal conferimento dell’incarico di commissario ad un soggetto terzo.
La norma impugnata, non
avrebbe, dunque, nulla a che vedere con l’oggetto e le finalità del
provvedimento d’urgenza, tanto che, presente nel testo originario, era stata
addirittura stralciata prima della emanazione del decreto.
1.2.– Viene poi
denunciata violazione degli artt. 3 e 97 Cost., nonché violazione
del principio di leale collaborazione a norma degli artt. 117 e 118 Cost. e degli artt. 117, terzo comma,
118 e 120 Cost.
Sarebbero in
particolare violati i principi di ragionevolezza, buon andamento della pubblica
amministrazione e di leale collaborazione tra Stato e Regioni. Tenuto conto
della funzione dei piani di rientro e del necessario confronto istituzionale,
diviene ragionevole soltanto un intervento che soddisfi queste esigenze, pena,
altrimenti, la determinazione di effetti distorsivi che comprometterebbero il
buon andamento della azione amministrativa. La norma impugnata, invece, avrebbe
generato conseguenze addirittura dannose, introducendo una preclusione
assoluta, applicabile retroattivamente anche per quelle Regioni il cui
commissariamento è già in atto e che viene ad essere intaccato dall’innesto di
una figura di commissario completamente slegata dalla istituzione regionale.
La disposizione
impugnata si fonderebbe, dunque, su un pregiudizio negativo in ordine alla
idoneità e capacità dei soggetti provenienti dalla amministrazione regionale
allo svolgimento dell’incarico commissariale, operando attraverso una
presunzione assoluta che viola i principi di ragionevolezza e buon andamento,
in quanto determina: a) uno iato fra la struttura commissariale e l’apparato
regionale; b) comprime, senza ragione, le competenze amministrative della
Regione in materia di tutela della salute e di coordinamento della finanza
pubblica, in violazione del principio di ragionevolezza e degli artt. 117,
terzo comma, e 118 Cost.; c) sopprime, senza ragione, un fruttuoso meccanismo
di collaborazione fra Stato e Regioni, in violazione del principio di
ragionevolezza, degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché del principio
di leale collaborazione di cui all’art. 117 Cost.
1.3.– Viene poi posta
in evidenza la circostanza che la giurisprudenza costituzionale ha in più
occasioni censurato gli automatismi legislativi; sicché la norma impugnata si presenterebbe
in contrasto con l’art.
3 Cost. anche sotto il profilo della totale assenza di margine di
apprezzamento del caso concreto. Il che inevitabilmente ridonda sulle
competenze regionali, sia amministrative sia legislative, in materia di tutela
della salute e coordinamento della finanza pubblica.
1.4.– Si prospetta,
inoltre, la violazione dell’art. 3 Cost. sotto
il profilo del mancato rispetto del principio di proporzionalità. La norma
censurata non rispetterebbe, infatti, tale importante canone di apprezzamento,
in quanto essa non è certamente quella meno pregiudizievole per le attribuzioni
costituzionali regionali e perché impone un onere sproporzionato rispetto al
fine da perseguire, dal momento che non prende in alcuna considerazione le
situazioni specifiche, prescindendo, quindi, dalla bontà o meno della
esperienza commissariale in corso.
1.5.– Viene poi
denunciata, sotto altro profilo, la violazione del principio di ragionevolezza
ex art. 3 Cost.,
di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost.,
nonché di leale collaborazione e di sussidiarietà, di cui agli artt. 117, terzo comma,
118 e 120 Cost.
La norma censurata non
rispetterebbe, infatti, i paradigmi declinati dalla giurisprudenza di questa
Corte in tema di sussidiarietà. Non sussisterebbe, in particolare, il
presupposto della inerzia regionale tale da legittimare l’intervento normativo,
né si sarebbe realizzata alcuna fase di confronto con la Regione interessata.
Non sarebbe stato neppure rispettato il principio di sussidiarietà, in quanto è
stata adottata una soluzione opposta a quella di privilegiare la prossimità del
commissario rispetto all’istituto regionale. Il tutto, in assenza di ragioni
particolari atte a giustificare tale scelta, con i naturali riverberi negativi
sulle attribuzioni regionali, con specifico riferimento a quelle relative alla
tutela della salute.
L’esautoramento
regionale sarebbe poi avvenuto, in spregio all’art. 120 Cost.,
senza rispetto del principio di leale collaborazione, con violazione, per di
più, del principio di buona amministrazione ex art. 97 Cost.
1.6.– Si prospetta,
inoltre, in relazione agli oneri aggiuntivi che scaturiscono per la Regione
dalla novella, la violazione degli artt. 81 e 97 Cost., in
riferimento agli artt.
117, terzo comma, e 118 Cost., nonché in
riferimento al principio di leale collaborazione.
La nuova nomina del
commissario, infatti, trattandosi di persona terza rispetto all’amministrazione
e dunque da retribuire, comporterà, per la Regione, nuovi oneri finanziari. Il
che genera perplessità per il fatto che tali nuovi oneri possano essere imposti
proprio ad una Regione obbligata ad adempiere al piano di rientro delle spese
sanitarie. La esigenza di contenimento della spesa pubblica, imposta dall’art. 81 Cost.,
risulterebbe pertanto frustrata dalla norma censurata, senza che risulti alcuna
ragione per abbandonare il precedente e più economico modello, con correlativa
violazione anche dell’art.
97 Cost. Il tutto, in assenza di qualsiasi concertazione.
1.7.– Con specifico
riferimento alla disposizione dettata dal comma 3 dell’art. 25-septies
impugnato, si lamenta, infine, la violazione del principio di affidamento,
quale enunciato dalla giurisprudenza costituzionale, stante la portata
sostanzialmente retroattiva della norma.
La cessazione
automatica del mandato commissariale in corso, a prescindere da qualsiasi
valutazione di opportunità, equivarrebbe, inoltre, ad un intervento sostitutivo
nei confronti della Regione del tutto discrezionale, in violazione del
principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), di
quello di buona amministrazione (art. 97 Cost.),
degli artt. 117,
terzo comma, 118
e 120 Cost. e del
principio di leale collaborazione.
2.– Nel giudizio
promosso dalla Regione Molise il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha depositato
memoria di costituzione, chiedendo dichiararsi inammissibili o infondate le
questioni proposte nel ricorso.
2.1.– Il ricorso
sarebbe anzitutto inammissibile per difetto di interesse. L’art. 25-septies del
d.l. n. 119 del 2018, infatti, intervenendo sull’art.
1, comma 569, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di
stabilità 2015)» e sull’art. 1, comma 395, della legge 11 dicembre 2016, n. 232
(Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio
pluriennale per il triennio 2017-2019), ha riaffermato il principio della
incompatibilità dell’incarico di commissario ad acta con incarichi
istituzionali presso la Regione commissariata; principio, questo, che era stato
derogato dal combinato disposto dei commi 395 e 396 dell’art. 1 della legge n.
232 del 2016 per le Regioni commissariate ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007.
La disposizione
impugnata, peraltro, avendo regolato ex novo la intera materia, in quanto
prevede nuovi requisiti del commissario ad acta, avrebbe determinato
l’abrogazione implicita della normativa precedente. Pertanto – deduce la
Avvocatura – la eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale di tale
normativa determinerebbe la reviviscenza di quella precedente, la quale ultima,
«stabilendo (già) la non cumulabilità nello stesso soggetto di entrambi gli
incarichi dei quali si discute», impedirebbe la concentrazione di incarichi cui
mira il ricorso: da ciò, la inammissibilità dello stesso per difetto di
interesse.
Non varrebbe neppure
l’argomento secondo il quale la Regione Molise commissariata ai sensi dell’art.
4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007, che all’epoca
era l’unica fonte che prevedeva l’esercizio del potere statale sostitutivo, si
vedrebbe assoggettata alla operatività della disposizione censurata (che
proprio alle Regioni commissariate ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007 fa riferimento), dal momento che quel
commissariamento si sarebbe «successivamente "inalveato” nell’ambito della
disciplina di cui all’art. 2, commi 83 e ss., della l. n.191/2009».
Si osserva, a tale
riguardo, che la Regione Molise siglò un accordo avente ad oggetto un piano di
rientro per le spese sanitarie ai sensi dell’art. 1, comma 180, della legge n.
311 del 2004, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», che prevedeva interventi per
il triennio 2007-2009 destinati al risanamento finanziario. Non essendo stati
conseguiti gli obiettivi fissati, la Regione è stata diffidata in base alla
procedura fissata dall’art. 4, comma 1, del d.l. n.
159 del 2007, nel frattempo entrato in vigore, ed è stato quindi nominato
commissario ad acta, in data 24 luglio 2009, il Presidente pro tempore della
Regione, ancorché la normativa dell’epoca non imponesse tale scelta da parte
del Governo.
Successivamente, il 7 giugno
2012, constatato il perdurante disavanzo strutturale, e dopo aver proceduto
alla diffida secondo la procedura prevista dall’art. 2, comma 84, della legge
n. 191 del 2009, il Consiglio dei ministri nominò un dirigente del Ministero
della salute quale commissario ad acta «per l’adozione e l’attuazione degli
obiettivi prioritari del Piano di rientro e dei successivi Programmi operativi,
non compiutamente realizzati dal Presidente pro tempore in funzione di
Commissario ad acta». Già allora, dunque, il commissariamento della Regione
Molise si «inalveava» nell’ambito della disciplina di cui all’art. 2, commi 83
e seguenti, della legge n. 191 del 2009, cosicché, a norma del comma 84, il
Consiglio dei ministri aveva potuto procedere alla nomina di un commissario ad
acta diverso dal Presidente della Regione inadempiente.
Il 21 marzo 2013, il
Consiglio dei ministri, preso atto degli esiti delle elezioni amministrative
regionali, nominò, in sostituzione del precedente, commissario ad acta il
neoeletto Presidente della Regione. Pure in questo caso – sottolinea
l’Avvocatura – il commissariamento era stato disposto in base alla legge n. 191
del 2009, che, peraltro, aveva subìto nel frattempo significative modifiche. In
particolare, in base a quanto disposto dall’art. 2, comma 6, lettera a), del
decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di
finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni
in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni,
nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, veniva novellato il secondo periodo del
comma 83 dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009, nel senso che veniva
consentita la nomina, quale commissario ad acta, del Presidente della Regione o
«di un altro soggetto». In tal modo, la scelta del commissario diveniva
discrezionale, potendo questa cadere sul Presidente della Regione o su altro
soggetto.
Da ultimo – conclude
l’Avvocatura – con delibera del 7 dicembre 2018, il Governo ha novamente nominato commissario ad acta un tecnico esterno
all’amministrazione regionale.
2.2.– Alla stregua
della normativa succedutasi nel tempo e del tenore delle varie delibere di
nomina, emerge che il commissariamento della Regione Molise, originariamente
disposto in base all’allora vigente art. 4, comma 2, del d.l.
n. 159 del 2007, è successivamente "transitato” nell’ambito applicativo
dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009.
Pertanto, alla data di
entrata in vigore dell’art. 1, comma 395, della legge n. 232 del 2016 – che ha
sottratto le Regioni commissariate dalla incompatibilità sancita dall’art. 1,
comma 569, della legge n. 190 del 2014 – la Regione Molise doveva ritenersi
ormai commissariata ai sensi dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009, con la
conseguente applicabilità della incompatibilità introdotta dalla legge n. 190
del 2014. La eventuale incostituzionalità della norma impugnata, pertanto,
comporterebbe la reviviscenza della incompatibilità sancita dall’art. 1, comma
569, della legge n. 190 del 2014, in riferimento agli incarichi commissariali
conferiti ai sensi dell’art. 2, commi 73, 83 e 84 della legge n. 191 del 2009,
impedendo il cumulo per la Regione Molise dell’incarico di commissario con
quello di Presidente della Regione. Da qui la inammissibilità del ricorso per
difetto di interesse.
2.3.– Vi sarebbe, poi,
un ulteriore profilo di inammissibilità delle questioni proposte. L’art.
25-septies del d.l. n. 119 del 2018 ha anche
introdotto una serie di requisiti per accedere alla nomina di commissario ad
acta: e per questa parte, la norma non è stata impugnata. Pertanto, la
incostituzionalità non potrebbe travolgere la disposizione in questione, la cui
perdurante vigenza sul punto imporrebbe di conferire l’incarico ad un tecnico,
precludendone, comunque sia, l’attribuzione ad un "politico”.
2.4.– Scendendo al
merito dei singoli motivi di ricorso, l’Avvocatura generale dello Stato
eccepisce la inammissibilità della prima censura, concernente la prospettata
violazione dell’art. 77 Cost., che la ricorrente deduce in quanto, essendo
stata la disposizione oggetto di impugnativa inserita dalla legge di
conversione, mancherebbe il necessario nesso di correlazione tra la norma
introdotta dalla legge di conversione ed il decreto legge; vizio, quello
prospettato, che ridonderebbe, comprimendole, sulle prerogative costituzionali
della Regione nelle materie concorrenti della tutela della salute e del
coordinamento della finanza pubblica.
Ad avviso della
Avvocatura, infatti, la censura sarebbe inammissibile per mancanza di lesione
di attribuzioni regionali, in quanto altro è la disciplina dei piani di
rientro, altro la disciplina del commissariamento, che è espressione del potere
sostitutivo dello Stato ai sensi dell’art. 120 Cost. ed è oggetto di competenza
statale esclusiva. Anche se si tratta di discipline fra loro correlate, le
stesse andrebbero tenute distinte, in quanto riferite a fasi diverse della
procedura finalizzata al risanamento dei servizi sanitari: per la prima,
attinente ai piani di rientro, trova applicazione il principio cooperativo e di
condivisione; per la seconda, riguardate il commissariamento, oggetto della
norma censurata, la competenza legislativa è di esclusiva spettanza statale.
La censura sarebbe
comunque infondata. La norma impugnata, infatti, opera all’interno di una
tematica riconducibile alla finanza pubblica, essendo l’andamento della sanità
regionale una componente importante dell’assetto economico nazionale, al punto
che la disposizione in questione è intervenuta su norme contenute in due
distinte leggi finanziarie. Circostanze tanto più significative in rapporto al
tema di commissariamenti, i quali presuppongono situazioni di grave squilibrio
finanziario che comportano interventi immediati a tutela della economia
nazionale ed a garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie.
2.5.– Il secondo e
terzo motivo di ricorso vengono reputati fra loro connessi, riguardando, l’uno,
la violazione del principio di leale collaborazione in quanto la norma
censurata coinvolge la tutela della salute e il coordinamento della finanza
pubblica, oggetto di potestà legislativa concorrente; e, l’altro, la asserita
inosservanza dei limiti al potere sostitutivo statale.
Entrambe le censure
sono, ad avviso della Avvocatura, infondate, in quanto la norma impugnata
costituisce esercizio del potere sostitutivo di cui all’art. 120, secondo
comma, Cost., di esclusiva pertinenza statale, essendo vòlto al fine di
salvaguardare l’unità economica dello Stato ed assicurare il rispetto dei
livelli essenziali delle prestazioni sanitarie, mediante la nomina di
commissari ad acta per la realizzazione dei piani di rientro. L’identica base
costituzionale e normativa attribuisce allo Stato il potere di stabilire quali
incarichi siano incompatibili con quello commissariale e l’ambito temporale delle
incompatibilità, e, dunque, anche in riferimento agli incarichi in corso.
Trattandosi di materia
estranea alla competenza regionale, si rivela infondata la censura che
pretenderebbe coinvolgere la Regione attraverso lo strumento della intesa. Si
richiama, a tale riguardo, quanto più volte affermato da questa Corte a
proposito del fatto che l’attività del commissario deve essere posta al riparo
da interferenze legislative o amministrative da parte della Regione e viene a
tal proposito rievocata la sentenza n. 278 del
2014, di cui si citano ampi stralci.
È ben vero – osserva
l’Avvocatura – che il secondo comma dell’art. 120 Cost. puntualizza che la
legge assicura che i poteri sostitutivi vengano esercitati nel rispetto dei
principi di sussidiarietà e leale collaborazione; tuttavia ciò riguarda,
appunto, la fase del procedimento che conduce al commissariamento, ma non la
fissazione dei requisiti del commissario o le modalità di svolgimento del
relativo mandato.
Nella sentenza n. 43 del
2004, questa Corte ha infatti affermato che l’art. 120 Cost. intende
assicurare la previsione di «un procedimento nel quale l’ente sostituito sia
comunque messo in grado di evitare la sostituzione attraverso l’autonomo
adempimento, e di interloquire nello stesso procedimento».
Ed infatti, la
normativa di settore – segnatamente, l’art. 1, commi 174 e 180, della legge n.
311 del 2004; l’art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del
2007, e l’art. 2, commi 79, 83 e 84 della legge n. 191 del 2009 – prevede un
ampio coinvolgimento regionale, attraverso una diffida all’attuazione del piano
di rientro e la previsione di un accordo con lo Stato che individui gli
interventi necessari. Procedimento, questo, che si ripete anche nelle ipotesi
in cui, a seguito di monitoraggio del piano di rientro, si registrino degli
inadempimenti, giacché, anche in tal caso, non si procede subito al
commissariamento, ma occorre prima novamente
diffidare la Regione perché adotti gli atti necessari per garantire il
conseguimento degli obiettivi fissati nel piano.
La concertazione,
dunque, è ampiamente assicurata e le doglianze connesse alla violazione dei
principi di ragionevolezza e buon andamento della azione amministrativa
risulterebbero estranee al contesto normativo.
L’unico limite che
incontra il potere statale esclusivo è, come già detto, assicurare il rispetto
dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione nella fase prodromica e
preordinata all’esercizio del potere sostitutivo: cosa che il quadro normativo
di riferimento indubbiamente garantisce, dal momento che alla fase del
commissariamento si addiviene solo come extrema
ratio, in una fase patologica derivante dalla inerzia regionale.
2.6.– Peraltro,
soggiunge l’Avvocatura, anche a voler ritenere che la norma impugnata sia
riconducibile pure alle materie a legislazione concorrente della tutela della
salute e del coordinamento della finanza pubblica, le doglianze sarebbero
ugualmente infondate. Come infatti da ultimo ribadito da questa Corte nella sentenza n. 199 del
2018, l’autonomia legislativa concorrente regionale può subire limitazioni
alla luce degli obiettivi di finanza pubblica e della esigenza di contenimento
della spesa.
Pertanto, quando la
Regione ricorrente sostiene che la nomina di un commissario ad acta estraneo
all’assetto regionale rappresenterebbe una anomalia «fonte di impasse nella gestione
del servizio sanitario regionale», trascura di considerare che, come
reiteratamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale, lo stesso deve
essere tenuto «al riparo da ogni interferenza degli organi regionali»:
evenienza, questa, che non si vede come possa essere meglio assicurata, se non
proprio attraverso una incompatibilità tra l’incarico commissariale e quello di
amministratore regionale.
Affermato il principio,
soggiunge l’Avvocatura, esso non può che avere valenza generale, operando sia
per i commissariamenti futuri sia per quelli in corso, senza che vi sia
possibilità, come deduce la Regione ricorrente, di stabilire regimi
differenziati seconda la "imputabilità” del disavanzo alla amministrazione in
carica o no, dal momento che la norma deve avere una portata unica a livello
nazionale.
D’altra parte, la norma
non ha un significato "sanzionatorio”, ma svolge una funzione preventiva,
giacché mira – come si è detto – a porre il commissario al riparo da
interferenze dagli organi regionali mediante la "separazione fisica”
dell’incarico di commissario, così da evitare qualsiasi rischio connesso alla
commistione di ruoli.
Del resto, osserva
ancora l’Avvocatura, l’opportunità, anche nei confronti della Regione
ricorrente, di una separazione fra gli incarichi, emergerebbe dai risultati
negativi della pregressa gestione da parte del Presidente della Giunta
regionale, come trasparirebbe dal verbale della riunione congiunta del Tavolo
tecnico per la verifica degli adempimenti regionali e del Comitato permanente
per la verifica dei livelli essenziali di assistenza della Regione Molise
tenutasi il 20 novembre 2018, tanto che gli organismi preposti alle verifiche
periodiche hanno richiesto alla struttura commissariale un nuovo programma
operativo per il triennio 2019-2021.
2.7.– Infondato sarebbe
anche il quarto motivo di ricorso, nel quale si deduce la violazione di vari
parametri di costituzionalità, in quanto la scelta di nominare un commissario
ad acta esterno comporterebbe un nuovo ed irrazionale onere finanziario per la
Regione.
Osserva infatti
l’Avvocatura che, anche a voler prescindere dall’ammontare irrisorio di tali
nuovi oneri rispetto ad un disavanzo di oltre 26 milioni di euro, si ribadisce
che la possibilità della nomina di un commissario esterno era già da tempo
espressamente prevista sul piano normativo, sicché il legislatore ha
evidentemente ritenuto giustificata e compatibile tale possibilità con le
situazioni di disavanzo regionali. Ragionare diversamente, d’altra parte,
significherebbe «escludere, in ogni occasione, la nomina – pur da tempo
esplicitamente consentita, ed ora anche imposta dalla legge – di un commissario
ad acta esterno».
2.8.– Con il quinto
motivo di ricorso, circoscritto alla previsione che rende operativa la
incompatibilità anche in riferimento agli incarichi in corso, la pretesa
violazione del principio di affidamento sarebbe inammissibile per difetto di
interesse, perché nessun titolare di incarichi regionali svolge attualmente la
funzione di commissario, essendo stato nominato – come si è detto – il 7
dicembre 2018 un soggetto esterno all’amministrazione regionale.
La censura sarebbe,
comunque sia, infondata, in quanto il dato normativo e le vicende riguardanti
la Regione ricorrente escluderebbero la possibilità che si sia formato un
qualche affidamento in materia di nomina dei commissari ad acta. L’art. 4 del d.l. n. 159 del 2007, infatti, non prevedeva nulla al
riguardo, consentendo di nominare un soggetto tanto interno quanto esterno alla
amministrazione regionale. L’art. 2, commi 79 e seguenti, della legge n. 191
del 2009, se nel testo originario prevedeva la necessaria coincidenza tra
l’incarico di commissario e quello di Presidente della Regione, per effetto
delle modifiche apportate dal d.l. n. 174 del 2012 e
dalla relativa legge di conversione n. 213 del 2012, ha novamente
consentito che la nomina del commissario riguardasse indifferentemente il
Presidente della Regione o altro soggetto. Tale alternatività è poi venuta meno
a decorrere dal 1° gennaio 2015 per effetto della incompatibilità sancita dai
commi 569 e 570 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014; incompatibilità, poi,
soppressa, per le sole Regioni commissariate, ai sensi dell’art. 4, comma 2,
del d.l. n. 159 del 2007, dai commi 395 e 396
dell’art. 1 della legge n. 232 del 2016.
Dunque – osserva
l’Avvocatura – nessun affidamento poteva essere riposto dalla Regione Molise
sul quadro normativo previgente, posto che, sin dal 2012, l’incarico di commissario
poteva essere indifferentemente affidato al Presidente della Regione o altro
titolare di incarico regionale, ovvero ad un soggetto estraneo alla
amministrazione regionale.
Il che, fra l’altro,
dimostrerebbe che dal 2012 la gestione commissariale non poteva più avere –
come deduce la ricorrente – una struttura duale (commissario politico e sub
commissario tecnico), in quanto essa era unificata e indifferentemente
attribuibile o a un politico o ad un tecnico, per giungere, nel 2015, ad una
incompatibilità, poi asseverata dalla norma oggetto di censura.
La vicenda concreta
della Regione Molise, d’altra parte, che ha visto un’alternanza di commissari
tra Presidenti della Regione ed esterni, confermerebbe l’impossibilità di
ritenere maturato, in capo alla Regione stessa, un qualche affidamento sul
punto.
3.– La Regione Molise
ha depositato, il 12 giugno 2019, memoria con la quale ha insistito nelle
conclusioni già rassegnate nel ricorso. A proposito della ricostruzione offerta
dalla Avvocatura generale dello Stato a sostegno della dedotta carenza di
interesse, si osserva come la tesi – ancorché suggestiva – secondo la quale dal
momento in cui è stato nominato commissario il dott. Filippo Basso, dirigente
del Ministero della salute, il commissariamento sarebbe confluito nella
disciplina dettata dall’art. 2, commi 83 e seguenti, della legge n. 191 del
2009, non coglierebbe nel segno.
Infatti, secondo quanto
ha previsto il comma 88 dell’art. 2 della legge 191 del 2009, per le Regioni
già commissariate al 31 dicembre 2009 restava fermo il previgente assetto della
gestione commissariale, applicandosi, al tempo stesso, i commi da 80 a 86
dell’art. 2 della stessa legge n. 191 del 2009.
D’altra parte, nella
stessa delibera di nomina si richiama espressamente, fra l’altro, l’art. 4,
commi 1 e 2, del d.l. n. 159 del 2007 e, tra i
compiti specificamente demandati al dott. Basso figura proprio «l’adozione di
eventuali necessari provvedimenti per l’attuazione di quanto previsto dal
sopracitato art. 4, comma 2, del D.L. n. 159/2007».
Il richiamo al citato
art. 4, commi 1 e 2, permane anche nella successiva delibera del 21 marzo 2013,
con la quale il Consiglio dei ministri ha nominato commissario ad acta il
Presidente della Regione Molise, dott. Paolo Di Laura Frattura: anzi, in detta
delibera – che l’Avvocatura asserisce essere stata adottata ai sensi dell’art.
2, comma 83, della legge n. 191 del 2009 – la norma in questione non sarebbe
stata neppure menzionata.
Del pari non condiviso
è l’assunto secondo il quale la nomina – tenuto conto delle modifiche
introdotte dal d.l. n. 174 del 2012 – potendo
riguardare sia il Presidente della Regione sia altro soggetto, sarebbe stata
conferita al primo per una scelta discrezionale del Governo. Si osserva,
infatti, che la delibera espressamente riferisce «di dover procedere» alla
nomina del Presidente della Regione, dal momento che il d.l.
n. 174 del 2012 aveva introdotto nella legge n. 191 del 2009 il comma 84-bis,
che – nel testo vigente alla data di adozione di quella delibera – stabiliva
che «in caso di dimissioni o di impedimento del presidente della regione il
Consiglio dei ministri nomina un commissario ad acta, al quale spettano i
poteri indicati nel terzo e quarto periodo del comma 83 fino all’insediamento
del nuovo presidente della regione o alla cessazione della causa di
impedimento. Il presente comma si applica anche ai commissariamenti disposti ai
sensi dell’articolo 4, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159,
convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, e
successive modificazioni».
Tale disposizione,
dunque, non lasciava alcuna discrezionalità, obbligando il Governo a nominare
commissario il neoeletto Presidente della Regione.
Non vi sarebbe dunque
stata alcuna "inalveazione”, quanto al succedersi delle nomine, nella
disciplina di cui alla legge n. 191 del 2009, la quale si è aggiunta, senza
abrogarla, alla disciplina di cui all’art. 4 del d.l.
n. 159 del 2007, che continua a rappresentare la disciplina base del
commissariamento della Regione, come è dimostrato dal fatto che essa
costituisce la prima delle fonti normative citate anche nell’ultima delibera di
nomina del 7 dicembre 2018.
Il tutto, a
testimonianza, non solo della ammissibilità del ricorso, ma anche della
fondatezza della censura relativa alla violazione del principio di affidamento.
3.1.– Si contesta anche
l’assunto dell’Avvocatura generale dello Stato secondo il quale la mancata
impugnativa dell’art. 25-septies del d.l. n. 119 del
2018, nella parte in cui si stabiliscono i requisiti professionali del
commissario, imporrebbe comunque di nominare un tecnico anziché un "politico”:
la Regione, infatti, avrebbe impugnato l’articolo nella sua interezza; per
altro verso, è ovvio che la contestazione concernente la nomina di un tecnico assorbe
il profilo relativo ai requisiti di professionalità.
3.2.– Infondato viene
ritenuto anche l’assunto secondo il quale la Regione non sarebbe legittimata a
dolersi della violazione dell’art. 77 Cost., in quanto nella specie la
disciplina censurata sarebbe espressione del potere sostitutivo che spetta
soltanto allo Stato. Si osserva, infatti, in via generale, che la competenza
statale esclusiva non esclude affatto che il suo esercizio possa determinare
interferenze rispetto ad attribuzioni costituzionali regionali, così come la
legislazione regionale può incidere sulle competenze commissariali, come è
dimostrato dalle varie pronunce – adottate proprio in forza dell’art. 120 Cost.
– che hanno dichiarato incostituzionali leggi regionali che interferivano con
l’esercizio delle attribuzioni commissariali.
È dunque censurabile da
parte della Regione – sostiene la ricorrente – una norma che si deduca essere
adottata in violazione dell’art. 77 Cost., proprio per la "ridondanza” che la
materia presenta rispetto alle competenze regionali, come richiesto dalla
giurisprudenza costituzionale.
Si ribadisce, poi, la
fondatezza della questione, non apparendo corretti i rilievi svolti al riguardo
dall’Avvocatura generale dello Stato. Sarebbe irrilevante, infatti, la circostanza
che la materia dei commissariamenti sia stata fra l’altro disciplinata in leggi
finanziarie e riguardi il coordinamento della finanza pubblica, in quanto, ove
il rilievo fosse corretto, il decreto fiscale potrebbe «legittimamente ospitare
– specie se, come nel caso di specie, aggiunte in blocco in sede di conversione
– norme concernenti tutte le questioni e le materie possibili e immaginabili,
purché abbiano un qualche collegamento con la finanza pubblica (istruzione,
giustizia, previdenza, difesa, etc.)».
3.3.– A proposito del
secondo e terzo motivo di ricorso – con i quali si deduceva, sotto diversi
profili, la violazione degli artt. 3, 97, 117, terzo comma, 118 e 120 Cost. –
si contesta la tesi della Avvocatura secondo la quale la materia dei commissariamenti
riguarderebbe il potere sostitutivo che appartiene esclusivamente allo Stato,
in quanto la stessa coinvolgerebbe i piani di rientro che – come affermato da
questa Corte – riguardano un duplice ambito di potestà legislativa concorrente,
individuato nella tutela della salute e nel coordinamento della finanza
pubblica.
Sul potere sostitutivo,
peraltro, è lo stesso art. 120 Cost. ad evocare il principio di sussidiarietà e
la leale collaborazione: sicché, circoscrivere tali principi alla sola fase antecedente
al commissariamento equivarrebbe a travisare il dettato costituzionale, in
quanto detti principi non riguardano solo l’an, ma
anche il quomodo del commissariamento, consentendo
alla Regione di esporre le ragioni per le quali sia preferibile mantenere in
capo al titolare di un incarico regionale il ruolo di commissario ad acta, e
rispettare così la sussidiarietà attraverso il coordinamento operativo con la
istituzione regionale.
Quanto ai profili di
irragionevolezza ed antieconomicità, si osserva come
le censure si incentrino sulla aprioristica scelta di un commissario esterno
alla Regione, senza consentire a quest’ultima di suggerire soluzioni
alternative.
Si insiste, poi, sulla
censura di violazione del principio di affidamento, in quanto la tesi della
Avvocatura, secondo la quale la censura stessa sarebbe priva di interesse,
attestata dalla nomina di un soggetto esterno alla Regione, si rivela fallace,
essendo stata la nomina in questione impugnata sia davanti al tribunale
amministrativo regionale competente sia attraverso il conflitto proposto alla
Corte costituzionale e iscritto al n. 2 del 2019 del registro conflitti tra
enti.
3.4.– Quanto al merito,
si richiamano le varie vicende del commissariamento regionale, dalle quali
emergerebbe che per le Regioni commissariate ai sensi dell’art. 4, comma 2, del
d.l. n. 159 del 2007, come la Regione Molise,
all’epoca dei vari provvedimenti non risultava vigente una normativa di
incompatibilità tra la carica di commissario ad acta ed eventuali incarichi regionali.
Irrilevanti sarebbero,
infine, i rilievi svolti dalla Avvocatura generale dello Stato in merito alle
difficoltà finanziarie della sanità molisana, trattandosi di situazione che
prescinde dalla identità del commissario nominato.
4.– A seguito del rinvio
della udienza, la Regione Molise ha depositato il 1° ottobre 2019 ulteriore
memoria, ribadendo la fondatezza tanto del ricorso n. 31 del 2019 quanto del
ricorso per conflitto fra enti n. 2 del 2019, sottolineando come la sentenza di questa
Corte n. 200 del 2019, con la quale è stato respinto il ricorso per
conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Calabria nei confronti dello
Stato, in riferimento alla delibera di nomina del commissario e del
sub-commissario per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del
servizio sanitario, conforterebbe la fondatezza dei ricorsi della stessa
Regione Molise.
Da un lato, infatti, le
censure proposte dalla Regione Calabria si fondavano su circostanze diverse e
peculiari; dall’altro, le situazioni di criticità riscontrate nella gestione
commissariale di quella Regione non sarebbero ravvisabili nel caso della
Regione Molise. Dalla riunione congiunta del Tavolo tecnico per la verifica
degli adempimenti regionali emergerebbe, infatti, che per il 2017 – sotto la
gestione commissariale del Presidente della Regione – i livelli essenziali di
assistenza (d’ora in avanti: LEA) hanno superato la soglia di sufficienza,
mentre al contrario, dal verbale della riunione del 24 luglio 2019, i dati
acquisiti del tavolo tecnico dimostrano che la gestione affidata a soggetto
estraneo alla amministrazione regionale «presenta persistenti criticità,
evidenziate nelle conclusioni del Verbale stesso».
5.– Anche il Presidente
del Consiglio dei ministri ha depositato il 1° ottobre 2019 memoria nella
quale, in riferimento alla questione di legittimità costituzionale sollevata
dalla Regione Molise con il ricorso n. 31 del 2019, ha in larga misura
rievocato le deduzioni svolte nella memoria di costituzione. Si ribadisce, in
particolare, che la Regione non avrebbe impugnato l’art. 25-septies del d.l. n. 119 del 2018 nella parte in cui – comma 2, lettera
b) – sono stabiliti i requisiti professionali che deve possedere il commissario
ad acta; requisiti che certamente il Presidente della Ragione non possiede. La
tesi opposta sostenuta dalla Regione è, comunque sia, non conferente, in quanto
la materia del commissariamento rientra nell’ambito del potere sostitutivo
esclusivo dello Stato. L’assunto secondo il quale la previsione di requisiti
ridondi a danno delle competenze legislative ed amministrative regionali in
tema di tutela della salute e coordinamento della finanza pubblica sarebbe
privo di fondamento, in quanto una lesione delle prerogative regionali potrebbe
ipotizzarsi solo se il commissariamento della Regione fosse stato disposto in
mancanza di un disavanzo strutturale in materia sanitaria.
Neppure in astratto,
infatti, potrebbe realizzare un vulnus delle competenze regionali la previsione
di determinati requisiti in capo a coloro che sono nominati all’incarico
commissariale, trattandosi di organo straordinario e temporaneo dello Stato,
cui compete stabilirne i requisiti. Rientra dunque nei poteri sostitutivi
quello di individuare anche le incompatibilità e le caratteristiche
professionali del commissario.
5.1.– Si ribadisce,
poi, che non sarebbe violato l’art. 77 Cost., in quanto la norma censurata è
stata deliberata non dal Governo ma dal Parlamento, e sarebbe, comunque sia,
materia estranea alle competenze regionali. La disposizione, d’altra parte,
avrebbe attinenza alla materia del decreto, vale a dire quella
economico-finanziaria, posto che la disciplina dei piani di rientro e del
commissariamento atterrebbero alla finanza pubblica ed alle politiche di
bilancio.
5.2.– Viene anche
ulteriormente sottolineato che il principio di leale collaborazione che si
assume violato non riguarda, per principio, l’attività di normazione, mentre
quel principio assumerebbe rilievo solo per la fase del procedimento che
conduce al commissariamento, senza coinvolgere i requisiti per l’assunzione di
quell’incarico. Requisiti che possono riguardare sia i commissariamenti futuri
sia quelli in atto, non rilevando la distinzione basata sulla colpevolezza o
meno delle pregresse gestioni, stante la esigenza di uniformità di disciplina e
l’assenza di finalità "sanzionatorie” della norma censurata. La finalità è,
anzi, di tipo "preventivo”, mirando a porre il commissario al riparo da
interferenze regionali.
Considerato
in diritto
1.– La Regione Molise
propone ricorso in via principale avverso l’art. 25-septies, commi 1, 2 e 3,
del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale
e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n.
136, nella parte in cui tale norma dispone la incompatibilità del conferimento
e del mantenimento dell’incarico di commissario ad acta per l’attuazione del
piano di rientro dal disavanzo sanitario delle Regioni con l’espletamento di
incarichi istituzionali presso la Regione soggetta a commissariamento e
stabilisce la applicabilità della incompatibilità anche per gli incarichi
commissariali in corso alla data di entrata in vigore della legge di
conversione, introduttiva del citato articolo, con la conseguente decadenza
dall’incarico commissariale dei Presidenti di Regione a far data dalla nomina
dei nuovi Commissari ad acta.
1.1.– La disciplina
censurata contrasterebbe, ad avviso della Regione ricorrente, con vari
parametri di costituzionalità.
Risulterebbe, infatti,
anzitutto violato l’art. 77 della Costituzione in riferimento alle attribuzioni
costituzionali riconosciute alla Regione nelle materie della «tutela della salute»
e del «coordinamento della finanza pubblica», ai sensi dell’art. 117, terzo
comma, e 118 Cost., nonché violazione del principio di leale collaborazione.
Sussisterebbe violazione dell’art. 77 Cost. – con ridondanza sulle attribuzioni
regionali in tema di tutela della salute e di coordinamento della finanza
pubblica – a causa della evidente estraneità della norma impugnata rispetto
alla materia disciplinata dalle altre disposizioni del decreto-legge in cui è
stata inserita in sede di conversione.
Vulnerato sarebbe anche
il principio di leale collaborazione, trattandosi di intervento adottato
unilateralmente dello Stato, senza alcun coinvolgimento della Regione.
1.2.– Viene poi dedotta
la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., nonché la violazione del principio di
leale collaborazione a norma degli artt. 117 e 118 Cost. e degli artt. 117,
terzo comma, 118 e 120 Cost. , in quanto, tenuto conto della funzione dei piani
di rientro e del necessario confronto istituzionale, la norma impugnata avrebbe
generato effetti addirittura dannosi, introducendo, senza alcun coinvolgimento
regionale, una preclusione assoluta, applicabile retroattivamente anche per
quelle Regioni il cui commissariamento è già in atto e che viene ad essere
intaccato dall’innesto di una figura di commissario completamente slegata dalla
istituzione regionale.
1.3.– L’art. 3 Cost.
sarebbe violato anche sotto il profilo della totale assenza di margine di
apprezzamento del caso concreto, tenuto conto del buon andamento della gestione
dei piani di rientro, con evidenti riflessi negativi sulle competenze
regionali, sia amministrative sia legislative, in materia di tutela della
salute e coordinamento della finanza pubblica.
Il medesimo parametro
costituzionale viene evocato anche sotto il profilo del mancato rispetto del
principio di proporzionalità, in quanto la norma impugnata non sarebbe
certamente quella meno pregiudizievole per le attribuzioni costituzionali
regionali, considerato che la stessa impone un onere sproporzionato rispetto al
fine da perseguire, dal momento che non prende in alcuna considerazione le
situazioni specifiche, prescindendo, quindi, dalla bontà o meno della
esperienza commissariale in corso.
1.4.– Si deduce,
inoltre, violazione del principio di ragionevolezza, nonché del principio di
buon andamento della pubblica amministrazione e di leale collaborazione e di
sussidiarietà, di cui agli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost., in quanto
la norma denunciata non rispetterebbe i paradigmi declinati dalla
giurisprudenza di questa Corte in tema di sussidiarietà. Non sussisterebbe, in
particolare, il presupposto della inerzia regionale tale da legittimare
l’intervento normativo, né si sarebbe realizzata alcuna fase di confronto con
la Regione interessata. Non sarebbe stato neppure rispettato il principio di
sussidiarietà, in quanto è stata adottata una soluzione opposta a quella di
privilegiare la prossimità del commissario rispetto all’istituto regionale.
Il tutto, osserva la
Regione ricorrente, in assenza di ragioni particolari atte a giustificare la
scelta operata, con i naturali riverberi negativi sulle attribuzioni regionali,
con specifico riferimento a quelle relative alla tutela della salute.
L’esautoramento regionale sarebbe poi avvenuto, in spregio all’art. 120 Cost.,
senza rispetto del principio di leale collaborazione, generando, anche, la
correlativa violazione del principio di buona amministrazione ex art. 97 Cost.
1.5.– Si lamenta,
altresì, la violazione degli artt. 81 e 97 Cost., in riferimento agli artt.
117, terzo comma, e 118 Cost., nonché in riferimento al principio di leale
collaborazione. La nuova nomina del commissario, infatti, trattandosi di
persona terza rispetto alla amministrazione, e dunque da retribuire ex novo,
comporterà per la Regione nuovi oneri finanziari. Il che genera perplessità per
il fatto che tali nuovi oneri possano essere imposti ad una Regione già
obbligata ad adempiere al piano di rientro delle spese sanitarie.
La esigenza di
contenimento della spesa pubblica, imposta dall’art. 81 Cost., risulterebbe pertanto
frustrata dalla norma censurata, senza che risulti alcuna ragione per
abbandonare il precedente e più economico modello, con conseguente violazione
anche dell’art. 97 Cost.
Scelte, quelle
censurate, che sono state operate in assenza di qualsiasi concertazione.
1.6.– Viene denunciata,
infine, la violazione del principio di affidamento, quale enunciato dalla
giurisprudenza costituzionale, stante la portata sostanzialmente retroattiva
della norma dettata dal comma 3 dell’art. 25-septies impugnato.
La cessazione
automatica del mandato commissariale in corso, a prescindere da qualsiasi
valutazione di opportunità, equivarrebbe, inoltre, ad un intervento sostitutivo
nei confronti della Regione del tutto discrezionale, in violazione del
principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), di quello di buona amministrazione
(art. 97 Cost.), degli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost. e del principio
di leale collaborazione.
2.– L’Avvocatura
generale dello Stato propone una prima eccezione di inammissibilità del ricorso,
fondata sulla carenza di interesse, al lume di una articolata deduzione. Alla
stregua, infatti, della normativa succedutasi nel tempo e del tenore delle
varie delibere di nomina, emergerebbe che il commissariamento della Regione
Molise, originariamente disposto in base all’allora vigente art. 4, comma 2,
del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia
economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale), convertito con
modificazioni nella legge 29 novembre 2007, n. 222, sarebbe successivamente
"transitato” nell’ambito applicativo dell’art. 2 della legge 23 dicembre 2009,
n.191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)».
Pertanto, alla data di
entrata in vigore dell’art. 1, comma 395, della legge 11 dicembre 2016, n. 232
(Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio
pluriennale per il triennio 2017-2019) – che ha eliminato per le Regioni
commissariate la incompatibilità sancita dall’art. 1, comma 569, della legge 23
dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2015)» – la Regione
Molise doveva ritenersi ormai commissariata ai sensi dell’art. 2 della legge n.
191 del 2009, con la conseguente applicabilità della incompatibilità introdotta
dalla legge n. 190 del 2014. La eventuale incostituzionalità della norma
impugnata, pertanto, comporterebbe la reviviscenza della incompatibilità
sancita dall’art. 1, comma 569, della legge n. 190 del 2014, in riferimento
agli incarichi commissariali conferiti ai sensi dell’art. 2, commi 73, 83 e 84
della legge n. 191 del 2009, impedendo il cumulo per la Regione Molise
dell’incarico di commissario con quello di Presidente della Regione.
Da qui, ad avviso della
resistente, la inammissibilità del ricorso per difetto di interesse.
2.1.– La eccezione
sollevata dalla Avvocatura comporta la necessaria disamina del complesso,
articolato e non poco contraddittorio quadro normativo di riferimento, entro il
quale si è snodata, nel corso degli anni, la disciplina dei piani di rientro
delle spese sanitarie, delle correlative procedure di commissariamento e delle
altalenanti scelte operate in ordine alle "qualità” che doveva ricoprire la
persona da nominare quale commissario ad acta per il riordino finanziario delle
spese sanitarie gravanti sui bilanci regionali.
2.1.1.– È noto che, in
considerazione della grave e persistente incapacità di alcune Regioni di
controllare la spesa sanitaria, dando vita a situazioni di deficit strutturali
tali da interagire anche con i livelli delle prestazioni erogabili, a partire
dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311 recante «Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)»,
successivamente oggetto di varie modifiche, il legislatore statale introdusse
un meccanismo articolato che faceva leva sui piani di rientro, in virtù del
quale veniva imposto alle Regioni, che si fossero trovate in una condizione di
sofferenza finanziaria strutturale in materia sanitaria, di sottoporsi ad una
complessa procedura di risanamento, al fine di poter beneficiare del sostegno
finanziario dello Stato ed accedere a nuovi finanziamenti. Gli impegni per il
monitoraggio ed il contenimento e razionalizzazione della spesa sanitaria,
sottoscritti attraverso una apposita intesa Stato-Regioni, erano assoggettati
ad un controllo da parte di organismi appositamente istituiti dalla medesima
intesa.
Al fine di garantire la
realizzazione degli obiettivi stabiliti nei piani di rientro stipulati in base
all’art. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004, il legislatore statale
introdusse una particolare procedura descritta nell’art. 4 del d.l. n. 159 del 2007. In particolare, e per quel che qui
interessa, venne prevista inizialmente una diffida ai sensi dell’art. 8, comma
1, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Attuazione dell’art. 120 della
Costituzione sul potere sostitutivo) nei confronti della Regione che si fosse
resa inadempiente rispetto agli impegni assunti in sede di sottoscrizione dei
piani di rientro e, poi, la nomina, da parte del Presidente del Consiglio dei
ministri, di un commissario ad acta, con il compito di realizzare le finalità
riportate nel piano concordato tra Stato e Regione.
Va peraltro
sottolineato che l’art. 4, comma 2, del d.l. n. 159
del 2007, nella sua formulazione originaria aveva previsto che la nomina a
commissario ad acta fosse incompatibile con l’affidamento o la prosecuzione di
qualsiasi incarico istituzionale presso la Regione soggetta a commissariamento.
Tale incompatibilità è poi venuta meno in ragione della sua espressa
abrogazione ad opera dell’art. 79, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008,
n. 112, (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
compatibilità, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria) convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133.
2.1.2.– La impostatura
dei piani di rientro è stata mantenuta anche nella legge 23 dicembre 2005, n. 266,
recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2006)» (art. 1, comma 277, che recepì la intesa
Stato-Regioni del 23 marzo 2005), nella legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge finanziaria 2007)» (art. 1, comma 796), la quale recepì il Patto per la
salute 2007-2009, nella legge finanziaria n. 191 del 2009, che recepì il Patto
per la salute 2010-2012, di cui alla intesa tra Governo e Regioni del 3
dicembre 2009, ed il cui art. 13, fra l’altro, prevedeva una articolata
procedura di controllo per la gestione del deficit in campo sanitario, con la
procedimentalizzazione di meccanismi di intervento sostituivo a mezzo di
commissari ad acta, nominati nella persona del Presidente della Regione.
L’art. 2, comma 79,
della legge n. 191 del 2009, prevedeva, infatti, che, in caso di mancata
presentazione da parte della Regione del piano di rientro ovvero in caso di
mancata approvazione dello stesso, il Consiglio dei ministri, in attuazione
dell’art. 120 Cost., nominasse il Presidente della Regione quale commissario ad
acta per la predisposizione del piano di rientro e per la sua attuazione.
L’art. 2, comma 83, della stessa legge n. 191 del 2009, prendeva in
considerazione l’ipotesi in cui, pur essendo stato presentato ed approvato il
piano di rientro, ad una verifica dello stesso venisse constatata la
inadempienza della Regione in merito alla realizzazione degli obiettivi tracciati
nel piano. In tal caso, il Consiglio dei ministri diffidava la Regione
interessata ad attuare il piano, adottando altresì tutti gli atti normativi,
amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento
degli obiettivi previsti. A seguito della persistente inerzia della Regione, il
Consiglio dei ministri, in attuazione dell’art. 120 Cost., nominava il
Presidente della Regione commissario ad acta per la intera durata del piano di
rientro; in particolare, il medesimo comma 83 proseguiva affermando che «il
commissario adotta tutte le misure indicate nel piano nonché gli ulteriori atti
e provvedimenti normativi, amministrativi organizzativi e gestionali ad esso
implicati in quanto presupposti o comunque correlati e necessari alla completa
attuazione del piano».
Merita peraltro di
essere rilevato che, nel testo originario del comma 83, figuravano le parole
"il presidente della regione commissario ad acta” che furono sostituite da
quelle «il presidente della regione o un altro soggetto commissario ad acta» ad
opera del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in
materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori
disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con
modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213. Pertanto, a far tempo dalla
entrata in vigore di tale fonte novellatrice, il commissario ad acta poteva
essere scelto anche tra persone diverse dal Presidente della Regione da
commissariare.
Significativa appare
anche la "storia” del comma 84 dell’art. 2 della ricordata legge n. 191 del
2009. Il testo originario stabiliva, infatti, che «Qualora il presidente della
Regione, nominato commissario ad acta per la redazione e l’attuazione del piano
ai sensi dei commi 79 o 83, non adempia in tutto o in parte all’obbligo di
redazione del piano o agli obblighi, anche temporali, derivanti dal piano
stesso, indipendentemente dalle ragioni dell’inadempimento, il Consiglio dei
ministri, in attuazione dell’art. 120 della Costituzione, adotta tutti gli atti
necessari ai fini della predisposizione del piano di rientro e della sua
attuazione. Nei casi di riscontrata difficoltà in sede di verifica e
monitoraggio nell’attuazione del piano, nei tempi o nella dimensione finanziaria
ivi indicata, il Consiglio dei ministri, in attuazione dell’articolo 120 della
Costituzione, sentita la regione interessata, nomina uno o più commissari ad
acta di qualificate e comprovate professionalità ed esperienza in materia di
gestione sanitaria per l’adozione e l’attuazione degli atti indicati nel piano
e non realizzati». (La norma è stata modificata ad opera del comma 569
dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, il quale ha soppresso le parole:
«presidente della regione, nominato» ed ha sostituito le parole «ai sensi dei
commi 79 o 83» con quelle: «, a qualunque titolo nominato»).
La disposizione, anche
nella sua versione originaria, faceva evidentemente riferimento ad una ipotesi
in cui il Presidente della Regione, (che, come si è visto, dal 2012 poteva, ma
non doveva più essere necessariamente nominato commissario ad acta) fosse
risultato inadempiente agli obblighi derivanti dal piano di rientro e stabiliva
un autonomo potere sostitutivo statale attraverso un nuovo commissariamento: da
qui, la previsione dei requisiti di professionalità del nuovo commissario,
ontologicamente "incompatibile” con la persona del Presidente della Regione.
2.1.3.– Un radicale
mutamento di prospettiva venne tracciato nel Patto per la salute 2014-2016, che
formò oggetto della intesa tra Governo e Regioni del 10 luglio 2014. L’art. 12
del protocollo di intesa, infatti, dedicato ai Piani di riorganizzazione
riqualificazione e rafforzamento dei servizi sanitari regionali, espressamente
prevedeva, fra l’altro, «di promuovere l’adozione delle modifiche normative
necessarie affinché, in caso di nuovi commissariamenti, sia previsto che la
nomina a commissario ad acta sia incompatibile con l’affidamento o la
prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la Regione soggetta a
commissariamento»; «che il Commissario ad acta, ove nominato, deve possedere un
curriculum che evidenzi qualificate e comprovate professionalità ed esperienza
di gestione sanitaria anche in base ai risultati in precedenza conseguiti»; «che
i sub Commissari svolgano attività a supporto dell’azione del Commissario,
essendo il loro mandato vincolato alla realizzazione di alcuni o di tutti gli
obiettivi affidati al Commissario con il mandato commissariale, avvalendosi del
personale, degli uffici e dei mezzi necessari all’espletamento dell’incarico di
cui all’articolo 4, comma 2, del decreto – legge n. 259/2007, convertito con
modificazioni, dalla legge n. 222/2007».
L’intesa raggiunta tra
Governo, Regioni e Province autonome, proponeva di introdurre, dunque, per i
futuri commissariamenti, la incompatibilità tra qualsiasi incarico regionale e
l’assunzione della carica di commissario ad acta; ne stabiliva i requisiti di
professionalità, ed espressamente evocava (nella parte dedicata ai sub- commissari),
quale "fonte” degli incarichi, l’art. 4 del d.l. n.
159 del 2007 (norma base, dunque, che permaneva nel tempo, anche a fronte dei
nuovi commissariamenti cui si riferiva la introducenda
incompatibilità di cariche).
2.1.4.– Il contenuto
della intesa fu recepito nella legge finanziaria 2015, in quanto la legge 23
dicembre 2014, n. 190, stabilì, al comma 569, che «La nomina a commissario ad
acta per la predisposizione, l’adozione o l’attuazione del piano di rientro dal
disavanzo del settore sanitario, effettuata ai sensi dell’articolo 2, commi 79,
83 e 84, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni, è
incompatibile con l’affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico
istituzionale presso la regione soggetta a commissariamento.».
La stessa disposizione
prevedeva, poi, che il commissario doveva possedere un curriculum che
evidenziasse «qualificate e comprovate professionalità ed esperienza di
gestione sanitaria anche in base ai risultati in precedenza conseguiti». Sul
piano temporale, inoltre, veniva stabilito che la nuova disciplina trovava
applicazione «alle nomine effettuate, a qualunque titolo, successivamente alla
data di entrata in vigore» della stessa legge.
Il successivo comma 570
dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 stabiliva, a sua volta, che le già
richiamate disposizioni dell’art. 569 si applicavano «anche ai commissariamenti
disposti ai sensi dell’articolo 4, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007,
n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, e
successive modificazioni.» (ancora nella finanziaria del 2015, pertanto, i
commissariamenti di cui all’art. 4 del d.l. n. 159
del 2007 venivano considerati "non assorbiti” dalle successive fonti di novellazione della materia).
2.1.5.– La situazione
muta novamente con la legge finanziaria del 2017
(Legge 11 dicembre 2016, n. 232), giacché, nel corso dei relativi lavori, venne
approvato (con vivaci interventi critici della opposizione, che parlò di
intervento normativo chiaramente diretto a favorire uno specifico Presidente di
Regione commissariata) un emendamento con il quale la pregressa incompatibilità
tra commissario ad acta e Presidente della Regione venne rimosso a decorrere
dalla data di entrata in vigore della stessa legge n. 232 del 2016.
L’art. 1, comma 395,
stabilì, infatti che (il particolare è importante, nella prospettiva della
eccezione di inammissibilità per carenza di interesse sollevata dalla
Avvocatura dello Stato in riferimento al ricorso proposto dalla Regione Molise)
«le disposizioni di cui al comma 569 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre
2014, n. 190, non si applicano alle regioni commissariate ai sensi
dell’articolo 4, comma 2, del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159, convertito,
con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2007, n. 222». A sua volta, il comma
396 dello stesso articolo, abrogava il comma 570 dell’articolo 1 della legge 23
dicembre 2014, n. 190 (il quale, come già accennato, stabiliva la estensione
della incompatibilità anche ai commissariamenti disposti a norma dell’art. 4,
comma 2, del d.l. n. 159 del 2007).
Da tale operazione
normativa, dunque, non veniva "toccato” il regime dei commissariamenti di cui
ai commi 79, 83 e 84 dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009, che avevano
formato oggetto della novellazione operata dall’art.
1, comma 569, della legge n. 190 del 2014, il quale aveva introdotto, per quei
commissariamenti, il meccanismo della incompatibilità fra le note cariche di
commissario ad acta e Presidente della Regione.
3.– Alla stregua di
tale composita evoluzione del quadro normativo può dedursi la infondatezza
della eccezione sollevata dalla Avvocatura generale dello Stato, dal momento
che l’originario "titolo” di commissariamento della Regione Molise,
rappresentato dal più volte richiamato art. 4, comma 2, del d.l.
n. 159 del 2007, non si è affatto "inalveato” – come pretenderebbe la difesa
dello Stato – all’interno della più "matura” e completa disciplina dei
commissariamenti dettata – pur tenendo conto delle articolate sovrastrutturazioni normative che l’hanno attinta,
attraverso le varie fonti novellatrici – dalla legge n. 191 del 2009.
Occorre infatti
rilevare che i commissariamenti più antichi – come quello della Regione Molise,
che ormai ha abbondantemente superato il decennio – non hanno subito una sorta
di "novazione” sul versante della legislazione applicabile, in quanto la base
normativa dalla quale ha tratto origine l’intervento sostitutivo dello Stato è
rimasta intatta nella sua perdurante produzione di effetti, al punto che ha
formato oggetto di espresso richiamo proprio – e da ultimo – ad opera della
norma censurata dal ricorso.
Deve infatti escludersi
che per le Regioni all’epoca già commissariate, la legge n. 191 del 2009 abbia
rappresentato una fonte "novatrice” di tale portata da aver nella sostanza
"sterilizzato” la precedente disciplina. Il riferimento alle Regioni
commissariate ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d.l.
n. 159 del 2007 era stato infatti soppresso dall’art. 1, comma 395, della legge
n. 232 del 2016, che aveva escluso la incompatibilità per quei tipi di
commissariamento, a testimonianza, dunque, della perdurante efficacia di quel
regime di commissariamento. Tant’è che il decreto oggi impugnato si è
ovviamente fatto carico di eliminare quella disposizione, sopprimendo, appunto,
il primo periodo di quel comma.
Ma ugualmente di
rilievo è l’assunto della difesa regionale, laddove evidenzia come l’art. 2,
comma 88, della legge n. 191 del 2009, avesse espressamente chiarito che per le
Regioni già sottoposte a piani di rientro e commissariate alla data del 31
dicembre 2009 restasse fermo l’assetto della gestione commissariale previgente,
pur trovando per esse applicazione le disposizioni dettate dai commi da 80 a 86
dell’art. 2 della stessa legge. Considerazioni, quelle testé svolte, avvalorate
dal fatto che i vari decreti di nomina dei commissari richiamavano tutti l’art.
4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007.
A prescindere, dunque,
dalla validità della tesi secondo la quale dalla eventuale incostituzionalità
deriverebbe una sorta di "reviviscenza retrograda”, che generebbe l’automatico riespandersi delle disposizioni previgenti alle varie
novelle con portata abrogatrice – tesi che non
potrebbe comunque condividersi, in considerazione del fatto che le varie
modifiche succedutesi nel tempo non sono state di abrogazione pura e semplice –
è assorbente rilevare che l’interesse al ricorso risulta asseverato dal fatto
che la eventuale rimozione della incompatibilità, introdotta dalla disposizione
impugnata, lascerebbe inalterato, per le Regioni commissariate ai sensi
dell’art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007, il
quadro normativo previgente, con la conseguente possibilità di designare o
mantenere, quale commissario ad acta, la persona che rivesta un incarico
istituzionale presso la Regione commissariata.
4.– A proposito, poi,
della ulteriore eccezione di inammissibilità per carenza di interesse al
ricorso, proposta dall’Avvocatura generale dello Stato sul presupposto che non
sarebbe stata impugnata la parte della norma che enuncia i requisiti che deve
possedere il commissario ad acta, e che, comunque sia, precluderebbe il
conferimento dell’incarico ad un "politico”, la difesa regionale – a
prescindere da qualsiasi rilievo circa il naturale "assorbimento” di tale
profilo nel quadro delle censure proposte – puntualmente rileva come la
impugnativa della Regione avesse riguardato l’art. 25-septies del d.l. n. 119 del 2018 in tutte le sue parti, addirittura
espressamente enunciando, a pag. 9 del ricorso, proprio il comma 2, lettera b),
della disposizione censurata, ove si dettano, per l’appunto, i requisiti
professionali di cui deve essere in possesso il commissario.
Anche tale eccezione va
dunque disattesa.
5.– Scendendo all’esame
del merito delle singole censure, rilievo pregiudiziale assume la questione
relativa alla prospettata violazione dell’art. 77 Cost., dedotta sul
presupposto che la norma impugnata, inserita in sede di conversione del d.l. n. 119 del 2018, si presenterebbe del tutto estranea
rispetto alla materia disciplinata dalle disposizioni originarie del decreto
stesso.
5.1.– L’Avvocatura
generale dello Stato prospetta la inammissibilità della questione per mancanza
di lesione di attribuzioni regionali e, dunque, per mancanza di ridondanza del
parametro non relativo alle competenze. Altro sarebbe, infatti, la disciplina
dei piani di rientro, altro è la disciplina del commissariamento – oggetto
della norma censurata – che è espressione del potere sostitutivo dello Stato ai
sensi dell’art. 120 Cost., e che rientra nell’ambito della competenza statale
esclusiva. Anche se si tratta di discipline fra loro correlate – soggiunge
l’Avvocatura – nondimeno le stesse devono essere tenute distinte, in quanto
riferite a fasi diverse della procedura finalizzata al risanamento finanziario
dei servizi sanitari: per la prima, attinente alla programmazione ed attuazione
dei Piani di rientro, trova applicazione il principio cooperativo e di
condivisione; per la seconda, riguardante l’intervento sostitutivo dello Stato
attraverso il commissariamento, la competenza legislativa è di esclusiva
spettanza statale.
La tesi della difesa
dello Stato non può, però, essere, nel caso di specie, condivisa.
In linea di massima,
deve infatti ritenersi corretta l’affermazione secondo la quale, una volta
constatato il fallimento dei concordati Piani di rientro, i cui risultati sono
accertati attraverso le periodiche verifiche effettuate nell’ambito di Tavoli
di lavoro cogestiti, l’intervento dello Stato, attraverso l’istituto del
commissariamento, coinvolge una fase di intervento sostitutivo ontologicamente
riservato – sul piano normativo e gestionale – alle scelte statali, nell’ambito
delle attribuzioni devolute e per le finalità indicate dall’art. 120, secondo
comma, Cost.
E deve in proposito
richiamarsi il costante assunto, ribadito da ultimo nelle sentenze n. 195
e n. 194 del
2019, secondo il quale «le Regioni possono evocare parametri di legittimità
costituzionale diversi da quelli che sovrintendono al riparto di competenze tra
Stato e Regioni solo a due condizioni: quando la violazione denunciata sia
potenzialmente idonea a riverberarsi sulle attribuzioni regionali
costituzionalmente garantite […] e quando le Regioni ricorrenti abbiano
sufficientemente motivato in ordine alla ridondanza della lamentata
illegittimità costituzionale sul riparto delle competenze, indicando la
specifica competenza che risulterebbe offesa e argomentando adeguatamente in
proposito».
Occorre peraltro
assegnare il dovuto risalto alla circostanza che, per il concreto atteggiarsi
delle specifiche opzioni esercitate in ambiti pur riservati, lo Stato possa
"incidere” su competenze regionali concorrenti – come la tutela della salute ed
il coordinamento della finanza pubblica – secondo prospettive che la Regione
può rivendicare come menomative, e di là dai limiti
tracciati dalle necessità insite nell’intervento in sussidiarietà.
Ove così non fosse,
d’altra parte, si realizzerebbe una ipotesi di totale sottrazione al controllo
costituzionale da parte delle Regioni, circa i possibili ambiti di interferenza
con le relative attribuzioni, in tutte le ipotesi in cui lo Stato faccia uso
degli eccezionali poteri al medesimo conferiti per surrogare carenze degli enti
locali, in particolare sul versante della tutela dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
Ebbene, nella vicenda
in esame, introducendo la norma impugnata un meccanismo di incompatibilità tra
la carica di commissario ad acta rispetto all’affidamento o alla prosecuzione
di qualsiasi incarico istituzionale presso la Regione commissariata, si
determina una automatica menomazione sul piano delle competenze, anche rispetto
alla previgente disciplina, dal momento che il quadro normativo preesistente
consentiva l’esercizio di quella funzione da parte del Presidente della Regione
commissariata.
Un novum
normativo che finisce, quindi, per determinare (specie per i commissariamenti
in atto, ricoperti da presidenti di Regione, che decadono dall’incarico) una
significativa interferenza nella sfera regionale, anche sul versante del
relativo assetto ordinamentale, riferito, per di più, alla gestione di ambiti
di competenza (sanità e coordinamento della finanza pubblica) concorrenti,
anche se incisi dall’intervento sostitutivo dello Stato.
Non è quindi
contestabile la legittimazione della Regione a far valere i vizi di una
normativa che – pur se inquadrata nell’ambito dell’esercizio del potere sostitutivo
dello Stato – modifica il previgente regime, direttamente riguardante non le
attribuzioni del commissario ad acta in quanto tali, ma la persona che ricopra
l’incarico di Presidente della Regione, assunto come soggetto incompatibile a
svolgere quelle funzioni.
5.2.– Nel merito, la
questione è fondata.
Al riguardo, la
giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni avuto modo di ribadire che
«l’inserimento di norme eterogenee rispetto all’oggetto o alla finalità del
decreto-legge determina la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. Tale
violazione, per queste ultime norme, non deriva dalla mancanza dei presupposti
di necessità e urgenza, giacché esse, proprio per essere estranee e inserite
successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari (sentenza n. 355 del
2010), ma scaturisce dall’uso improprio, da parte del Parlamento, di un
potere che la Costituzione attribuisce ad esso, con speciali modalità di procedura,
allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge» (sentenza n. 22 del
2012).
La legge di conversione
è fonte funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza
di legge ed è caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare e
semplificato rispetto a quello ordinario. Essa non può quindi aprirsi a
qualsiasi contenuto, come del resto prescrive, in particolare, l’art. 96-bis
del regolamento della Camera dei deputati. A pena di essere utilizzate per
scopi estranei a quelli che giustificano l’atto con forza di legge, le
disposizioni introdotte in sede di conversione devono potersi collegare al
contenuto già disciplinato dal decreto-legge, ovvero, in caso di provvedimenti
governativi a contenuto plurimo, «alla ratio dominante del provvedimento
originario considerato nel suo complesso» (sentenza n. 32 del
2014).
D’altra parte, «il
carattere peculiare della legge di conversione comporta anche che il Governo –
stabilendo il contenuto del decreto-legge – sia nelle condizioni di
circoscrivere, sia pur indirettamente, i confini del potere di emendamento
parlamentare. E, anche sotto questo profilo, gli equilibri che la Carta
fondamentale instaura tra Governo e Parlamento impongono di ribadire che la
possibilità, per il Governo, di ricorrere al decreto-legge deve essere
realmente limitata ai soli casi straordinari di necessità e urgenza di cui
all’art. 77 Cost. (sentenze n. 128 del
2008 e n.
171 del 2007)» (sentenza n. 154 del
2015).
È vero – e va ancora
ribadito – che «[l]a legge di conversione […] rappresenta una legge
"funzionalizzata e specializzata” che non può aprirsi a qualsiasi contenuto
ulteriore, anche nel caso di provvedimenti governativi ab origine eterogenei (ordinanza n. 34 del
2013), ma ammette soltanto disposizioni che siano coerenti con quelle
originarie o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista
funzionale e finalistico» (sentenza n. 32 del
2014).
Tuttavia questa Corte
ha anche precisato che la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. per
difetto di omogeneità si determina solo quando le disposizioni aggiunte siano
totalmente «estranee» o addirittura «intruse», cioè tali da interrompere ogni
correlazione tra il decreto-legge e la legge di conversione (sentenza n. 251 del
2014), per cui «Solo la palese "estraneità delle norme impugnate rispetto
all’oggetto e alle finalità del decreto-legge” (sentenza n. 22 del
2012) o la "evidente o manifesta mancanza di ogni nesso di interrelazione
tra le disposizioni incorporate nella legge di conversione e quelle
dell’originario decreto-legge” (sentenza n. 154 del
2015) possono inficiare di per sé la legittimità costituzionale della norma
introdotta con la legge di conversione» (sentenza n. 181 del
2019, nonché, da ultimo, nello stesso senso, sentenza n. 226 del
2019).
5.3.– Ebbene, alla
stregua dei richiamati principi, appare nella specie evidente che tra le norme
che hanno formato oggetto del decreto-legge n. 119 del 2018 e quella oggetto di
scrutinio, inserita ad opera della legge di conversione, non sia intravedibile
alcun tipo di nesso che le correli fra loro, né sul versante dell’oggetto della
disciplina o della ratio complessiva del provvedimento di urgenza, né sotto
l’aspetto dello sviluppo logico o di integrazione, ovvero di coordinamento
rispetto alle materie "occupate” dall’atto di decretazione.
L’originario decreto,
infatti, enunciava i presupposti della straordinaria necessità e urgenza come
raccordati a «misure per esigenze fiscali e finanziarie indifferibili». Il
provvedimento, in particolare, era strutturato in due titoli: il primo, recante
«Disposizioni in materia fiscale», ed il secondo, «Disposizioni finanziarie
urgenti». Il primo titolo era a sua volta suddiviso in tre capi: il primo
recante «Disposizioni in materia di pacificazione fiscale», composto da nove
articoli; il capo II recante «Disposizioni in materia di semplificazione
fiscale e di innovazione del processo tributario», composto di sette articoli;
il capo III recante «Altre disposizioni fiscali», composto da quattro articoli.
Il Titolo II era composto da sette articoli.
Come posto in evidenza
dal Comitato per la legislazione della Camera dei deputati, l’originario decreto-legge
(composto, come si è detto, da 27 articoli) è passato, a seguito dell’esame del
Senato, a 64 articoli complessivi. Il Comitato ha sottolineato, al riguardo,
che il provvedimento appare riconducibile, sulla base del preambolo, a due
distinte finalità: da un lato, quella di introdurre nuovi meccanismi di
carattere fiscale; dall’altro lato, quella di effettuare rifinanziamenti di
significativi stanziamenti di bilancio (quali le risorse destinate al contratto
di programma con le società RFI-Spa, art. 21; quelle per il fondo di garanzia
per le piccole e medie imprese, art. 22; quelle per l’autotrasporto, art. 23;
quelle per le missioni internazionali, art. 24; a queste finalità – ha ancora
osservato il Comitato – se ne aggiunge una terza, per quanto non riportata nel
preambolo, vale a dire quella di intervenire in materia di integrazione
salariale straordinaria, art. 25. «Andrebbe approfondita – rileva il documento
– la riconducibilità a tale perimetro» di varie norme introdotte in sede di
conversione, fra le quali si cita espressamente proprio l’art. «25-septies
(piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario)», che costituisce
oggetto dei ricorsi.
Va infine sottolineato
che il Comitato conclusivamente «raccomanda altresì quanto segue: abbia cura il
Legislatore di volersi attenere alle indicazioni di cui alle sentenze della
Corte costituzionale n. 22 del 2012 e n. 32 del 2014
in materia di decretazione d’urgenza, evitando "la commistione e la
sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e finalità
eterogenei”».
Pertanto, esclusa
qualsiasi pertinenza delle disposizioni di carattere fiscale contenute nel titolo
I del decreto rispetto al tema dei commissari per il ripianamento delle spese
sanitarie regionali, non può non sottolinearsi come del tutto eccentrico
rispetto a quel tema si presenti anche l’oggetto (e la ratio) delle
disposizioni di carattere "finanziario”, posto che gli articoli del decreto
"incasellati” nel titolo II sono dedicati, come si è visto, al finanziamento di
specifiche attività o fondi tutti eterogenei gli uni rispetto agli altri.
D’altra parte, a
segnalare la eccentricità della norma censurata rispetto alla materia del
decreto sta – come correttamente puntualizza la Regione ricorrente – il rilievo
che, in sede di conversione del decreto stesso, il legislatore abbia avvertito
l’esigenza di modificare, in parte qua, proprio la rubrica del titolo II,
introducendo le parole «e disposizioni in materia sanitaria», a testimonianza
della estraneità della norma rispetto al contenuto del provvedimento
convertito.
A tale riguardo,
l’Avvocatura generale dello Stato osserva, da un lato, che la disposizione
oggetto dei ricorsi è intervenuta su norme contenute in due leggi finanziarie,
e dunque rientrerebbe nella "materia finanziaria” che costituisce in parte
oggetto dell’originario decreto. Dall’altro lato, la difesa dello Stato rileva
che la disciplina dei piani di rientro afferisce pacificamente alla materia
della finanza pubblica e, in particolare, alle politiche di bilancio, dal
momento che l’andamento economico della sanità regionale costituisce una
componente essenziale del quadro macroeconomico nazionale, specie con
riferimento proprio al caso dei commissariamenti, che presuppongono uno
squilibrio di gravità tale da imporre interventi immediati sul piano del
contenimento della spesa pubblica, a salvaguardia della unità economica
nazionale e dei livelli essenziali di prestazioni in tema di salute.
A fronte di tali
rilievi deve però rilevarsi che il concetto di "materia finanziaria” si riempie
dei contenuti definitori più vari, in ragione degli oggetti specifici cui essa
risulta in concreto riferita; mentre, non è certo la sedes
in cui la norma risulti inserita (legge finanziaria) quella dalla quale
cogliere quei tratti di univocità di ratio che la difesa della resistente
pretenderebbe desumere.
È proprio perché la
"materia finanziaria” risulta concettualmente "anodìna”
– dal momento che ogni intervento normativo può, in sé, generare profili che
interagiscono anche con aspetti di natura "finanziaria” – che il riferimento ad
essa, come identità di ratio, risulta in concreto non pertinente a fronte di
una disposizione i cui effetti finanziari sono indiretti rispetto all’oggetto
principale che essa disciplina, giacché – ove così non fosse – le possibilità
di "innesto” in sede di conversione dei decreti-legge
di norme "intruse” rispetto al contenuto ed alla ratio complessiva del
provvedimento di urgenza risulterebbero, nei fatti, privata di criteri e quindi
anche di scrutinabilità costituzionale.
La disposizione
impugnata deve pertanto essere dichiarata costituzionalmente illegittima per
violazione dell’art. 77 Cost.
6.– Restano assorbite
le ulteriori censure dedotte dalla Regione ricorrente.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 25-septies del decreto-legge 23
ottobre 2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n. 136.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre
2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI,
Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 4 dicembre 2019.