Sentenza n. 221 del 2022

SENTENZA N. 221

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 64, comma 1, lettera a), 75, comma 1, lettera b), numeri 2), 3), 4) e 5), e lettera c), e 81 della legge della Regione Lazio 11 agosto 2021, n. 14 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità regionale 2021 e modifiche di leggi regionali), e dell’art. 6 della legge della Regione Lazio 30 dicembre 2021, n. 20 (Legge di stabilità regionale 2022), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati l’11 ottobre 2021 e il 28 febbraio 2022, depositati in cancelleria il 19 ottobre 2021 e il 4 marzo 2022, iscritti, rispettivamente, al n. 64 del registro ricorsi 2021 e al n. 24 del registro ricorsi 2022 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, n. 47, dell’anno 2021 e n. 15, dell’anno 2022.

Visti gli atti di costituzione della Regione Lazio, nonché l’atto di intervento di Enel Green Power Italia srl;

udito nell’udienza pubblica del 13 settembre 2022 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;

uditi l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Elisa Caprio per la Regione Lazio;

deliberato nella camera di consiglio del 13 settembre 2022.

Ritenuto in fatto

1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con il primo dei ricorsi indicati in epigrafe (reg. ric. n. 64 del 2021) ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 64, comma 1, lettera a); 75, comma 1, lettera b), numeri 2), 3), 4) e 5), e lettera c), e 81 della legge della Regione Lazio 11 agosto 2021, n. 14 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità regionale 2021 e modifiche di leggi regionali), in riferimento a plurimi parametri costituzionali e interposti.

1.1.− L’impugnato art. 64, comma 1, lettera a), modifica l’art. 54 della legge della Regione Lazio 22 dicembre 1999, n. 38 (Norme sul governo del territorio), recante la disciplina delle trasformazioni urbanistiche in zona agricola, sostituendone il comma 2.

Il ricorrente rileva che la sostituzione determina per larga parte una diversa articolazione del medesimo contenuto normativo, cui si aggiunge la precisazione concernente la possibilità che la «produzione delle energie rinnovabili» avvenga «anche attraverso la realizzazione di impianti di trattamento degli scarti delle colture agricole e dei liquami prodotti dagli impianti di allevamento del bestiame» (art. 54, comma 2, lettera b), numero 6). Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, con la novella in esame il legislatore regionale non è intervenuto sulla disciplina relativa alla tipizzazione delle attività astrattamente previste nelle zone agricole, come tali classificate dagli strumenti urbanistici comunali, ma ha inciso «surrettiziamente sulla disciplina contenuta nel Piano territoriale paesistico regionale in tema di attività in concreto consentite nelle aziende agricole ricadenti in ambiti soggetti a vincolo paesaggistico».

A tale riguardo, l’Avvocatura dello Stato richiama l’art. 52 del piano territoriale paesistico regionale (PTPR) – approvato con deliberazione del Consiglio della Regione Lazio 21 aprile 2021, n. 5 – il cui comma 1 prevede che nell’ambito di aziende agricole in aree vincolate «è consentita la realizzazione di manufatti strettamente funzionali e dimensionati alle attività agricole». Il successivo comma 4 stabilisce, poi, che, previa approvazione di un piano di utilizzazione aziendale (PUA), è altresì consentito l’inserimento di funzioni e attività compatibili ai sensi del citato art. 54, comma 2, lettera b), della legge reg. Lazio n. 38 del 1999. Orbene, al tempo dell’approvazione del PTPR – dunque prima della novella apportata dalla disposizione impugnata con l’odierno ricorso – tale disposizione faceva riferimento, afferma il ricorrente, alle sole «attività di trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali». A seguito della novella, invece, tale rinvio operato dal PTPR assume «un contenuto nettamente più ampio, che esula dalle scelte all’epoca condivise tra Stato e Regione», perché riferibile «anche a tutte le altre “attività multimprenditoriali integrate e complementari con le attività agricole aziendali”».

Sarebbe pertanto evidente che la legge regionale impugnata sia solo apparentemente una formale modifica del citato art. 54, perché invero diretta a modificare unilateralmente il PTPR, la cui revisione, invece, «può avvenire esclusivamente nel rispetto dei presupposti e delle modalità previsti dall’Accordo di copianificazione, sottoscritto congiuntamente con il Ministero della Cultura, ai sensi dell’articolo 143, comma 2, del Codice di settore».

La volontà regionale di ampliare le attività consentite sarebbe altresì dimostrata dalla relazione illustrativa alla proposta di legge regionale, ove si afferma che la novella qui in esame viene disposta per «un necessario coordinamento» con il PTPR. Sennonché, sarebbe evidente che, ove in sede di copianificazione ci fosse stata l’intenzione di consentire nelle aziende agricole in aree vincolate anche attività diverse da quelle di trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali, il rinvio sarebbe stato non soltanto alla lettera b) dell’art. 54, comma 2, della legge reg. Lazio n. 38 del 1999, ma all’intero detto comma.

Operando una modifica unilaterale del piano paesaggistico approvato d’intesa con lo Stato, la norma impugnata violerebbe allora l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in quanto in contrasto con gli artt. 135, 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).

Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva, infatti, che con tale decreto legislativo è stata innovata la disciplina in materia di pianificazione paesaggistica, introducendo in particolare il principio della pianificazione congiunta (artt. 135, comma 1, e 143, comma 2), la quale prevede «per ciascuna area tutelata, le c.d. prescrizioni d’uso (e cioè i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e stabilisce la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni». In tal modo, è stata assegnata al piano paesaggistico «una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale», presidiata dalla sua inderogabilità da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, dalla sua cogenza rispetto agli strumenti urbanistici nonché dalla sua prevalenza su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica, come la giurisprudenza di questa Corte avrebbe più volte rilevato (sono richiamate le sentenze n. 86 del 2019, n. 272 del 2009, n. 180 del 2008 e n. 182 del 2006). La norma regionale impugnata, pertanto, sarebbe in contrasto con tale normativa statale, perché ha indirettamente modificato, in via unilaterale, il piano paesaggistico.

Oltre alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., il ricorrente lamenta anche quella dell’art. 9 Cost., in quanto sarebbe stato determinato un abbassamento del livello di tutela del paesaggio, che ha il rango di valore primario e assoluto (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 367 del 2007), nonché quella del principio di leale collaborazione, il quale impone alle parti di rispettare gli impegni assunti in accordi ufficiali (sono citate le sentenze di questa Corte n. 240 del 2020 e n. 31 del 2006).

1.2.− L’impugnato art. 75, comma 1, lettera b), numeri 2), 3), 4) e 5), e lettera c), modifica l’art. 3.1 della legge della Regione Lazio 16 dicembre 2011, n. 16 (Norme in materia ambientale e di fonti rinnovabili), con disposizioni che però sarebbero in contrasto con i princìpi fondamentali dettati dal legislatore statale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», che non tollerano eccezioni sul territorio nazionale (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 69 del 2018) e nel cui ambito va ricondotta la disciplina degli impianti di energia da fonti rinnovabili, regolata dal decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) (è citata la sentenza di questa Corte n. 189 del 2014).

1.2.1.− L’art. 75, comma 1, lettera b), numeri 2), 3), 4) e 5), in particolare, modifica l’art. 3.1 della predetta legge regionale, dettando una serie di norme in materia di individuazione delle aree non idonee all’installazione di impianti fotovoltaici, fissando in particolare al 30 giugno 2022 il termine entro il quale i comuni devono individuare dette aree.

Il ricorrente riferisce di essere consapevole che questa Corte, con la sentenza n. 141 del 2021, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 11, della legge della Regione Lazio 27 febbraio 2020, n. 1 (Misure per lo sviluppo economico, l’attrattività degli investimenti e la semplificazione), che ha sancito la competenza comunale all’individuazione delle predette aree, ma ritiene che la questione andrebbe riesaminata alla luce del mutamento del quadro normativo interposto.

Il tema delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili, infatti, è stato affrontato dall’art. 5, comma 1, lettere a) e b), della legge 22 aprile 2021, n. 53 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2019-2020), in attuazione del quale il Governo, il 5 agosto 2021, ha adottato il relativo schema di decreto legislativo, il cui art. 20 detta la disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili. Riportato il testo delle disposizioni evocate, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che, nelle more della definitiva approvazione dello schema di decreto legislativo, in virtù del principio di leale collaborazione la Regione Lazio dovrebbe scongiurare «l’introduzione di discipline anticipatorie degli effetti attuativi, nonché derogatorie, implicanti, medio tempore, potenziali effetti distorsivi».

1.2.2.− L’art. 75, comma 1, lettera c), prevede poi l’inserimento nella legge reg. Lazio n. 16 del 2011 dell’art. 3.1.1, che istituisce il gruppo tecnico interdisciplinare per l’individuazione delle aree idonee e non idonee FER (fonti energetiche rinnovabili).

Riportata per esteso la disposizione impugnata, il ricorrente rammenta che il piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) – inviato alla Commissione europea dal Governo italiano a fine 2019 in attuazione del regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla governance dell’Unione dell’energia e dell’azione per il clima che modifica le direttive (CE) n. 663/2009 e (CE) n. 715/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 94/22/CE, 98/70/CE, 2009/31/CE, 2009/73/CE, 2010/31/UE, 2012/27/UE e 2013/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive del Consiglio 2009/119/CE e (UE) 2015/652 e che abroga il regolamento (UE) n. 525/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio – demanda alle regioni, «sulla base di criteri previamente stabiliti e condivisi, l’individuazione delle aree idonee e non idonee per la localizzazione di impianti a fonte rinnovabile». L’obiettivo della individuazione concertata è «quello di favorire lo sviluppo coordinato di impianti, rete elettrica e sistemi di accumulo».

La richiamata legge n. 53 del 2021, a tal fine, coinvolge i ministeri di riferimento nello stabilire i criteri e attribuisce «la titolarità del processo programmatorio alle Regioni e Province autonome». Lo schema di decreto legislativo, all’art. 20 e in linea con la legge di delega, attribuisce alle regioni e alle province autonome il compito di individuare le aree idonee.

Ne conseguirebbe che la disposizione in esame sarebbe in contrasto «per i motivi dianzi rassegnati» con l’art. 117, commi primo, secondo, lettere e) e s), e terzo, Cost. «in riferimento ai citati parametri statali ed eurounitari dianzi citati».

1.2.3.− L’art. 75, comma 1, lettera b), numero 5), è impugnato altresì nella parte in cui introduce i nuovi commi 5-quater e 5-quinquies dell’art. 3.1 della legge reg. Lazio n. 16 del 2011. Sono disposizioni attraverso le quali il legislatore regionale dispone «una sospensione dei procedimenti autorizzativi per la costruzione ed esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili ivi indicati (c.d. “moratorie”) per otto mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge regionale in esame».

L’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003 prevede che l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili è rilasciata nell’ambito di un procedimento unico cui partecipano tutte le Amministrazioni interessate e che deve concludersi entro novanta giorni, al netto dei tempi previsti per il provvedimento di valutazione di impatto ambientale di cui all’art. 26 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale): si tratta di un termine che la giurisprudenza costituzionale avrebbe qualificato quale principio fondamentale nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».

Le norme impugnate, stabilendo invece la sospensione del rilascio delle autorizzazioni, si porrebbero pertanto in contrasto con tale principio, come questa Corte avrebbe riconosciuto in relazione a norma analoga nella sentenza n. 364 del 2006 e in base a princìpi recentemente ribaditi nella sentenza n. 177 del 2021.

Il richiamato principio fondamentale, d’altro canto, attua l’art. 13 della direttiva n. 2009/28/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/C, poi ripreso dall’art. 15 della direttiva n. 2018/2001/UE, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (rifusione), sicché le norme impugnate contrasterebbero anche con l’art. 117, primo comma, Cost.

Infine, le norme regionali in esame sarebbero lesive anche degli artt. 41 e 97 Cost., perché la sospensione del potere autorizzativo in relazione ad attività promossa e incentivata dall’ordinamento nazionale ed europeo «costituirebbe un grave ostacolo all’iniziativa economica nel campo della produzione energetica da fonti rinnovabili», come questa Corte avrebbe già riconosciuto nella sentenza n. 177 del 2018.

1.3.− L’impugnato art. 81 dispone la modifica della perimetrazione del parco regionale dell’Appia Antica, riducendone i confini.

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la norma regionale sarebbe in palese contrasto con gli artt. 22, comma 1, lettere a) e c), e 23 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), in quanto non sarebbe stato rispettato quanto ivi previsto con riferimento alla partecipazione degli enti locali nella variazione dei confini del parco.

Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta, poi, la violazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, che impone la valutazione ambientale strategica (VAS) per quei piani che possono avere «impatti significativi sull’ambiente» e sul patrimonio culturale. A parere del ricorrente – in linea con quanto previsto dalla direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, secondo la quale le disposizioni di tale direttiva devono essere interpretate in senso ampio (è richiamata la sentenza 22 marzo 2012, in causa C-567/10, Inter-Environnement Bruxelles ASBL e altri, paragrafi da 24 a 43), e dal documento della Commissione europea «Attuazione della direttiva 2001/42/CE concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente» – la VAS deve «essere prevista per tutte quelle decisioni che determinano effetti sulle modalità di uso di una determinata area, provocandone un sostanziale cambiamento». Nel caso di specie, tra l’altro, la riperimetrazione «interessa “piccole aree a livello locale”» e si traduce in una «modifica minore» al piano previgente, sicché dovrebbe essere l’autorità competente a valutare se la riperimetrazione possa produrre impatti significativi sull’ambiente, derivandone l’«assoggettamento a verifica di assoggettabilità a VAS» o, in assenza dei presupposti, l’esonero da tale verifica.

Al contempo, e «in maniera conseguenziale», la disposizione censurata violerebbe altresì l’art. 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, come recepito dall’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 12 marzo 2003, n. 120 (Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, concernente attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche), il quale imporrebbe la sottoposizione di piani e programmi alla valutazione di incidenza ambientale (VINCA). A tale riguardo, il Presidente del Consiglio dei ministri richiama la sentenza n. 38 del 2015 di questa Corte, la quale ha affermato che la disciplina in tema di VINCA è espressione della competenza legislativa esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» e condiziona, pertanto, la legislazione regionale.

D’altra parte – continua il ricorrente – la legge della Regione Lazio 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali), non prevede che la modifica della perimetrazione di un parco naturale regionale possa effettuarsi con legge, prevedendo al contrario che il relativo piano, che include la perimetrazione definitiva dell’area naturale protetta, sia aggiornato almeno ogni dieci anni, secondo un procedimento – espressamente richiamato – che coinvolge l’ente di gestione, la Giunta regionale, gli enti locali interessati e il Consiglio regionale (art. 26, comma 5-bis).

Risulterebbe chiaro, pertanto, che la riperimetrazione avrebbe dovuto seguire o l’iter previsto dalla legge n. 394 del 1991 per l’istituzione di un parco, ovvero quello previsto dalla legge reg. Lazio n. 29 del 1997 per l’aggiornamento del piano del parco, come questa Corte avrebbe riconosciuto nella sentenza n. 134 del 2020.

Il ricorrente prende atto della circostanza per cui la modifica del perimetro del parco è stata preceduta dalle prescritte procedure di consultazione e partecipazione pubblica di cui all’art. 22, comma 1, lettera a), della legge n. 394 del 1991, «nondimeno, la lettera della norma stessa non rende chiaro siffatto aspetto istruttorio».

Richiamando la sentenza n. 276 del 2020 di questa Corte – la quale avrebbe affermato che in caso di riduzione del parco la legge deve dettare misure di salvaguardia che possano essere successivamente tradotte nel piano del parco, pena la sua illegittimità – la difesa del ricorrente afferma che la riperimetrazione di un parco per sottrazione di una determinata area può avvenire soltanto attraverso l’approvazione di un aggiornamento al piano del parco.

Il Presidente del Consiglio dei ministri conclude, pertanto, per la illegittimità costituzionale dell’impugnato art. 81 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto contrastante con gli standard di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema posti dal legislatore statale.

2.− Con atto depositato l’8 novembre 2021, la Regione Lazio si è costituita in giudizio, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque non fondato.

2.1.− La difesa della resistente muove dalla questione di legittimità costituzionale avente per oggetto l’art. 64, comma 1, lettera a), della legge reg. Lazio n. 14 del 2021, in relazione alla quale reputa necessario procedere al corretto inquadramento del procedimento di formazione e approvazione del PTPR, che mostrerebbe la non fondatezza della censura.

Le norme del PTPR, infatti, sono l’esito di un lavoro istruttorio condotto per mezzo di un tavolo congiunto tra il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo – oggi Ministero della cultura – e la Regione Lazio, che ha trovato formalizzazione in un documento, allegato all’atto di costituzione, sottoscritto dalle parti in data 18 dicembre 2019. Con questo documento, è stato condiviso e formalizzato il contenuto normativo del PTPR, parte integrante e sostanziale di detto documento, cui è allegato, «al fine del raggiungimento dell’accordo previsto dagli artt. 143 e 156 del d.lgs. 42/2004». Con successiva nota del 3 febbraio 2020, il Ministero ha trasmesso il medesimo testo del PTPR, invitando il Presidente della Regione Lazio a sottoporre lo stesso all’approvazione del Consiglio regionale, avvenuta, senza modifiche o integrazioni, con deliberazione n. 5 del 21 aprile 2021. A seguito dell’accordo istituzionale del 27 maggio 2021 tra Ministro della cultura e Presidente della Regione Lazio, il PTPR è stato pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Lazio 10 giugno 2021, n. 56, supplemento n. 2. Il PTPR – conclude sul punto la difesa della resistente – è stato dunque elaborato congiuntamente tra Regione e Ministero nel 2019.

2.1.1.− Ciò premesso, la Regione Lazio osserva che l’art. 52, comma 4, del PTPR consente l’inserimento, nelle aziende agricole ricadenti in aree vincolate paesaggisticamente, delle funzioni ed attività con queste compatibili elencate all’art. 54, comma 2, lettera b), della legge reg. Lazio n. 38 del 1999. Si tratta di un rinvio fisso o recettizio, in quanto il PTPR è frutto dell’attività di copianificazione, sicché «è da escludere che la Regione possa unilateralmente modificare le norme del PTPR incidendo sul contenuto delle disposizioni regionali cui queste fanno rinvio».

Orbene, quando è stato sottoscritto il documento di condivisione istituzionale del PTPR nel dicembre 2019 – ovvero, quando è stato formalizzato il testo del PTPR, rimasto inalterato sino alla sua approvazione nel 2021 – l’art. 54, comma 2, della legge reg. Lazio n. 38 del 1999, introdotto dall’art. 20 della legge della Regione Lazio 10 agosto 2016, n. 12 (Disposizioni per la semplificazione, la competitività e lo sviluppo della Regione) e poi modificato dall’art. 10 della legge della Regione Lazio 18 luglio 2017, n. 7 (Disposizioni per la rigenerazione urbana e per il recupero edilizio), aveva una formulazione in base alla quale la lettera b) comprendeva «tutte le attività compatibili con la destinazione agricola (definite anche “integrate e complementari”)»: ed è a queste norme che deve intendersi il rinvio operato dal PTPR, perché si tratta delle norme vigenti al momento della sua concertazione istituzionale. Diversamente, le successive modifiche della disposizione cui il PTPR rinvia avrebbero l’effetto, inammissibile, di modificare il contenuto di quest’ultimo.

Con l’art. 6, comma 1, lettera a), della legge reg. Lazio n. 1 del 2020, il citato art. 54, comma 2, è stato oggetto di una prima riformulazione – che rispondeva ad «esigenze di razionalizzazione e riorganizzazione» della legge reg. Lazio n. 38 del 1999 – all’esito della quale la lettera b) faceva riferimento alle sole attività di «trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali». Trattasi di modifica che, sull’art. 52, comma 4, del PTPR, avrebbe effetti in senso restrittivo, perché nelle zone agricole vincolate sarebbero consentite non tutte le attività compatibili con la destinazione agricola, ma soltanto quelle di cui alla riformulazione: trattandosi, tuttavia, di modifica successiva alla condivisione istituzionale delle norme del PTPR, essa è espressiva della sola volontà regionale e non può dunque incidere su quest’ultimo.

Sennonché, entrato in vigore nel 2021 il PTPR, «si è verificato che gli operatori davano applicazione» a quest’ultimo in base alla formulazione dell’art. 54, comma 2, lettera b), della legge reg. Lazio n. 38 del 1999 come disposta con la legge reg. Lazio n. 1 del 2020. Il legislatore regionale, pertanto, con la norma impugnata ha inteso tornare alla formulazione vigente al momento della condivisione del PTPR con il Ministero, al fine di evitare un’applicazione di quest’ultimo non conforme alla volontà espressa dalle parti istituzionali. Ne consegue che con l’art. 64, comma 1, lettera a), della legge reg. Lazio n. 14 del 2021 il legislatore regionale «in alcun modo ha voluto surrettiziamente e unilateralmente» incidere sul PTPR, ma ne ha invece voluto «garantire il rispetto sostanziale», «tornando sostanzialmente alla formulazione originaria»: di qui, secondo la resistente, l’infondatezza del ricorso, giacché lo Stato pretenderebbe di applicare una normativa non esistente al momento dell’accordo tra Regione Lazio e Ministero della cultura sul testo del PTPR.

Del resto – aggiunge in conclusione la difesa della Regione Lazio – anche l’accordo istituzionale tra Presidente della Regione e Ministro della cultura del 27 maggio 2021, agli artt. 1, comma 4, e 2, comma 1, espressamente si riferisce al testo del PTPR sottoscritto nel dicembre 2019, di modo che non può dubitarsi che «i rinvii recettizi in esso contenuti devono intendersi alle discipline in quel momento vigenti, rimanendo in tal modo irrilevanti tutte le modifiche successivamente intervenute» e che, pertanto, la Regione non ha violato con la norma impugnata i princìpi di rango statale di copianificazione e di leale collaborazione.

2.2.− Con riferimento all’impugnazione dell’art. 75, comma 1, lettera b), numeri 2), 3), 4) e 5), e lettera c), la Regione Lazio rileva, innanzitutto, che lo schema di decreto legislativo evocato dal ricorrente, non essendo ancora stato approvato, «non potrebbe costituire presupposto per una eventuale pronuncia di illegittimità della norma regionale».

2.2.1.− Per quel che riguarda la censura rivolta all’art. 75, comma 1, lettera b), in base alla quale il legislatore regionale avrebbe dovuto tener conto almeno della normativa dettata dalla legge delega n. 53 del 2021, la difesa della resistente rappresenta che le norme impugnate hanno «come scopo quello di precisare la tempistica per l’individuazione delle aree non idonee da parte dei comuni, nonché le attività di supporto ai comuni stessi e l’esercizio del potere sostitutivo regionale in caso di inerzia». Tale normativa non precluderebbe certo alla Regione «un successivo intervento legislativo di attuazione del decreto legislativo di recepimento della Direttiva UE 2018/2001», non appena questo sarà entrato in vigore.

2.2.2.− Per quel che concerne, invece, l’impugnazione dell’art. 75, comma 1, lettera c), la Regione Lazio, descrittone il contenuto normativo e richiamato quello della normativa interposta evocata dal ricorrente, osserva che quella regionale è dichiaratamente una «disciplina di natura transitoria», in attesa del recepimento della richiamata direttiva per opera del legislatore delegato, cui sarà data «piena attuazione» provvedendo ad adeguare la normativa regionale.

2.3.− Non fondate sarebbero anche le censure aventi ad oggetto l’art. 75, comma 1, lettera b), nella parte in cui, al numero 5), introduce i commi 5-quater e 5-quinquies dell’art. 3.1 della legge reg. Lazio n. 16 del 2011.

La difesa della resistente afferma che le disposizioni introdotte dal legislatore regionale devono essere interpretate «letteralmente». Ciò dovrebbe portare a concludere, con riferimento alle installazioni di fotovoltaico posizionato a terra di grandi dimensioni, che non sono stati sospesi i termini di conclusione dei procedimenti, «bensì soltanto le installazioni». Per quanto attiene, invece, alle nuove autorizzazioni di impianti di produzione di energia eolica, la disposta sospensione di otto mesi «non costituisce altro che un termine massimo», non essendo dunque esclusa la possibilità che i comuni individuino le aree non idonee in un termine inferiore; inoltre, la sospensione dovrebbe intendersi «riferita alle sole nuove domande di autorizzazione e non a quelle già presentate». Tutto ciò varrebbe a escludere la violazione dell’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003.

Le norme impugnate, inoltre, sarebbero proporzionate – in quanto limitate nel tempo – e necessarie – in quanto volte a tutelare l’ambiente – sicché non potrebbero dirsi in contrasto con l’art. 13 della direttiva n. 2009/28/CE.

Neppure, infine, potrebbero dirsi violati gli artt. 41 e 97 Cost. Nella sentenza n. 177 del 2018 questa Corte ha sì dichiarato costituzionalmente illegittima una simile legge regionale campana, ma perché essa disponeva una sospensione dei termini per il rilascio delle autorizzazioni «in via generale». La normativa regionale impugnata, invece, prevederebbe una sospensione «puntuale e ben delimitata», finalizzata a contemperare l’interesse a una massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili con quelli ambientali.

2.4.− La Regione Lazio, infine, reputa non fondate anche le censure che il ricorrente rivolge all’art. 81 della impugnata legge regionale.

Premesso che, a parere della difesa della resistente, questa Corte con la sentenza n. 276 del 2020 avrebbe già riconosciuto la piena legittimità della «modalità di modifica del perimetro del Parco con legge e [del]la procedura seguita», si afferma, innanzitutto, che con la norma impugnata «si è sostanzialmente posto fine ad un errore di graficizzazione», in quanto si è esclusa dalla perimetrazione del parco «un’area di esigue dimensioni, relativa ad un contesto territoriale ormai completamente urbanizzato, coincidente con un lotto edificato», il quale è stato «ricompreso all’interno del perimetro per mero errore in quanto, nella fase di ampliamento dell’area protetta, ci si è avvalsi di una base cartografica non aggiornata», come risulterebbe dalla documentazione allegata; si tratta di un edificio presente erroneamente all’interno dell’area protetta sin dal 2002, quando è stato istituito il piano del parco.

In merito alla procedura adottata, la difesa regionale afferma di avere più volte sostenuto che la modifica del perimetro dei parchi regionali può avvenire – come avrebbe confermato anche la sentenza n. 276 del 2020 di questa Corte – con legge regionale, purché si rispetti quanto previsto dall’art. 22 della legge n. 394 del 1991. Se, dunque, l’ampliamento o anche la «rettifica-riduzione» del perimetro di un parco regionale può avvenire con legge, non può aversi allora la violazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché delle direttive 2001/42/CE e 92/43/CE e dell’art. 6 del d.P.R. n. 120 del 2003, poiché è solo il piano regionale delle aree protette di cui all’art. 7 della legge reg. Lazio n. 29 del 1997 che dovrebbe essere sottoposto a VAS, valutazione di impatto ambientale (VIA) e VINCA.

D’altra parte, osserva la Regione Lazio, la VAS ha lo scopo di «rendere compatibile l’attività antropica con le condizioni di sviluppo sostenibile e integrare le scelte di pianificazione discrezionali, tipiche dei piani e dei programmi», mentre nel caso di specie «non si è trattato di una attività pianificatoria, in grado di dispiegare i propri effetti sul bene ambiente, mancando l’interazione tra tale attività e le componenti ambientali». A tale proposito, viene richiamato anche un passo della sentenza n. 276 del 2020 di questa Corte, lì dove si è affermato che «l’art. 12, comma 4, della legge n. 394 del 1991 […] prevede la VAS per il piano del parco».

Per quel che riguarda la mancata partecipazione degli enti locali alla procedura di variazione del perimetro, la difesa regionale osserva che la disposta riduzione è stata «ritenuta opportuna dall’Ente gestore dell’area naturale protetta, che nulla ha avuto da riscontrare in merito, così come non risulta vi siano stati altri enti contrari»; del resto, il loro coinvolgimento sarebbe stato ultroneo, a fronte di un mero «ripristino di una corretta graficizzazione e correzione di un errore materiale».

3.− In data 1° dicembre 2021, l’Associazione Verdi Ambiente e Società – A.P.S. onlus ha depositato una opinione scritta, in qualità di amicus curiae, la quale è stata ammessa con decreto del Presidente di questa Corte del 30 giugno 2022.

Nell’opinione si sostiene la illegittimità costituzionale della disciplina regionale impugnata, proponendo alcune osservazioni in particolare sulla nozione di «attività multimprenditoriali» di cui all’impugnato art. 64, che possono essere svolte, secondo quanto stabilito dall’art. 3, comma 1-bis, della legge della Regione Lazio 2 novembre 2006, n. 14 (Norme in materia di diversificazione delle attività agricole), da «soggetti definiti “soggetti connessi”». Secondo l’Associazione, con l’intervento legislativo la Regione Lazio avrebbe esteso agli imprenditori commerciali, in qualità di soggetti connessi con il soggetto agricolo, «la possibilità di esercitare in area agricola tutta una serie di attività», per alcuni aspetti sovrapponibili a quelle che l’art. 2135 del codice civile riserva invece all’imprenditore agricolo.

4.− In data 13 dicembre 2021, ha spiegato atto di intervento in giudizio Enel Green Power Italia srl, società che sviluppa e gestisce attività di generazione di energia da fonti rinnovabili, la quale assume di «rivestire un ruolo fondamentale nel processo di transizione energetica, essendo uno tra i principali operatori nel settore delle rinnovabili a livello nazionale».

Secondo l’interveniente, «[l]’indebita limitazione allo sviluppo delle energie rinnovabili perpetrata dalla legge regionale impugnata […] incide direttamente sull’attività istituzionale della società interveniente», dal che la legittimazione all’intervento in giudizio. L’orientamento di questa Corte a escludere l’ammissibilità di interventi in giudizio da parte di soggetti terzi e privi di potestà legislativa, infatti, meriterebbe un ripensamento in ragione del rinvio dell’art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale all’art. 4, comma 3, delle medesime norme, che renderebbe possibile e anzi doverosa l’ammissibilità dell’intervento per coloro che abbiano una posizione qualificata in termini di interesse. In caso contrario, costoro subirebbero una ingiustificata disparità di trattamento rispetto a chi può depositare un’opinione scritta in qualità di amici curiae; inoltre, verrebbe negato il diritto a un giudice e a un giudizio effettivo.

Nel merito, Enel Green Power Italia srl afferma, innanzitutto, che la sentenza n. 141 del 2021 di questa Corte non inciderebbe sulle censure avanzate nel presente giudizio. Ricostruito, poi, il quadro normativo e la giurisprudenza di questa Corte in materia, conclude chiedendo che sia accolto il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri.

5.− Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria il 23 agosto 2022, con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

5.1.− Con riferimento all’impugnazione dell’art. 64, comma 1, lettera a), della legge reg. Lazio n. 14 del 2021, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che la ricostruzione offerta dalla Regione Lazio sia «artificiosa, oltreché smentita dai fatti».

Ampiamente ripercorse le vicende che negli ultimi anni hanno interessato il PTPR della Regione Lazio, il ricorrente rileva che il testo di quest’ultimo – oggetto delle verifiche effettuate dal Ministero della cultura sul PTPR approvato con deliberazione del Consiglio regionale n. 5 del 2021, a seguito delle quali si è concluso l’accordo tra Ministero della cultura e Regione Lazio in data 27 maggio 2021 – presentava un rinvio all’art. 54, comma 2, lettera b), della legge reg. Lazio n. 38 del 1999 il quale a quel tempo, ossia antecedentemente alle modifiche apportate dalla disposizione impugnata, si riferiva soltanto alle «attività di trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali».

In proposito, il Presidente del Consiglio dei ministri reputa utile ricordare che questa Corte, con la sentenza n. 141 del 2021, ha ritenuto non fondata una questione di legittimità costituzionale proposta avverso l’art. 6, comma 1, lettera b), della legge reg. Lazio n. 1 del 2020, che aveva sostituito l’art. 54, comma 2, della legge reg. Lazio n. 38 del 1999: e ciò perché si è ritenuto che la produzione di energie rinnovabili quale attività multimprenditoriale in zona agricola, consentita dalla modifica normativa, dovesse pur sempre essere subordinata al rispetto della normativa in materia di autorizzazione paesaggistica e delle prescrizioni del PTPR.

La disposizione impugnata, che fa assumere al rinvio operato dal PTPR all’art. 54, comma 2, lettera b), della legge reg. Lazio n. 38 del 1999 un «contenuto nettamente più ampio, che esula dalle scelte condivise tra Stato e Regione», ha invece l’effetto di operare una modifica unilaterale del piano.

5.2.− Con riferimento all’impugnazione dell’art. 75, comma 1, lettera b), numeri 2), 3), 4) e 5), e lettera c), il Presidente del Consiglio dei ministri, richiamate le ragioni di censura, rileva che «il quadro normativo interposto si è venuto a delineare» con l’entrata in vigore del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili». Emergerebbe allora in maniera netta «la chiara volontà del legislatore statale di delineare una disciplina uniforme per l’installazione degli impianti a fonte rinnovabile, al fine precipuo di scongiurare applicazione difformi a livello locale», sicché gli argomenti della Regione Lazio adoperati in sede di costituzione in giudizio non sarebbero idonei a superare i contestati profili di illegittimità costituzionale.

5.3.− Per quel che concerne l’impugnazione dell’art. 75, comma 1, lettera b), numero 5), il ricorrente rileva che le considerazioni svolte dalla resistente non sarebbero in grado di superare i dubbi di illegittimità costituzionale, atteso che la disposizione determina un arresto dei procedimenti autorizzativi oltre che delle installazioni degli impianti a fonte rinnovabile, il tutto impedendo che la ponderazione degli interessi avvenga «nel fisiologico contesto procedimentale unico». Il contrasto con l’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003 – che questa Corte ha ripetutamente qualificato principio fondamentale nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» – sarebbe pertanto evidente. Ulteriormente richiamati gli argomenti già spesi in proposito nel ricorso, l’Avvocatura generale dello Stato ribadisce che la normativa regionale è difforme rispetto al «paradigma normativo di riferimento, confermato (de iure condito) alla luce di quanto al riguardo stabilito dal recente decreto legislativo n. 199 del 2021 (ex art. 20, comma 6)».

6.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con il secondo ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 24 del 2022), ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge della Regione Lazio 30 dicembre 2021, n. 20 (Legge di stabilità regionale 2022), in riferimento agli artt. 41, 97 e 117, commi primo, secondo, lettere e) e s), e terzo, Cost.

6.1.− Con tale articolo, il legislatore regionale ha nuovamente modificato l’art. 3.1 della legge reg. Lazio n. 16 del 2011, sostituendo il comma 5-quater introdotto dall’art. 75, comma 1, lettera b), numero 5), della legge reg. Lazio n. 14 del 2021, già oggetto del ricorso iscritto al n. 64 reg. ric. 2021: alla luce della novella, sono prorogati i procedimenti autorizzatori in atto al momento dell’entrata in vigore della norma impugnata, il cui esito positivo è subordinato «all’inclusione degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili in siti diversi da quelli dichiarati inidonei da parte dei comuni interessati»; contestualmente è stata disposta una moratoria in attesa di tale individuazione.

A parere del ricorrente, l’impugnato art. 6 è in contrasto con il d.lgs. n. 387 del 2003, che disciplina inderogabilmente la promozione di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili (è richiamata la sentenza n. 189 del 2014 di questa Corte). Determinando una sospensione del rilascio delle autorizzazioni, infatti, «produce l’effetto di un arresto procedimentale che contravviene al principio fondamentale» di cui all’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, il quale risulta ispirato «alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità garantendo, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo» (è citata la sentenza n. 364 del 2006 ed è richiamata la sentenza n. 177 del 2021).

Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva, poi, che l’evocata norma interposta è attuativa dell’art. 13 della direttiva 2009/28/CE, poi ripreso dall’art. 15 della direttiva 2018/2001/UE, sicché la disposizione regionale impugnata è altresì in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost.

L’art. 6 della legge reg. Lazio n. 20 del 2021 sarebbe lesiva, secondo il ricorrente, anche degli artt. 41 e 97 Cost., perché la sospensione del potere autorizzativo in relazione ad attività promossa e incentivata dall’ordinamento nazionale ed europeo «costituirebbe un grave ostacolo all’iniziativa economica nel campo della produzione energetica da fonti rinnovabili», come questa Corte avrebbe già riconosciuto nella sentenza n. 177 del 2018 (è richiamata anche la sentenza n. 69 del 2018).

La norma regionale, infine, sarebbe altresì in contrasto con i princìpi espressi dal d.lgs. n. 199 del 2021, adottato anche per dare attuazione alle misure del piano nazionale di ripresa e resilienza in materia di energia da fonti rinnovabili, conformemente al piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC). In particolare, la disposizione censurata – lì dove prevede la competenza comunale a individuare le aree idonee o non idonee per l’installazione degli impianti fotovoltaici a terra e la moratoria dei procedimenti autorizzatori in corso – sarebbe incompatibile con quanto dettato dall’art. 20 del citato decreto legislativo. D’altronde, nel senso dell’esclusiva competenza delle regioni a definire le aree idonee questa Corte si sarebbe già pronunciata con la sentenza n. 106 del 2020.

7.− Con atto depositato il 7 aprile 2022, la Regione Lazio si è costituita in giudizio, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque non fondato.

7.1.− La difesa della Regione rileva che la nuova formulazione del citato comma 5-quater «interessa esclusivamente le autorizzazioni non ancora rilasciate alla data di entrata in vigore della legge regionale 14/2021». La sospensione disposta è volta a bilanciare la diffusione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili con la tutela del paesaggio e il consumo del suolo agricolo ed è fissata nel termine massimo di otto mesi dalla data di entrata in vigore della legge reg. Lazio n. 14 del 2021, che scade (è scaduto) il 13 aprile 2022.

La resistente rappresenta, poi, che con deliberazione della Giunta della Regione Lazio 16 novembre 2021 n. 782, è stato istituito il gruppo tecnico interdisciplinare chiamato a individuare, ai sensi dell’art. 3.1.1 della legge reg. Lazio n. 16 del 2011, le aree idonee e non idonee alla installazione di fonti energetiche rinnovabili. Detto gruppo ha redatto un documento che «ha l’obiettivo di individuare un quadro definito di riferimento delle aree ove non è consentito intraprendere procedimenti volti alla realizzazione di impianti alimentati da FER».

Secondo la Regione Lazio, «i due principali profili di illegittimità» costituzionale dovrebbero considerarsi dunque superati, in quanto gli effetti della sospensione scadono (sono scaduti) il 13 aprile 2022 e la competenza comunale all’individuazione delle aree non idonee è stata ora attribuita a una struttura regionale. La resistente afferma, infine, che «[s]arà cura dei competenti Organi regionali provvedere quanto prima all’adeguamento della suddetta norma legislativa».

8.− Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria il 5 luglio 2022, con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

8.1.− Richiamata la giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto la natura di principio fondamentale all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, il ricorrente osserva che l’odierna questione di legittimità costituzionale sarebbe analoga a quella decisa da questa Corte con le sentenze n. 177 e n. 14 del 2018: la norma impugnata sarebbe dunque costituzionalmente illegittima per contrasto tanto con l’art. 117, terzo comma, Cost., quanto con l’art. 117, primo comma, Cost., in ragione della violazione della normativa comunitaria, già richiamata nel ricorso, alla quale la normativa statale interposta darebbe attuazione.

L’impugnato art. 6, poi, altererebbe «il quadro delle competenze amministrative definito dai principi statali, che vedono, quindi, vanificati gli obiettivi di semplificazione e di razionalizzazione perseguiti per il tramite dell’autorizzazione unica». Dovrebbe essere l’atto di pianificazione, come riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa, a individuare «le incompatibilità di determinate aree, in relazione al tipo e alle dimensioni degli impianti». La norma regionale, invece, affida ai comuni «il compito di definire autonomamente le aree non idonee», in tal modo contrastando con l’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021.

8.2.− Ribaditi gli argomenti che dimostrerebbero la violazione, altresì, degli artt. 41 e 97 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato esclude che gli argomenti addotti dalla Regione Lazio nell’atto di costituzione valgano a far cessare la materia del contendere.

Innanzitutto, deve rilevarsi che la norma impugnata ha avuto effetti per un lungo periodo di tempo e la resistente non «ha offerto elementi di prova per dimostrare che la disposizione non abbia avuto alcun impatto concreto»: di qui, l’interesse ad una pronuncia di accoglimento.

Neppure fa superare i rilievi d’illegittimità costituzionale il documento redatto dal gruppo tecnico interdisciplinare, per mezzo del quale sarebbe superata la competenza comunale all’individuazione delle aree idonee e non idonee. Al di là del fatto che «le risultanze dell’istruttoria svolta non sono state ancora recepite in un apposito strumento normativo», che sarebbe necessario per eliminare le incertezze circa l’applicazione della disposizione impugnata, il ricorrente precisa che non ricorrono le condizioni richieste dalla giurisprudenza costituzionale per la dichiarazione della cessata materia del contendere.

Considerato in diritto

1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con il ricorso iscritto al n. 64 reg. ric. 2021 ha impugnato gli artt. 64, comma 1, lettera a); 75, comma 1, lettera b), numeri 2), 3), 4) e 5), e lettera c), e 81 della legge reg. Lazio n. 14 del 2021, deducendo la violazione di plurimi parametri costituzionali e interposti. Con il successivo ricorso, iscritto al n. 24 reg. ric. 2022, ha impugnato l’art. 6 della legge della reg. Lazio n. 20 del 2021, deducendo la violazione degli artt. 41, 97 e 117, commi primo, secondo, lettere e) e s), e terzo, Cost.

2.− L’art. 6, impugnato con il ricorso iscritto al n. 24 reg. ric. 2022, ha modificato l’art. 3.1 della legge della reg. Lazio n. 16 del 2011, sostituendo il comma 5-quater che era stato introdotto dall’art. 75, comma 1, lettera b), numero 5), della legge reg. Lazio n. 14 del 2021, già impugnato con il primo dei ricorsi in esame.

In ragione della parziale connessione tra i giudizi, essi devono dunque essere riuniti e decisi con un’unica pronuncia.

3.− In via preliminare, va dichiarato inammissibile l’intervento, nel giudizio introdotto con il ricorso iscritto al n. 64 reg. ric. 2021, di Enel Green Power Italia srl, in quanto il giudizio di legittimità costituzionale in via principale, come questa Corte ha reiteratamente affermato, «si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa e non ammette l’intervento di soggetti che ne siano privi, fermi restando per costoro, ove ne ricorrono i presupposti, gli altri mezzi di tutela giurisdizionale eventualmente esperibili» (tra le più recenti, sentenze n. 121 e n. 46 del 2022; ordinanza n. 134 del 2022).

Nell’atto di intervento, il soggetto privato sostiene che tale orientamento dovrebbe essere rimeditato alla luce delle nuove Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, poiché altrimenti coloro che abbiano una posizione qualificata in termini di interesse subirebbero un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto a chi può depositare un’opinione scritta in qualità di amicus curiae. Questa Corte ha già ritenuto errata una simile argomentazione, rilevando che la ratio dell’intervento nel giudizio costituzionale è «radicalmente diversa da quella sottesa al deposito di opinioni in qualità di amici curiae, tant’è che solo l’interveniente può chiedere di prendere visione e trarre copia degli atti processuali» (sentenza n. 121 del 2022), e che la possibilità di depositare opiniones è volta ad offrire elementi e argomenti utili alla conoscenza del caso e alla valutazione delle questioni proposte, «che arricchiscono il giudizio a beneficio di tutti, compresi coloro che vantano interessi correlati all’esito del processo costituzionale» (ancora sentenza n. 121 del 2022).

4.− Ancora in via preliminare, deve darsi atto che la Regione Lazio, nel costituirsi in giudizio, ha chiesto che entrambi i ricorsi siano dichiarato inammissibili o, altrimenti, non fondati.

Le eccezioni d’inammissibilità vanno tuttavia disattese: si tratta, invero, di mere clausole di stile, giacché nelle difese nulla è argomentato in punto di ammissibilità dei ricorsi.

5.− Nel merito, converrà esaminare dapprima le questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti dell’art. 64, comma 1, lettera a), della legge reg. Lazio n. 14 del 2021, il quale modifica l’art. 54 della legge reg. Lazio n. 38 del 1999, recante la disciplina delle trasformazioni urbanistiche in zona agricola, sostituendone il comma 2.

Secondo il ricorrente, con la novella il legislatore regionale ha inciso «surrettiziamente sulla disciplina contenuta nel Piano territoriale paesistico regionale in tema di attività in concreto consentite nelle aziende agricole ricadenti in ambiti soggetti a vincolo paesaggistico». L’art. 52 del piano territoriale paesistico regionale (PTPR) prevede infatti, al comma 1, che nell’ambito di aziende agricole in aree vincolate «è consentita la realizzazione di manufatti, strettamente funzionali e dimensionati alle attività agricole» e, al successivo comma 4, che, previa approvazione di un piano di utilizzazione aziendale (PUA), è altresì consentito l’inserimento di funzioni e attività compatibili ai sensi del citato art. 54, comma 2, lettera b), della legge reg. Lazio n. 38 del 1999. Secondo il ricorrente, al tempo dell’approvazione del PTPR – dunque prima dell’adozione della disposizione impugnata – l’ora richiamata normativa regionale faceva riferimento alle sole «attività di trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali», mentre oggi il piano paesaggistico, mercé il rinvio operato, assume «un contenuto nettamente più ampio, che esula dalle scelte all’epoca condivise tra Stato e Regione», perché riferibile anche a tutte le altre «“attività multimprenditoriali integrate e complementari con le attività agricole aziendali”».

Ne conseguirebbe l’illegittimità costituzionale del citato art. 64, nella parte impugnata, in quanto la modifica unilaterale del PTPR – la cui revisione, invece, «può avvenire esclusivamente nel rispetto dei presupposti e delle modalità previsti dall’Accordo di copianificazione, sottoscritto congiuntamente con il Ministero della Cultura, ai sensi dell’articolo 143, comma 2, del Codice di settore» – violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto in contrasto con gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali. Le norme interposte, infatti, declinerebbero il principio della pianificazione congiunta e assegnerebbero al piano paesaggistico «una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale», presidiata dalla sua inderogabilità da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, dalla sua cogenza rispetto agli strumenti urbanistici nonché dalla sua prevalenza su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica, come la giurisprudenza di questa Corte avrebbe più volte rilevato. La norma regionale impugnata, che avrebbe modificato, in via unilaterale, il PTPR della Regione Lazio, dovrebbe dunque reputarsi costituzionalmente illegittima.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene, inoltre, che sarebbero violati anche l’art. 9 Cost., in quanto sarebbe stato determinato un abbassamento del livello di tutela del paesaggio, nonché il principio di leale collaborazione, il quale impone alle parti di rispettare gli impegni assunti in accordi ufficiali.

5.1.− Le questioni di legittimità costituzionale non sono fondate.

Questa Corte ha di recente ribadito, proprio in riferimento alla procedura di approvazione del PTPR precedentemente seguita dalla Regione Lazio, che l’art. 135 cod. beni culturali pone, in relazione a specifici beni paesaggistici, «un obbligo inderogabile di elaborazione congiunta del piano paesaggistico» (sentenza n. 240 del 2020), il quale è «un riflesso della necessaria “impronta unitaria della pianificazione paesaggistica” (sentenza n. 64 del 2015), e mira a “garantire, attraverso la partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti in materia, l’effettiva ed uniforme tutela dell’ambiente” (sentenza n. 210 del 2016)» (ancora sentenza n. 240 del 2020). La pianificazione paesaggistica è, dunque, «valore imprescindibile e pertanto non derogabile dal legislatore regionale, in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme di tutela, conservazione e trasformazione del territorio» (così, da ultimo, sentenza n. 192 del 2022), al punto che il piano paesaggistico regionale ha immediata prevalenza su tutti gli altri strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica (ex multis, sentenze n. 192, n. 45 e n. 24 del 2022, n. 261, n. 141 e n. 74 del 2021).

Da questi princìpi consegue che, di norma, quando un piano paesaggistico effettui un rinvio ad altra disposizione di legge – come nel caso di specie – detto rinvio deve considerarsi fisso: la necessaria elaborazione congiunta del PTPR, infatti, impone di ritenere che le parti, nel momento in cui concordano di fare riferimento a una o più disposizioni vigenti, abbiano voluto incorporare nel piano le norme espresse dalla legislazione oggetto del rinvio. Ne consegue che gli eventuali interventi sulla legislazione cui il PTPR rinvia non sono in grado di determinarne un’unilaterale modifica – come, d’altra parte, riconosciuto nel caso in esame anche dalla resistente Regione Lazio – e non hanno dunque alcuna efficacia su quest’ultimo, il cui contenuto normativo resta quello frutto della elaborazione congiunta. Va, del resto, considerato che la normativa regionale oggetto di rinvio concerne non soltanto aree paesaggisticamente rilevanti: l’art. 54 della legge reg. Lazio n. 38 del 1999, infatti, reca la disciplina riguardante le trasformazioni urbanistiche in zona agricola – in qualsiasi zona agricola – mentre l’art. 52 del PTPR è volto a individuare quali manufatti e quali attività siano realizzabili nelle aziende agricole che si trovino in aree vincolate ed è nell’indicare tali attività che effettua il rinvio al solo comma 2, lettera b), del citato art. 54.

5.1.1.− Ai fini dell’individuazione della norma incorporata nel PTPR, dunque, deve farsi riferimento alla disposizione vigente alla data della conclusione del procedimento di copianificazione.

Secondo quanto disposto dall’art. 143, comma 2, cod. beni culturali, le regioni e lo Stato stipulano intese per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, il quale, una volta definito, «è oggetto di apposito accordo fra pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241». È solamente con detto accordo, pertanto, che può dirsi concluso il procedimento di pianificazione paesaggistica necessariamente congiunta tra regione e Stato e, conseguentemente e in linea di principio, per individuare la norma incorporata nel piano deve farsi riferimento alla disposizione, oggetto di rinvio per opera del PTPR, vigente alla data della stipula dell’accordo tra pubbliche amministrazioni.

Ciò detto in linea di principio, va tuttavia osservato che, nel caso di specie, è lo stesso accordo ai sensi dell’art. 143 cod. beni culturali che impone di ritenere – come sostenuto in atti dalla Regione Lazio – che la norma incorporata nel PTPR non sia quella dettata dalla formulazione dell’art. 54, comma 2, lettera b), della legge reg. Lazio n. 38 del 1999 vigente il 27 maggio 2021, data della sottoscrizione dell’accordo, ma quella dettata dalla formulazione della medesima disposizione vigente il 18 dicembre 2019, allorché fu sottoscritto tra le parti il documento di condivisione dei contenuti del PTPR della Regione Lazio ai fini della stipula dell’accordo di cui al codice dei beni culturali.

L’art. 1, comma 4, dell’accordo del maggio 2021, infatti, stabilisce che esso accordo «recepisce e fa proprio» l’allegato documento di condivisione del dicembre 2019, così come il successivo art. 2, comma 1, lettera d), ancor più chiaramente afferma che «le norme del PTPR sono costituite dal testo normativo di cui al Documento di condivisione di cui all’articolo 1, comma 4, denominato “02.01 – Norme PTPR – Accordo Regione/MiBACT”». Risulta chiara allora l’intentio delle parti, nel caso di specie, di approvare un testo il cui contenuto era già stato previamente definito, sicché il rinvio operato dall’art. 52 del PTPR – essendo stato concordato il testo di detto articolo in occasione della stipula del richiamato documento di condivisione – deve intendersi riferito all’art. 54, comma 2, lettera b), della legge reg. Lazio n. 38 del 1999, nella formulazione vigente il 18 dicembre 2019.

D’altro canto, che nella vicenda in esame la definizione del testo del PTPR sia avvenuta nel dicembre 2019, e che quel testo le parti abbiano inteso approvare con l’accordo del maggio 2021, è suffragato da ulteriori elementi in punto di fatto: a) nel documento di condivisione si dà atto che il lavoro condotto dal tavolo congiunto ha portato «alla stesura di un testo normativo denominato “02.01 – Norme PTPR – Testo proposto per l’accordo Regione/MibACT”» il quale, allegato al documento «di cui forma parte integrante e sostanziale, […] costituisce il testo completo delle norme del PTPR proposte per la stipula dell’accordo tra il Ministero per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo e la Regione Lazio» ai sensi del codice dei beni culturali; b) in una successiva nota del ministero del 3 febbraio 2020, ribadito che l’esame dei contenuti del PTPR si è concluso «con la stesura di un testo normativo denominato “02.01 – Norme PTPR – Testo proposto per l’accordo Regione/MibACT”», si comunica alla Regione Lazio che «l’approvazione da parte del Consiglio Regionale del testo normativo del PTPR allegato alla presente senza ulteriori modifiche ed integrazioni» potrà assicurare la stipula dell’accordo tra pubbliche amministrazioni e la «positiva conclusione» dell’iter di approvazione del PTPR; c) infine, il Consiglio regionale del Lazio, all’atto di approvare il piano paesaggistico a seguito della sottoscrizione dell’accordo ex art. 143 cod. beni culturali, ha espressamente richiamato quale testo del PTPR, nelle premesse della deliberazione consiliare n. 5 del 21 aprile 2021, quello «denominato “02.01 – Norme PTPR – Testo proposto per l’accordo Regione/MibACT” […] il quale assicura il rispetto del lavoro istruttorio congiunto svolto con il Ministero».

5.1.2.− Conclusivamente, le questioni di legittimità costituzionale aventi a oggetto l’art. 64, comma 1, lettera a), della legge reg. Lazio n. 14 del 2021 sono tutte non fondate, in ragione dell’erroneo presupposto interpretativo dal quale muovono: la disposizione censurata non ha determinato alcuna unilaterale modifica dell’art. 52 del PTPR della Regione Lazio, poiché non ha alcun effetto sul rinvio operato da detto art. 52 all’art. 54, comma 2, lettera b), della legge reg. Lazio n. 38 del 1999, che è un rinvio fisso e, dunque, deve intendersi alle norme espresse dalla formulazione di quest’ultima disposizione vigente alla data del 18 dicembre 2019.

6.− Un secondo gruppo di questioni di legittimità costituzionale, introdotto con il ricorso iscritto al n. 64 reg. ric. 2021, ha ad oggetto l’art. 75, comma 1, lettera b), numeri 2), 3), 4) e 5), e lettera c), della legge reg. Lazio n. 14 del 2021. L’impugnazione del numero 5) deve intendersi alla sola parte in cui inserisce i commi 5-bis e 5-ter all’art. 3.1 della legge reg. Lazio n. 16 del 2011.

Il Presidente del Consiglio dei ministri riferisce che, con il citato art. 75, comma 1, lettera b), numeri 2), 3), 4) e 5), il legislatore regionale ha modificato la richiamata legge reg. Lazio n. 16 del 2011, dettando una serie di norme in materia di individuazione delle aree non idonee all’installazione di impianti fotovoltaici, attribuendo tale compito ai comuni. Secondo il ricorrente, le norme impugnate sarebbero in contrasto con i princìpi fondamentali dettati dal legislatore statale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».

La difesa dello Stato sostiene, in particolare, che il tema delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili sarebbe stato affrontato dall’art. 5, comma 1, lettere a) e b), della legge n. 53 del 2021, a seguito del quale il Governo, il 5 agosto 2021, ha adottato il relativo schema di decreto legislativo, il cui art. 20 detta la disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili. Riportato il testo delle disposizioni evocate, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che, nelle more della definitiva approvazione dello schema di decreto legislativo, il principio di leale collaborazione impedisce alle regioni di introdurre «discipline anticipatorie degli effetti attuativi, nonché derogatorie, implicanti, medio tempore, potenziali effetti distorsivi».

Per quel che concerne l’impugnazione dell’art. 75, comma 1, lettera c), il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che, prevedendo l’inserimento nella legge reg. Lazio n. 16 del 2011 dell’art. 3.1.1, il quale istituisce il gruppo tecnico interdisciplinare per l’individuazione delle aree idonee e non idonee FER, il legislatore regionale avrebbe violato l’art. 117, commi primo, secondo, lettere e) e s), e terzo, Cost.

Il ricorrente, riportata per esteso la disposizione impugnata, osserva che il piano nazionale per l’energia e il clima demanda alle regioni, «sulla base di criteri previamente stabiliti e condivisi, l’individuazione delle aree idonee e non idonee per la localizzazione di impianti a fonte rinnovabile». La richiamata legge n. 53 del 2021 coinvolge i ministeri di riferimento nello stabilire i criteri e attribuisce «la titolarità del processo programmatorio alle Regioni e Province autonome». Lo schema di decreto legislativo, all’art. 20 e in linea con la legge di delega, attribuisce alle regioni e alle province autonome il compito di individuare le aree idonee.

Ne conseguirebbe che la disposizione in esame sarebbe in contrasto «per i motivi dianzi rassegnati» con i parametri costituzionali e interposti evocati.

6.1.− Le promosse questioni di legittimità costituzionale sono inammissibili.

Questa Corte ha da tempo e costantemente affermato che «l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi proposti in via principale, rispetto a quelli instaurati in via incidentale» (da ultimo, sentenza n. 123 del 2022). Il ricorrente, pertanto, «”ha non solo l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali lamenta la violazione, ma anche quello di allegare, a sostegno delle questioni proposte, una motivazione non meramente assertiva. Il ricorso deve cioè contenere l’indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati e una, sia pur sintetica, argomentazione a supporto delle censure” (così, di recente, sentenza n. 95 del 2021)» (sentenza n. 119 del 2022).

6.1.1.− L’odierno ricorrente, con riguardo alle censure in riferimento all’art. 117, commi primo e secondo, lettere e) e s), Cost. si è limitato a dedurre la violazione di tali parametri costituzionali, senza alcuna autonoma motivazione che illustri le supposte ragioni di contrasto, sicché mancano gli elementi, anche minimi, per esaminare nel merito le promosse questioni di legittimità costituzionale (da ultimo, sentenza n. 23 del 2022).

6.1.2.− Non soddisfano i requisiti per essere scrutinate nel merito neppure le questioni di legittimità costituzionale promosse in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., sub «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».

Il Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alle questioni ora in esame, non richiama affatto la disciplina recata dal d.lgs. n. 387 del 2003, né quella dettata dalle linee guida emanate, sulla base dell’art. 12 di detto decreto legislativo, con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili): discipline, queste, che la costante giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto recare princìpi fondamentali nella materia de qua e che sono pienamente operanti nelle more della compiuta attuazione della nuova disciplina statale di cui alla legge di delega n. 53 del 2021 e al relativo d.lgs. n. 199 del 2021, emanato peraltro successivamente tanto alla legge regionale impugnata quanto al deposito dell’odierno ricorso (sentenza n. 216 del 2022).

Il ricorrente lamenta esclusivamente il contrasto delle norme regionali con l’art. 5, comma 1, lettere a) e b), dell’ora richiamata legge n. 53 del 2021 e con l’art. 20, comma 4, del relativo schema di decreto legislativo. A tacer del fatto che quest’ultimo atto non è idoneo, in quanto mero schema di decreto legislativo, ad assurgere a norma interposta, in punto d’inammissibilità è dirimente la circostanza che non è stato assolto l’«onere argomentativo di chiarire il meccanismo attraverso il quale la disciplina dettata dal legislatore regionale si pone in contrasto con le norme evocate a parametro» (sentenza n. 119 del 2022). Il Presidente del Consiglio dei ministri, infatti, non ha affiancato all’allegazione delle norme oggetto e delle norme parametro un’adeguata argomentazione che individui con chiarezza e completezza le ragioni di contrasto tra la disciplina regionale e le norme statali, tali da giustificare la richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale (ex multis, sentenze n. 123 e n. 119 del 2022, n. 171, n. 170 e n. 95 del 2021, n. 144 del 2020 e n. 286 del 2019): ciò che, nel caso di specie, sarebbe stato particolarmente necessario, in ragione del fatto che le norme interposte evocate sono princìpi e criteri direttivi per l’esercizio di una delega legislativa da parte del Governo.

La dichiarazione d’inammissibilità delle odierne censure non esonera di per sé la Regione Lazio, ove ne ricorrano i presupposti, dall’adeguare la normativa regionale alla sopravvenuta disciplina statale dettata, in attuazione della richiamata legge di delega, dall’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021. Del resto, della necessità di una «piena attuazione» di tale normativa statale si è mostrata consapevole la stessa Regione Lazio nell’atto di costituzione in giudizio.

7.− Un terzo gruppo di questioni di legittimità costituzionale è introdotto da entrambi i ricorsi in esame, i quali censurano l’art. 75, comma 1, lettera b), numero 5), della legge reg. Lazio n. 14 del 2021, nella parte in cui introduce i nuovi commi 5-quater e 5-quinquies dell’art. 3.1 della legge reg. Lazio n. 16 del 2011, e l’art. 6 della legge reg. Lazio n. 20 del 2021, il quale sostituisce il richiamato comma 5-quater. Come si è già rilevato, le norme oggetto del primo ricorso sono state modificate da norme regionali a loro volta impugnate dal secondo, il che è sufficiente a escludere la ricorrenza delle condizioni per dichiarare, in relazione all’impugnazione proposta con il ricorso iscritto al n. 64 reg. ric. 2021, la cessata materia del contendere.

Per quel che concerne le questioni promosse con il ricorso iscritto al n. 64 reg. ric. 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che, con le disposizioni regionali impugnate, è stata disposta «una sospensione dei procedimenti autorizzativi per la costruzione ed esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili ivi indicati (c.d. “moratorie”) per otto mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge regionale in esame». Tali norme si porrebbero in contrasto con quanto stabilito dall’art. 12, comma 4, del decreto legislativo n. 387 del 2003, il quale dispone che l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili è rilasciata nell’ambito di un procedimento unico cui partecipano tutte le amministrazioni interessate e che deve concludersi entro novanta giorni: è, questo, un termine che questa Corte ha già qualificato come principio fondamentale nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e che preclude alle regioni di sospendere il rilascio delle autorizzazioni.

Oltre alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., il ricorrente lamenta quella dell’art. 117, primo comma, Cost. – perché il richiamato principio fondamentale darebbe attuazione altresì all’art. 13 della direttiva n. 2009/28/CE, ripreso dall’art. 15 della direttiva n. 2018/2001/UE – nonché degli artt. 41 e 97 Cost. – perché la sospensione del potere autorizzativo in relazione ad attività promossa e incentivata dall’ordinamento nazionale ed europeo «costituirebbe un grave ostacolo all’iniziativa economica nel campo della produzione energetica da fonti rinnovabili».

Le questioni promosse con il ricorso iscritto al n. 24 reg. ric. 2022 sono sostanzialmente analoghe a quelle appena esaminate. Il Presidente del Consiglio dei ministri, infatti, rileva che, con la novella di cui all’impugnato art. 6, da un lato, è stata introdotta una procedura autorizzatoria ai fini dell’installazione di impianti di fonti rinnovabili, il cui esito positivo è subordinato all’inclusione di tali impianti in siti diversi da quelli individuati come inidonei da parte dei comuni interessati, e, dall’altro, è stata prevista la sospensione delle installazioni fino a detta individuazione, per un termine comunque non superiore a otto mesi dall’entrata in vigore della legge reg. Lazio n. 14 del 2021. Così disponendo, il legislatore regionale avrebbe prodotto «l’effetto di un arresto procedimentale che contravviene al principio fondamentale» di cui all’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, il quale risulta ispirato – secondo quanto già affermato dalla sentenza n. 364 del 2006 di questa Corte – «alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità garantendo, in modo uniforme sul territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo». L’art. 117, terzo comma, Cost. sarebbe violato anche sotto un ulteriore profilo: la disposizione impugnata, infatti, nel prevedere la competenza comunale nell’individuazione delle aree idonee e non idonee e la moratoria dei procedimenti autorizzatori in corso, contrasterebbe altresì con la disciplina dettata dall’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021.

Il ricorrente, infine, reputa violati anche gli artt. 41, 97 e 117, primo comma, Cost., sulla base di argomenti identici a quelli proposti con il ricorso iscritto al n. 64 reg. ric. 2021.

7.1.− Le questioni promosse in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., sono fondate.

Questa Corte, come si è già accennato, ha ripetutamente affermato che l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 – nel prevedere che l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sia rilasciata nell’ambito di un procedimento unico, cui partecipano tutte le amministrazioni interessate, che deve concludersi entro novanta giorni – esprime un principio fondamentale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». Esso è «funzionale al raggiungimento degli obiettivi di massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili sancito dalla normativa europea» (sentenza n. 46 del 2021) ed è volto a bilanciare l’esigenza di potenziare le fonti rinnovabili con quella di tutelare il territorio nella dimensione paesaggistica, storico-culturale e della biodiversità (sentenza n. 121 del 2022).

Le finalità cui mira la normativa statale, pertanto, non tollerano eccezioni sull’intero territorio nazionale, sicché le regioni non possono sospendere le procedure di autorizzazione, né subordinarle a vincoli o condizioni non previste dalla normativa statale (ex multis, sentenze n. 77 del 2022, n. 177 del 2021, n. 258 del 2020 e n. 177 del 2018): è soltanto nella sede del procedimento unico delineato dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, infatti, che «può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l’interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei principi costituzionali la loro previsione e tutela. La struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili l’emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione» (sentenze n. 69 del 2018 e n. 177 del 2021; in senso analogo, sentenza n. 177 del 2018, nonché, più in generale, con riferimento alle competenze primarie delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, sentenza n. 117 del 2022).

Le disposizioni censurate – senza che le diverse formulazioni adoperate dal legislatore regionale rendano significativamente differente il loro contenuto normativo – determinano, invece, una sospensione dei procedimenti autorizzativi per la costruzione e l’esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili, così ponendosi in evidente contrasto con la richiamata normativa statale. Non assume alcun rilievo la circostanza, sulla quale ha insistito in atti la Regione Lazio, che tale sospensione sia temporalmente circoscritta, anche con la fissazione di un termine massimo di otto mesi, il quale peraltro, al di là d’ogni altra considerazione, è di gran lunga superiore a quello, di novanta giorni, che l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 prescrive per la conclusione del procedimento unico ivi previsto.

7.1.2.− Devono dunque essere dichiarate fondate, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., le questioni di legittimità costituzionale aventi per oggetto l’art. 75, comma 1, lettera b), numero 5), della legge reg. Lazio n. 14 del 2021, nella parte in cui introduce i nuovi commi 5-quater e 5-quinquies dell’art. 3.1. della legge reg. Lazio n. 16 del 2011, e l’art. 6 della legge reg. Lazio n. 20 del 2021, nella parte in cui sostituisce il richiamato comma 5-quater, restando assorbite le ulteriori questioni promosse nei confronti delle medesime disposizioni.

8.− Rimangono da scrutinare le questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso iscritto al n. 64 reg. ric. 2021, avverso l’art. 81 della legge reg. Lazio n. 14 del 2021, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. La disposizione impugnata prevede la modifica della perimetrazione del parco regionale dell’Appia Antica, riducendone i confini.

Secondo il ricorrente, la norma regionale sarebbe in palese contrasto con gli artt. 22, comma 1, lettere a) e c), e 23 della legge n. 394 del 1991, poiché non sarebbe stato rispettato quanto ivi previsto con riferimento alla partecipazione degli enti locali nella variazione dei confini del parco.

Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta, poi, la violazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, che impone la VAS per quei piani che «possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale». Al contempo, e «in maniera conseguenziale», la disposizione censurata violerebbe altresì l’art. 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche – come recepito dall’art. 6 del d.P.R. n. 120 del 2003 – il quale imporrebbe la sottoposizione di piani e programmi alla VINCA.

Il ricorrente prende atto della circostanza, rappresentata dalla Regione, per cui la modifica del perimetro del parco è stata preceduta dalle prescritte procedure di consultazione e partecipazione pubblica di cui all’art. 22, comma 1, lettera a), della legge n. 394 del 1991, ma osserva che, «nondimeno, la lettera della norma stessa non rende chiaro siffatto aspetto istruttorio». Inoltre, a parere dell’Avvocatura generale dello Stato, la riperimetrazione di un parco per sottrazione di una determinata area potrebbe avvenire soltanto attraverso l’approvazione di un aggiornamento al piano del parco.

8.1.− Anche per questa parte, il ricorso è fondato.

Questa Corte ha già riconosciuto che «“la modifica del perimetro dei parchi regionali può avvenire sia con legge regionale, nel rispetto del procedimento regolato dall’art. 22 della legge [n. 394 del 1991], sia in sede di adozione o modifica del piano del parco” (sentenza n. 276 del 2020). L’ipotesi della modifica della perimetrazione dell’area protetta regionale non è, infatti, espressamente prevista dalla legge quadro, che ha dettato soltanto il procedimento da seguire per la sua istituzione. Nel silenzio del legislatore statale, deve ritenersi che riacquisti il suo spazio l’autonomia regionale, purché siano ovviamente rispettati i princìpi stabiliti dalla legge quadro del 1991. Ne consegue che − per quel che riguarda la perimetrazione definitiva, la quale segue quella provvisoria fatta al momento dell’istituzione dell’area protetta – è “implicito nel sistema legislativo statale che [essa] possa essere affidata dalla legge regionale ad una fase procedimentale successiva, ed in particolare al piano del parco” (sentenza n. 134 del 2020). Di converso, per quel che riguarda la riperimetrazione – la quale presuppone un’area protetta già esistente a tutti gli effetti (e, dunque, non solo provvisoriamente ma anche definitivamente delimitata) – essa può essere affidata tanto a modifiche del piano per il parco, quanto alla legge regionale, nel quale ultimo caso deve “osservare il medesimo procedimento seguito dal legislatore ai fini della perimetrazione provvisoria dei confini, ai sensi dell’art. 22 della legge quadro, compresa la interlocuzione con le autonomie locali” (ancora sentenza n. 134 del 2020)» (sentenza n. 115 del 2022).

Ne discende che è destituita di fondamento l’affermazione della difesa dello Stato secondo cui la riperimetrazione per sottrazione di una determinata area può avvenire soltanto attraverso l’approvazione di un aggiornamento al piano del parco, potendo invece la Regione decidere di procedervi mediante l’approvazione d’una legge regionale. In tal caso, tuttavia, l’art. 22, comma 1, lettera a), della legge quadro n. 394 del 1991 impone che sia garantita la partecipazione delle province, delle comunità montane e dei comuni al procedimento di riperimetrazione, la quale «si presenta del tutto assimilabile alla istituzione di una nuova area protetta» (sentenza n. 115 del 2022): e detta partecipazione si realizza, per espressa disposizione della richiamata normativa statale, attraverso conferenze per la redazione del documento di indirizzo indicato dal medesimo art. 22.

Nell’adottare, con la disposizione oggetto di impugnazione, la riperimetrazione del parco regionale dell’Appia Antica, non risulta che la Regione Lazio abbia rispettato quanto dettato dalla richiamata normativa statale. L’art. 81 della legge regionale n. 14 del 2021, infatti, è frutto di un emendamento presentato direttamente in Consiglio regionale nella seduta n. 97.7 del 4 agosto 2021: dal relativo resoconto non è dato trarre alcuna indicazione non solo dell’adozione del documento di indirizzo, così come previsto dalla norma evocata a integrazione del parametro costituzionale, ma neppure della partecipazione degli enti locali interessati al procedimento di riperimetrazione.

Nell’atto di costituzione in giudizio, la Regione Lazio si è limitata a riferire che la riduzione, che sarebbe funzionale a sottrarre al parco regionale un’area ricompresa all’interno del perimetro per mero errore, è stata «ritenuta opportuna dall’Ente gestore dell’area naturale protetta, che nulla ha avuto da riscontrare in merito, così come non risulta vi siano stati altri enti contrari». Sennonché, al di là d’ogni altra considerazione sulla possibilità che la consultazione del solo Ente parco possa validamente surrogare la partecipazione degli enti locali al procedimento legislativo di riperimetrazione, neppure di questa consultazione la Regione Lazio ha prodotto alcuna documentazione.

La disposizione regionale impugnata, dunque, deve dichiararsi costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto «il mancato coinvolgimento degli enti locali, attraverso la formazione del documento indicato dall’art. 22 della legge quadro, costituisce un vizio della fase procedimentale» (sentenza n. 134 del 2020) che determina l’illegittimità costituzionale della relativa legge.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibile l’intervento di Enel Green Power Italia srl, nel giudizio relativo al ricorso iscritto al n. 64 reg. ric. 2021;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 75, comma 1, lettera b), numero 5), della legge della Regione Lazio 11 agosto 2021, n. 14 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità regionale 2021 e modifiche di leggi regionali), nella parte in cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies dell’art. 3.1 della legge della Regione Lazio 16 dicembre 2011, n. 16 (Norme in materia ambientale e di fonti rinnovabili);

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge della Regione Lazio 30 dicembre 2021, n. 20 (Legge di stabilità regionale 2022);

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 81 della legge reg. Lazio n. 14 del 2021;

5) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 75, comma 1, lettera b), numeri 2), 3), 4) e 5) – quest’ultimo nella parte in cui introduce i commi 5-bis e 5-ter dell’art. 3.1 della legge reg. Lazio n. 16 del 2011 – e lettera c), della legge reg. Lazio n. 14 del 2021, promosse, in riferimento all’art. 117, commi primo, secondo, lettere e) e s), e terzo, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso iscritto al n. 64 reg. ric. 2021;

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 64, comma 1, lettera a), della legge reg. Lazio n. 14 del 2021, promosse, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., nonché al principio di leale collaborazione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso iscritto al n. 64 reg. ric. 2021.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 13 settembre 2022.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 27 ottobre 2022.