SENTENZA N. 234
ANNO 2020
Commenti alla decisione di
I. Clemente Forte - Marco Pieroni, Nota a prima lettura della sentenza della Corte costituzionale n. 234 del 2020: legittimo il raffreddamento della perequazione per le pensioni più elevate ed illegittima la durata quinquennale del contributo di solidarietà, per g.c. del Forum di Quaderni costituzionali
II. Francesca Angelini – Giorgio Grasso, "Raffreddamento della dinamica perequativa” e tempo (in)finito della solidarietà nei trattamenti pensionistici (a margine della sentenza n. 234/2020 della Corte costituzionale), per g.c. dell’Osservatorio costituzionale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Mario Rosario MORELLI;
Giudici: Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 260, 261, 262, 263, 264, 265, 266, 267 e 268, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), promossi dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza del 17 ottobre 2019, dal Tribunale ordinario di Milano, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 20 gennaio 2020, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, con ordinanza del 22 ottobre 2019, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Sardegna, con ordinanza dell’11 febbraio 2020, e dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, con due ordinanze del 9 aprile 2020, iscritte, rispettivamente, al numero 213 del registro ordinanze 2019 e ai numeri 46, 75, 76, 118 e 119 del registro ordinanze 2020, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numero 48, prima serie speciale, dell’anno 2019 e numeri 22, 27 e 37, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visti gli atti di costituzione di U. Z., F. I., N. L. e altri, C. L. C., G. C. e altri e dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nonché gli atti di intervento di G. B. e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 ottobre 2020 il Giudice relatore Stefano Petitti;
uditi gli avvocati Giampaolo Maria Cogo per G. B., Massimo Luciani per U. Z., Francesco Saverio Marini per F. I., Nicola Leone per N. L. e altri, Mario Rampini per C. L. C., Gaetano Viciconte per G. C. e altri, Antonella Patteri per l’INPS e l’avvocato dello Stato Federico Basilica per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 22 ottobre 2020.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 17 ottobre 2019, iscritta al reg. ord. n. 213 del 2019, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Friuli-Venezia Giulia, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 260, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, «in relazione all’intervento di riduzione per un triennio della rivalutazione automatica delle pensioni di elevato importo», nonché questioni di legittimità costituzionale dello stesso art. 1, commi dal 261 al 268, per contrasto con gli artt. 3, 23, 36, 38 e 53 Cost., «in relazione all’intervento di decurtazione percentuale per un quinquennio dell’ammontare lordo annuo dei medesimi trattamenti».
1.1.– L’ordinanza di rimessione espone che il giudizio principale ha ad oggetto la domanda spiegata nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) da U. Z. per l’accertamento del suo diritto al trattamento pensionistico integrale, con condanna dell’Istituto al versamento delle somme medio tempore non erogate.
1.2.– Ad avviso del giudice a quo, il raffreddamento dell’indicizzazione disposto dall’art. 1, comma 260, della legge n. 145 del 2018 violerebbe i canoni di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza di cui agli artt. 3, 36 e 38 Cost., sia perché reitererebbe i pregressi interventi limitativi del meccanismo perequativo sì da risultare privo del necessario carattere della transitorietà, sia perché non sarebbe sorretto da motivate e urgenti ragioni di finanza pubblica.
1.3.– La decurtazione percentuale dei trattamenti di elevato importo disposta dall’art. 1, commi dal 261 al 268, della legge n. 145 del 2018 violerebbe invece gli artt. 3, 23, 36, 38 e 53 Cost., sia perché, in assenza di una destinazione solidaristica endoprevidenziale, il prelievo avrebbe carattere sostanzialmente tributario, in pregiudizio selettivo di una categoria di contribuenti, sia perché la durata quinquennale dell’intervento, eccedente lo stesso ciclo triennale di bilancio, sarebbe incompatibile con ogni giustificazione di tipo emergenziale, sia infine perché verrebbero comunque lesi i canoni della ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza in materia previdenziale.
2.– Con ordinanza del 20 gennaio 2020, iscritta al reg. ord. n. 46 del 2020, il Tribunale ordinario di Milano, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 260, della legge n. 145 del 2018 per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 Cost. nonché questioni di legittimità costituzionale dello stesso art. 1, comma 261, per contrasto con gli artt. 3, 23, 36, 38, 53 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848.
2.1.– L’ordinanza di rimessione espone che il giudizio principale ha ad oggetto la domanda spiegata nei confronti dell’INPS, del Ministro dell’economia e delle finanze e del Presidente del Consiglio dei ministri da F. I. per l’accertamento del suo diritto al trattamento pensionistico integrale, con condanna dell’Istituto al versamento delle somme medio tempore non erogate.
2.2.– Anche ad avviso del Tribunale di Milano, la limitazione dell’indicizzazione disposta dall’art. 1, comma 260, della legge n. 145 del 2018 violerebbe i canoni di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza di cui agli artt. 3, 36 e 38 Cost., poiché il nuovo intervento avrebbe reiterato altri analoghi pregressi, in assenza di motivazioni su effettive urgenze di finanza pubblica.
2.3.– La riduzione dell’assegno disposta dall’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018, oltre a violare gli artt. 3, 23, 36, 38 e 53 Cost. per la natura sostanzialmente tributaria del prelievo e il difetto di proporzionalità su durata e aliquote, altresì violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del Prot. addiz. alla CEDU, non emergendo una causa di interesse pubblico idonea a giustificare un così pesante sacrificio del credito previdenziale.
3.– Con ordinanza del 22 ottobre 2019, iscritta al reg. ord. n. 75 del 2020, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 per contrasto con gli artt. 3, 36, 38, 53 e 97 Cost.
3.1.– L’ordinanza di rimessione espone che il giudizio principale ha ad oggetto la domanda spiegata nei confronti dell’INPS da V. M. per l’accertamento del suo diritto al trattamento pensionistico integrale, con condanna dell’Istituto al versamento delle somme medio tempore non erogate.
3.2.– Ad avviso del rimettente, l’eccessività delle aliquote e la protratta durata del contributo di solidarietà, di poco successivo ad altro analogo, in assenza di una chiara finalità endoprevidenziale, porrebbero il contributo stesso al di fuori dei limiti di legittimità individuati dalla giurisprudenza costituzionale.
3.3.– Inoltre, l’esenzione delle «pensioni interamente liquidate con il sistema contributivo», prevista dall’art. 1, comma 263, della legge n. 145 del 2018, determinerebbe «una irrazionale discriminazione tra soggetti il cui trattamento pensionistico è stato calcolato interamente con il sistema retributivo o misto rispetto a quelli soggetti al solo sistema contributivo, esclusi dal contributo di solidarietà, senza tener conto delle diverse anzianità di servizio e qualifiche conseguite e dell’ammontare delle ritenute versate».
4.– Con ordinanza dell’11 febbraio 2020, iscritta al reg. ord. n. 76 del 2020, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Sardegna, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261 «e seguenti», della legge n. 145 del 2018 per contrasto con gli artt. 3, 23, 36, 38, 53 e 136 Cost.
4.1.– L’ordinanza di rimessione espone che il giudizio principale ha ad oggetto la domanda spiegata nei confronti dell’INPS da N. L. e altri nove per l’accertamento del loro diritto al trattamento pensionistico integrale, con condanna dell’Istituto al versamento delle somme medio tempore non erogate.
4.2.– L’ordinanza precisa che i ricorrenti hanno chiesto, in via subordinata, accertarsi che le loro pensioni vanno esenti dal prelievo in quanto, virtualmente ricalcolate con il metodo contributivo, non sarebbero inferiori a quelle in godimento.
4.3.– Evidenziato che il «ricalcolo virtuale», sollecitato dai ricorrenti ai fini dell’esenzione dal prelievo, non è compatibile con la lettera dell’art. 1, comma 263, della legge n. 145 del 2018, il giudice a quo assume che, in assenza di una chiara destinazione solidaristica endoprevidenziale, il prelievo abbia carattere sostanzialmente tributario, in pregiudizio selettivo di una categoria di contribuenti, e che la sua durata ed entità leda i canoni della ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza in materia previdenziale.
4.4.– Istituendo un contributo di solidarietà difforme dai criteri fissati dalla giurisprudenza costituzionale, la norma censurata sarebbe illegittima anche per violazione dell’art. 136 Cost., «con elusione del giudicato costituzionale».
5.– Con ordinanza del 9 aprile 2020, iscritta al reg. ord. n. 118 del 2020, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi dal 261 al 268, della legge n. 145 del 2018 per contrasto con gli artt. 3, 23, 36, 38, 42, 53, 81 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 1 del Prot. addiz. alla Convenzione stessa.
5.1.– L’ordinanza di rimessione espone che il giudizio principale ha ad oggetto la domanda spiegata nei confronti dell’INPS, del Ministro dell’economia e delle finanze e del Presidente del Consiglio dei ministri da C. L. C. per l’accertamento del suo diritto al trattamento pensionistico integrale, con condanna dell’Istituto al versamento delle somme medio tempore non erogate.
5.2.– Ad avviso del giudice a quo, la decurtazione percentuale dei trattamenti pensionistici di elevato importo disposta dall’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 violerebbe gli evocati parametri sia perché, in assenza di una destinazione solidaristica endoprevidenziale, il prelievo avrebbe carattere sostanzialmente tributario, in pregiudizio selettivo di una categoria di contribuenti, sia perché la durata quinquennale dell’intervento, eccedente lo stesso ciclo triennale di bilancio, sarebbe incompatibile con ogni giustificazione di tipo emergenziale, sia perché verrebbero comunque lesi i canoni della ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza in materia previdenziale.
5.3.– Inoltre, sarebbe leso l’affidamento del titolare della pensione, colpito da una «misura ablativa della proprietà privata», in violazione dell’art. 42 Cost. e delle richiamate norme convenzionali.
6.– Con ordinanza del 9 aprile 2020, iscritta al reg. ord. n. 119 del 2020, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 260, della legge n. 145 del 2018 per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 Cost. nonché questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi dal 261 al 268, della medesima legge per contrasto con gli artt. 3, 23, 36, 38, 42, 53, 81 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Prot. addiz. alla Convenzione stessa.
6.1.– L’ordinanza di rimessione espone che il giudizio principale ha ad oggetto la domanda spiegata nei confronti dell’INPS e del Ministro dell’economia e delle finanze da A. A. e altri sessantotto per l’accertamento del loro diritto al trattamento pensionistico integrale, con condanna dell’Istituto al versamento delle somme medio tempore non erogate.
6.2.– Espressi riguardo al prelievo ex art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 gli stessi argomenti di cui all’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 118 del 2020, il giudice a quo denuncia, riguardo alla limitazione dell’indicizzazione disposta dall’art. 1, comma 260, della medesima legge, la violazione dei canoni di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza, poiché il nuovo intervento avrebbe reiterato altri analoghi pregressi, in assenza di motivazioni su effettive urgenze di finanza pubblica.
7.– In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi infondate le questioni, in alcuni giudizi sollevando altresì eccezioni di inammissibilità.
7.1.– Nei giudizi di cui al reg. ord. n. 213 del 2019, n. 75 del 2020, n. 118 del 2020 e n. 119 del 2020 l’Avvocatura dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni poiché: sarebbe incerto il petitum relativo al prelievo quinquennale, non essendo chiaro se i rimettenti abbiano inteso censurare l’intero istituto o soltanto la sua durata; le ordinanze di rimessione mancherebbero di autonomia rispetto agli argomenti dei ricorrenti; i giudici a quibus non avrebbero esperito alcun tentativo di interpretazione adeguatrice.
7.1.1.– Nel giudizio di cui al reg. ord. n. 75 del 2020 l’Avvocatura dello Stato ha inoltre eccepito l’inammissibilità della questione relativa all’esenzione delle pensioni liquidate con il sistema contributivo, poiché non sarebbe stata censurata la specifica norma che tale esenzione dispone e perché sarebbero comunque ipotizzabili plurime soluzioni per rimuoverne i denunciati effetti discriminatori.
7.2.– Nel merito, l’Avvocatura dello Stato reputa infondate le questioni inerenti all’indicizzazione, perché non si tratterebbe di un blocco integrale della perequazione automatica, ma soltanto di una limitazione graduale e proporzionata.
7.2.1.– Sarebbero infondate anche le questioni inerenti al prelievo di solidarietà, la cui destinazione endoprevidenziale sarebbe assicurata dal previsto accantonamento in appositi fondi degli enti previdenziali e la cui sostenibilità sarebbe evidenziata dalla prevista salvezza della soglia minima dei 100.000 euro lordi annui.
7.2.2.– Nel giudizio di cui al reg. ord. n. 76 del 2020 l’Avvocatura dello Stato contesta che la disposizione sul prelievo abbia eluso uno specifico giudicato costituzionale.
7.3.– In tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto, in subordine, che gli effetti di un’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale siano temporalmente circoscritti, trattandosi di misure di contenimento della spesa previdenziale aventi un rilevante impatto sull’equilibrio del bilancio pubblico.
8.– Si è costituito in tutti i giudizi anche l’INPS, che ha chiesto dichiararsi le questioni infondate, deducendo, in particolare, che i risparmi di spesa generati dalle contestate misure sono destinati a finanziare un’estensione dei pensionamenti anticipati in funzione del ricambio occupazionale tra le generazioni, secondo quanto emerge dal decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26.
9.– Nel giudizio di cui al reg. ord. n. 213 del 2019 si è costituita la parte privata U. Z., che ha chiesto dichiararsi fondate le questioni, sia in ordine alla limitazione della perequazione, che avrebbe consolidato nel tempo una misura incidente sull’adeguatezza del trattamento, sia in ordine al prelievo sull’assegno, equivalente a un tributo selettivo, peraltro attuato con durata e aliquote sproporzionate.
9.1.– Nel giudizio di cui al reg. ord. n. 46 del 2020 si è costituita la parte privata F. I., che ha sviluppato argomenti analoghi, aggiungendo che il prelievo è stato applicato senza alcuna verifica del montante contributivo individuale.
9.2.– Nel giudizio di cui al reg. ord. n. 76 del 2020 si sono costituite nove delle dieci parti private, per sollecitare l’accoglimento delle questioni, tra l’altro osservando che «la lettera della legge esclude dal prelievo soltanto le pensioni calcolate con il metodo contributivo, ma, irragionevolmente, non dispone che debba tenersi conto dei contributi versati da ciascun pensionato».
9.3.– Nel giudizio di cui al reg. ord. n. 118 del 2020 si è costituita la parte privata C. L. C., che ha chiesto dichiararsi fondate le questioni, segnatamente denunciando l’irragionevolezza dell’esenzione dal prelievo disposta dall’art. 1, comma 263, della legge n. 145 del 2018 per le pensioni liquidate con il sistema contributivo, irragionevolezza che discenderebbe dall’essere il metodo liquidativo criterio inadeguato, di per sé, ad evidenziare la maggiore o minore entità complessiva delle ritenute previdenziali operate.
9.4.– Nel giudizio di cui al reg. ord. n. 119 del 2020 si sono costituite le parti private G. C. e altri tre, sollecitando l’accoglimento delle questioni, per il carattere sproporzionato del blocco perequativo e la natura tributaria della decurtazione percentuale.
10.– Nel giudizio di cui al reg. ord. n. 213 del 2019 è intervenuto ad adiuvandum G. B., il quale, avendo promosso un giudizio nei confronti dell’INPS presso il Tribunale ordinario di Viterbo, in funzione di giudice del lavoro, sollecita la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme censurate, poiché incidenti sulla propria posizione pensionistica.
10.1.– Nel giudizio di cui al reg. ord. n. 46 del 2020 sono intervenuti ad adiuvandum, con istanza di accesso agli atti e separata decisione sull’ammissibilità dell’intervento, U. B. e altri sei, P. A. B. e altri tre, nonché la Confederazione dei dirigenti, funzionari, quadri, ed alte professionalità, in servizio ed in quiescenza, della pubblica amministrazione (CONFEDIR).
10.1.1.– Questi ultimi interventi sono stati dichiarati inammissibili con ordinanza n. 202 del 2020, in quanto spiegati da soggetti che non sono parti del giudizio a quo, né titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in quel giudizio.
11.– Nel giudizio di cui al reg. ord. n. 46 del 2020 ha presentato un’opinione scritta di amicus curiae la Federazione sanitari pensionati e vedove (FEDERSPEV).
In tale opinione si illustrano la perdita economica dei rappresentati e la lesione del loro affidamento, conseguenti all’interazione delle misure disposte dalle norme censurate e di quelle analoghe succedutesi a partire dall’anno 2000.
11.1.– Con decreto presidenziale del 14 settembre 2020, l’opinione è stata ammessa, in quanto conforme ai criteri previsti dall’art. 4-ter, commi 1, 2 e 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
12.– L’Avvocatura dello Stato ha depositato memorie illustrative nei giudizi di cui al reg. ord. n. 46 del 2020 e n. 76 del 2020; l’INPS nei giudizi di cui al reg. ord. n. 213 del 2019, n. 46 del 2020, n. 75 del 2020 e n. 76 del 2020.
12.1.– Nel giudizio di cui al reg. ord. n. 213 del 2019 la parte privata U. Z. ha prodotto documenti e depositato memoria e nel medesimo giudizio ha depositato memoria anche l’interveniente G. B.; nel giudizio di cui al reg. ord. n. 46 del 2020 ha depositato memoria la parte privata F. I. e così anche la parte privata C. L. C. nel giudizio di cui al reg. ord. n. 118 del 2020.
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 213 del 2019, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Friuli-Venezia Giulia, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 260, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, nonché questioni di legittimità costituzionale dello stesso art. 1, commi dal 261 al 268, per contrasto con gli artt. 3, 23, 36, 38 e 53 Cost.
2.– Con l’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 46 del 2020, il Tribunale ordinario di Milano, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 260, della legge n. 145 del 2018 per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 Cost. nonché questioni di legittimità costituzionale dello stesso art. 1, comma 261, per contrasto con gli artt. 3, 23, 36, 38, 53 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848.
3.– Con l’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 75 del 2020, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 per contrasto con gli artt. 3, 36, 38, 53 e 97 Cost.
4.– Con l’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 76 del 2020, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Sardegna, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261 «e seguenti», della legge n. 145 del 2018 per contrasto con gli artt. 3, 23, 36, 38, 53 e 136 Cost.
5.– Con l’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 118 del 2020, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi dal 261 al 268, della legge n. 145 del 2018 per contrasto con gli artt. 3, 23, 36, 38, 42, 53, 81 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 1 del Prot. addiz. alla Convenzione stessa.
6.– Con l’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 119 del 2020, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 260, della legge n. 145 del 2018 per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 Cost. nonché questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi dal 261 al 268, della medesima legge per contrasto con gli artt. 3, 23, 36, 38, 42, 53, 81 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Prot. addiz. alla Convenzione stessa.
7.– L’art. 1, comma 260, della legge n. 145 del 2018 stabilisce che, per il periodo 2019-2021, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici è riconosciuta nella misura del 100 per cento soltanto per quelli complessivamente pari o inferiori a tre volte il minimo INPS, mentre, per quelli superiori a tre volte, la rivalutazione è riconosciuta in misura decrescente: 97 per cento per i trattamenti pari o inferiori a quattro volte il minimo; 77 per cento per i trattamenti superiori a quattro volte e pari o inferiori a cinque volte; 52 per cento per i trattamenti superiori a cinque volte e pari o inferiori a sei volte; 47 per cento per i trattamenti superiori a sei volte e pari o inferiori a otto volte; 45 per cento per i trattamenti superiori a otto volte e pari o inferiori a nove volte; 40 per cento per i trattamenti superiori a nove volte il minimo.
7.1.– Il modulo perequativo configurato dalla norma censurata è stato modificato dall’art. 1, comma 477, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), con esclusivo riguardo ai trattamenti superiori a tre volte il minimo e pari o inferiori a quattro volte, i quali, per il biennio 2020-2021, sono stati ammessi alla rivalutazione integrale.
8.– L’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 stabilisce che, per la durata di cinque anni, i trattamenti pensionistici diretti di importo complessivo superiore a 100.000 euro lordi su base annua sono ridotti nella misura del 15 per cento per la parte eccedente tale importo fino a 130.000 euro, 25 per cento per la parte eccedente 130.000 euro fino a 200.000 euro, 30 per cento per la parte eccedente 200.000 euro fino a 350.000 euro, 35 per cento per la parte eccedente 350.000 euro fino a 500.000 euro e 40 per cento per la parte eccedente 500.000 euro.
8.1.– I commi dal 262 al 268 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018 contengono alcune disposizioni particolari concernenti tale riduzione, tra le quali segnatamente la previsione per cui essa «non si applica comunque alle pensioni interamente liquidate con il sistema contributivo» (comma 263), quella secondo la quale le somme risparmiate «restano accantonate» presso gli enti previdenziali in un «Fondo risparmio sui trattamenti pensionistici di importo elevato» (comma 265) e l’altra per cui, nonostante la riduzione, l’importo complessivo del trattamento «non può comunque essere inferiore a 100.000 euro lordi su base annua» (comma 267).
9.– Ad avviso dei rimettenti che hanno censurato l’art. 1, comma 260, della legge n. 145 del 2018, questo violerebbe gli artt. 3, 36 e 38 Cost., disponendo una limitazione della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici non conforme ai principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza, ripetitiva di pregressi analoghi interventi e non sorretta da ragioni di necessità.
10.– Secondo i rimettenti che hanno censurato l’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018, questo violerebbe gli artt. 3, 23, 36, 38 e 53 Cost., perché, in assenza di una destinazione solidaristica endoprevidenziale, il prelievo avrebbe carattere sostanzialmente tributario, in pregiudizio di una sola categoria di contribuenti; inoltre, perché la durata quinquennale dell’intervento, eccedente lo stesso ciclo triennale di bilancio, sarebbe incompatibile con ogni giustificazione di tipo emergenziale; infine, perché verrebbero comunque lesi i canoni della ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza in materia previdenziale.
10.1.– Nei giudizi di cui al reg. ord. n. 46 del 2020, n. 118 del 2020 e n. 119 del 2020 viene inoltre evocato il parametro di cui all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del Prot. addiz. alla CEDU e, negli ultimi due giudizi, in relazione anche all’art. 6 della CEDU, poiché il sacrificio del credito previdenziale non sarebbe giustificato da un’adeguata ragione di interesse pubblico e lederebbe l’affidamento riposto dai titolari di pensione.
10.2.– Sempre a proposito della riduzione percentuale degli assegni, nel giudizio di cui al reg. ord. n. 75 del 2020 viene evocato il parametro di cui all’art. 97 Cost., nel giudizio di cui al reg. ord. n. 76 del 2020 il parametro di cui all’art. 136 Cost. e nei giudizi di cui al reg. ord. n. 118 del 2020 e n. 119 del 2020 i parametri di cui agli artt. 42 e 81 Cost.
11.– Per l’ampia coincidenza delle questioni sollevate e dei parametri evocati, i sei giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
12.– In via preliminare, deve essere confermata l’ordinanza dibattimentale, allegata a questa sentenza, con la quale è stato dichiarato inammissibile l’intervento spiegato da G. B. nel giudizio di cui al reg. ord. n. 213 del 2019.
13.– Ancora in via preliminare, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, nei giudizi di cui al reg. ord. n. 213 del 2019, n. 75 del 2020, n. 118 del 2020 e n. 119 del 2020.
13.1.– In tutti questi giudizi l’Avvocatura dello Stato ha eccepito che il petitum relativo al prelievo quinquennale è incerto, non essendo chiaro se esso attenga all’intera misura o soltanto alla sua durata; ha eccepito altresì che le ordinanze di rimessione mancano di autonomia argomentativa rispetto ai ricorsi e che i giudici a quibus non hanno esperito il doveroso tentativo di interpretazione adeguatrice delle norme censurate.
13.1.1.– Queste eccezioni sono prive di fondamento.
Tutte le ordinanze di rimessione contengono un’autonoma esposizione degli argomenti di rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni e tutte chiaramente individuano nella durata quinquennale del prelievo un aspetto soltanto della sua denunciata illegittimità costituzionale.
Peraltro, come pure espressamente rimarca una di queste ordinanze, cioè quella di cui al reg. ord. n. 213 del 2019, a fronte dell’univoco tenore letterale delle norme censurate, non è dato intendere quale interpretazione adeguatrice i rimettenti avrebbero potuto e dovuto esperire; la stessa Avvocatura dello Stato, nel sollevare l’eccezione, manca di ipotizzarne alcuna.
13.2.– Nel giudizio di cui al reg. ord. n. 75 del 2020 l’Avvocatura dello Stato ha inoltre eccepito l’inammissibilità della questione relativa all’esenzione dal prelievo delle pensioni liquidate con il sistema contributivo, poiché il giudice a quo non avrebbe specificamente censurato la norma che prevede tale esenzione, cioè il comma 263 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018, né avrebbe indicato alcuna tra le molteplici soluzioni astrattamente ipotizzabili per rimuoverne i denunciati effetti discriminatori.
13.2.1.– Anche questa eccezione è priva di fondamento.
Per quanto in dispositivo menzioni unicamente il comma 261 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018, e non anche il comma 263, in motivazione l’ordinanza di cui al reg. ord. n. 75 del 2020 si riferisce ai «commi 261 e segg.» e, soprattutto, illustra le ragioni per le quali sospetta di illegittimità costituzionale l’esenzione dal prelievo disposta con esclusivo riguardo al metodo liquidativo della pensione.
Quindi, è da intendersi censurata anche tale esenzione, appunto perché limitata alle pensioni interamente liquidate con il sistema contributivo, nell’evidente prospettiva di una sua necessaria estensione alle pensioni liquidate, in tutto o in parte, con il sistema retributivo.
14.– Sussistono invece altri profili di inammissibilità, che vanno rilevati d’ufficio.
14.1.– Il primo concerne il parametro di cui all’art. 97 Cost., che l’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 75 del 2020 evoca senza alcuna spiegazione dei motivi per i quali esso sarebbe stato violato dall’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018.
L’ordinanza contiene solo un generico riferimento ai principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, peraltro come deduzione del ricorrente nel giudizio principale.
Per costante giurisprudenza costituzionale, l’omessa o insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione rende la stessa inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 136 e n. 26 del 2020, n. 160 del 2018 e n. 35 del 2017; ordinanze n. 191 del 2018, n. 133 del 2011 e n. 84 del 2010).
14.2.– Il secondo profilo di inammissibilità concerne il parametro di cui all’art. 136 Cost., evocato dall’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 76 del 2020 senza alcuna indicazione dello specifico giudicato costituzionale che sarebbe stato eluso dall’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018.
Sull’assunto che questa disposizione non abbia osservato i criteri di legittimità del prelievo pensionistico stabiliti dalla giurisprudenza costituzionale, l’ordinanza si limita a menzionare i «criteri da ultimo compiutamente delineati nella sentenza n. 173 del 2016», sentenza che tuttavia non reca alcuna declaratoria di illegittimità.
Con ogni evidenza, quindi, il rimettente ha inteso denunciare l’inosservanza da parte del legislatore di principi tratti dalla giurisprudenza costituzionale, che è cosa ovviamente diversa dall’elusione di uno specifico giudicato costituzionale, rilevante ai sensi dell’art. 136 Cost., giacché quest’ultima si verifica quando la norma riproduce un’altra dichiarata incostituzionale o ne persegue anche indirettamente il risultato (ex plurimis, sentenze n. 164 del 2020, n. 57 del 2019, n. 101 del 2018, n. 250, n. 231 e n. 5 del 2017, n. 73 del 2013, n. 245 del 2012 e n. 350 del 2010).
14.3.– Infine, sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 sollevate dalle ordinanze iscritte al reg. ord. n. 118 del 2020 e n. 119 del 2020 in riferimento all’art. 81 Cost.
Tali questioni censurano la durata quinquennale del prelievo, in quanto eccedente l’orizzonte triennale del bilancio di previsione, ma non forniscono alcuna spiegazione del richiamo all’art. 81 Cost., che invero nulla stabilisce a proposito di detta proiezione temporale, sicché anche qui si configura l’inammissibilità per omessa o insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza.
Come si osserverà nell’esame di merito (infra, punto 18.), la durata quinquennale della decurtazione ex art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 rileva sotto un profilo differente, alla luce dei parametri di cui gli artt. 3, 23, 36 e 38 Cost., quale indice di un difetto di ragionevolezza e proporzionalità della prestazione patrimoniale imposta.
15.– Nel merito, le questioni relative all’art. 1, comma 260, della legge n. 145 del 2018, sollevate in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost., vanno dichiarate non fondate.
15.1.– Introdotta in termini condizionati dall’art. 10 della legge 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale), la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici è stata messa a regime dall’art. 19, primo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), con aggancio all’indice del costo della vita per la scala mobile retributiva dei lavoratori dell’industria.
Sopravvenuta per effetto del protocollo d’intesa del 31 luglio 1992 l’abolizione della scala mobile delle retribuzioni, l’art. 11, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), ha rapportato l’aumento perequativo dei trattamenti pensionistici al valore medio dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati, in tal modo compensando l’eliminazione dell’aggancio alle dinamiche salariali e collegando l’adeguamento delle pensioni all’evoluzione del livello medio del tenore di vita nazionale.
Attualmente, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici opera in base al meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) – disposizione invero richiamata dalla norma oggi censurata –, secondo il quale la perequazione automatica si applica in funzione dell’importo complessivo dei trattamenti del singolo beneficiario.
15.2.– Questa Corte ha più volte evidenziato che, nella prospettiva dell’art. 38, secondo comma, Cost., la perequazione automatica è uno strumento di natura tecnica volto a garantire nel tempo l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici, dei quali salvaguarda il valore reale al cospetto della pressione inflazionistica (sentenze n. 250 del 2017 e n. 70 del 2015).
Essa è altresì funzionale all’attuazione dei principi di sufficienza e proporzionalità della retribuzione, sanciti dall’art. 36, primo comma, Cost. (sentenza n. 70 del 2015); ciò senza che possa tuttavia configurarsi un rigido parallelismo tra la garanzia di cui all’art. 38 Cost. e quella di cui all’art. 36 Cost., tenuto conto che la prima è agganciata alla seconda «non in modo indefettibile e strettamente proporzionale» (sentenze n. 250 del 2017 e n. 173 del 2016).
Per le sue caratteristiche di neutralità e obiettività, e per la sua strumentalità rispetto all’attuazione dei suddetti principi costituzionali, «la tecnica della perequazione si impone, senza predefinirne le modalità, sulle scelte discrezionali del legislatore, cui spetta intervenire per determinare in concreto il quantum di tutela di volta in volta necessario» (sentenza n. 70 del 2015).
Appartiene infatti alla discrezionalità del legislatore stabilire nel concreto le variazioni perequative dell’ammontare delle prestazioni, attraverso un bilanciamento di valori che tenga conto anche delle esigenze di bilancio, poiché l’adeguatezza e la proporzionalità del trattamento pensionistico incontrano pur sempre il limite delle risorse disponibili (sentenza n. 316 del 2010; ordinanza n. 256 del 2001).
15.2.1.– Nella prospettiva della discrezionalità del legislatore, si è affermato che il principio di adeguatezza enunciato nell’art. 38, secondo comma, Cost. non determina la necessità costituzionale dell’adeguamento annuale di tutti i trattamenti pensionistici, né d’altronde la mancata perequazione per un solo anno incide, di per sé, sull’adeguatezza della pensione (sentenze n. 250 del 2017 e n. 316 del 2010).
Tuttavia, la discrezionalità legislativa deve osservare un vincolo di ragionevolezza, innestato su «un progetto di eguaglianza sostanziale, conforme al dettato dell’art. 3, secondo comma, Cost.» (sentenza n. 70 del 2015).
Ne discende che la pur ampia discrezionalità in materia «non esclude la necessità di verificare nel merito le scelte di volta in volta operate dal legislatore riguardo ai meccanismi di rivalutazione dei trattamenti pensionistici, quale che sia il contesto giuridico e di fatto nel quale esse si inseriscono» (ordinanza n. 96 del 2018).
15.2.2.– Nell’ambito di questa verifica assume un ruolo essenziale la considerazione differenziata dei trattamenti di quiescenza in base al loro importo, atteso che le pensioni più elevate presentano margini più ampi di resistenza all’erosione inflattiva, e «[l]’esigenza di una rivalutazione sistematica del correlativo valore monetario è, dunque, per esse meno pressante di quanto non sia per quelle di più basso importo» (sentenza n. 316 del 2010).
Pertanto, facendo riferimento all’entità del trattamento, «il legislatore soddisfa un canone di non irragionevolezza che trova riscontro nei maggiori margini di resistenza delle pensioni di importo più alto rispetto agli effetti dell’inflazione» (sentenza n. 250 del 2017).
15.2.3.– Nella verifica di ragionevolezza sugli interventi limitativi della perequazione viene in rilievo, oltre al dato quantitativo, anche quello economico-finanziario che motiva la scelta del legislatore, poiché il sacrificio dell’interesse dei pensionati alla conservazione del potere di acquisto degli assegni, in particolar modo dei più modesti, non può dirsi ragionevole quando le esigenze finanziarie sottese all’intervento di limitazione della rivalutazione siano «non illustrate in dettaglio» (sentenza n. 70 del 2015).
Occorre quindi una motivazione sostenuta da valutazioni della situazione finanziaria basate su dati oggettivi, emergenti, ad esempio, dalle relazioni tecniche di accompagnamento delle misure legislative (sentenza n. 250 del 2017).
15.2.4.– Sussiste infine un limite di ordine temporale, poiché «la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità»; invero anche le pensioni di maggiore consistenza «potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta» (sentenza n. 316 del 2010).
Ciò anche in considerazione dell’effetto di "trascinamento”, che rende sostanzialmente definitiva anche una perdita temporanea del potere di acquisto del trattamento di pensione, atteso che «[l]e successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato» (sentenza n. 70 del 2015).
15.3.– Chiamata a pronunciarsi sul modulo perequativo introdotto – in attuazione dei principi enunciati da questa Corte nella sentenza n. 70 del 2015 – dall’art. 1, comma 1, numero 1), del decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2015, n. 109, modulo notevolmente più severo rispetto a quello oggi in esame, giacché in esso non era prevista per gli anni 2012 e 2013 alcuna rivalutazione dei trattamenti pensionistici superiori a sei volte il minimo INPS, la Corte europea dei diritti dell'uomo – in sintonia con gli argomenti sviluppati da questa Corte nella sentenza n. 250 del 2017 – ne ha riconosciuto la compatibilità con gli artt. 6 della CEDU e 1 del Prot. addiz. alla Convenzione stessa, in ragione della proporzionalità della misura, assunta in un contesto economico difficile (sentenza 10 luglio 2018, Aielli e altri contro Italia, Arboit e altri contro Italia).
15.4.– Fatta salva per intero la rivalutazione dei trattamenti pensionistici di importo più modesto (fino a tre volte il minimo INPS), la disposizione oggi censurata opera un contenuto raffreddamento della dinamica perequativa dei trattamenti di importo superiore, con una progressione inversa rispetto alla loro entità.
Anche per i trattamenti di importo più elevato, superiori a nove volte il minimo, superiori quindi a 4.617 euro mensili per l’anno 2019, la rivalutazione non è azzerata, ma solo diminuita, con l’applicazione di un indice del 40 per cento.
La circostanza che la disposizione assicuri una quota perequativa – ridotta e tuttavia non meramente simbolica – anche in favore dei trattamenti di più elevato importo, come tali capaci di maggiore resistenza all’erosione inflattiva, induce a ritenere che essa non violi i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza.
15.4.1.– Secondo le ordinanze di rimessione e le parti private costituite in giudizio, la violazione di tali principi discenderebbe comunque dal fatto che quello oggetto di censura è solo l’ultimo di una serie di interventi limitativi della perequazione e che esso neppure è sorretto da un’adeguata motivazione di finanza pubblica.
15.4.2.– In linea generale, ogni misura di blocco o limitazione della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici «non può che essere scrutinata nella sua singolarità e in relazione al quadro storico in cui si inserisce» (sentenza n. 250 del 2017).
Non può ipotizzarsi, di per sé, una sorta di "consumazione” del potere legislativo dovuta all’effettuazione di uno o più interventi riduttivi della perequazione, ma il nuovo ulteriore intervento è comunque legittimo ove risulti conforme ai principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza, sulla base di un giudizio non limitato al solo profilo della reiterazione, bensì inclusivo di tutti gli elementi rilevanti.
D’altro canto, come già detto, anche per le pensioni di elevato importo, «la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità» (sentenza n. 316 del 2010).
L’intervento sulla perequazione realizzato dalla norma oggi censurata non ha tuttavia l’effetto di paralizzare, o sospendere a tempo indeterminato, la rivalutazione dei trattamenti pensionistici, neanche di quelli di importo più elevato, risolvendosi viceversa in un mero raffreddamento della dinamica perequativa, attuato con indici graduali e proporzionati.
Pertanto, tenuto anche conto che nel periodo considerato l’inflazione è stata marginale e che le previsioni indicano addirittura una situazione di tipo deflazionistico, può escludersi che la manovra di raffreddamento di cui all’art. 1, comma 260, della legge n. 145 del 2018 abbia violato i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza, nonostante l’effetto di "trascinamento” che essa può generare e l’esistenza di anteriori interventi sull’indicizzazione degli assegni.
15.4.3.– Circa la motivazione della censurata misura, in rapporto alla situazione generale della finanza pubblica, essa emerge con sufficiente chiarezza dagli atti parlamentari e dal contesto normativo.
Lo stesso art. 1 della legge n. 145 del 2018 ha stabilito, al comma 256, che nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sia istituito un fondo denominato «Fondo per la revisione del sistema pensionistico attraverso l’introduzione di ulteriori forme di pensionamento anticipato e misure per incentivare l’assunzione di lavoratori giovani».
Il decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, introducendo in via sperimentale per il triennio 2019-2021 il trattamento di pensione anticipata «quota 100» (art. 14), ne ha disposto il finanziamento, per una parte degli oneri, «mediante corrispondente riduzione del Fondo di cui all’articolo 1, comma 256, della legge 30 dicembre 2018, n. 145» (art. 28, comma 2, lettera b).
Il quadro normativo evidenzia pertanto che il raffreddamento della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici di elevato importo è stato disposto con una finalità di concorso agli oneri di finanziamento di un più agevole pensionamento anticipato, considerato funzionale al ricambio generazionale dei lavoratori attivi.
Tale motivazione appare in grado di giustificare il sostenibile sacrificio perequativo imposto alle pensioni di elevato importo.
È pertinente, al riguardo, quanto osservato nella sentenza n. 316 del 2010 a proposito dell’art. 1, comma 19, della legge 24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale), disposizione che ha escluso per l’anno 2008 la rivalutazione automatica dei trattamenti superiori a otto volte il minimo, allo scopo di finanziare l’abolizione dello "scalone” pensionistico (cioè il pregresso brusco innalzamento del requisito anagrafico di accesso alle pensioni di anzianità).
Nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale di tale disposizione, anche allora sollevate in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost., la sentenza n. 316 del 2010 ha affermato che «dev’essere riconosciuta al legislatore – all’interno di un disegno complessivo di razionalizzazione della precedente riforma previdenziale – la libertà di adottare misure, come quella denunciata, di concorso solidaristico al finanziamento di un riassetto progressivo delle pensioni di anzianità, onde riequilibrare il sistema a costo invariato».
D’altro canto, come si evince dalla documentazione allegata agli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, il raffreddamento della rivalutazione delle pensioni di maggior importo ha rappresentato una misura emendativa al disegno della legge di bilancio 2019, introdotta nell’ambito dell’interlocuzione del Governo italiano con la Commissione europea, in funzione dell’osservanza dei vincoli di stabilità finanziaria derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.
15.5.– Per le considerazioni che precedono, devono essere dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 260, della legge n. 145 del 2018, sollevate in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost.
16.– Le questioni relative all’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 – concernenti il prelievo sulle pensioni di elevato importo – sono infondate con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3 e 53 Cost.
16.1.– Il presupposto logico-giuridico dell’evocazione di tali parametri è che la riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici disposta dalla norma censurata abbia natura sostanzialmente tributaria, sì da attivare lo scrutinio di legittimità costituzionale basato sul principio di universalità dell’imposizione, «avendo riguardo, quindi, non tanto alla disparità di trattamento fra dipendenti o fra dipendenti e pensionati o fra pensionati e lavoratori autonomi od imprenditori, quanto piuttosto a quella fra cittadini», posto che «i redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai fini dell’osservanza dell’art. 53 Cost.» (sentenza n. 116 del 2013).
Tuttavia, il prelievo sulla pensione in tanto si configura come prelievo di natura tributaria, in quanto implichi «una decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare» (sentenze n. 116 del 2013 e n. 241 del 2012).
Il presupposto dei rimettenti non è pertanto condivisibile: quando viene devoluto a «un circuito di solidarietà interna al sistema previdenziale», il prelievo sul trattamento pensionistico resta infatti inquadrato nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Cost., e si sottrae quindi al principio di universalità dell’imposizione tributaria, di cui all’art. 53 Cost., potendo trovare un’autonoma giustificazione nei principi solidaristici sanciti dall’art. 2 Cost. (ordinanza n. 22 del 2003).
16.2.– A norma dell’art. 1, comma 265, della legge n. 145 del 2018, i risparmi di spesa derivanti dall’applicazione della riduzione di cui al precedente comma 261 confluiscono in appositi fondi, ciascuno dei quali denominato «Fondo risparmio sui trattamenti pensionistici di importo elevato», istituiti presso l’INPS e gli altri enti previdenziali interessati, e «[l]e somme ivi confluite restano accantonate».
A norma del successivo comma 266, le risorse confluite in tali fondi sono «accertate sulla base del procedimento di cui all’articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241», ovvero mediante conferenza di servizi.
Sebbene queste disposizioni non indichino una specifica destinazione di utilizzo dei risparmi di spesa, l’accantonamento delle somme in fondi dedicati, appositamente istituiti presso gli enti di previdenza, ne garantisce il necessario mantenimento all’interno del circuito previdenziale.
16.3.– Le ordinanze di rimessione e le parti private costituite in giudizio dubitano che un accantonamento privo di specifica destinazione sia sufficiente ad assicurare la natura endoprevidenziale del prelievo, non potendosi escludere un’acquisizione al bilancio dello Stato.
Il dubbio appare tuttavia inconsistente.
Quando il legislatore ha inteso devolvere al bilancio dello Stato un contributo di solidarietà sui trattamenti pensionistici, lo ha disposto espressamente, ciò che smentisce in radice la tesi della permeabilità statale dei bilanci previdenziali.
In particolare, l’art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, nel disporre un contributo progressivo sui trattamenti pensionistici superiori a 90.000 euro lordi annui, ha stabilito che «[l]e somme trattenute dagli enti vengono versate, entro il quindicesimo giorno dalla data in cui è erogato il trattamento su cui è effettuata la trattenuta, all’entrata del bilancio dello Stato».
Proprio in ragione della prevista acquisizione al bilancio dello Stato, il contributo in questione è stato qualificato in termini tributari (sentenza n. 241 del 2012) e la norma che l’ha disposto è stata dichiarata illegittima per violazione degli artt. 3 e 53 Cost. (sentenza n. 116 del 2013).
16.4.– L’art. 1, comma 265, della legge n. 145 del 2018 non prevede un riversamento delle somme allo Stato, e anzi ne prescrive la confluenza e l’accantonamento in appositi fondi degli enti previdenziali.
Anche l’intervento della conferenza di servizi è previsto dal successivo comma 266 non a fini di devoluzione delle somme risparmiate, ma solo perché esse siano adeguatamente «accertate».
Dal verbale della conferenza di servizi del 3 marzo 2020, allegato alle memorie illustrative dell’INPS, si evince che i risparmi in questione – accertati al 31 dicembre 2019 in complessivi 132.290.127 euro – sono stati contabilizzati nel rendiconto dell’Istituto e imputati tramite assegnazione ad un’apposita voce del suo stato patrimoniale, sicché trova piena conferma il mantenimento delle somme all’interno del circuito previdenziale.
Ribadita la natura endoprevidenziale del prelievo, ed esclusane conseguentemente la sostanza tributaria, l’evocazione dei parametri di cui agli artt. 3 e 53 Cost. risulta priva di fondamento.
17.– Le questioni relative all’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 sono infondate anche con riferimento ai parametri di cui agli artt. 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Prot. addiz. alla Convenzione stessa.
17.1.– Per giurisprudenza costante della Corte europea dei diritti dell'uomo, viola il diritto di proprietà tutelato dall’art. 1 del Prot. addiz. alla CEDU la soppressione integrale di una pensione, ma non una sua riduzione ragionevole e proporzionata, che rifletta un corretto bilanciamento tra l’interesse generale della comunità e i diritti fondamentali dell’individuo (ex plurimis, sentenze 1° settembre 2015, Da Silva Carvalho Rico contro Portogallo, 15 aprile 2014, Stefanetti e altri contro Italia, 8 ottobre 2013, Da Conceição Mateus e Santos Januário contro Portogallo, 31 maggio 2011, Maggio e altri contro Italia).
17.1.1.– Atteso che la riduzione disposta dall’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 si limita ad incidere progressivamente sulla parte eccedentaria di scaglioni di elevato importo, e considerato altresì che, ai sensi del successivo comma 267, l’importo complessivo del trattamento, al netto della riduzione, «non può comunque essere inferiore a 100.000 euro lordi su base annua», deve ritenersi che l’ingerenza pubblica sul credito previdenziale non si ponga in contrasto con l’art. 1 del Prot. addiz. alla CEDU.
17.2.– Deve inoltre osservarsi che il giudizio di proporzionalità su base convenzionale relativo alle misure incidenti sui diritti pensionistici non è insensibile all’eventualità che questi siano originati da un sistema previdenziale di particolare favore nei confronti di una determinata platea di beneficiari (Corte EDU, sentenze Da Silva Carvalho Rico e Da Conceição Mateus).
Rilevano in questo senso le considerazioni che si faranno nel prosieguo riguardo ai vantaggi maturati dai pensionati soggetti al sistema retributivo rispetto a quelli soggetti al sistema contributivo (infra, punto 18.9.), vantaggi al cospetto dei quali la decurtazione prevista dall’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 manifesta una funzione di riequilibrio, per esserne esonerate, a norma del successivo comma 263, le «pensioni interamente liquidate con il sistema contributivo».
17.3.– La Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, evocando i parametri dell’art. 42 Cost. e dell’art. 6 della CEDU, ipotizza che il carattere retroattivo del prelievo leda l’affidamento riposto dai pensionati sulla percezione di somme già di loro pertinenza, sicché la misura manifesterebbe un contenuto sostanzialmente espropriativo.
17.3.1.– In senso proprio, il prelievo in questione opera soltanto per il futuro – «[a] decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e per la durata di cinque anni» (art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018) –, sicché la censura di retroattività, come quella di espropriazione, si risolve nella stessa denuncia di lesione del credito sollevata con riferimento all’art. 1 del Prot. addiz. alla CEDU, esprimendo una natura "ancillare” che estende il giudizio di infondatezza (ex plurimis, sentenze n. 119 del 2020, n. 212 del 2019 e n. 46 del 2014).
D’altronde, con riferimento ai rapporti di durata, e alle modificazioni peggiorative che su di essi incidono secondo il meccanismo della cosiddetta retroattività impropria, questa Corte ha più volte affermato che il legislatore dispone di ampia discrezionalità e può anche modificare in senso sfavorevole la disciplina di quei rapporti, ancorché l’oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, a condizione che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non trasmodi in un regolamento irrazionale lesivo del legittimo affidamento dei cittadini (ex plurimis, sentenze n. 241 del 2019, n. 16 del 2017, n. 203 del 2016 e n. 236 del 2009).
Evenienza, quest’ultima, che, per quanto detto, non si è verificata nel caso in esame.
18.– Con riferimento ai parametri di cui gli artt. 3, 23, 36 e 38 Cost., le questioni relative all’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 sono fondate limitatamente alla durata della riduzione dei trattamenti, nella parte in cui questa è stabilita «per la durata di cinque anni», anziché «per la durata di tre anni».
18.1.– La riconosciuta natura endoprevidenziale, e non tributaria, del prelievo, nel mentre esclude uno scrutinio riferito al principio di universalità dell’imposizione fiscale, di cui agli artt. 3 e 53 Cost., ne determina l’inquadramento nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte, di cui all’art. 23 Cost., sicché occorre verificare se esso «risponda a criteri di ragionevolezza e proporzionalità, tenendo conto dell’esigenza di bilanciare la garanzia del legittimo affidamento nella sicurezza giuridica con altri valori costituzionalmente rilevanti», così come indica la sentenza n. 173 del 2016.
18.2.– Circa l’esatta portata di questa sentenza, alla quale le ordinanze di rimessione e le parti private affidano molti dei loro assunti, occorre chiarire che le condizioni di necessità, sostenibilità, proporzionalità e temporaneità (ulteriori rispetto alla già esaminata condizione della destinazione endoprevidenziale del prelievo), cui la sentenza stessa subordina la legittimità dei contributi straordinari sulle pensioni di elevato importo, devono essere intese come criteri di giudizio da applicare alla luce delle circostanze concrete e delle reciproche interazioni, nell’ambito di una valutazione complessiva dominata dalle ragioni di necessità, più o meno stringenti, indotte dalle esigenze di riequilibrio e sostenibilità del sistema previdenziale.
18.3.– In base alla sentenza n. 173 del 2016, le condizioni del sistema previdenziale idonee a giustificare un prelievo di solidarietà possono essere determinate da vari fattori, «endogeni ed esogeni», il più delle volte tra loro intrecciati, quali «crisi economica internazionale, impatto sulla economia nazionale, disoccupazione, mancata alimentazione della previdenza, riforme strutturali del sistema pensionistico»; elenco cui potrebbe essere aggiunta oggi un’emergenza sanitaria di vaste dimensioni, che, incidendo pesantemente sul quadro macroeconomico, abbatte i flussi contributivi e accentua gli squilibri sistemici.
Concorre in tale valutazione anche la già rilevata funzione di riequilibrio dei trattamenti pensionistici, alla quale è ispirata la normativa censurata.
18.4.– Alla luce di tali presupposti, le circostanze sulle quali insistono i giudici a quibus e le parti private costituite in giudizio, che si tratti cioè di una misura non isolata nel tempo, e anzi analoga ad altre succedutesi nel corso degli anni, peraltro caratterizzata da aliquote di riduzione piuttosto severe, non ostano, di per sé, nelle difficili condizioni attuali del sistema previdenziale, a una valutazione complessiva di tollerabilità costituzionale del prelievo disposto dall’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018.
Appare viceversa ostativa a una valutazione di legittimità costituzionale la dimensione temporale del prelievo, così ampia da tradire una logica di stabilità del contributo, pur al di fuori di un progetto di riforma organica, idoneo a giustificare misure tendenzialmente permanenti, o comunque di lunga durata.
8.5.– A norma del comma 261 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018, l’incidenza delle aliquote di riduzione è temperata dalla loro progressività, in quanto le aliquote maggiori operano soltanto sugli scaglioni eccedentari più elevati; ulteriore temperamento è previsto dal successivo comma 262, per il quale tutti gli scaglioni sono soggetti a rivalutazione automatica, sicché essi tendono, nel tempo, a spostarsi verso l’alto; ciò vale anche per la soglia di attivazione del prelievo, quella di 100.000 euro lordi annui, che peraltro gode della clausola di salvaguardia di cui al comma 267, non potendo mai essere perforata al ribasso dall’applicazione del contributo.
18.6.– A norma del successivo comma 268, sono esclusi dall’applicazione delle disposizioni sul prelievo «le pensioni di invalidità, i trattamenti pensionistici di invalidità di cui alla legge 12 giugno 1984, n. 222, i trattamenti pensionistici riconosciuti ai superstiti e i trattamenti riconosciuti a favore delle vittime del dovere o di azioni terroristiche, di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466, e alla legge 3 agosto 2004, n. 206»; questi assegni non concorrono, quindi, alla formazione della base del prelievo, il che, da un canto, trova giustificazione in ragioni di solidarietà nei confronti di soggetti colpiti da eventi avversi, dall’altro, individua un ulteriore aspetto di moderazione della misura.
18.7.– Neppure può trascurarsi la circostanza che la soglia di 100.000 euro lordi annui, la quale determina l’attivazione del prelievo ex art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 ed è oggetto della clausola di salvaguardia di cui al successivo comma 267, risulta ancora più elevata rispetto a quella dei precedenti contributi di solidarietà, pari a 90.000 euro lordi annui ex art. 18, comma 22-bis, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, e pari a 91.251 euro lordi annui, cioè quattordici volte il minimo INPS per l’anno 2014, ai sensi dell’art. 1, comma 486, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», quest’ultimo ritenuto legittimo proprio nella più volte richiamata sentenza n. 173 del 2016.
18.8.– In termini generali, la verifica di ragionevolezza e proporzionalità di un contributo imposto ai titolari delle pensioni più elevate non può essere avulsa dalla considerazione dei gravi problemi strutturali che affliggono il sistema previdenziale italiano, la cui sostenibilità è tuttora affidata in un’ottica di solidarietà a una gestione "a ripartizione”, particolarmente esposta alla negatività dell’andamento demografico: un numero sempre minore di lavoratori attivi, per di più spesso con percorsi lavorativi discontinui, è chiamato a sostenere tramite i versamenti contributivi il peso di un numero sempre maggiore di pensioni in erogazione.
Il progressivo invecchiamento della popolazione e l’erosione della base produttiva rende via via più fragile il patto tra le generazioni, sul quale il sistema previdenziale si fonda.
In tale difficile contesto, occorre rammentare quanto affermato nella sentenza n. 173 del 2016, cioè che il principio di affidamento deve sempre più essere inteso in senso non astratto, «nella misura in cui il prelievo non risulti sganciato dalla realtà economico-sociale, di cui i pensionati stessi sono partecipi e consapevoli».
18.9.– Nel qualificare in senso solidaristico-previdenziale il contributo di cui all’art. 37 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2000)», che ha imposto per tre anni dal 1° gennaio 2000 un prelievo del 2 per cento sui trattamenti pensionistici superiori al massimale annuo contributivo e per l’eccedenza rispetto ad esso, questa Corte ha evidenziato come la misura sia stata posta a carico «di una categoria di soggetti che, dati gli alti livelli pensionistici raggiunti, ha evidentemente beneficiato di una costante presenza nel mercato del lavoro e della mancanza di qualsivoglia tetto contributivo» (ordinanza n. 22 del 2003).
In senso analogo deve essere intesa, e trova una propria giustificazione, la disposizione del comma 263 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018, secondo la quale «[l]a riduzione di cui al comma 261 non si applica comunque alle pensioni interamente liquidate con il sistema contributivo»: la norma intende definire il perimetro del prelievo di solidarietà in rapporto alla tendenziale vantaggiosità per il pensionato del metodo retributivo di liquidazione – nella sua forma "pura”, ma anche in quella "mista” –, favor determinato anche dall’inoperatività del massimale contributivo.
Occorre infatti tener presente che la legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), alla quale si deve l’attuale concorso tra plurimi sistemi di calcolo della pensione, ha collegato al sistema contributivo l’applicazione di un massimale annuo della base pensionabile (art. 2, comma 18), il cui principale effetto è la riduzione differenziale del trattamento di quiescenza, poiché il lavoratore, oltre il tetto retributivo annualmente stabilito, non versa ulteriori contributi, né si avvantaggia della corrispondente quota datoriale.
Del resto, la finalità di riequilibrio correlata al sistema di liquidazione della pensione è testualmente indicata nella «Tabella II.1-8» dell’«Aggiornamento del quadro macroeconomico e di finanza pubblica» al dicembre 2018 – documento allegato agli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri –, laddove si specifica che la riduzione temporanea delle pensioni superiori a 100.000 euro annui «con quote calcolate con metodo retributivo» è finalizzata ad una «[m]aggiore equità del sistema previdenziale».
18.10.– Orbene, atteso che il sistema contributivo con massimale è applicato essenzialmente su base anagrafica (oltre che, nei limiti consentiti, su base opzionale), segnatamente ai lavoratori privi di anzianità contributiva iscrittisi a forme pensionistiche obbligatorie dal 1° gennaio 1996 (art. 2, comma 18, della legge n. 335 del 1995), appare chiaro come alle finalità perseguite dall’art. 1, commi 261 e 263, della legge n. 145 del 2018 non siano estranee connotazioni intergenerazionali.
È in tal senso pertinente il costante richiamo della difesa dell’INPS agli obiettivi di ricambio generazionale nel mercato del lavoro che il legislatore ha ritenuto di conseguire per il tramite del pensionamento anticipato in «quota 100», istituto che l’art. 14 del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, ha introdotto in via sperimentale per il triennio 2019-2021.
18.11.– Il prefigurato collegamento fra detta sperimentazione orientata alla mutualità intergenerazionale e la provvista – sia pure assai modesta in termini relativi – creata mediante il prelievo di cui all’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 fa emergere, tuttavia, un profilo di irragionevolezza relativo alla durata del contributo, essendo quest’ultima prevista per un quinquennio.
Tale durata, non solo risulta esorbitante rispetto all’orizzonte triennale del bilancio di previsione, fissato dall’art. 21 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), ma costituisce anche un indice di irragionevolezza per sproporzione, poiché riguarda una misura che persegue le sue finalità proprio nell’arco del triennio.
È utile rammentare che la proiezione triennale della manovra di finanza pubblica ha costituito un parametro di accertamento dell’illegittimità costituzionale della proroga del "blocco” della contrattazione collettiva nel pubblico impiego, in base alla riscontrata specularità con la dinamica triennale delle tornate contrattuali (sentenza n. 178 del 2015).
Anche in ordine ai rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali, e quindi in relazione alla programmazione dei risparmi sulla spesa pubblica aggregata, questa Corte ha evidenziato come l’osservanza delle ordinarie scansioni temporali dei cicli di bilancio consenta di definire in modo più appropriato il quadro delle esigenze e delle misure finanziarie, evitando di attribuire a queste ultime un’estensione temporale così ampia da sottrarne gli effetti di lungo periodo a una congrua valutazione parlamentare (sentenze n. 103 del 2018, n. 169 e n. 154 del 2017, n. 141 del 2016).
Nell’ambito strettamente previdenziale, è poi evidente la tendenza dell’ordinamento a non proiettare oltre il triennio valutazioni e determinazioni cui si addice uno spazio di osservazione più circoscritto, come testimonia l’evoluzione della disciplina del coefficiente di trasformazione del montante individuale dei contributi, di cui all’art. 1, comma 11, della legge n. 335 del 1995, la cui dimensione temporale è stata infatti ridotta da dieci anni a tre (art. 1, comma 15, della legge n. 247 del 2007), prima di essere ulteriormente limitata a due anni per gli aggiornamenti successivi a quello decorrente dal 1° gennaio 2019 (art. 24, comma 16, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214).
Occorre ancora rilevare che, come si evince dalla documentazione allegata agli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, la riduzione delle pensioni di maggior importo è stata introdotta quale misura emendativa al disegno della legge di bilancio 2019 nell’ambito dell’interlocuzione del Governo italiano con la Commissione europea – la cui rilevanza sul piano della determinazione dei saldi complessivi è stata già evidenziata da questa Corte nell’ordinanza n. 17 del 2019 –, sulla base di impatti finanziari stimati appunto per il triennio 2019-2021, sicché, anche da questo punto di vista, la durata quinquennale del contributo si appalesa eccessiva.
Del resto, anche il raffreddamento della perequazione automatica è stato disposto dall’art. 1, comma 260, della legge n. 145 del 2018 per una durata triennale.
18.12.– Restando operativo per tutto l’anno 2021, e cioè fino all’ultimazione del triennio iniziato nel 2019, il contributo di solidarietà impone ai titolari di assegni di elevato importo un ulteriore sacrificio, costituzionalmente legittimo e tuttavia personalmente gravoso, anche in ragione del succedersi di ripetuti prelievi nei due trascorsi decenni, circostanza indubbia sulla quale si sofferma, insieme alle parti private, anche l’amicus curiae.
A proposito di questa reiterazione, è opportuno ribadire quanto già osservato riguardo alle manovre sulla perequazione automatica, cioè che ogni intervento deve essere scrutinato nella sua singolarità e in relazione al quadro storico in cui si inserisce (supra, punto 15.4.2.).
Su un piano più generale, occorre tuttavia evidenziare come ogni prelievo di solidarietà debba fondarsi su ragioni in grado di giustificarlo e come il ripetersi delle misure faccia emergere l’esistenza di una debolezza sistemica, difficilmente governabile per il tramite di interventi necessariamente temporanei, per di più operati soltanto sui redditi pensionistici, «ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative già rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta più possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro» (sentenza n. 116 del 2013).
18.13.– Per le considerazioni che precedono, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018, in riferimento agli artt. 3, 23, 36 e 38 Cost., nella parte in cui stabilisce la riduzione dei trattamenti pensionistici ivi indicati «per la durata di cinque anni», anziché «per la durata di tre anni», declaratoria dalla quale consegue la cessazione del prelievo al 31 dicembre 2021.
Sebbene alcune ordinanze di rimessione (reg. ord. n. 213 del 2019, n. 76 del 2020, n. 118 del 2020 e n. 119 del 2020), nel censurare essenzialmente il comma 261 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018, facciano riferimento anche ai commi seguenti, fino al 268, la declaratoria di illegittimità costituzionale può essere circoscritta alla prima disposizione soltanto, che è quella istitutiva del contestato prelievo, giacché le disposizioni dei commi successivi, che del medesimo prelievo contengono la disciplina attuativa e di dettaglio, seguono ipso facto la sorte applicativa della disposizione principale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), nella parte in cui stabilisce la riduzione dei trattamenti pensionistici ivi indicati «per la durata di cinque anni», anziché «per la durata di tre anni»;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018, sollevata, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018, sollevata, in riferimento all’art. 136 Cost., dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Sardegna, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018, sollevate, in riferimento all’art. 81 Cost., dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, con le ordinanze indicate in epigrafe;
5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Friuli-Venezia Giulia, dal Tribunale ordinario di Milano, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Sardegna, e dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, con le ordinanze indicate in epigrafe;
6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018, sollevate, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale ordinario di Milano e dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, con le ordinanze indicate in epigrafe;
7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018, sollevate, in riferimento agli artt. 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, con le ordinanze indicate in epigrafe;
8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 260, della legge n. 145 del 2018, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost., dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Friuli-Venezia Giulia, dal Tribunale ordinario di Milano e dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2020.
F.to:
Mario Rosario MORELLI, Presidente
Stefano PETITTI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2020.
Allegato: ordinanza 20 ottobre 2020