SENTENZA N. 136
ANNO 2020
Commenti alla decisione di
I. Gugliemo Leo, Valori edittali di pena e sindacato di costituzionalità: la Consulta dichiara inammissibile una questione concernente la sanzione pecuniaria per il furto monoaggravato, per g.c. di Sistema Penale
II. Andrea Bonomi, Il rispetto del principio di proporzionalità della pena: il ruolo del legislatore, la funzione del giudice comune e il margine di intervento della Corte cost. (Osservazioni problematiche prendendo spunto dalle sentenze n. 284 del 2019 e n. 136 del 2020), per g.c. dell’Osservatorio AIC
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Marta CARTABIA;
Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 625, primo comma, del codice penale, come modificato dall’art. 1, comma 7, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), promosso dal Tribunale ordinario di Siracusa nel procedimento penale a carico di G. V., con ordinanza del 18 luglio 2019, iscritta al n. 208 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito il Giudice relatore Giovanni Amoroso nella camera di consiglio del 20 maggio 2020, svolta ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a);
deliberato nella camera di consiglio del 20 maggio 2020.
1.‒ Il Tribunale ordinario di Siracusa, con ordinanza del 18 luglio 2019, iscritta al n. 208 del registro ordinanze 2019, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dell’art. 625, primo comma, del codice penale, nella parte in cui stabilisce il minimo edittale della multa in euro 927, che appare essere «irragionevolmente eccessivo e sproporzionato in riferimento all’art. 625, co. 2. c.p.».
2.‒ Il giudice rimettente premette di procedere nei confronti dell’imputato G. V., in concorso con A. D. M., in relazione al reato di cui agli artt. 110, 624 e 625, numero 2), cod. pen., «perché, in concorso fra loro, al fine di profitto, dopo aver forzato la saracinesca del garage ove era custodito, si impossessavano del motociclo […] e del casco di proprietà di M. A.»; reato aggravato dalla violenza sulle cose, essendo stata forzata la saracinesca di un garage, e dalla recidiva reiterata specifica infraquinquennale.
Il giudice a quo riferisce che i due imputati sono stati arrestati nella flagranza del reato e che, nel corso dell’udienza di convalida, G. V. ha ammesso di aver sottratto il motociclo, ma ha negato di aver forzato la saracinesca, addebitando a se stesso la responsabilità dell’accaduto. Riferisce il rimettente, poi, di aver convalidato l’arresto, di aver applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari soltanto nei confronti di G. V. e di aver accolto la sua richiesta di giudizio abbreviato, mentre nei confronti dell’altro imputato ha emesso sentenza di condanna, mediante lettura del dispositivo per il reato di ricettazione ai sensi dell’art. 648 cod. pen., così riqualificato il fatto.
Il rimettente dà conto che dall’esame degli atti di indagine, acquisiti al fascicolo del dibattimento in virtù del rito prescelto, risulta pienamente provata la responsabilità dell’imputato G. V., per il reato di furto, anche in ordine all’aggravante dell’aver commesso il fatto con violenza sulle cose di cui all’art. 625, primo comma, numero 2), cod. pen.; ciò, non solo in considerazione delle attendibili dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di denuncia, ma anche alla luce della deposizione dell’imputato in sede di interrogatorio.
Quanto alla determinazione della pena, il giudice a quo afferma che le circostanze attenuanti generiche non possono essere concesse, non emergendo elementi significativi in tal senso, mentre afferma di dover applicare l’aumento per recidiva contestata perché l’imputato ha riportato numerose condanne, anche per reati della stessa indole e perché si tratta di soggetto che con cadenza regolare ricade nella commissione dei delitti, così accentuando la pericolosità della condotta oggetto del procedimento.
La pena applicabile nel caso di specie, a seguito della modifica legislativa introdotta dall’art. l, comma 7, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), secondo il rimettente, sarebbe quella «della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 927 a euro 1.500»; pena da aumentarsi per la recidiva ai sensi dell’art. 63, quarto comma, cod. pen., e da diminuirsi per la scelta del rito abbreviato.
Tutto ciò premesso, il giudice a quo solleva le questioni di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 27 Cost., dell’art. 625, primo comma, cod. pen., come modificato dall’art. l, comma 7, legge n. 103 del 2017, nella parte in cui prevede la pena edittale minima della multa di euro 927 in rapporto con la pena edittale minima della multa di euro 206, stabilita dall’art. 625, secondo comma, cod. pen. per il reato di furto pluriaggravato.
In punto di rilevanza, il rimettente osserva che la pena base che deve applicare è quella prevista dal combinato disposto degli artt. 624 e 625, primo comma, numero 2), cod. pen., e dunque, la reclusione da due a sei anni e la multa da euro 927 a euro 1.500. In particolare, osserva che la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, è circostanza aggravante a effetto speciale, meno grave di quella di cui all’art. 625, primo comma, numero 2), cod. pen. e, pertanto, dà luogo a un aumento eventuale fino a un terzo da applicarsi sulla pena di cui all’art. 625, primo comma, cod. pen., ai sensi dell’art. 63, quarto comma, cod. pen.; inoltre, l’aumento per le due circostanze aggravanti non è oggetto di bilanciamento con alcuna circostanza attenuante, non avendo ritenuto di concederne alcuna.
Nell’ordinanza di rimessione si precisa, infine, che il fatto è stato commesso in data 30 maggio 2019 e, dunque, successivamente all’entrata in vigore dell’art. l, comma 7, della legge n. 103 del 2017.
Ciò posto, il giudice a quo ritiene che la previsione del minimo edittale della multa per il furto monoaggravato (euro 927), di cui all’art. 625, primo comma, cod. pen., sia significativamente superiore a quello previsto per il delitto di furto pluriaggravato di cui all’art. 625, secondo comma, cod. pen., (euro 206) e, pertanto, si pone in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost.
In punto di non manifesta infondatezza, egli afferma come non sia giustificato che per un reato meno grave sia previsto un trattamento sanzionatorio, seppur limitato alla sola pena pecuniaria, maggiormente afflittivo rispetto a quello previsto per un reato oggettivamente più grave. Al riguardo, osserva che prima della modifica normativa la disparità di trattamento sanzionatorio non sussisteva, in quanto il furto aggravato da una sola circostanza era punito, nel minimo, con la multa pari a euro 103 e, dunque, con una pena pecuniaria pari alla metà del minimo della multa prevista per il furto pluriaggravato stabilito in euro 206 (e non inciso dalla novella legislativa).
Ad avviso del rimettente, dunque, il minimo edittale della multa attualmente previsto per il furto monoaggravato non risulterebbe adeguato rispetto all’effettiva responsabilità penale dell’autore di tale delitto e non svolgerebbe la funzione rieducativa di cui all’art. 27 Cost., risultando sproporzionato rispetto a quello previsto per il furto pluriaggravato.
Il rimettente precisa, poi, che l’intervento richiesto a questa Corte non sarebbe quello di sostituirsi alle scelte del legislatore in materia sanzionatoria penale, bensì di emendare le scelte di quest’ultimo in riferimento a grandezze già rinvenibili nell’ordinamento attraverso l’individuazione del tertium comparationis ‒ da cui evincere la manifesta arbitrarietà e irragionevolezza della norma censurata ‒ che, nel caso di specie, è dato dall’art. 625, secondo comma, cod. pen., il quale per un reato oggettivamente più grave prevede un trattamento sanzionatorio meno afflittivo in relazione al minimo della pena pecuniaria.
La soluzione conforme ai parametri costituzionali, ad avviso del giudice a quo, sarebbe quella volta a ripristinare il previgente minimo edittale della multa previsto per il delitto di cui all’art. 625, primo comma, cod. pen. stabilito in euro 103.
3.‒ Con atto del 17 dicembre 2019, è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano rigettate in ragione della loro infondatezza.
In particolare, la difesa dello Stato afferma che il rimettente fonda la comparazione tra il trattamento sanzionatorio minimo previsto per il furto monoaggravato e quello previsto per il furto pluriaggravato solo sulla considerazione del minimo edittale della multa, omettendo di prendere in esame l’altra componente del trattamento sanzionatorio, vale a dire quella costituita dalla pena detentiva.
Solo nell’ipotesi in cui il trattamento complessivo minimo contemplato dall’art. 625, secondo comma, cod. pen. per la fattispecie di furto pluriaggravato individuata dal giudice a quo come tertium comparationis fosse inferiore a quello previsto dall’art. 625, primo comma, cod. pen. per il furto monoaggravato, si potrebbe allora denunciare l’irragionevolezza della scelta del legislatore.
E, al riguardo, rileva come ciò non accada in quanto l’art. 625, secondo comma, cod. pen. prevede per il furto pluriaggravato una pena detentiva minima superiore di un terzo rispetto al minimo edittale di anni due di reclusione, comminata dal primo comma dell’art. 625 cod. pen., per il furto monoaggravato; per effetto dell’applicazione degli ordinari criteri di ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, previsti dall’art. 135 cod pen., la pena minima edittale per il delitto di furto monoaggravato risulta essere inferiore di ben undici mesi e 27 giorni di reclusione rispetto a quella minima prevista dall’art. 625, secondo comma, cod. pen., per il delitto di furto pluriaggravato.
Pertanto, ad avviso della difesa dello Stato, la lamentata irragionevolezza e sproporzione del trattamento sanzionatorio, non sussisterebbe.
1.‒ Il Tribunale ordinario di Siracusa, con ordinanza del 18 luglio 2019, iscritta al n. 208 del registro ordinanze 2019, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dell’art. 625, primo comma, del codice penale (furto monoaggravato), nella parte in cui stabilisce il minimo edittale della multa in euro 927, ritenuto essere «irragionevolmente eccessivo e sproporzionato» in comparazione con l’art. 625, secondo comma, cod. pen. (furto pluriaggravato), che prevede un minimo edittale della multa di euro 206, ossia in misura notevolmente inferiore pur sanzionando una condotta più grave.
2.‒ Il giudice a quo afferma di dover pronunciare una sentenza di condanna, a seguito di giudizio abbreviato, nei confronti di una persona imputata del delitto di furto aggravato dalla sola circostanza di aver usato violenza sulle cose, ai sensi dell’art. 625, primo comma, numero 2), cod. pen., in relazione al quale è stato arrestato nella flagranza del reato e sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari.
In ordine alla determinazione della pena, afferma di non poter riconoscere le circostanze attenuanti generiche, mentre ritiene che ricorra la circostanza aggravante della recidiva reiterata specifica infraquinquennale, con la conseguenza che la pena applicabile ai sensi dell’art. 625, primo comma, cod. pen., a seguito della modifica legislativa introdotta dall’art. l, comma 7, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), sarebbe quella della «reclusione da due a sei anni e della multa da euro 927 a euro 1.500», sulla quale deve essere operato l’aumento per la recidiva, ai sensi dell’art. 63, quarto comma, cod. pen. e, poi, la diminuzione per avere l’imputato scelto di definire il processo con il rito abbreviato.
A parere del rimettente, la norma censurata contrasterebbe con gli artt. 3 e 27 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza e proporzionalità e della finalità rieducativa della pena.
Egli pone in comparazione la pena prevista per il furto monoaggravato (art. 625, primo comma, cod. pen.) con quella stabilita dal secondo comma della medesima disposizione per il furto pluriaggravato, indicato come tertium comparationis, e rileva un trattamento ingiustificatamente differenziato, irragionevole, nonché sproporzionato in relazione alla diversa gravità delle condotte: entrambe le fattispecie (furto monoaggravato e furto pluriaggravato) sono punite con la pena congiunta della reclusione e della multa. Ma, mentre la reclusione, sia nel minimo che nel massimo, è prevista in misura più elevata per la fattispecie più grave, ciò non è per la pena pecuniaria perché il minimo della multa è stabilito, all’opposto, in misura più elevata (più del quadruplo) per la fattispecie meno grave.
Secondo il rimettente, a tali vizi di legittimità costituzionale questa Corte potrebbe porre rimedio attraverso il ripristino del minimo edittale della multa di euro 103, previsto dall’art. 625, primo comma, cod. pen., prima della modifica introdotta dalla novella legislativa.
3.‒ Va preliminarmente rilevato che l’ordinanza di rimessione, adeguatamente motivata in punto di descrizione della fattispecie, è altresì correttamente argomentata anche in ordine alla rilevanza delle questioni e alla necessità di fare applicazione della disposizione sospettata di incostituzionalità; sicché sotto questo profilo le questioni sollevate sono ammissibili.
Il rimettente ha, infatti, ritenuto di non poter concedere le circostanze attenuanti generiche, di cui all’art. 62-bis cod. pen., e di dover riconoscere l’aumento della pena per la recidiva reiterata, specifica infraquinquennale, dando conto dei motivi per cui deve fare applicazione della cornice edittale di cui all’art. 625, primo comma, cod. pen., che, quanto al minimo della pena pecuniaria della multa, ritiene irragionevole e non proporzionata.
Egli ha correttamente richiamato la regola del cumulo giuridico di cui all’art. 63, quarto comma, cod. pen,, quale deroga al cumulo materiale degli aumenti di pena, in caso di concorrenza di più circostanze aggravanti, ritenendola utilizzabile anche per le circostanze aggravanti indipendenti, nelle quali rientra quella di cui all’art. 625, primo comma, cod. pen., secondo la definizione rinvenibile nell’art. 69, quarto comma, cod. pen.; e ha proceduto in tal senso benché il quarto comma dell’art. 63 cod. pen. non le indichi espressamente.
Infatti, la concorrenza dell’aggravante in parola con l’ulteriore aggravante della recidiva reiterata specifica infraquinquennale ‒ cosiddetta ad effetto speciale, in quanto comporta un aumento della pena superiore a un terzo (art. 63, terzo comma, cod. pen.) ‒ fa sì che la pena debba essere determinata secondo la regola del cumulo giuridico, ai sensi del quarto comma dell’art. 63 cod. pen., secondo cui se concorrono più circostanze aggravanti tra quelle a effetto speciale, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, con la possibilità per il giudice di aumentarla. E la circostanza più grave, nel caso di specie, è proprio quella di cui al primo comma dell’art. 625 cod. pen., anziché la recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
Così argomentando, il rimettente si è posto in linea con la giurisprudenza di legittimità secondo cui il criterio di calcolo di cui all’art. 63, comma quarto, cod. pen. «opera anche in caso di concorso tra circostanze aggravanti indipendenti e ad effetto speciale», diversamente determinandosi un trattamento sanzionatorio non conforme al principio di legalità ed irragionevolmente «più grave di quello applicabile in caso di concorso di più circostanze ad effetto speciale» (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenze 8 maggio-17 luglio 2019, n. 31293, e 8 luglio 2016-7 febbraio 2017, n. 5597).
Inoltre, va evidenziato che l’intervento sostitutivo sollecitato dal rimettente, consistente nel chiedere a questa Corte di ripristinare la pena pecuniaria nell’ammontare minimo pari a euro 103, previsto dalla disposizione censurata prima della modifica da parte della legge n. 103 del 2017, è aspetto che attiene al possibile contenuto dell’invocata pronuncia additiva e, pertanto, non ridonda in un profilo di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, avendo il giudice a quo assolto all’onere di indicare il tertium comparationis, su cui fonda la censura di arbitrarietà e irragionevolezza della norma in esame (ex multis, sentenze n. 23 del 2016 e n. 81 del 2014).
4.‒ Le questioni sollevate devono, tuttavia, essere dichiarate inammissibili, in riferimento a entrambi i parametri evocati dal giudice rimettente, sotto il diverso profilo più avanti specificato.
4.1.‒ Giova innanzi tutto dare conto dell’evoluzione della norma censurata nel complessivo contesto normativo.
La disposizione di cui all’art. 625 cod. pen. contempla le circostanze speciali del reato di furto e, fin dal testo originario del 1930, nei suoi due commi, ha stabilito un differenziato e crescente regime sanzionatorio, secondo che la condotta fosse aggravata da una soltanto delle plurime circostanze elencate nel primo comma della stessa disposizione ovvero risultasse aggravata da due o più circostanze previste sempre dal primo comma, o da una di tali circostanze insieme con altra tra quelle comuni, indicate dall’art. 61 cod. pen. (furto pluriaggravato).
Le fattispecie in esame, sanzionate entrambe con la pena congiunta della reclusione e della multa, prima delle modifiche di cui all’art. 1 della legge n. 103 del 2017, si connotavano per una cornice edittale pienamente simmetrica: la fattispecie più grave era sanzionata in modo più severo, sia nella reclusione che nella multa, sia nel minimo che nel massimo. In particolare, il minimo della reclusione era triplicato (da un anno a tre anni) e il minimo della multa era raddoppiato (da lire 1.000 a lire 2.000). Anche nel massimo era previsto un trattamento significativamente più severo, sia in relazione alla misura della reclusione, pari a dieci anni nell’ipotesi pluriaggravata a fronte di sei anni per quella meno grave; sia con riguardo alla multa, pari a lire 15.000 nella prima ipotesi a fronte di lire 10.000 per la seconda.
Tale situazione è rimasta inalterata per lungo tempo, anche se il legislatore è intervenuto a più riprese sia per incrementare il catalogo delle aggravanti del primo comma dell’art. 625 cod. pen., sia, mediante l’art. 2 della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), per espungere dall’elenco due aggravanti, contestualmente trasformate negli autonomi delitti di furto in abitazione e furto con strappo, di cui all’art. 624-bis cod. pen., rispettivamente, primo e secondo comma, anch’essi suscettibili di essere aggravati dalle stesse circostanze di cui all’art. 625 cod. pen.
In tale contesto normativo parzialmente modificato, l’originaria simmetria tra primo e secondo comma dell’art. 625 cod. pen. è rimasta sostanzialmente immodificata, venendosi a fissare, da ultimo, in un trattamento sanzionatorio che puniva il furto monoaggravato con la «reclusione da uno a sei anni» e con «la multa da euro 103 a euro 1.032», e il furto pluriaggravato con la pena della reclusione «da tre anni e dieci anni» e la multa «da euro 206 a euro1.549».
L’originaria simmetria delle cornici edittali ‒ in cui alla fattispecie meno grave corrispondeva un trattamento sanzionatorio, nel minimo e nel massimo di entrambe le pene della reclusione e della multa, meno grave di quello stabilito per l’ipotesi pluriaggravata – è venuta meno per effetto delle modifiche apportate dall’art. 1 della legge n. 103 del 2017.
4.2.‒ Tale legge, nel quadro della più ampia riforma di rilevanti istituti del sistema penale, sostanziale e processuale, ha significativamente innovato il trattamento sanzionatorio di alcuni tra i più gravi delitti contro il patrimonio, di cui al Capo I del Titolo XIII del codice penale.
L’art. 1, commi da 6 a 9, della legge n. 103 del 2017 ha modificato le cornici edittali, inasprendo le pene, non solo del reato di furto di cui agli artt. 624 e 625 cod. pen., oggetto delle censure del rimettente, ma anche dei reati di furto in abitazione e furto con strappo (art. 624-bis cod. pen.), di rapina (art. 628 cod. pen.) e di estorsione (art. 629 cod. pen.).
Come risulta dal dibattito parlamentare, il legislatore, al fine di reprimere con maggiore severità condotte criminose di particolare allarme sociale, ha agito essenzialmente sui minimi edittali delle pene, elevandoli con l’effetto di limitare l’accesso ai benefici previsti dall’ordinamento penale. E infatti, l’inasprimento sanzionatorio è consistito, da un lato, nell’aumento della misura dei minimi delle pene della reclusione, lasciando invariata quella dei massimi e, dall’altro, nell’innalzamento degli importi delle multe, nel minimo e nel massimo.
In tale quadro si colloca la disposizione di cui all’art. 625 cod. pen., su cui è intervenuto l’art. 1, comma 7, della legge n. 103 del 2017, il quale ha stabilito che: «[a]ll’articolo 625, primo comma, alinea, del codice penale, le parole: “La pena per il fatto previsto dall’articolo 624 è della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 103 a euro 1.032” sono sostituite dalle seguenti: “La pena per il fatto previsto dall’articolo 624 è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 927 a euro 1.500”».
Nessuna modifica, invece, ha interessato il trattamento sanzionatorio del furto pluriaggravato di cui all’art. 625, secondo comma, cod. pen., la cui cornice edittale è rimasta quella «della reclusione da tre a dieci anni e della multa da euro 206 a euro 1.549».
Così operando, la novella legislativa del 2017 ha determinato che entrambe le fattispecie (furto monoaggravato e furto pluriaggravato) continuino a essere punite con la pena congiunta della reclusione e della multa, ma mentre la reclusione è prevista in misura più elevata, sia nel minimo che nel massimo, per il delitto pluriaggravato, ciò non è per la pena pecuniaria perché il minimo della multa è previsto, all’opposto, in misura più elevata (più del quadruplo) per la fattispecie meno grave.
Si ha, dunque, che il minimo della multa per il furto monoaggravato è pari a euro 927, mentre per il furto pluriaggravato il minimo della multa è rimasto, anche dopo la novella, nella misura originaria di euro 206.
Peraltro, prima della riforma del 2017, analoga asimmetria del trattamento sanzionatorio connotava anche il minimo della multa della fattispecie delittuosa del furto in abitazione e del furto con strappo di cui all’art. 624-bis cod. pen., introdotto nel codice penale dall’art. 2, comma 2, della legge n. 128 del 2001. Infatti, tale nuova e autonoma fattispecie di reato è stata originariamente sanzionata, quanto al minimo della pena pecuniaria, con la multa di euro 309, in relazione all’ipotesi non aggravata (art. 624-bis, primo e secondo comma, cod. pen.), mentre la fattispecie monoaggravata e pluriaggravata dalle circostanze di cui all’art. 625 cod. pen. e 61 cod. pen. (art. 624-bis, terzo comma, cod. pen.) è stata punita con la pena pecuniaria di euro 206 di multa.
Tale squilibrio sanzionatorio è stato corretto proprio dalla novella legislativa del 2017, che è intervenuta, elevando la cornice edittale di entrambe le fattispecie e, quanto al minimo della pena pecuniaria ha, in questo caso, equiparato la multa per le due ipotesi delittuose ‒ sia nella configurazione semplice di cui al primo comma, sia in quelle, assimilate, monoaggravata e pluriaggravata, di cui al terzo comma dell’art. 624-bis cod. pen. ‒ nella più elevata ma identica misura di euro 927 di multa.
Tale parificazione nel minimo della pena pecuniaria della multa è poi stata confermata dall’art. 5, comma 1, lettera b), della legge 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa) che, al di là di ulteriori aggravamenti di pena, ai fini che qui rilevano, ha aumentato la cornice edittale delle fattispecie di cui al terzo comma dell’art. 624-bis cod. pen., innalzando per entrambe il minimo della pena pecuniaria a euro 1.000 di multa.
Invece lo stesso legislatore non è intervenuto sulla disposizione censurata, nemmeno nel senso della equiparazione del minimo della multa tra la fattispecie del furto monoaggravato e quella del furto pluriaggravato, come accaduto per il delitto di cui all’art. 624-bis, terzo comma, cod. pen. Sicché è rimasto che il minimo della pena della multa per il reato di furto monoaggravato è più elevato di quello previsto per il furto pluriaggravato.
È di tutta evidenza, pertanto, che il legislatore del 2017, nel considerare solo la fattispecie del furto monoaggravato, abbia creato un’asimmetria tra primo e secondo comma dell’art. 625 cod. pen., quale conseguenza di una difettosa tecnica normativa. Si ha, quindi, che all’interno della medesima disposizione (art. 625 cod. pen.) vi è una pena pecuniaria, nel minimo, più elevata per l’ipotesi meno grave, rispetto alla fattispecie connotata da maggiore gravità, seppur all’interno di un trattamento sanzionatorio complessivo che vede la pena della multa concorrere necessariamente con quella della reclusione.
Di qui la censura del rimettente nei confronti dell’art. 625, primo comma, cod. pen., per violazione degli artt. 3 e 27 Cost., e la richiesta a questa Corte di correggere l’asimmetria riscontrata con una pronuncia additiva sostitutiva della pena pecuniaria del delitto di furto monoaggravato.
5.‒ Tutto ciò premesso, le questioni sollevate dal giudice rimettente devono ritenersi inammissibili.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, la determinazione del trattamento sanzionatorio per i fatti previsti come reato è riservata alla discrezionalità del legislatore, che è particolarmente ampia trovando un limite solo nella manifesta irragionevolezza delle scelte operate nel definire la cornice edittale delle pene. Il livello, più o meno elevato, del contrasto delle condotte penalmente rilevanti mediante la definizione dell’intervallo tra il minimo e il massimo della pena appartiene alle scelte di politica criminale del legislatore, come anche quella di reprimere con pene più gravi fattispecie penali ritenute maggiormente lesive di beni giuridici tutelati e connotate da un accentuato allarme sociale.
Si è, infatti, più volte rilevata «l’ampia discrezionalità di cui il legislatore gode nella determinazione delle cornici edittali (ex multis, sentenze n. 233 e n. 222 del 2018, n. 179 del 2017 e n. 148 del 2016)» (sentenza n. 284 del 2019). Si è anche precisato che le «scelte legislative sono […] sindacabili soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio, come avviene a fronte di sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione» (ex plurimis, sentenza n. 68 del 2012). E ancora, si è sottolineato che «il raffronto tra fattispecie normative, finalizzato a verificare la ragionevolezza delle scelte legislative, deve avere ad oggetto casistiche omogenee, risultando altrimenti improponibile la stessa comparazione» (sentenza n. 161 del 2009).
Il limite della discrezionalità del legislatore è superato solo allorché le pene comminate siano manifestamente sproporzionate rispetto alla gravità del fatto previsto quale reato (sentenze n. 73 del 2020, n. 40 del 2019 e n. 233 del 2018).
È, altresì, vero che «la giurisprudenza costituzionale più recente ha gradatamente affrancato il sindacato di conformità al principio di proporzione della pena edittale dalle strettoie segnate dalla necessità di individuare un preciso tertium comparationis da cui mutuare la cornice sanzionatoria destinata a sostituirsi a quella dichiarata incostituzionale; e ha spesso privilegiato (almeno a partire dalla sentenza n. 343 del 1993) un modello di sindacato sulla proporzionalità “intrinseca” della pena, che – ferma restando l’ampia discrezionalità di cui il legislatore gode nella determinazione delle cornici edittali […] ‒ valuta direttamente se la pena comminata debba considerarsi manifestamente eccessiva rispetto al fatto sanzionato, ricercando poi nel sistema punti di riferimento già esistenti per ricostruire in via interinale un nuovo quadro sanzionatorio in luogo di quello colpito dalla declaratoria di incostituzionalità, nelle more di un sempre possibile intervento legislativo volto a rideterminare la misura della pena, nel rispetto dei principi costituzionali» (sentenza n. 284 del 2019).
Nell’affermazione di tali principi, questa Corte ha però sempre ribadito l’ampia discrezionalità del legislatore nella determinazione del trattamento sanzionatorio delle fattispecie criminose, sindacabile solo ove venga superato il limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà oppure del manifesto difetto di proporzionalità. Ed è nel quadro di tale discrezionalità che deve essere considerata la complessiva cornice edittale prevista dal legislatore in ordine al delitto di furto aggravato di cui all’art. 625 cod. pen. e segnatamente l’asimmetria denunciata dal giudice rimettente.
6.‒ La previsione per la fattispecie del furto monoaggravato della multa nella misura più elevata di quella prevista per l’ipotesi pluriaggravata, stante l’ampia discrezionalità del legislatore, può, dunque, ridondare nella violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di proporzionalità della pena (art. 27 Cost.) soltanto se detta asimmetria venga esaminata nel contesto del complessivo trattamento sanzionatorio.
È certamente vero che nel sistema sanzionatorio la pena pecuniaria, anche quando sia comminata congiuntamente alla pena detentiva, conserva una sua autonomia non solo per la specifica funzione cui mira, ma anche per la necessaria proporzionalità alla gravità del fatto.
La pena pecuniaria ha, infatti, una specifica funzione complementare del trattamento sanzionatorio quando concorre con la pena detentiva della reclusione in ragione dell’effetto miratamente dissuasivo, intrinseco nella decurtazione del patrimonio in favore dello Stato (sentenza n. 142 del 2017).
Anche la pena pecuniaria, infatti, partecipa alla funzione rieducativa di cui all’art. 27, terzo comma, Cost. (sentenze n. 15 del 2020 e n. 233 del 2018). Inoltre, la misura della pena pecuniaria, che deve essere, al pari della pena detentiva, proporzionata alla gravità del fatto secondo i criteri di cui all’art. 133 cod. pen., è essa sola specificamente parametrata alle condizioni economiche del reo, ai sensi dell’art.133-bis cod. pen., applicabile per la determinazione dell’ammontare della multa o dell’ammenda.
E ancora, confortano tale autonomia anche le disposizioni di cui agli artt. 136 cod. pen. e 102 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), dal momento che, nel caso della insolvibilità del condannato, esse prescrivono la conversione della pena pecuniaria nella libertà controllata, o a richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo, qualora la pena pecuniaria da convertire non sia superiore ad euro 516.
Tuttavia, non è irrilevante il trattamento sanzionatorio complessivo quando la pena pecuniaria concorre congiuntamente con quella detentiva e non è invece a quest’ultima alternativa. In proposito, questa Corte ha affermato che la ragionevolezza della pena debba essere giudicata secondo una valutazione complessiva della pena pecuniaria e della pena detentiva, «dando rilievo all’unitarietà del trattamento sanzionatorio complessivamente predisposto dal legislatore» (sentenza n. 233 del 2018; così anche sentenza n. 142 del 2017), in quanto in tal modo si consente al giudice, attraverso la graduabilità della pena detentiva comminata congiuntamente a quella pecuniaria, un consistente margine di adeguamento del trattamento sanzionatorio alle particolarità del caso concreto (ordinanze n. 91 del 2008 e n. 475 del 2002).
Anche se non appare percorribile quell’operazione di mero calcolo richiesta dalla difesa dello Stato, fondata sul solo criterio del ragguaglio tra pena pecuniaria e pena detentiva, ai sensi dell’art. 135 cod. pen., la valutazione complessiva della cornice edittale definita dal legislatore, come pena detentiva congiunta alla pena pecuniaria, potrebbe far emergere la possibilità, per il giudice chiamato a quantificare la multa, di operare un sostanziale riequilibrio dell’asimmetria denunciata.
Invece, il giudice rimettente ha argomentato le sue censure considerando soltanto la pena della multa e omettendo di tener conto anche del divario del minimo della pena detentiva prevista per le ipotesi del furto monoaggravato e di quello pluriaggravato (rispettivamente dal primo e secondo comma dell’art. 625 cod. pen.); divario, pari a un anno di reclusione in più per il furto pluriaggravato, certamente coerente per la maggiore gravità di quest’ultimo rispetto al furto monoaggravato.
Il rimettente ha, in particolare, omesso di considerare se, in ipotesi, tale divario, ove ritenuto particolarmente marcato, sia idoneo, o no, a ridimensionare l’asimmetria denunciata, relegandola nell’ambito di meri difetti di tecnica normativa, che questa Corte ‒ soprattutto nella materia penale quanto alla dosimetria della pena ‒ non è chiamata per ciò solo a correggere, ove non ridondino in un trattamento sanzionatorio manifestamente irragionevole e sproporzionato.
È comunque auspicabile che il legislatore, come ha già fatto con l’analoga asimmetria, sopra rilevata, nel trattamento sanzionatorio del furto in abitazione o con strappo, monoaggravato o pluriaggravato, corregga lo squilibrio denunciato dal giudice rimettente.
7.‒ L’ordinanza di rimessione, dunque, non si è confrontata con il complessivo trattamento sanzionatorio della reclusione e della multa, previste come pene congiunte e non già alternative per il furto sia monoaggravato che pluriaggravato, e ciò costituisce una insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, con conseguente inammissibilità delle stesse in riferimento a entrambi gli evocati parametri (ex multis, sentenze n. 24 del 2019, n. 231 e n. 134 del 2018).
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 625, primo comma, del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Siracusa, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 2020
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2020.