SENTENZA N. 142
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 12, commi 3 e 3-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Ragusa, nel procedimento penale a carico di J. J. e M.L. J., con ordinanza del 21 aprile 2016, iscritta al n. 136 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 aprile 2017 il Giudice relatore Marta Cartabia.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 21 aprile 2016 (r.o. n. 136 del 2016), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Ragusa ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, commi 3 e 3-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero).
In particolare, il giudice a quo ritiene che la disposizione censurata, nella parte in cui prevede sanzioni pecuniarie fisse per il delitto di procurato ingresso illegale di cittadini stranieri nel territorio dello Stato (segnatamente nella misura di una somma per ogni persona trasportata pari a euro 15.000 di multa, nell’ipotesi base, e a euro 25.000 di multa, nell’ipotesi aggravata), stabilisca pene edittali irragionevoli e contrarie alla finalità rieducativa della pena, come tali in violazione dei citati art. 3 e 27 Cost., in quanto non ne consente l’individualizzazione in maniera proporzionata.
1.1.– In punto di rilevanza, il rimettente precisa di essere investito della richiesta di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, concordata dalle parti nella misura di anni due di reclusione ed euro 1.000.000 di multa per l’imputato J. J. e anni due di reclusione ed euro 700.000 di multa per l’imputato M.L. J., in entrambi i casi subordinata alla sospensione condizionale.
Osserva il giudice che le circostanze desumibili dal verbale di fermo e dalle parziali ammissioni dell’imputato J. J. consentono di ritenere corretta la qualificazione giuridica del fatto e l’applicazione e comparazione delle circostanze, senza quindi che si debba pronunciare sentenza di proscioglimento.
La ritenuta incongruità della pena concordata, ad avviso del rimettente, non deriva però dalla volontà delle parti, bensì dalla comminatoria in misura fissa delle sanzioni pecuniarie in esame, quale prevista dalle citate disposizioni: da qui la rilevanza del dubbio di legittimità costituzionale nel procedimento a quo.
1.2.– In punto di non manifesta infondatezza il giudice osserva che deve ritenersi in primo luogo violato il fondamentale canone di ragionevolezza della pena, inteso come «declinazione naturale del principio di uguaglianza» ai sensi dell’art. 3 Cost.
Secondo il rimettente, dalla giurisprudenza costituzionale al riguardo (vengono citate la sentenza n. 50 del 1980 e la ordinanza n. 547 del 2002, recte n. 475 del 2002) dovrebbero trarsi due principi: le pene fisse, per la loro intrinseca e connaturata inidoneità a essere adeguate a tutte le fattispecie concrete, sarebbero incompatibili con il sistema della pena quale delineato dalla Costituzione; per decidere la natura, fissa o variabile, della pena dovrebbe aversi riguardo all’intero trattamento sanzionatorio previsto dal legislatore per ciascuna fattispecie incriminatrice.
L’applicazione dei suddetti principi alla pena prevista dalla disposizione censurata ne evidenzierebbe la radicale illegittimità, in quanto sarebbe previsto un automatismo sanzionatorio che non permette di adeguare la pena alla personalità dell’autore del fatto e al caso concreto, attesa anche l’estrema diversificazione delle fattispecie sussumibili nel delitto contestato di cui all’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, quale già evidenziata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 331 del 2011, allorché ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, dello stesso decreto relativamente alla presunzione di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere in riferimento ai medesimi reati di cui oggi si contesta la legittimità costituzionale della pena.
In particolare, ad avviso del rimettente, sarebbe enorme la diversità di ruoli e di disvalore delle condotte di chi organizza il traffico di esseri umani, da un lato, e di chi si presta a condurre un’imbarcazione improvvisata, mettendo a rischio la propria e l’altrui incolumità, dall’altro; sicché trattare allo stesso modo condotte dissimili apparirebbe irragionevole e contrastante con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.
Un ulteriore profilo di irragionevolezza viene poi desunto dalla norma generale espressa dall’art. 24 del codice penale, secondo cui la pena della multa deve essere individuata all’interno di un intervallo edittale che varia da un minimo di euro 50 a un massimo di euro 50.000. Rispetto a tale norma generale, la pena prevista in forma fissa per ciascuna persona trasportata determina una irrazionale sperequazione rispetto ai parametri elastici di qualsiasi pena pecuniaria, che sarebbe ancor più ingiustificata e inspiegabile rispetto alle condotte oggetto di contestazione.
La previsione in misura fissa della pena pecuniaria impedirebbe inoltre al giudice di operare quel necessario adeguamento della sanzione alle condizioni economiche del reo stabilito dall’art. 133-bis cod. pen., che consente di elevare la pena sino al triplo, quando il massimo risulti inefficace, o di diminuirla fino a un terzo quando sia eccessivamente gravosa. Infatti, secondo il giudice a quo, il divieto di bilanciamento previsto dall’art. 12, comma 3-quater, del medesimo testo unico non consentirebbe all’imputato J. J. di poter utilizzare neppure tale strumento di individualizzazione della pena pecuniaria.
Altri profili di irragionevolezza vengono poi desunti dal confronto con le pene previste per condotte considerate assimilabili a quelle incriminate dal citato art. 12, comma 3: segnatamente l’art. 3, numero 6), della legge 20 febbraio1958, n. 75 (Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui), che punisce con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 258 a 10.329 euro chi induce a recarsi in altro Stato, o agevola la partenza di una persona, al fine di sfruttarne la prostituzione. Quest’ultima finalità è, invero, prevista come aggravante (dall’art. 12, comma 3-ter, lettera a), del citato testo unico sull’immigrazione) del reato di cui al precedente comma 3 e, secondo il rimettente, la distanza delle pene previste per condotte analoghe, quali quelle appena citate, evidenzierebbe un ulteriore elemento di irragionevolezza, non giustificabile neppure dal fatto che si tratta di fattispecie a tutela di beni giuridici diversi.
1.3.– Il giudice a quo ritiene altresì che sia violato l’art. 27 Cost., in quanto la pena pecuniaria in misura fissa viene irrogata solo in ragione della sussunzione del fatto nella norma incriminatrice, a prescindere dalla gravità del fatto medesimo e dall’intensità del dolo, quale manifestata dalla condotta e dalle concrete modalità della sua realizzazione. In tal modo, non verrebbe salvaguardata alcuna delle istanze (retributive o di prevenzione generale o speciale) sottese, secondo Costituzione (vengono citate le sentenze n. 322 del 2007, n. 313 del 1990 e n. 364 del 1988), all’irrogazione della pena al colpevole.
1.4.– Conclude, infine, il rimettente sostenendo che l’eventuale accoglimento delle sollevate questioni di legittimità costituzionale comporterebbe di necessità l’illegittimità derivata anche dei commi 1 e 3-quater del medesimo art. 12, che analogamente prevedono misure o aumenti di pena in misura fissa.
2.– Con atto depositato il 6 settembre 2016 è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili o infondate.
Secondo l’interveniente, la ragionevolezza della pena ex art. 3 Cost. dovrebbe giudicarsi non attraverso la considerazione della sola pena pecuniaria, ma mediante la valutazione complessiva di questa con la pena detentiva variabile, prevista in modo congiunto e non alternativo alla prima. Parimenti, si sarebbe dovuto considerare il complessivo sistema sanzionatorio previsto dall’art. 12 in esame, che presenta ventisei articolazioni, nelle quali si dimostrerebbe l’attenzione apprestata dal legislatore nell’individuare le diverse fattispecie e le pene per ciascuna previste, nonché gli aggravamenti e le diminuzioni delle sanzioni di volta in volta irrogate.
Neppure potrebbe ritenersi violato l’art. 27 Cost., in quanto la finalità rieducativa della pena non sarebbe esclusa dalla severità della sanzione quando questa sia giustificata dalla gravità delle condotte, tenendo altresì presente che detta finalità può essere recuperata anche in sede esecutiva attraverso la concessione di benefici sia penali, sia penitenziari.
In definitiva, aggiunge l’Avvocatura generale dello Stato, le questioni potrebbe pure ritenersi inammissibili, implicando valutazioni di politica criminale, per loro natura rimessi alla discrezionalità legislativa.
3.– Con memoria depositata il 13 marzo 2017 l’interveniente ha ribadito le ragioni a sostegno dell’inammissibilità e dell’infondatezza delle questioni sollevate dal rimettente. Rimarca, in particolare, che l’inammissibilità delle proposte questioni si dovrebbe affermare anche in considerazione della mancata esplorazione, da parte del giudice rimettente, degli istituti del diritto penale, segnatamente il concorso formale e la continuazione, che consentirebbero comunque una graduazione della pena.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 21 aprile 2016, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Ragusa ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, commi 3 e 3-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui prevede sanzioni pecuniarie fisse per il delitto di procurato ingresso illegale di cittadini stranieri nel territorio dello Stato: segnatamente nella misura di una somma per ogni persona trasportata pari a euro 15.000 di multa, nell’ipotesi base di cui al comma 3, e a euro 25.000 di multa, nell’ipotesi aggravata di cui al comma 3-ter.
1.1.– Il rimettente dubita che tali previsioni violino l’art. 3 della Costituzione, sotto diversi profili.
In primo luogo, esse prevederebbero un automatismo sanzionatorio irragionevole, che non permetterebbe di adeguare la misura della pena alla personalità dell’autore del fatto e al caso concreto, attesa anche l’estrema diversificazione delle fattispecie sussumibili nelle disposizioni citate.
La pena fissa determinerebbe, poi, una irrazionale sperequazione rispetto ai parametri elastici di qualsiasi pena pecuniaria, quali stabiliti dall’art. 24 del codice penale, e non consentirebbe al giudice di operare quel necessario adeguamento della sanzione alle condizioni economiche del reo, come previsto dall’art. 133-bis cod. pen.
Le disposizioni censurate stabilirebbero, inoltre, pene sproporzionate, più severe rispetto a quelle previste per condotte analoghe dall’art. 3, numero 6), della legge 20 febbraio 1958, n. 75 (Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui).
1.2.– Secondo il giudice a quo sarebbe altresì violato l’art. 27 Cost., in quanto la pena pecuniaria in misura fissa prescinderebbe dalla gravità del fatto e dall’intensità del dolo, non salvaguardando così alcuna delle istanze (retributive, di prevenzione generale o speciale) sottese, secondo Costituzione, all’irrogazione al colpevole della pena.
2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto nel giudizio, rappresentato e difeso dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito l’inammissibilità delle questioni.
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, il rimettente non avrebbe esplorato la possibile applicazione di istituti di parte generale del codice penale – segnatamente la continuazione e il concorso formale di reati – che avrebbero consentito quell’individualizzazione della pena, la cui pretesa mancanza egli ha posto a fondamento delle censure di illegittimità costituzionale. Inoltre, le questioni sarebbero inammissibili perché poste in relazione a scelte normative frutto dell’esercizio, non arbitrario e non irragionevole, della discrezionalità legislativa.
3.– Entrambe le eccezioni di inammissibilità non sono fondate.
3.1.– Con riferimento alla omessa considerazione della continuazione e del concorso formale, occorre osservare che tali istituti di parte generale disciplinano sì il trattamento sanzionatorio, fissandone i tetti massimi e le modalità applicative in modo da impedire un aumento eccessivo della pena; tuttavia, essi riguardano solo le ipotesi di cumulo delle pene dovute a condotte che integrano più reati. Il rimettente, invece, ravvisa un vizio del trattamento sanzionatorio, indipendentemente dalla possibilità che l’azione dia luogo a una pluralità di reati, ciascuno con la propria pena, e dagli eventuali aumenti che possano conseguire alla loro applicazione cumulativa. Pertanto, l’omessa considerazione dei due citati istituti di carattere generale non determina alcuna carenza di motivazione, né assurge a vizio di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale.
Del resto, la preoccupazione centrale del rimettente, che attraversa tutti i profili delle questioni sollevate, è focalizzata sulla impossibilità, implicita nella disposizione censurata, di adeguare la pena alla concretezza del fatto e alla personalità del suo autore. Proprio in tale prospettiva, l’ordinanza di rimessione esamina le possibilità di adeguamento della pena pecuniaria mediante la concessione di attenuanti (in particolare, delle attenuanti generiche ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen.) o attraverso le diminuzioni applicabili per le condizioni economiche del reo, di cui all’art. 133-bis cod. pen. L’ordinanza di rimessione non presenta, dunque, le carenze lamentate dall’Avvocatura generale dello Stato.
3.2.– Quanto alla seconda eccezione di inammissibilità, incentrata sull’ampio margine di discrezionalità che deve essere riservato al legislatore in materia di determinazione della misura della pena, deve osservarsi che il rimettente ha censurato la manifesta arbitrarietà e irragionevolezza della disciplina sanzionatoria, adducendo ampie argomentazioni e mostrando piena consapevolezza della giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo la quale le valutazioni sulla dosimetria della pena sono assoggettate al giudizio di legittimità costituzionale solo a fronte di scelte palesemente arbitrarie del legislatore che, per la loro manifesta irragionevolezza, evidenzino un uso distorto della discrezionalità a esso spettante (ex multis sentenze n. 236, n. 148 e n. 23 del 2016, n. 81 del 2014, e n. 394 del 2006; ordinanze n. 249 e n. 71 del 2007, n. 169 e n. 45 del 2006).
L’Avvocatura generale dello Stato, quindi, nel prospettare l’inammissibilità delle questioni, invero finisce per contestare la fondatezza delle argomentazioni del rimettente, adducendo considerazioni che attengono al merito delle questioni sollevate e che, pertanto, in tale sede debbono essere esaminate.
4.– Nel merito le questioni non sono fondate.
4.1.– In ordine alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., non è ravvisabile alcun profilo di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà del trattamento sanzionatorio previsto dell’art. 12, commi 3 e 3-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998.
Il rimettente lamenta che le disposizioni censurate prevedano pene pecuniarie «fisse», tali da non consentire quell’individualizzazione della pena che rappresenta il «volto costituzionale» del sistema penale (sentenza n. 50 del 1980).
Deve tuttavia osservarsi che le sanzioni stabilite dall’impugnato art. 12, commi 3 e 3-ter, per il delitto di procurato ingresso illegale di cittadini stranieri, non sono «fisse», ma «proporzionali».
L’art. 27 cod. pen. distingue nettamente le due ipotesi: «[l]a legge determina i casi nei quali le pene pecuniarie sono fisse e quelli in cui sono proporzionali», soggiungendo che «[l]e pene pecuniarie proporzionali non hanno limite massimo».
Le norme censurate, diversamente da quanto ritenuto dal giudice rimettente, rientrano nella seconda ipotesi. Le pene pecuniarie ivi previste, infatti, non sono stabilite in misura predeterminata, invariabile e insensibile alle circostanze di fatto, ma, al contrario, sono commisurate alla gravità di queste ultime. Il legislatore ha prescritto un metodo di computo della multa basato sulla moltiplicazione di un importo fisso per un coefficiente variabile, costituito dal numero di cittadini stranieri di cui il soggetto responsabile ha procurato l’ingresso illegale nel territorio italiano.
La struttura delle pene pecuniarie oggetto del presente giudizio è, dunque, di tipo “proporzionale” e si distingue da quella delle pene «fisse» poiché la sua misura è correlata alla fattispecie concreta e al grado di offensività della stessa, a sua volta calcolata in ragione del numero di persone coinvolte, proprio per assicurare la sua modulazione aderente ai principi di ragionevolezza e di proporzione desumibili dagli artt. 3 e 27 Cost.
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, commi 3 e 3-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Ragusa, con l’ordinanza in epigrafe.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2017.