Sentenza n. 148 del 2016

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SENTENZA N. 148

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                             GROSSI                                    Presidente

-           Alessandro                    CRISCUOLO                              Giudice

-           Giorgio                          LATTANZI                                       ”

-           Aldo                              CAROSI                                            ”

-           Marta                            CARTABIA                                      ”

-           Mario Rosario               MORELLI                                         ”

-           Giancarlo                      CORAGGIO                                     ”

-           Giuliano                        AMATO                                            ”

-           Silvana                          SCIARRA                                         ”

-           Daria                             de PRETIS                                         ”

-           Nicolò                           ZANON                                             ”

-           Franco                           MODUGNO                                      ”

-           Giulio                            PROSPERETTI                                 ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), come risultante a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49, promosso dal Tribunale ordinario di Perugia, nel procedimento penale a carico di I.K. ed altri con ordinanza del 31 luglio 2015, iscritta al n. 337 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 1° giugno 2016 il Giudice relatore Marta Cartabia.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 31 luglio 2015, iscritta al reg. ord. n. 337 del 2015, il Tribunale ordinario di Perugia ha sollevato – in riferimento agli artt. artt. 3 e 27 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), come risultante a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49.

1.1.– In particolare, il rimettente ha premesso di essere investito del giudizio abbreviato nei confronti di I.K., C.K. e W.K., imputati del reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, per avere detenuto g. 30,81 lordi di cocaina.

Il giudice a quo ha ritenuto rilevante la questione, in quanto la responsabilità degli imputati risulterebbe comprovata dagli atti utilizzabili nel giudizio e risulterebbe applicabile nella specie il comma 1 del citato art. 73 del d. P. R. n. 309 del 1990, in considerazione della «significativa offensività» del fatto, desumibile dalle modalità dell’azione e dal suo oggetto.

Si evidenzia, più precisamente, che l’azione si è concretizzata nella detenzione e nel trasporto di droga, realizzati sfruttando contatti con fornitori fuori dalla Regione, e che l’oggetto della condotta è rappresentato da un quantitativo di cocaina pari a circa 90 dosi medie, secondo i parametri orientativi di cui al decreto del Ministero della salute 11 aprile 2006 (Indicazione dei limiti quantitativi massimi delle sostanze stupefacenti e psicotrope, riferibili ad un uso esclusivamente personale delle sostanze elencate nella tabella I del Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, come modificato dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, ai sensi dell’art. 73, comma 1-bis).

Lo stesso rimettente, pur ritenendo (per le ragioni appena esposte) che il fatto non sia riconducibile all’ipotesi di lieve entità di cui al comma 5 del medesimo art. 73, ha parallelamente ritenuto che la pena debba attestarsi «nella parte inferiore del range di pena di cui al primo comma», posto che, tra i fatti non lievi, quello in esame «non assume, neanche contorni di particolare offensività».

1.2.– Il Tribunale ha poi ricordato che, con la sentenza n. 32 del 2014, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione che aveva modificato l’art. 73, comma 1. Segnatamente, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis del d.l. n. 272 del 2005, inserito, in sede di conversione, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 49 del 2006, per un vizio procedurale ex art. 77, secondo comma, Cost., con la conseguenza che ha ripreso vigore il testo dell’art. 73, comma 1, anteriore alla modifica, che punisce i fatti, riconducibili a detto comma 1, con la pena della reclusione da otto a venti anni e con la multa da euro 25.822 (lire cinquanta milioni) a euro 258.228 (lire cinquecento milioni). Per i fatti di lieve entità, invece, l’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, prevede «le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329».

1.3.– Secondo il rimettente, l’art. 73, comma 1, sarebbe viziato da irragionevolezza e, quindi, sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. «nella parte in cui determina un trattamento sanzionatorio minimo estremamente più elevato (quattro anni di reclusione in più) rispetto alla sanzione prevista per i fatti di maggior disvalore tra quelli di cui al quinto comma della medesima norma».

Inoltre, l’intervallo edittale stabilito dalla disposizione impugnata non consentirebbe di individuare un trattamento sanzionatorio conforme al principio di personalità della responsabilità penale, secondo cui la pena deve essere determinata proporzionalmente alla gravità del fatto di reato, con conseguente lesione anche dell’art. 27 Cost.

Sulla scorta di tali considerazioni, il giudice a quo ha ritenuto non manifestamente infondata la prospettata lesione degli artt. 3 e 27 Cost.

2.– Con atto depositato il 2 febbraio 2016, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza o, comunque, non fondata.

La difesa dello Stato ha evidenziato che il trattamento sanzionatorio censurato rientra appieno nella sfera di discrezionalità politica del legislatore, di cui non sarebbe stato fatto un uso irragionevole, con chiara esclusione del denunciato vizio ex art. 3 Cost.

Inoltre, l’ampiezza della cornice edittale di pena disegnata dal legislatore consentirebbe un agevole adattamento della risposta sanzionatoria alla fattispecie concreta, senza alcuna lesione neppure dell’art. 27 Cost.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 31 luglio 2015, il Tribunale ordinario di Perugia ha sollevato – in riferimento agli artt. artt. 3 e 27 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), come risultante a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49.

1.1.– In particolare, il rimettente espone che la disposizione impugnata punisce chi illecitamente coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede o riceve, a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia, acquista, trasporta, esporta, importa, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo o comunque illecitamente detiene, fuori dalle ipotesi previste dall’art. 75, sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’art. 14, dello stesso testo unico.

Il Tribunale lamenta che la norma censurata prevede, per i fatti di cui sopra, la pena minima di otto anni di reclusione ed euro 25.822 di multa, mentre il successivo comma 5 del medesimo art. 73, stabilisce, ove questi stessi fatti siano considerati di lieve entità, la pena massima di quattro anni di reclusione ed euro 10.329 di multa.

1.2.– Ad avviso del giudice a quo, tale previsione violerebbe, in primo luogo, l’art. 3 Cost., in quanto determinerebbe un quadro sanzionatorio irragionevole, caratterizzato da una marcata differenza di pena tra l’ipotesi di cui al comma 1 e quella di cui al comma 5, stabilendo «un trattamento sanzionatorio minimo estremamente più elevato (quattro anni di reclusione in più) rispetto alla sanzione prevista per i fatti di maggior disvalore tra quelli di cui al quinto comma della medesima norma»; in secondo luogo, sarebbe violato l’art. 27 Cost., in quanto un minimo edittale così elevato – 8 anni di reclusione – non consentirebbe di individuare un trattamento sanzionatorio conforme al principio di personalità delle responsabilità penale, che implica la possibilità di irrogare pene proporzionate alla gravità del fatto.

2.– La questione sollevata è inammissibile, per assenza di soluzioni costituzionalmente obbligate in materia riservata alla discrezionalità legislativa.

2.1.– Nella specie, è fuor di dubbio che la disposizione impugnata, riguardando la configurazione del trattamento sanzionatorio di condotte individuate come punibili in materia di stupefacenti, rientri in un ambito in cui deve riconoscersi al legislatore un ampio margine di libera determinazione (ex plurimis, sentenze n. 23 del 2016; n. 185 del 2015; n. 68 del 2012, n. 47 del 2010, n. 161 del 2009, n. 22 del 2007 e n. 394 del 2006).

Secondo un orientamento costante della giurisprudenza costituzionale – ribadito da ultimo nella sentenza n. 23 del 2016, proprio in relazione al trattamento sanzionatorio relativo alle violazioni previste dal d.P.R. n. 309 del 1990 –, affinché sia consentito a questa Corte esaminare eventuali profili di illegittimità costituzionale dell’entità della pena stabilita dal legislatore, è necessario che il giudice rimettente individui «un parametro che consenta di rinvenire la soluzione costituzionalmente obbligata (come avvenuto, ad esempio, nella sentenza n. 341 del 1994, nella quale la Corte, dichiarando l’illegittimità costituzionale della pena edittale minima del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, prevista dall’art. 341, primo comma, cod. pen., nel testo all’epoca vigente, si giovò della comparazione con la fattispecie affine dell’ingiuria)» (sentenza n. 23 del 2016). Solo l’indicazione di un tertium comparationis, infatti, legittima l’intervento della Corte in materia di determinazione della pena ed esclusivamente in presenza di discipline manifestamente arbitrarie o irragionevoli. Ciò in quanto non spetta alla Corte determinare autonomamente la misura della pena, sostituendo le proprie valutazioni a quelle che spettano al legislatore, ma solo di emendare le scelte di quest’ultimo «in riferimento a grandezze già rinvenibili nell’ordinamento» (sentenza n. 22 del 2007): altrimenti, «l’intervento creativo sollecitato a questa Corte interferirebbe indebitamente nella sfera delle scelte di politica sanzionatoria riservate al legislatore, in spregio al principio della separazione dei poteri» (sentenza n. 23 del 2016).

2.2.– Nella specie, invece, il rimettente si è limitato a chiedere la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione sanzionatoria censurata, senza curarsi di indicare un parametro che consenta di rinvenire una soluzione costituzionalmente obbligata e senza neppure precisare quale sia il trattamento sanzionatorio che, a suo avviso, sarebbe conforme a Costituzione.

A ciò si aggiunga che non viene lamentato un vizio procedurale della legge, come invece era accaduto nel caso deciso con la sentenza n. 32 del 2014, sicché deve escludersi ogni “ripresa di applicazione” delle disposizioni in vigore prima di quella oggetto del presente giudizio, che possa colmare il vuoto determinato da una eventuale pronuncia meramente ablativa di questa Corte.

Conseguentemente, l’accoglimento della questione prospettata finirebbe per privare di sanzione il fatto non lieve, di cui all’art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, lasciando invece punito il solo fatto lieve, di cui al comma 5 del medesimo art. 73, con l’effetto di aggravare, anziché eliminare, la lamentata irragionevolezza del trattamento sanzionatorio.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), come risultante a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Perugia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° giugno 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Marta CARTABIA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2016