SENTENZA N. 108
ANNO 2019
Commento
alla decisione di
Valeria
De Santis
per g.c. dell’Osservatorio AIC
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta
dai signori:
Presidente:
Giorgio LATTANZI;
Giudici:
Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO,
Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco
VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1,
2, 3 e 4 della legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige 11 luglio 2014,
n. 4, recante «Interpretazione autentica dell’articolo 10 della legge regionale
21 settembre 2012, n. 6 (Trattamento economico e regime previdenziale dei
membri del Consiglio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige) e
provvedimenti conseguenti», promosso dal Tribunale ordinario di Trento, con
ordinanza
del 7 febbraio 2017, iscritta al n. 72 del registro ordinanze 2017 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale,
dell’anno 2017.
Visti
gli atti di costituzione in giudizio di A. K., della Regione autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol e del Consiglio regionale della Regione autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol;
udito
nell’udienza pubblica del 19 marzo 2019 il Giudice relatore Nicolò Zanon;
uditi
gli avvocati Massimo Luciani, Mariano Protto e Romano Vaccarella per A. K. e
Giandomenico Falcon, Fabio Corvaja
e Andrea Manzi per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e il
Consiglio regionale della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol.
Ritenuto in fatto
1.–
Il Tribunale ordinario di Trento, con ordinanza del 7 febbraio 2017, iscritta
al n. 72 del registro ordinanze 2017, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e
4 della legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige 11 luglio 2014, n. 4,
recante «Interpretazione autentica dell’articolo 10 della legge regionale 21
settembre 2012, n. 6 (Trattamento economico e regime previdenziale dei membri
del Consiglio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige) e provvedimenti
conseguenti», nella parte in cui «applicano con efficacia retroattiva la
nozione di "valore attuale medio”, prevedendo l’obbligo di restituzione di
somme e/o quote del Fondo Family già percepite legittimamente da ex consiglieri
regionali sulla base della legge regionale 21 settembre 2012, n. 6».
La
questione di legittimità costituzionale sorge in un giudizio instaurato da A.
K., – già consigliere regionale della Regione autonoma Trentino-Alto Adige dal
13 dicembre 1988 al 17 giugno 2001 – nei confronti, tra gli altri, della stessa
Regione autonoma e del Consiglio regionale altoatesino.
Il
giudice a quo afferma in primo luogo la sussistenza della propria giurisdizione
in ragione della pronuncia adottata, in un analogo processo, dalla Corte di
cassazione, sezioni unite, sentenza 20 luglio 2016, n. 14920, in sede di
regolamento preventivo.
Il
giudice rimettente espone che, con decreto del Presidente del Consiglio
regionale del Trentino-Alto Adige 30 ottobre 2013, n. 663, l’importo mensile
dell’assegno vitalizio di cui è titolare A. K. veniva rideterminato, a far data
dal 1° gennaio 2014, nell’importo lordo di euro 4.127,72, pari al 30,40 per
cento della base di calcolo costituita dall’indennità parlamentare lorda, in
sostituzione del precedente 48,10 per cento. Contestualmente, con lo stesso
decreto, ad A. K. veniva «liquidato il valore attualizzato della parte
ulteriore di vitalizio, già maturato ma non più percependo, nella somma di euro
364.931,99, attribuendola all’attore mediante l’erogazione di euro 144.931,99 e
l’assegnazione dell’ulteriore importo di euro 220.000,00 in quote nominative del
Fondo Family».
Le
misure disposte con tale decreto trovavano il loro fondamento nell’art. 10
della legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige 21 settembre 2012, n. 6
(Trattamento economico e regime previdenziale dei membri del Consiglio della Regione
autonoma Trentino-Alto Adige) e in successive determinazioni dell’ufficio di
presidenza del Consiglio regionale della Regione autonoma Trentino-Alto
Adige/Südtirol. In particolare, secondo l’art. 10, comma 2, di tale legge,
«[a]i Consiglieri cessati dal mandato che godono di un assegno vitalizio
superiore alla misura del 30,40 per cento [dell’indennità parlamentare lorda] è
data facoltà, entro un termine fissato con le modalità di cui al comma 4, di
optare in forma irrevocabile per il riconoscimento del valore attuale della
quota del loro assegno vitalizio che eccede tale misura con la conseguente
rideterminazione del proprio assegno». Il comma 4, lettera a), del medesimo
art. 10 attribuiva inoltre all’ufficio di presidenza il compito di determinare con
propria deliberazione i criteri per la quantificazione del «valore attuale»,
nonché quello di individuare uno strumento finanziario al quale destinare
obbligatoriamente, in tutto o in parte, gli importi attualizzati.
Sulla
base di quanto previsto dalla normativa citata, e alla luce dei criteri
adottati dall’ufficio di presidenza del Consiglio regionale, A. K. aveva così
esercitato l’opzione per il «valore attuale», compensando la riduzione del
proprio assegno vitalizio mensile con la «contestuale liquidazione in valore
attuale della parte non più percependa».
Espone
il rimettente che, a seguito dell’entrata in vigore della legge reg.
Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014, ad A. K. veniva chiesta – con decreto del
Presidente del Consiglio regionale della Regione autonoma Trentino-Alto
Adige/Südtirol 26 settembre 2014, n. 104 – la restituzione di euro 130.438,30
in contanti, o mediante il trasferimento di quote del "Fondo Family”.
Ciò a
causa della legge reg. Trentino-Alto Adige da ultimo citata, che, con efficacia
retroattiva, ha «sostanzialmente mutato i criteri di determinazione del valore
attualizzato della parte non più percependa di
vitalizio».
In
particolare, l’art. 1 della legge prevede che «[i]l termine "valore attuale” di
cui all’articolo 10 della legge regionale 21 settembre 2012, n. 6 […], dal
momento di entrata in vigore della legge regionale stessa, si interpreta nel
senso che esso fa riferimento al "valore attuale medio”» e attribuisce
all’ufficio di presidenza del Consiglio regionale il mero compito di
quantificare tale valore sulla base dei nuovi criteri determinati dall’art. 2
della medesima legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014. L’art. 1 sancisce
anche la nullità di tutti gli atti adottati sulla base delle delibere del
«valore attuale», mentre gli artt. 3 e 4 impongono l’obbligo di restituire –
con forme e modalità variabili – quanto maggiormente percepito (in somme o in
quote del "Fondo Family”) sulla base del «valore attuale».
A
fronte di tutto ciò, A. K. adiva pertanto il Tribunale di Trento, in sede di
cognizione, per sentire dichiarata l’inesistenza di qualsivoglia obbligo di
restituzione di quanto percepito a titolo di assegno vitalizio.
2.–
In punto di rilevanza, evidenzia il rimettente come la pretesa restitutoria
della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol potrà ritenersi fondata, e
determinare il rigetto della corrispondente azione di accertamento negativo
proposta dall’attore, solo se gli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge reg.
Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014 siano conformi a Costituzione; in caso
contrario tale pretesa dovrà essere ritenuta non fondata.
Nel
merito, il giudice a quo espone che «la legge regionale n. 6 del 2012, per
effettuare l’attualizzazione della quota di assegno vitalizio non più percependa, demandava la concreta determinazione del
"valore attuale” all’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale (senza cioè
porre alcun specifico criterio legislativo), mentre la nuova legge regionale n.
4 del 2014 – asseritamente di interpretazione
autentica della precedente – ha fissato direttamente, al proprio art. 2, i
criteri con cui effettuare la determinazione del valore attuale (ora chiamato
"valore attuale medio”), sottraendo così ogni margine di discrezionalità
all’Ufficio».
La
novella legislativa non potrebbe, a dire del giudice a quo, correttamente
qualificarsi come legge di interpretazione autentica «poiché essa non fa fronte
ad uno stato di incertezza, né effettua una scelta tra le variabili di senso
della legge interpretata, né intende contrastare alcun orientamento
giurisprudenziale, poiché, invece, procede direttamente ad introdurre una
completamente nuova analitica determinazione dei parametri per
l’attualizzazione».
Il
giudice rimettente richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale
secondo cui le disposizioni retroattive devono trovare adeguata giustificazione
sul piano della ragionevolezza e non devono contrastare con altri principi e
interessi costituzionalmente protetti (vengono richiamate le sentenze n. 93 del 2011,
n. 234 del 2007
e n. 374 del
2002). In particolare, il giudice a quo evoca, quali corollari del
principio di ragionevolezza, il divieto di introdurre ingiustificate disparità
di trattamento, la tutela dell’affidamento dei soggetti privati, la coerenza e
la certezza dell’ordinamento, il rispetto delle funzioni costituzionalmente
riservate al potere giudiziario (vengono citate le sentenze n. 209 del 2010
e n. 397 del
1994).
La
natura retroattiva della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014 si
desumerebbe in modo particolare da tre distinti elementi: a) la dichiarazione
di nullità degli atti e dei provvedimenti che contenevano pregresse
quantificazioni del valore attuale e di ogni atto conseguente (art. 1); b) la
previsione che impone la restituzione ed i recuperi delle somme precedentemente
erogate sulla base della nozione di «valore attuale» determinata secondo quanto
previsto dall’art. 10 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 (art.
3); c) la rideterminazione delle quote del "Fondo Family”, sulla base del nuovo
criterio del «valore attuale medio» (art. 4).
Nell’imporre
una sostanziale modifica con efficacia retroattiva della normativa di cui alla
legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, la legge reg. Trentino-Alto Adige
n. 4 del 2014 non rispetterebbe i principi affermati dalla giurisprudenza
costituzionale.
Essa
violerebbe l’art. 3 Cost., «incidendo, in modo irragionevole, sul legittimo
affidamento nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale
dello Stato di diritto» (vengono citate le sentenze n. 170 e n. 103 del 2013,
n. 270 e n. 71 del 2011,
n. 236 e n. 206 del
2009), poiché «l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica […] non
può essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento
irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori» (si richiama
la sentenza n.
446 del 2002). Il giudice rimettente ricorda come, secondo la
giurisprudenza costituzionale, la norma retroattiva non può tradire
l’affidamento del privato, «specie se maturato con il consolidamento di
situazioni sostanziali, pur se la disposizione retroattiva sia dettata dalla
necessità di contenere la spesa pubblica».
Secondo
il giudice a quo, «a fronte della legittima corresponsione – sulla base di una
legge – di una non indifferente somma di denaro (oppure dell’attribuzione di
[quote di] fondi di investimento), ogni persona adotta delle scelte – anche di
una certa importanza – nell’ambito della propria vita personale e familiare
[…]. Consentire che una legge successiva possa rimettere in discussione tale
attribuzione patrimoniale, obbligando la persona a restituirla, significa
sconvolgere la sua vita personale, costringendolo a rivedere integralmente le
non indifferenti scelte di vita personale e familiare che egli può aver
effettuato facendo affidamento sulla stabilità dell’attribuzione patrimoniale
stessa. Se si ammette che una legge successiva possa costringere il soggetto a
restituire un’attribuzione patrimoniale legittimamente ricevuta sulla base di
una legge precedente, si costringe il soggetto stesso a non fare affidamento
sull’attribuzione patrimoniale stessa e quindi a non utilizzarla, poiché egli
potrebbe sempre essere chiamato a restituirla».
Secondo
il giudice rimettente, la supposta violazione dei principi di ragionevolezza,
di affidamento e sicurezza dei rapporti giuridici sanciti dall’art. 3 Cost. non
sarebbe smentita dalla brevità del tempo intercorso tra la corresponsione
dell’attribuzione patrimoniale (decreto del Presidente del Consiglio regionale
n. 663 del 30 ottobre 2013) e la richiesta della sua restituzione (decreto del
Presidente del Consiglio regionale n. 104 del 26 settembre 2014). Nessun
rilievo avrebbe neppure la circostanza secondo cui la legge reg. Trentino-Alto
Adige n. 6 del 2012 sarebbe stata fatta oggetto di proposte di modifica anche
prima dell’approvazione della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014; né
che i provvedimenti amministrativi attuativi della stessa legge reg. Trentino-Alto
Adige n. 6 del 2012 sarebbero stati oggetto di impugnativa in sede
giurisdizionale; né che la locale Procura della Repubblica avrebbe svolto
indagini sulle persone chiamate dall’ufficio di presidenza del Consiglio
regionale ad elaborare i criteri per il calcolo del «valore attuale».
3.–
Con atto datato 10 maggio 2017, depositato presso la cancelleria della Corte
costituzionale il 17 maggio 2017, si è costituita in giudizio la parte privata,
A. K., chiedendo che la Corte costituzionale accolga la questione di
legittimità costituzionale sollevata, rinviando a successiva memoria
l’illustrazione delle ragioni a sostegno della richiesta.
4.–
Con due distinti atti di identico contenuto, datati 12 giugno 2017 e depositati
presso la cancelleria della Corte costituzionale il 13 giugno 2017, si sono
costituiti in giudizio la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e il
Consiglio regionale della stessa Regione, per sostenere l’inammissibilità e,
nei limiti in cui risulti ammissibile, la non fondatezza della questione.
Rispetto
alla descrizione dei fatti operata dal giudice a quo, la Regione e il Consiglio
regionale precisano che A. K., prima dell’entrata in vigore della legge reg.
Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, era titolare di un assegno vitalizio commisurato
al 48,10 per cento dell’indennità parlamentare lorda, pari a euro 6.100,52
mensili lordi, che, a seguito della annuale rivalutazione secondo l’indice
dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ammontava – al 31 dicembre 2013
– a euro 6.531,04 mensili lordi.
A
seguito della scelta di A. K. di avvalersi dell’opzione per il regime previsto
dall’art. 10, comma 2, della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, a
compensazione della riduzione dell’assegno vitalizio mensile – parametrato ora
al 30,40 per cento e non più al 48,10 per cento dell’indennità parlamentare
lorda – egli si vedeva riconosciuta «l’attribuzione immediata […] del valore
attuale della differenza tra il 48,1% e il 30,4%». L’importo dell’assegno
vitalizio mensile scendeva da euro 6.531,04 a euro 4.127,72 lordi; mentre la
quota ridotta del vitalizio era convertita nel suo «valore attuale» calcolato
nell’importo netto complessivo di euro 364.931,99. Di questi, il 39 per cento,
pari a euro 144.931,99, veniva erogata con mandato di pagamento del 13 novembre
2013; la restante parte, pari a euro 220.000,00, veniva attribuita ad A. K. a
mezzo di quattro quote nominative del "Fondo Family” con scadenza 31 dicembre
degli anni dal 2018 al 2021.
La
Regione e il Consiglio regionale segnalano poi che l’art. 10, comma 1, della
legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 prevede che anche ai consiglieri
in carica nella XIV legislatura o ai consiglieri cessati dal mandato in attesa
di maturare i requisiti per l’attribuzione del vitalizio, l’importo
dell’assegno viene ridotto al 30,40 per cento della base di calcolo, e per la
parte eccedente, viene riconosciuto il «valore attuale». Con riferimento a
questa specifica previsione, la delibera dell’ufficio di presidenza del
Consiglio regionale del 27 maggio 2013, n. 334, con la quale è stato adottato
il «Regolamento concernente la determinazione del valore attuale di una quota
di assegno vitalizio e le disposizioni comuni con le contribuzioni per il
trattamento indennitario», ha stabilito che anche per tali consiglieri la quota
del «valore attuale» dell’assegno vitalizio fosse erogata immediatamente,
nonostante essi non avessero ancora maturato i requisiti per l’attribuzione del
vitalizio stesso.
Sottolineano
Regione e Consiglio regionale come le deliberazioni dell’ufficio di presidenza,
e i conseguenti atti amministrativi del procedimento di attualizzazione, siano
«stati oggetto di forte critica da parte della opinione pubblica della
Regione», e siano stati «contestati nella loro legittimità in diverse sedi,
generando iniziative impugnatorie e procedimenti,
tuttora pendenti, volti all’accertamento della responsabilità penale e
contabile dei soggetti che hanno concorso ad adottarli».
Proprio
alla luce di tali circostanze, il Consiglio regionale avrebbe adottato la legge
reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014, con lo scopo di correggere la
determinazione dei parametri di attualizzazione, «che aveva condotto ad una
sovrastima del valore attuale della quota» e l’estensione immediata del
beneficio dell’attualizzazione anche ai soggetti privi del diritto all’assegno
vitalizio, che pure si erano visti attribuita la quota «idealmente ridotta».
La
Regione e il Consiglio regionale osservano poi che – all’esito dell’entrata in
vigore della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014 – il Presidente del
Consiglio regionale aveva comunicato ad A. K., già con nota del 30 luglio 2014,
che egli sarebbe stato tenuto alla restituzione dell’importo netto di euro
130.438,40. In alternativa, ai sensi dell’art. 5 della stessa legge regionale,
egli avrebbe potuto revocare con effetto retroattivo l’opzione esercitata ai
sensi dell’art. 10, comma 2, della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del
2012. Non essendo intervenuta alcuna revoca, con successivo decreto del 26
settembre 2014, n. 104, trasmesso ad A. K. il 30 settembre 2014, il Presidente
del Consiglio regionale chiedeva la restituzione, entro novanta giorni,
dell’importo di euro 130.438,40.
Alla luce
di tali atti, A. K. ha instaurato il giudizio da cui promana la presente
questione di legittimità costituzionale.
5.–
Così precisati i profili di fatto della vicenda, la Regione e il Consiglio
regionale costituiti eccepiscono in primo luogo l’inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale: il giudice rimettente avrebbe infatti
erroneamente contestato «globalmente gli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge
regionale n. 4 del 2014», senza considerare che alcune delle previsioni ivi
contenute riguardano fattispecie diverse da quelle applicabili nel giudizio a
quo. In particolare, gli artt. 1, comma 4, e 4, comma 4, della legge reg.
Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014 disciplinerebbero la situazione di quei
consiglieri regionali che «pur non avendo maturato i requisiti per
l’attribuzione del vitalizio, si erano purtuttavia visti immediatamente
attribuire a titolo di "valore attuale” una quota dell’assegno futuro». Non
sarebbe però questo il caso di A. K., che, avendone maturato i requisiti, era
già da tempo titolare dell’assegno vitalizio. La difesa della Regione e del
Consiglio regionale lascia peraltro sottintendere che la mancata
considerazione, da parte del giudice a quo, dei differenti problemi sottesi
alle diverse fattispecie disciplinate dalla legge potrebbe determinare la
complessiva inammissibilità della questione di legittimità costituzionale.
Nel
merito, la Regione e il Consiglio regionale contestano in primo luogo l’assunto
del giudice a quo, che nega alla legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014
la natura di legge di interpretazione autentica: l’obiettivo della legge
impugnata sarebbe infatti «segnatamente quello di ristabilire un significato
della disposizione più vicino alla volontà originaria del legislatore». In
particolare, i parametri di attualizzazione prescritti dall’art. 2 della legge
reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014 sarebbero tutti circoscritti nell’ambito
delle possibilità aperte dall’art. 10 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6
del 2012: «il valore attuale medio di cui ragiona la legge regionale n. 4 del
2014, lungi dall’essere qualcosa di "completamente nuovo e diverso” dal valore
attuale di cui è parola nella legge regionale n. 6 del 2012 (come invece
ritiene il giudice a quo)», ne costituirebbe una «mera specificazione, e
precisamente la specificazione che consente l’attuazione più ragionevole e
corretta».
Alla
luce della ratio della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, volta al
contenimento della spesa pubblica, sarebbero pertanto i criteri adottati dall’ufficio
di presidenza nelle delibere n. 324 e 334 del 2013 – «altamente premiali e poco
realistici» – a non armonizzarsi con la legge stessa; mentre i parametri
adottati dalla legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014 costituirebbero una
«fedele esecuzione della legge n. 6 del 2012».
In
particolare, per la Regione e il Consiglio Regionale sarebbe incomprensibile la
ragione per cui, nelle citate delibere dell’ufficio di presidenza del Consiglio
regionale che hanno determinato i parametri di attualizzazione, l’aspettativa
di vita per i titolari degli assegni vitalizi «sia stata calcolata in modo
tanto superiore rispetto alla classe demografica di riferimento»; altrettanto
inspiegabile sarebbe la ragione per cui «la solidità finanziaria della Regione
potesse avere un rating del tutto indipendente da quello della stessa
Repubblica italiana»; analoghi dubbi sussisterebbero sulla scelta di non tenere
conto, nella determinazione del tasso di sconto, «del rischio di interventi
rimodulativi sui vitalizi in corso, analoghi a quelli attuati dalla legge
regionale n. 5 del 2014, e tanto più prevedibili in quanto l’intero contesto
nazionale si muoveva in quella direzione». D’altra parte, espongono le parti,
la correttezza dei parametri di attualizzazione sarebbe stata oggetto di
attenzione, prima ancora che del legislatore regionale, della magistratura
penale e contabile.
Tutto
ciò considerato, la legge di interpretazione autentica apparirebbe «non solo
opportuna e giustificata, bensì anche necessaria per rendere più sicuramente
legittima una operazione già contestata in diverse sedi e per rimuovere
possibili dubbi sulla stessa legittimità della legge regionale oggetto della
interpretazione, assicurando ad essa un significato corrispondente alla
originaria volontà del legislatore e certo non irragionevole, anche in
considerazione di fondamentali esigenze di eguaglianza e di equità sociale»
(vengono a tal proposito citate le sentenze n. 132 del 2016,
n. 1 del 2011,
n. 314 del 1994
e n. 56 del 1989,
nonché l’ordinanza
n. 432 del 1989).
6.–
In ogni caso, non sarebbe fondata la censura relativa all’ingiustificata
lesione del legittimo affidamento riposto dall’attore sulle somme e sulle quote
erogategli. La Regione ritiene che proprio gli elementi che il giudice
rimettente ha ritenuto in tale prospettiva irrilevanti (la brevità del tempo
intercorso tra la corresponsione dell’attribuzione patrimoniale e la richiesta
della sua restituzione; la notorietà dell’esistenza delle proposte di legge
volte a correggere l’assetto dettato dalla legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6
del 2012 anche prima dell’approvazione della legge reg. Trentino-Alto Adige n.
4 del 2014; l’avvenuta impugnazione dei provvedimenti applicativi; lo
svolgimento delle indagini da parte della locale Procura della Repubblica sulle
persone chiamate dall’ufficio di presidenza del Consiglio regionale ad
elaborare i criteri per il calcolo del «valore attuale») siano invece in grado
di «escludere che potessero essere sorti affidamenti legittimi alla
conservazione del beneficio, nei termini in cui era stato erogato».
D’altra
parte, proprio perché sono stati i «parametri irrealistici» contenuti nelle
delibere dell’ufficio di presidenza del Consiglio regionale ad aver «tradito il
senso della legge n. 6 del 2012, un problema di affidamento meritevole di
tutela fondato sulla legge non si pone nemmeno». Ciò sarebbe dimostrato dal
fatto che lo stesso giudice a quo non ha messo in discussione la correttezza
dei parametri adottati dalla legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2014.
Anche
alla luce di ciò, non vi sarebbe alcuna lesione del legittimo affidamento,
posto che «lo sdegno dell’opinione pubblica […], immediate contestazioni in
tutte le sedi e l’immediato avvio delle iniziative correttive, ampiamente
pubblicizzate e sicuramente note ai ricorrenti», «convergono nell’escludere
positivamente che i beneficiari potessero realmente "confidare” nella integrale
conservazione delle somme che erano state loro pagate con […] generosa
larghezza» (viene a tal proposito citata la sentenza n. 16 del
2017).
Infine,
la Regione sottolinea come gli artt. 3 e 4 della legge regionale impugnata
consentono ai percettori del vitalizio attualizzato la restituzione di quanto
percepito sulla base della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 in modo
graduale e flessibile nei tempi e nei modi. Particolare rilievo, in questa
prospettiva, assumerebbe la circostanza secondo cui la restituzione può essere
effettuata tramite la riassegnazione al Consiglio regionale delle quote del
"Fondo Family” ancora non esigibili al momento dell’entrata in vigore della
legge e delle quali pertanto i beneficiari non potevano avere già disposto. Di
particolare rilievo sarebbe poi la previsione che consente all’ufficio di
presidenza di valutare modalità di recupero, prevedendo idonee forme di
garanzie per coloro che si trovano nell’impossibilità di restituire la quota di
valore attuale. Tali previsioni salvaguarderebbero pertanto l’affidamento dei
soggetti beneficiari dell’attualizzazione del vitalizio.
7.–
In data 15 febbraio 2019, A. K. ha depositato documentazione poi illustrata
nella memoria predisposta in vista dell’udienza pubblica.
In
quest’ultima si evidenzia in primo luogo come l’eccezione di inammissibilità
avanzata dalla Regione e dal Consiglio regionale non possa configurarsi come
tale, ma, al più, come una «precisazione delle norme oggetto di censura», volta
ad escludere le disposizioni che non determinano applicazione retroattiva del
«valore attuale» e/o l’obbligo di restituzione delle somme già erogate al
momento di entrata in vigore della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del
2014: in ogni caso, anche «ove fosse amputata di tali norme» (artt. 1, comma 4,
e 4, comma 4), «la questione resterebbe pienamente rilevante» poiché «il
remittente ha inteso censurare la legittimità dell’impianto normativo, sopra
descritto, nella sua compiutezza, ben cogliendo la logica comune che ispira
tutte le norme indubbiate».
Nel
merito, A. K. aderisce alla tesi del rimettente quanto alla contestazione della
natura di legge di interpretazione autentica della legge oggetto di
impugnazione e richiama la recente giurisprudenza costituzionale sviluppatasi
su tali tipi di leggi (vengono citate, ex plurimis,
le sentenze n.
73 del 2017, n.
132 del 2016 e n. 170 del 2013):
in particolare, la legge retroattiva censurata avrebbe natura innovativa e
conterrebbe previsioni che non modificano un rapporto giuridico di durata, ma
«un assetto d’interessi già interamente definito e pienamente sedimentato tra
le parti».
La
legge censurata presenterebbe tutti gli indici rivelatori di un uso illegittimo
della legislazione retroattiva: «l’adozione di una disciplina violativa del divieto di introdurre ingiustificate
disparità di trattamento (specie pel profilo della soppressione della regola
dell’attualizzazione della "quota eccedente”, per tutti i beneficiari al 1°
gennaio 2014, con conseguente adozione di criteri volatili)»;
«l’irragionevolezza della disciplina retroattiva (per il profilo dell’erronea autoqualificazione legislativa, della non necessarietà di interventi correttivi, nemmeno nella
prospettiva della finanza pubblica, nonché per il profilo della fissazione ex lege di criteri che rientrano nel dominio della scienza
attuariale)»; «la lesione del legittimo affidamento»; «la gravità del
pregiudizio patito dai destinatari della disciplina retroattiva».
A
dimostrazione di tali assunti, A. K. ricostruisce l’evoluzione della disciplina
regionale in materia di assegni vitalizi, dalla quale emergerebbe come nel
corso degli anni l’importo degli assegni vitalizi stessi sarebbe stato
ripetutamente decurtato. Per quanto concerne la legge reg. Trentino-Alto Adige
n. 4 del 2014, essa avrebbe determinato – con le modifiche ai parametri di cui
alla delibera n. 324 del 2013 dell’ufficio di presidenza del Consiglio
regionale – una riduzione di circa il 35 per cento degli importi attualizzati.
Ciò
premesso, A. K. contesta che vi fossero contrasti applicativi sulla legge reg.
Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 e contesta altresì la tesi sostenuta dalla
difesa della Regione e del Consiglio regionale secondo cui tale legge possa
essere in qualche modo interpretabile: essa sarebbe in realtà «neutra»,
limitandosi a rimettere a successive scelte tecniche la determinazione del
«valore attuale». Di conseguenza, la legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del
2014, lungi dallo svolgere qualsiasi interpretazione della precedente legge,
avrebbe imposto «un’aprioristica volontà del principe, operando in maniera
punitiva nei confronti dei soggetti beneficiari dell’attualizzazione»,
sostituendo le scelte precedentemente effettuate in base a indicazioni
tecnico-scientifiche con scelte di carattere esclusivamente politico (viene richiamata
anche la giurisprudenza costituzionale «in ragione della quale il principio di
ragionevolezza impone al legislatore di rispettare le evidenze
tecnico-scientifiche»). Ciò rivelerebbe l’irragionevolezza dell’intervento
legislativo, così come anche la auto-qualificazione della stessa legge alla
stregua di norma di interpretazione autentica.
Né la
pretesa necessità di contenere la spesa consentirebbe di evitare le censure di
irragionevolezza: sostiene infatti la parte privata che in realtà già la riforma
contenuta nella legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 avrebbe
determinato una significativa riduzione della spesa corrente per i vitalizi,
consentendo il finanziamento di una serie di interventi solidaristici a favore
delle famiglie più bisognose della Regione. Il raggiungimento dell’obiettivo di
riduzione dei costi già ottenuto avrebbe dunque reso privo di ragionevolezza
l’ulteriore intervento del legislatore regionale effettuato con la legge reg.
Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014.
Ulteriore
profilo di irragionevolezza si desumerebbe dal principio contenuto nella sentenza della
Corte costituzionale n. 173 del 2016, secondo cui l’imposizione di
contributi sulle pensioni non può essere ripetitiva e reiterata: circostanza
questa che, invece, secondo la parte privata, si sarebbe inverata proprio in
virtù delle disposizioni impugnate.
Richiamata
la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul principio di
legittimo affidamento, A. K. si sofferma poi sulla concreta determinazione dei
parametri adottati dalla delibera dell’ufficio di presidenza del Consiglio
regionale n. 324 del 2013, evidenziandone la correttezza e sostenendo che
nessuna influenza avrebbe, nel giudizio di costituzionalità, l’apertura di
procedimenti penali e contabili sugli eventuali vizi applicativi della legge n.
6 del 2012.
Da
ultimo, A. K. sottolinea che a fronte degli obiettivi di forte riduzione della
spesa ottenuti dalla legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012,
l’approvazione di un imprevedibile «intervento (pseudo) correttivo di cui non
c’era alcuna esigenza» avrebbe leso il principio del legittimo affidamento dei
beneficiari, che si sarebbe sedimentato in ragione dell’applicazione della legge
reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 «in numerosi atti di natura
regolamentare, amministrativa e negoziale» (vengono a tal proposito citate
alcune decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea).
8.–
In data 26 febbraio 2019, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e il
Consiglio regionale della stessa Regione hanno depositato ulteriore memoria,
nella quale hanno evidenziato, con apposita documentazione, come la presenza di
avanzi di consuntivo nel bilancio regionale e il patrimonio del Consiglio
regionale non sarebbero affatto indicativi «di una particolare solidità
finanziaria dell’organo legislativo della Regione, visto che gli stessi periodi
espongono sovente un peggioramento patrimoniale». Le risorse del Consiglio, in
particolare, costituirebbero il mero «equivalente di una riserva attuariale a
copertura della spesa futura per gli assegni vitalizi».
In
ogni caso, sottolinea la difesa della Regione e del Consiglio regionale, «anche
qualora davvero il Consiglio si trovasse in una situazione patrimoniale e
finanziaria florida […] l’intervento del legislatore […] rimarrebbe comunque
legittimo», poiché volto a rimediare ad applicazioni distorsive del senso
proprio della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, frutto di una malintesa
interpretazione della legge stessa, che avrebbe determinato una «ingiustificata
distrazione a fini privati di risorse che nella loro origine sono pubbliche» e
la conseguente erogazione di somme in «misura abnorme» a favore di singoli
soggetti privati. Proprio il caso oggetto del giudizio a quo lo proverebbe: a
fronte di versamenti di contributi pari a circa euro 197.000, A. K. avrebbe già
percepito oltre euro 600.000 a titolo di vitalizio, cui devono aggiungersi i
circa euro 235.000 ottenuti attraverso la procedura di attualizzazione, e
l’assegno mensile lordo di circa euro 4.100 che egli continua e continuerà a
percepire.
Inoltre,
la difesa della Regione e del Consiglio regionale sostiene che i criteri
adottati dall’ufficio di presidenza del Consiglio regionale con la delibera n.
324 del 2013 sarebbero stati eccessivamente favorevoli e, soprattutto, basati
su presupposti che successivi pareri e analisi hanno ritenuto scorretti e
ingiustificati.
9.–
In sede di udienza pubblica, con il consenso della difesa della Regione e del
Consiglio regionale, A. K. ha depositato ulteriori documenti.
Considerato in diritto
1.–
Il Tribunale ordinario di Trento dubita, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e 4 della
legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige 11 luglio 2014, n. 4, recante
«Interpretazione autentica dell’articolo 10 della legge regionale 21 settembre
2012, n. 6 (Trattamento economico e regime previdenziale dei membri del
Consiglio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige) e provvedimenti
conseguenti».
Le
disposizioni censurate, pretendendo di offrirne un’interpretazione autentica,
intervengono sull’art. 10 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 21
settembre 2012, n. 6 (Trattamento economico e regime previdenziale dei membri
del Consiglio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige), che – nell’ambito di
una complessiva riduzione dell’ammontare degli assegni vitalizi al tetto del
30,40 per cento dell’indennità parlamentare lorda (art. 10, comma 1) – ha
consentito, «[a]i Consiglieri cessati dal mandato» che godono di un assegno
vitalizio superiore, di optare, in alternativa al mantenimento dell’assegno
originario, per la cosiddetta "attualizzazione” della parte di vitalizio
eccedente quel tetto (art. 10, comma 2).
Nell’impostazione
della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, l’opzione per la cosiddetta
"attualizzazione” comporta dunque, da un lato, la riduzione dell’importo del vitalizio
mensile al 30,40 per cento dell’indennità parlamentare lorda; ma, dall’altro
lato, consente di compensare tale riduzione, appunto attraverso la
"attualizzazione”, consistente nell’immediata attribuzione, e liquidazione in
valore attuale, degli importi futuri dei vitalizi corrispondenti alle quote
eccedenti il 30,40 per cento. Si tratta, in realtà, di una "anticipazione in
capitale” di una quota del vitalizio da percepire, fondata su un meccanismo
eccezionale e di favore, sebbene non sconosciuto all’ordinamento (prevedeva
analogamente, ad esempio, l’art. 34 della legge 13 luglio 1965, n. 859, recante
«Norme di previdenza per il personale di volo dipendente da aziende di
navigazione aerea», poi abrogato, qualificato in termini di «beneficio» dalla stessa
giurisprudenza di legittimità: Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 28
maggio 2014, n. 11907; Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 11
novembre 2016, n. 23095).
Per
parte sua, la legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 non aveva direttamente
previsto i parametri e le modalità con cui procedere alla quantificazione del
«valore attuale»; l’art. 10, comma 4, della stessa legge aveva invece conferito
tale compito all’ufficio di presidenza del Consiglio regionale, unitamente a
quello di individuare uno strumento finanziario al quale gli importi
attualizzati da conferire dovevano essere destinati, in tutto o in parte. A
tali compiti l’ufficio di presidenza ha effettivamente provveduto con proprie
delibere (del 9 aprile 2013, n. 324, recante «Criteri per provvedere alle
operazioni di attualizzazione ai sensi dell'art. 10 della legge regionale 21
settembre 2012, n. 6» e del 27 maggio 2013, n. 334, recante «Valore attuale di
una quota di assegno vitalizio e disposizioni comuni con le contribuzioni per
il trattamento indennitario»), sia individuando modalità e parametri per il
calcolo del «valore attuale», sia istituendo il cosiddetto "Fondo Family”,
fondo finanziario al quale destinare, in tutto o in parte, gli importi
attualizzati dei vitalizi.
A
fronte di tale quadro normativo, lamenta dunque il giudice rimettente che,
sotto le mentite spoglie di un’interpretazione autentica, le censurate
disposizioni della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014 avrebbero
inciso retroattivamente sulle operazioni di calcolo della cosiddetta
"attualizzazione” della parte di assegno vitalizio eccedente la misura del
30,40 per cento dell’indennità parlamentare lorda. In particolare, in relazione
a tali operazioni di calcolo, esse avrebbero disposto «con efficacia
retroattiva» la sostituzione dei parametri e dei criteri individuati
dall’ufficio di presidenza del Consiglio regionale con la nozione di «valore
attuale medio», prevedendo altresì, a carico degli ex consiglieri regionali
interessati, l’obbligo di restituire le somme già percepite e/o le quote del
fondo finanziario già attribuite sulla base dei criteri contenuti nelle citate
delibere.
Ad
avviso del rimettente, così disponendo, gli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge reg.
Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014 si porrebbero in contrasto con l’art. 3
Cost., poiché inciderebbero in modo irragionevole sul legittimo affidamento
riposto dai destinatari delle disposizioni censurate nella sicurezza giuridica,
elemento fondamentale dello Stato di diritto che non può essere leso da
disposizioni retroattive, laddove esse trasmodino in un regolamento irrazionale
di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti.
Sottolinea,
in particolare, il giudice a quo come, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, disposizioni retroattive non potrebbero tradire l’affidamento del
privato, «specie se maturato con il consolidamento di situazioni sostanziali,
pur se la disposizione retroattiva sia dettata dalla necessità di contenere la
spesa pubblica» o di far fronte a eventi eccezionali.
In
definitiva, sostiene il rimettente, consentire che una legge successiva possa
retroattivamente mettere in discussione un’«attribuzione patrimoniale»,
obbligando chi l’ha ricevuta a restituirla, «significa sconvolgere la sua vita
personale» e costringerlo a rivedere scelte di vita personale e familiare
effettuate «facendo affidamento sulla stabilità dell’attribuzione patrimoniale
stessa».
2.–
L’intervento legislativo oggetto di censura si qualifica, a partire dal titolo,
quale «interpretazione autentica» di quanto disposto nell’art. 10 della legge
reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, in tema di "attualizzazione” delle
quote di assegno vitalizio eccedenti il limite del 30,40 per cento
dell’indennità parlamentare lorda.
In
particolare, l’art. 1, comma 1, della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del
2014 stabilisce che il termine «valore attuale», contenuto nel citato art. 10,
«dal momento di entrata in vigore» della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6
del 2012 «si interpreta nel senso che esso fa riferimento al "valore attuale
medio”». L’art. 2 della legge censurata elenca direttamente i parametri
applicativi da utilizzare per la determinazione del valore attuale medio,
mentre il precedente art. 1, comma 2, stabilisce che l’ufficio di presidenza del
Consiglio regionale provveda, secondo questi parametri – «applicati secondo
criteri di ragionevolezza» – alla nuova quantificazione degli assegni,
adottando tutti i provvedimenti conseguenti. Sono, in particolare, dichiarati
nulli «tutti gli atti che contengano pregresse quantificazioni del valore
attuale e ogni atto conseguente». L’art. 3 della legge, pure censurato, dispone
dettagliatamente in tema di «restituzioni e recuperi» a carico dei consiglieri
che abbiano beneficiato dei più favorevoli criteri di calcolo basati sul
«valore attuale». L’art. 4, infine, prevede la complessiva rideterminazione, in
base ai nuovi criteri, delle modalità di assegnazione ai consiglieri delle
quote del cosiddetto "Fondo Family”.
Con
tale complessivo intervento, il legislatore regionale ha inteso dunque incidere
sugli effetti della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, tenendo conto
– come si legge nella relazione al disegno di legge – del fatto che
l’applicazione dei criteri e dei parametri di calcolo del «valore attuale» dei
vitalizi prescelti dall’ufficio di presidenza del Consiglio regionale aveva
condotto a quantificazioni attestate su cifre elevate, determinando, tra
l’altro, non positive reazioni dell’opinione pubblica.
Costituisce
appunto oggetto della presente questione di legittimità costituzionale il
verificare se tale nuova disciplina, anziché ragionevole interpretazione
autentica del precedente assetto legislativo, si configuri quale intervento
recante una normativa retroattiva che trasmoda in regolamento irrazionale di
situazioni sostanziali fondate sulla legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del
2012, e perciò determini, in contrasto con l’art. 3 Cost., la lesione del
legittimo affidamento maturato dai destinatari delle previsioni di
quest’ultima.
3.–
In via preliminare, va esaminata l’eccezione d’inammissibilità prospettata
dalla difesa della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e del
Consiglio regionale della medesima Regione, parti del giudizio a quo costituite
nel giudizio di fronte a questa Corte. Viene, in particolare, eccepita
«l’inammissibilità per eccesso» della questione di legittimità costituzionale,
poiché il giudice rimettente avrebbe erroneamente censurato «globalmente gli
artt. 1, 2, 3 e 4 della legge regionale n. 4 del 2014», senza considerare che
«tali disposizioni disciplinano distintamente situazioni diverse e non
assimilabili». Adombrando, per questa ragione, la complessiva inammissibilità
della questione sollevata dall’ordinanza di rimessione, espone la difesa della
Regione e del Consiglio regionale che le censure mosse dal giudice a quo
riguarderebbero anche disposizioni relative alla sola situazione di quei
consiglieri che, pur non avendo maturato i requisiti per l’attribuzione del
vitalizio, si erano purtuttavia visti immediatamente attribuire, a titolo di
«valore attuale», una quota dell’assegno futuro (artt. 1, comma 4, e 4, comma
4, della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014). Nel giudizio a quo,
sottolineano le parti, è però in discussione unicamente la posizione di un ex
consigliere regionale già titolare dell’assegno vitalizio, avendo maturato i
requisiti.
Va in
effetti ricordato che, nella delibera 27 maggio 2013, n. 334, con la quale è
stato adottato il «Regolamento concernente la determinazione del valore attuale
di una quota di assegno vitalizio e le disposizioni comuni con le contribuzioni
per il trattamento indennitario», l’ufficio di presidenza del Consiglio
regionale aveva previsto che il «valore attuale» venisse corrisposto, oltre che
ai consiglieri cessati dal mandato che alla data stessa erano in godimento di
un assegno vitalizio e avevano esercitato l’opzione di cui all’art. 10, comma
2, della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, anche «a tutti i
Consiglieri in carica nella XIV Legislatura» (quindi anche agli stessi
componenti dell’ufficio di presidenza), nonché «ai Consiglieri cessati dal
mandato che alla data di entrata in vigore della legge regionale 21 settembre
2012, n. 6, erano in attesa di maturare i requisiti previsti».
Per
questa ragione, la legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014, agli artt. 1,
comma 4, e 4, comma 4, detta regole relative alle specifiche posizioni di
questi soggetti.
In
riferimento a tali due disposizioni l’eccezione è fondata, giacché esse non
devono trovare applicazione nel giudizio a quo, nel quale è effettivamente in
questione soltanto la posizione di un ex consigliere che già aveva maturato i
requisiti previsti per la corresponsione dell’assegno vitalizio.
Deve
rilevarsi che anche le disposizioni contenute ai commi 5 e 6 dell’art. 3
risultano riferite ai soli consiglieri che non hanno maturato i requisiti per
la corresponsione del vitalizio. Anch’esse, quindi, non sono applicabili nel
giudizio a quo, conseguendone ugualmente l’inammissibilità della questione in
quanto a queste relativa.
Da
ciò non deriva, ovviamente, l’inammissibilità della questione relativa alle
altre disposizioni o parti di disposizioni, volte invece a disciplinare la
situazione dei consiglieri regionali cessati dal mandato che abbiano già
maturato i requisiti previsti per la corresponsione dell’assegno vitalizio,
disposizioni da applicarsi nel giudizio a quo. Del resto, secondo costante
giurisprudenza costituzionale, è possibile «circoscrivere l’oggetto del
giudizio di legittimità costituzionale ad una parte soltanto della o delle
disposizioni censurate, se ciò è suggerito dalla motivazione dell’ordinanza di
rimessione» (ex plurimis, sentenze n. 35 del 2017,
n. 203 del 2016
e n. 244 del
2011).
In
definitiva, lo scrutinio di questa Corte verte sull’art. 1, commi 1, 2, 3 e 5;
sull’art. 2 nella sua interezza; sull’art. 3, commi 1, 2, 3 e 4; sull’art. 4,
commi 1, 2, 3 e 5 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014.
4.–
La questione non è fondata.
4.1.–
Assume innanzitutto rilievo, entro i limiti che saranno precisati, la natura dell’intervento
che il legislatore regionale ha operato con la legge reg. Trentino-Alto Adige
n. 4 del 2014.
Anche
alla luce del contenuto dell’ordinanza di rimessione, nonché delle opposte allegazioni
delle parti sul punto, è necessario stabilire se la legge regionale in
questione contenga realmente un’interpretazione autentica di quanto previsto
dall’art. 10 della precedente legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012,
oppure se essa rechi una disciplina che retroattivamente innova criteri e
modalità di quantificazione degli assegni vitalizi attribuiti ai consiglieri
della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol.
Questa
Corte si è talvolta espressa nel senso della possibile assimilazione, quanto
agli esiti dello scrutinio di legittimità costituzionale, tra disposizioni di
interpretazione autentica – retroattive, salva diversa volontà esplicitata dal
legislatore stesso – e disposizioni innovative con efficacia retroattiva (da
ultimo, in tal senso, sentenza n. 73 del
2017).
Non
deve tuttavia trascurarsi che, in relazione a leggi che pretendono di avere
natura meramente interpretativa, la palese erroneità di tale auto-qualificazione
può costituire un indice, sia pur non dirimente, dell’irragionevolezza della
disciplina censurata (di nuovo sentenza n. 73 del
2017 e, in particolare, sentenze n. 103 del 2013
e n. 41 del 2011).
In direzione opposta, la natura realmente interpretativa della disciplina in esame
può non risultare indifferente ai fini dell’esito del controllo di legittimità
costituzionale, laddove sia censurata l’irragionevolezza della sua
retroattività. Tale natura è rilevante, in particolare, quando il principio
costituzionale asseritamente leso dall’intervento
legislativo sia quello dell’affidamento dei consociati nella certezza e nella
stabilità di un’attribuzione (nel caso di specie patrimoniale) disposta in via
legislativa. Infatti, se l’interpretazione imposta dal legislatore consiste effettivamente
nell’assegnare alle disposizioni interpretate un significato normativo in esse
già realmente contenuto, cioè riconoscibile come una delle loro possibili e
originarie varianti di senso, questo può deporre, sia per la non
irragionevolezza dell’intervento in questione, sia nella direzione della non
configurabilità di una lesione dell’affidamento dei destinatari (ancora sentenza n. 73 del
2017; sentenza
n. 170 del 2008).
4.2.–
Le disposizioni censurate, tuttavia, non possono qualificarsi come di
interpretazione autentica.
Nonostante
l’auto-qualificazione contenuta nel titolo, esse non hanno realmente l’obiettivo
di chiarire il senso di disposizioni preesistenti, ovvero di escludere o di
enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla
disposizione (ex multis, sentenze n. 132 del 2016,
n. 160 del 2013
e n. 209 del
2010; ordinanza
n. 92 del 2014). In particolare, non si può ritenere che esse impongano una
scelta che rientra tra le possibili varianti di senso del testo dell’art. 10
della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, limitandosi così a rendere
vincolante uno dei significati ad esso già ascrivibile.
Nel
caso in esame, la disposizione interpretata, appunto l’art. 10 della legge reg.
Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, stabiliva che ai consiglieri potesse essere
riconosciuto il «valore attuale» della parte eccedente il 30,40 per cento
dell’indennità parlamentare lorda (base di calcolo del vitalizio) e attribuiva
all’esclusiva discrezionalità dell’ufficio di presidenza del Consiglio
regionale il compito di quantificare tale valore.
Ebbene,
l’art. 1 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014, anziché
interpretare il citato art. 10, introduce nuovi criteri per l’attualizzazione.
Può
discutersi se ciò dipenda, innanzitutto, dalla mutata denominazione del
criterio di calcolo per l’attualizzazione, il «valore attuale» diventando
«valore attuale medio», tramite l’aggiunta di un aggettivo sulla cui importanza
decisiva potrebbero non essere implausibili
conclusioni opposte; anche se, dal punto di vista matematico, il valore attuale
"medio” non coincide con il valore "attuale”, sicché, per ciò solo, non è
sostenibile che la modifica legislativa si limiti a esplicitare ciò che sarebbe
già implicito nella definizione originaria.
Non è
in ogni caso dubbio che, nella legge più recente, l’individuazione dei criteri
e delle modalità per la determinazione del «valore attuale medio» non è più
rimessa alla discrezionalità dell’ufficio di presidenza del Consiglio
regionale. Tali criteri e modalità vengono direttamente previsti dall’art. 2
della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014, e, soprattutto, si tratta
di criteri diversi da quelli precedenti. All’ufficio di presidenza è soltanto
imposto di provvedere, in base ad essi, alla «nuova quantificazione».
Ciò
risulta decisivo, fornendo il segno di una disciplina non già di mera
interpretazione della precedente, ma innovativa di quest’ultima.
4.3.–
Chiarito il carattere innovativo e non interpretativo della legge reg.
Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014, non sussistono incertezze sulla sua natura
retroattiva.
Lo
stesso art. 1 di tale legge dispone, infatti, che «[i]l termine "valore
attuale” di cui all’art. 10 della legge regionale 21 settembre 2012, n. 6 […],
dal momento di entrata in vigore della legge regionale stessa, si interpreta
nel senso che esso fa riferimento al "valore attuale medio”».
La
natura retroattiva dell’intervento è altresì confermata dalla previsione della
nullità di tutti gli atti che contengono pregresse quantificazioni del «valore
attuale» (art. 1, comma 2, legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014) e
dalla circostanza che gli artt. 3 e 4 impongono la restituzione delle somme che
rappresentano il maggior valore percepito rispetto al calcolo effettuato sulla
base del «valore attuale medio».
5.–
La costante giurisprudenza di questa Corte afferma che il divieto di
retroattività della legge, previsto dall’art. 11 delle disposizioni preliminari
al codice civile, costituisce principio fondamentale di civiltà giuridica.
Esso,
tuttavia, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25
Cost., riservata alla materia penale. Ne consegue che il legislatore, nel
rispetto di tale disposizione costituzionale, può approvare disposizioni con
efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione
nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale
(ex plurimis, sentenza n. 170 del
2013).
Le
leggi retroattive, in particolare, devono trovare «adeguata giustificazione sul
piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni
che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al
contempo potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata»
(così, da ultimo, sentenza
n. 73 del 2017).
Tra i
limiti che la giurisprudenza costituzionale ha individuato all’ammissibilità di
leggi con effetto retroattivo, rileva particolarmente, in questa sede –
nell’ambito dei principi e interessi incisi dall’efficacia retroattiva
dell’intervento legislativo regionale – l’affidamento legittimamente sorto nei
soggetti interessati alla stabile applicazione della disciplina modificata.
Tale legittimo affidamento trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., è
ritenuto «principio connaturato allo Stato di diritto» (sentenze n. 73 del 2017,
n. 170 e n. 160 del
2013, n. 78 del
2012 e n. 209
del 2010), ed è da considerarsi ricaduta e declinazione "soggettiva”
dell’indispensabile carattere di coerenza di un ordinamento giuridico, quale
manifestazione del valore della certezza del diritto.
D’altro
canto, la giurisprudenza di questa Corte afferma altresì che «l’affidamento del
cittadino nella sicurezza giuridica, pur aspetto fondamentale e indispensabile
dello Stato di diritto, non è tutelato in termini assoluti e inderogabili»
(sentenze n. 89
del 2018 e n.
56 del 2015). Esso «è sottoposto al normale bilanciamento proprio di tutti
i diritti e valori costituzionali», fermo restando che le disposizioni legislative
retroattive non possono comunque «trasmodare in un regolamento irrazionale e
arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi
precedenti» (ex multis, sentenze n. 16 del 2017
e n. 203 del
2016; in senso analogo sentenza n. 149 del
2017).
Tutto
ciò premesso, va sottoposta a stretto scrutinio di ragionevolezza una legge
regionale che intervenga retroattivamente a ridurre attribuzioni di natura
patrimoniale, come accade nel caso in esame per le parti "attualizzate” degli
assegni vitalizi, e imponga perciò di restituire somme (di denaro) e quote (di
fondo finanziario) già conferite. Tale scrutinio «impone un grado di
ragionevolezza complessiva ben più elevato di quello che, di norma, è affidato
alla mancanza di arbitrarietà» (così la sentenza n. 173 del
2016, in fattispecie analoga ma non sovrapponibile, poiché relativa alla
materia previdenziale). In altri termini, è richiesta non già la mera assenza
di scelte normative manifestamente arbitrarie, ma l’effettiva sussistenza di
giustificazioni ragionevoli dell’intervento legislativo, poiché la normativa
retroattiva incide sulla «certezza dei rapporti preteriti» nonché sul legittimo
affidamento dei soggetti interessati (sentenza n. 432 del
1997).
Un
tale rigoroso controllo deve verificare, in primo luogo, se sussistano solide
motivazioni che hanno guidato il legislatore regionale, e se esse trovino,
appunto, «adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza» (ex plurimis, sentenze n. 73 del 2017,
n. 132 del 2016
e n. 69 del 2014),
anche in considerazione delle circostanze di fatto e di contesto entro cui
l’intervento legislativo è maturato. Ove tale preliminare esame fornisca esito
positivo, deve essere inoltre accertato se il risultato di tale intervento non
trasmodi comunque in una regolazione arbitraria di situazioni soggettive, in
lesione del legittimo affidamento dei destinatari della disciplina originaria,
e perciò, anche sotto questo profilo, dell’art. 3 Cost.
6.–
Afferma la relazione della I Commissione legislativa del Consiglio regionale
del Trentino-Alto Adige al disegno di legge n. 8 recante «Interpretazione
autentica dell’articolo 10 della legge regionale 21 settembre 2012, n. 6
(Trattamento economico e regime previdenziale dei membri del Consiglio della
regione autonoma Trentino-Alto Adige) e provvedimenti conseguenti» che
obiettivo del legislatore regionale è quello di «ridurre il trattamento
economico corrisposto» in tema di quota "attualizzata” degli assegni vitalizi,
ancorato dalla disciplina precedente «a parametri che si sono rivelati non
consoni a criteri di equità e ragionevolezza e che si discostavano da una
valutazione che avrebbe dovuto riferirsi a "valori medi” ed essere in linea con
esigenze di contenimento della spesa pubblica».
Due
distinte esigenze risultano dunque alla base dell’intervento retroattivo del
legislatore regionale. Da una parte, quella di ricondurre a criteri di «equità
e ragionevolezza» gli assai favorevoli meccanismi di calcolo
dell’attualizzazione degli assegni vitalizi, introdotti dall’ufficio di
presidenza del Consiglio regionale con le delibere n. 324 e 334 del 2013.
Dall’altra, quella di provvedere al «contenimento della spesa pubblica».
Tali
motivi di interesse generale si contrappongono ai profili sintomatici
dell’asserita irragionevolezza della legge, argomentati dall’ordinanza di
rimessione e segnalati anche dalla difesa dell’ex consigliere regionale:
l’erronea auto-qualificazione della legge come legge di interpretazione
autentica, la ritenuta non necessarietà di interventi
correttivi nella prospettiva della finanza pubblica, la diretta previsione in
legge di criteri di calcolo dei vitalizi, che rientrerebbero invece nel dominio
della scienza attuariale.
Ritiene
questa Corte che tali ultimi profili, nel bilanciamento delle opposte esigenze,
siano recessivi, a fronte della solida plausibilità, in astratto, delle
motivazioni a sostegno dell’intervento di modifica, ricavabili dai lavori
preparatori della legge regionale che contiene le disposizioni censurate.
Ciò,
innanzitutto, per una ragione legata alla peculiarità della vicenda in
questione, in cui l’intervento legislativo retroattivo manifesta la propria
natura "riparatrice” e incide su un regime di favore quale la
"attualizzazione”, assai peculiare e reso ancor più eccezionale, negli effetti
prodotti, dalla scelta di specifici criteri di calcolo.
Vi è,
inoltre, una ragione di carattere più generale a sostegno della ragionevolezza della
disciplina censurata. L’intervento legislativo mira a correggere gli effetti di
una normativa che aveva complessivamente determinato un ampliamento della spesa
pubblica regionale, in controtendenza rispetto alle generali necessità di
contenimento e risparmio in quegli stessi anni perseguite dal legislatore
statale, a fronte di una crisi economica di ingente (e notoria) portata. Al
cospetto di interventi legislativi statali che hanno imposto riduzioni
generalizzate di risorse e contribuzioni straordinarie al risanamento dei conti
pubblici, tutti gli enti facenti parte della cosiddetta finanza pubblica
allargata sono stati chiamati, proprio in quel periodo di tempo, a concorrere –
secondo quanto stabilito dagli artt. 81 e 97, primo comma, Cost. – all’equilibrio
complessivo del sistema e alla sostenibilità del debito nazionale (sulla
riconducibilità anche delle Regioni a statuto speciale al sistema di finanza
pubblica allargata, da ultimo, sentenza n. 6 del
2019), a prescindere dalla condizione di maggiore o minore equilibrio del
proprio bilancio. In tale contesto si spiega, e si giustifica, perché, allo
stesso legislatore regionale, la disciplina risultante dalla legge reg.
Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, in combinazione con i criteri di calcolo
approvati dall’ufficio di presidenza del Consiglio regionale, sia apparsa
dissonante, e perciò meritevole di modifica.
7.–
Le motivazioni esposte non risultano di per sé sole risolutive per la decisione
della questione di legittimità costituzionale.
Nell’ambito
del criterio di scrutinio qui utilizzato, occorre ulteriormente verificare se,
in concreto, l’intervento legislativo in esame abbia leso il legittimo
affidamento dei suoi destinatari.
Nel
solco di una giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che non
considera il mero interesse finanziario pubblico ragione di per sé sufficiente
a giustificare interventi retroattivi (sentenze 7 giugno 2011, Agrati contro Italia; 25
novembre 2010, Lilly France contro Francia; 21
giugno 2007, Scanner de l’Ouest Lyonnais contro
Francia; 16
gennaio 2007, Chiesi S.A. contro Francia; 9
gennaio 2007, Arnolin contro Francia; 11
aprile 2006, Cabourdin contro Francia), questa
Corte ha infatti già affermato che una disciplina retroattiva non può tradire
l’affidamento del privato, specie se maturato con il consolidamento di
situazioni sostanziali, pur se l’intervento retroattivo sia dettato dalla
necessità di contenere la spesa pubblica o di far fronte ad esigenze
eccezionali (sentenze n. 216 del 2015
e n. 170 del
2013).
Per
verificare se, in concreto, una disciplina retroattiva incida in modo
costituzionalmente illegittimo sull’affidamento dei destinatari della
regolazione originaria, la giurisprudenza costituzionale attribuisce rilievo a
una serie di elementi: il tempo trascorso dal momento della definizione
dell’assetto regolatorio originario a quello in cui tale assetto viene mutato
con efficacia retroattiva (sentenze n. 89 del 2018,
n. 250 del 2017,
n. 108 del 2016,
n. 216 e n. 56 del
2015), ciò che chiama in causa il grado di consolidamento della situazione
soggettiva originariamente riconosciuta e poi travolta dall’intervento
retroattivo; la prevedibilità della modifica retroattiva stessa (sentenze n. 16 del 2017
e n. 160 del
2013); infine, la proporzionalità dell’intervento legislativo che
eventualmente lo comprima (in particolare, sentenza n. 108 del
2016).
Da
questo angolo visuale, nel caso in esame, assumono importanza alcuni elementi
che il giudice a quo definisce invece «fatti occasionali, inidonei a scalfire
l’affidamento» e ritiene perciò irrilevanti al fine di verificare la
ragionevolezza dell’intervento retroattivo.
In
termini temporali, è significativo che, ad esempio, il decreto presidenziale
con cui l’attore del giudizio a quo si è visto attribuire le somme, poi parzialmente
revocate, risalga al 30 ottobre 2013, mentre la legge che ha condotto alla
complessiva rideterminazione di queste, con effetto retroattivo, è stata
approvata nella seduta del Consiglio regionale del 3 luglio del 2014 – a breve
distanza dall’approvazione della precedente – dopo essere stata esaminata dalla
I Commissione legislativa dello stesso Consiglio già nelle sedute del 6 e del
16 giugno 2014.
Inoltre,
la circostanza che l’intervento del legislatore potesse non risultare del tutto
imprevedibile agli occhi dei destinatari interessati – anche a voler
prescindere dalla forte reazione dell’opinione pubblica conseguente al
diffondersi delle notizie sulla vicenda, e senza considerare che indagini delle
magistrature penale e contabile erano nel frattempo iniziate su di essa – è in
particolare suggerita dalla singolare formulazione dell’art. 3, comma 2, della
stessa legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014, pure censurato dal giudice
a quo. Tale disposizione stabilisce testualmente che «[l]e somme liquide,
restituite alla data di entrata in vigore della presente legge, sono computate
a compensazione parziale o totale delle somme da restituire». Con essa, il
legislatore regionale ha ritenuto necessario dare giuridico riconoscimento,
nell’ambito della nuova quantificazione della quota "attualizzata” dei vitalizi
e dei conseguenti obblighi di restituzione, alle restituzioni per così dire
"anticipate”, evidentemente effettuate in modo spontaneo da alcuni fra i
destinatari del provvedimento di attualizzazione: scelte che indeboliscono la
tesi dell’imprevedibilità di un intervento di modifica in materia.
Alla
luce di tali due primi criteri, non si è insomma in presenza di un assetto
regolatorio adeguatamente consolidato, sia perché esso non si è protratto per
un periodo sufficientemente lungo, sia perché la legge reg. Trentino-Alto Adige
n. 6 del 2012 è stata approvata in un contesto complessivo non idoneo a far
sorgere nei destinatari una ragionevole fiducia nel suo mantenimento
(analogamente, sentenza
n. 56 del 2015).
In
relazione poi all’indice basato sulla proporzionalità dell’intervento
legislativo retroattivo, va considerato che la legge reg. Trentino-Alto Adige
n. 4 del 2014 non trascura di concedere ai beneficiari degli assegni coinvolti
l’accesso a forme flessibili e graduate di restituzione delle somme percepite
in eccesso, a seguito dei calcoli effettuati con il nuovo criterio del «valore
attuale medio». L’art. 3, comma 3, della legge regionale in esame consente
infatti di provvedere alla restituzione anche tramite la riassegnazione al
Consiglio regionale delle quote del "Fondo Family”, attribuite originariamente
ma in concreto esigibili soltanto negli anni successivi, attenuando così, anche
se solo in parte, l’incisione patrimoniale diretta dell’intervento retroattivo.
Ulteriori
agevolazioni nelle modalità di restituzione, previste dall’art. 3, commi 5 e 6,
non rilevano direttamente in questa sede, in quanto riferibili solo ai consiglieri
beneficiari dell’attualizzazione senza aver ancora maturato i requisiti
previsti per la corresponsione del vitalizio, ma sono complessivamente
significative nella direzione indicata.
Sempre
in chiave di valutazione sulla proporzionalità dell’intervento, non è senza
importanza il fatto che l’art. 5 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del
2014 abbia concesso ai consiglieri che, all’entrata in vigore della legge reg.
Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, esercitarono l’opzione per l’attualizzazione,
la possibilità di revocarla con effetto retroattivo, entro il termine di
sessanta giorni dalla richiesta di restituzione. In tal modo, il legislatore
regionale ha rimesso agli stessi ex consiglieri interessati la facoltà di
tornare al regime previgente l’entrata in vigore della legge reg. Trentino-Alto
Adige n. 6 del 2012 e dunque di veder riespandere
l’importo mensile del vitalizio a discapito della percezione della quota
attualizzata, pur essendo loro ovviamente imposto, all’atto della revoca,
l’obbligo di restituire al Consiglio regionale («ove non l’abbiano già fatto»,
recita significativamente, ancora, l’art. 5, comma 2) l’intero importo del
valore attuale percepito, sia sotto forma di liquidità che di quote del "Fondo
Family”.
8.–
In definitiva, le ragioni fin qui enunciate dimostrano la ragionevolezza della
normazione retroattiva sul patrimonio dei destinatari e conducono a ritenere
non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata.
Resta
comunque fermo che si è al cospetto di un intervento legislativo eccezionale,
la cui peculiarità, peraltro, deve essere valutata anche alla luce dell’oggetto
stesso su cui incide, ossia un istituto di favore a sua volta fuori
dall’ordinario.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 4; 3, commi 5 e 6; 4, comma 4,
della legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige 11 luglio 2014, n. 4,
recante «Interpretazione autentica dell’articolo 10 della legge regionale 21
settembre 2012, n. 6 (Trattamento economico e regime previdenziale dei membri
del Consiglio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige) e provvedimenti
conseguenti», sollevata, in relazione all’art. 3 della Costituzione, dal
Tribunale ordinario di Trento, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1, 2, 3 e 5; 2; 3, commi 1, 2,
3 e 4; 4, commi 1, 2, 3 e 5 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014,
sollevata, in relazione all’art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Trento,
con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 19 marzo 2019.
F.to:
Giorgio
LATTANZI, Presidente
Nicolò
ZANON, Redattore
Roberto
MILANA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 9 maggio 2019.