SENTENZA
N. 149
ANNO
2017
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de
PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 29, commi 1, 2, lettera a), e 3, del decreto-legge
29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro,
occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro
strategico nazionale),
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, promossi
dalla Corte di cassazione, sezione sesta civile, con ordinanza
del 23 febbraio 2015 e dalla Commissione tributaria regionale del Veneto con
ordinanza dell’8 giugno 2016, rispettivamente iscritte al n. 100 del
registro ordinanze 2015 e al n. 251 del
registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2015 e n. 50, prima serie
speciale, dell’anno 2016.
Visti gli atti di
costituzione della Dallan spa (incorporante la Dalcos spa), della Eurometalnova srl in liquidazione, nonché gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica
del 4 aprile 2017 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi gli avvocati
Stefano Zunarelli per la Dallan
spa, Gabriele Escalar per la Eurometalnova
srl in liquidazione e l’avvocato dello Stato Gianni
De Bellis per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Con ordinanza iscritta al n. 100 del reg. ord. 2015 la Corte di cassazione, sezione sesta civile, ha sollevato, in riferimento
all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 29, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie,
lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il
quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nella parte in
cui, nell’introdurre un tetto massimo di stanziamento e una procedura per la
selezione dei crediti d’imposta previsti dall’art. 1, commi da 280 a 283, della legge 27 dicembre 2006,
n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», «non fa salvi i diritti e le aspettative sorti […]
in relazione ad attività di ricerca e sviluppo avviate prima del 29/11/2008» (data
di entrata in vigore del d.l.
n. 185 del 2008).
2.− La Corte di cassazione ha poi
sollevato, in via subordinata e sempre con riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art.
29, commi 2, lettera a), e 3, del d.l. n. 185 del 2008, nella parte in cui, anche per i
crediti d’imposta relativi a costi sostenuti per attività di ricerca avviate
prima del 29 novembre 2008, prevedono una procedura di ammissione al beneficio
fiscale basata sul criterio cronologico di ricezione telematica delle domande
dei contribuenti.
3.−
Il rimettente motiva ampiamente sulla situazione di fatto e sulle norme di
diritto applicabili alla fattispecie sottoposta al suo giudizio.
3.1.− Sotto il primo profilo,
espone di essere stato adito dalla società Dalcos
spa per la cassazione della sentenza della Commissione
tributaria regionale dell’Abruzzo
di rigetto del ricorso avverso il provvedimento con cui il Centro operativo di
Pescara aveva negato, per «esaurimento
delle risorse finanziarie», il
nulla-osta alla fruizione del credito d’imposta previsto dall’art. 1, commi 280 e seguenti, della legge n. 296 del 2006, richiesto dalla contribuente in relazione ai costi
sostenuti per attività di ricerca e sviluppo avviate prima
del 29 novembre 2008.
3.2.− Circa il quadro normativo di
riferimento, il rimettente ricorda che:
− i commi da 280 a 283 dell’art. 1
della legge n. 296 del 2006 − successivamente abrogati ma applicabili ratione temporis alla
fattispecie in esame − avevano attribuito alle imprese, a decorrere dal
periodo d’imposta 2007 e fino alla chiusura di quello relativo al 2009, un
credito d’imposta fruibile in compensazione in sede di dichiarazione dei redditi,
pari al 10 per cento dei costi sostenuti per attività di ricerca e
sviluppo; in caso di costi
riferiti a contratti stipulati con università ed enti
pubblici, la
percentuale saliva al
15 per cento,
poi aumentata al
40 per cento dall’art. 1,
comma 66, della legge 24 dicembre 2007, n.
244, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)»;
− i costi in questione non
potevano superare, ai sensi del comma 281, l’importo di 15
milioni di euro per ciascun periodo d’imposta (poi elevato a 50 milioni dal citato art. 1, comma
66, della legge n. 244 del
2007) e per ciascuna impresa;
− la legge non fissava alcun
«tetto globale» alla erogazione dei crediti d’imposta, né prevedeva limiti di
copertura del minor gettito fiscale derivante dalla loro fruizione;
conseguentemente, il contribuente non era tenuto alla presentazione di alcuna
istanza preventiva di ammissione al beneficio, bastando che indicasse il
credito nella dichiarazione dei redditi;
− in seguito, con l’art. 29, commi
1 e 2, del d.l. n. 185 del 2008, adottato
nell’intento di fronteggiare l’eccezionale situazione di crisi internazionale,
il legislatore aveva
esteso ai crediti di imposta in esame la disciplina sul monitoraggio dettata
dai commi 1 e 2 dell’art. 5 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138 (Interventi urgenti in materia tributaria, di
privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno
dell’economia anche nelle aree svantaggiate), convertito, con modificazioni dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, e conseguentemente aveva previsto un tetto massimo di
erogazione, definendo i relativi stanziamenti nel bilancio dello Stato;
− ciò aveva comportato
l’individuazione di una procedura di selezione delle imprese destinate a fruire
concretamente dei crediti d’imposta di cui alla legge n. 296 del 2006, al dichiarato
«fine di garantire congiuntamene la certezza delle strategie di investimento, i
diritti quesiti, nonché l’effettiva copertura finanziaria»;
− i commi in questione avevano
stabilito che, a decorrere dall’anno 2009: a) per la fruizione del credito
d’imposta le imprese dovevano inoltrare per via telematica all’Agenzia delle
entrate un apposito formulario, valevole come «prenotazione dell’accesso»; b)
la prenotazione del credito per le attività di ricerca avviate dopo la data di
entrata in vigore del d.l. n. 185 del 2008 doveva
considerarsi «successiva» rispetto a quella relativa ad attività avviate prima
di tale data; c) i formulari venivano acquisiti ed evasi dall’Agenzia delle
entrate rispettando rigorosamente il loro ordine cronologico di arrivo; d)
l’Agenzia provvedeva, in via telematica, a rispondere alle imprese che avevano presentato il
formulario, comunicando alle stesse, ove si trattasse di attività già avviate prima
del 29 novembre 2008, «esclusivamente un nulla-osta, ai soli fini della copertura
finanziaria» e, ove, invece, si trattasse di attività avviate dopo tale data, il ricevimento
della prenotazione e «nei successivi novanta giorni l’eventuale
diniego, in ragione della capienza»;
− il quinto comma dell’art. 29
citato, infine, aveva previsto che la procedura per la trasmissione telematica
delle richieste andava attivata entro 30 giorni dalla data di adozione del
provvedimento dell’Agenzia delle entrate di approvazione del formulario.
3.3.− Aggiunge la Corte di cassazione che:
− con provvedimento del 21 aprile
2009, il direttore dell’Agenzia delle entrate aveva stabilito che i formulari
per i progetti d’investimento in attività di ricerca e sviluppo già avviati al
29 novembre 2008 (il cui modello era stato approvato con precedente decreto direttoriale
del 24 marzo 2009) andavano presentati, a pena di decadenza dal contributo,
dalle ore 10:00 del 16 maggio 2009 (cosiddetto click day) alle ore 24:00 del 5 giugno
2009;
− la capienza degli stanziamenti
si era esaurita con i formulari pervenuti nei primi minuti successivi
all’apertura della procedura e numerose imprese erano rimaste escluse, al pari
della ricorrente, dalla fruizione dei crediti d’imposta per i costi sostenuti
«e sostenendi» in relazione ad attività di ricerca
avviate prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 185
del 2008;
− in tal modo si erano
determinate, con riferimento a tali crediti, le seguenti situazioni: a)
quelli maturati
negli anni 2007 e 2008, utilizzati in compensazione mediante il modello F24
entro il 31 dicembre 2008, non erano stati toccati dal d.l. n. 185 del 2008 ed erano stati validamente fruiti; b) quelli maturati
negli anni 2007, 2008 e 2009,
che non erano stati utilizzati entro la data del 31 dicembre 2008, ma di cui era
stata autorizzata la fruizione da parte dell’Agenzia delle entrate, erano parimenti rimasti validamente
fruibili; c) quelli
maturati
negli anni 2007, 2008 e 2009, non utilizzati entro la data del 31 dicembre 2008 e
di cui non era stata autorizzata la fruizione per esaurimento dei fondi disponibili,
erano rimasti non
fruibili.
3.4.− Per queste ultime
situazioni, l’art. 2, comma 236, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato (legge finanziaria 2010)» aveva successivamente autorizzato un
ulteriore stanziamento −
poi ridotto dall’art. 4, comma 1,
del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto
alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma
dei cosiddetti «caroselli» e «cartiere», di potenziamento e razionalizzazione
della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria,
di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi
e sostegno della domanda in particolari settori), convertito, con
modificazioni dalla legge
22 maggio 2010, n. 73 − le cui modalità di utilizzo erano state definite
con decreto del Ministro
dell’economia e delle finanze 4 marzo 2011 (Modalità di utilizzo dell’ulteriore
stanziamento disposto dal comma 236 dell’articolo 2 della legge 23 dicembre
2009, n. 191, per le finalità di cui all’articolo 29, comma 1, del
decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185): il nuovo
intervento normativo aveva
quindi consentito la fruizione del 47,53 per cento di quei crediti d’imposta − relativi ad
attività di
ricerca avviate prima del 29 novembre 2008 − che non erano stati riconosciuti per esaurimento
delle risorse disponibili.
4.− Nel merito, la Corte di cassazione
ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 29, comma 1, del d.l. n. 185 del 2008, con riferimento all’art. 3 Cost.
Dal tenore letterale dell’art. 1, comma
280, della legge n. 296 del 2006 emergerebbe che il credito d’imposta in esame aveva la consistenza di un
diritto soggettivo perfetto, il cui fatto costitutivo era indicato dalla legge
nel mero sostenimento dei costi per attività di ricerca e sviluppo
nei periodi di imposta 2007, 2008 e 2009.
Non sarebbe condivisibile la tesi della difesa statale secondo cui il credito, nel tempo intercorrente tra la maturazione
(con il sostenimento dei costi) e l’utilizzo in compensazione dei debiti
tributari tramite il modello F24, avrebbe avuto la consistenza di un diritto
condizionato alla sussistenza della copertura finanziaria, assunto che si
fonderebbe sul disposto dell’art. 5 del d.l. n. 138 del 2002, che, in realtà, fino all’entrata in vigore del d.l. n. 185 del 2008, riguardava esclusivamente i crediti
d’imposta vigenti nel 2002.
4.1.− L’art. 29, comma 1, del d.l. n. 185 del 2008, secondo la Corte di cassazione,
avrebbe dunque inciso
sotto due profili sulla posizione dei contribuenti che, avendo già avviato
attività di
ricerca industriale e sviluppo precompetitivo, erano stati esclusi dalla fruizione del
beneficio fiscale:
per costoro, infatti, essa
avrebbe «abolito», in primo luogo, il diritto di credito già maturato in
relazione ai costi già
sostenuti e, in secondo luogo, l’aspettativa del credito maturando in relazione ai
costi da sostenere per attività già avviate.
La norma censurata violerebbe, pertanto,
il principio di tutela dell’affidamento del cittadino nella certezza delle
situazioni giuridiche, principio definito dalla Corte costituzionale «essenziale elemento dello
Stato di diritto», che non può essere leso da disposizioni retroattive,
le quali trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali
fondate su leggi precedenti.
4.2.− Il rimettente solleva poi, in via
subordinata alla prima, questione di legittimità costituzionale dell’art. 29,
commi 2, lettera a), e 3, del d.l. n. 185 del 2008, sempre con riferimento all’art. 3 Cost.
Essa investe le norme regolanti la
procedura introdotta
dalla legge per selezionare (nell’ambito della platea dei contribuenti
che al 29 novembre 2008 avevano già avviato attività di ricerca e sviluppo precompetitivo) i destinatari del
credito d’imposta sulla
base dell’ordine cronologico di arrivo delle istanze telematiche.
Osserva il rimettente che, se, in linea
generale, non può ritenersi irrazionale il ricorso al criterio selettivo prior in tempore potior
in iure, nel caso di specie in cui la selezione si svolge tra una platea
vastissima di concorrenti e si fonda sul momento di arrivo al destinatario di atti
trasmessi per via telematica, tale criterio conduce a risultati completamente scollegati non solo dal
merito delle ragioni di credito ma anche dalla solerzia nel loro esercizio.
La
risultante di fattori quali la sproporzione tra risorse disponibili e domande,
l’elevato
numero di concorrenti e la
velocità
dei meccanismi di trasmissione informatica determinerebbe, infatti, una selezione
sostanzialmente casuale, che si esaurisce in un tempo brevissimo e produce
risultati dipendenti prevalentemente «dalla potenza e sofisticatezza delle
apparecchiature informatiche, di cui dispongono i singoli contribuenti o i
professionisti che li assistono». Ciò determinerebbe una disparità di trattamento tra contribuenti tutti
egualmente titolari di crediti di imposta derivanti da attività già avviate al
29 novembre 2008.
Tale criterio di selezione sarebbe stato
del resto abbandonato in sede di definizione delle modalità di distribuzione
del finanziamento disposto dalla legge n. 191 del 2009, per le
quali il d.m. 4 marzo 2011 avrebbe fatto ragionevolmente
ricorso a un criterio tipicamente concorsuale, assegnando a ciascun
contribuente una percentuale del proprio credito.
Precisa il rimettente che il vulnus al principio di
ragionevolezza non discende dalle modalità attuative di
presentazione dei formulari prescritte dal direttore
dell’Agenzia
delle entrate con i provvedimenti del 24 marzo e del 21 aprile 2009, ma deriva
direttamente dalle norme
censurate.
5.– Quanto alla rilevanza della questione sollevata
in via principale, osserva la Corte di cassazione che il giudizio a quo ha ad oggetto l’impugnativa di un
provvedimento (il diniego di nulla-osta per esaurimento
delle risorse finanziarie), che si fonda sulle norme indubbiate, e che quindi la declaratoria di illegittimità costituzionale delle seconde imporrebbe l’annullamento del primo.
Quanto alla rilevanza della questione
sollevata in via subordinata, poi, l’eventuale declaratoria di
illegittimità
costituzionale delle
disposizioni
che prevedono che la copertura disponibile venga assegnata ai contribuenti in base all’ordine
cronologico di presentazione telematica delle prenotazioni travolgerebbe l’intero
meccanismo che ha condotto al diniego del nulla-osta, sicché non sarebbe determinante
l’individuazione del momento in cui l’odierna
ricorrente ebbe a inviare il proprio formulario.
6.− Aggiunte il rimettente che identiche questioni
di legittimità costituzionale erano già state sollevate dalla stessa sezione con
l’ordinanza n. 9026 del 2013, ma la Corte costituzionale, con la sentenza n. 236 del
2014, le aveva dichiarate inammissibili sul rilievo che il rimettente, pur
citando lo ius superveniens
introdotto dall’art.
2, comma 236, della legge n. 191 del 2009, e
dall’art. 4, comma 1, del d.l. n. 40 del 2010, aveva omesso di
esaminare il suo impatto sul quadro normativo di riferimento.
Ritiene tuttavia il giudice a quo che lo ius superveniens non dissipi il dubbio sulla
sussistenza del denunciato vulnus
costituzionale, né elida la rilevanza delle questioni sollevate, atteso che:
1)
con riguardo al profilo legato alla mancata salvezza dei diritti e delle
aspettative già sorti, la violazione
del parametro
costituzionale sussisterebbe per il solo fatto che un credito
di imposta già
entrato nel patrimonio del contribuente venga significativamente pregiudicato
per effetto di una disposizione retroattiva; il bilanciamento con l’art. 81 Cost.
non potrebbe far ritenere ragionevole l’obiettivo di perseguire la salvaguardia
dell’equilibrio di bilancio mediante una disposizione che riduca di oltre il 50
per cento crediti e aspettative di credito già entrati nel patrimonio del
contribuente sulla base di scelte imprenditoriali operate alla luce delle norme
all’epoca vigenti;
2) quanto al
profilo della irragionevolezza della disciplina della selezione, esso,
incentrandosi sulla asserita casualità del meccanismo predisposto dal
legislatore, non verrebbe meno per il fatto che i crediti e le aspettative di
credito non subiscono la totale elisione ma una rilevante «falcidia» (del
52,47 per cento).
7.− Con memoria depositata il 18 giugno 2015 si è costituita in
giudizio la Dallan spa (incorporante per fusione la Dalcos spa, parte del giudizio a quo), eccependo in punto di fatto che, confidando nel quadro
normativo vigente, aveva posto in essere investimenti e sopportato costi che
avevano originato un credito d’imposta per il 2008 pari ad euro 13.665,00; e
che, in data 6 maggio 2009, alle ore 10:06, aveva inviato in via telematica il
proprio formulario.
Ricostruita la vicenda processuale del
giudizio a quo, la parte privata ha svolto
nel merito argomentazioni adesive alle tesi sviluppate nell’ordinanza di
rimessione.
In particolare, secondo la Dallan spa, nella giurisprudenza della Corte costituzionale la tutela
dell’affidamento, i princìpi di parità di trattamento e di ragionevolezza, in
quanto princìpi fondamentali, prevarrebbero anche sulle necessità derivanti dal
rispetto del principio di equilibrio di bilancio.
Né andrebbe dimenticato che l’equilibrio
della spesa pubblica viene valutato di anno in anno, principalmente a mezzo
della legge finanziaria, e proprio la finanziaria del 2007 aveva previsto
l’agevolazione fiscale in questione.
Un eventuale bilanciamento di valori
costituzionali, poi, vedrebbe in gioco non solo l’art. 3 Cost.
ma anche l’art. 9, primo comma, Cost., secondo cui la
Repubblica promuove lo sviluppo della cultura scientifica e tecnica.
La procedura di selezione, infine, sarebbe
incostituzionale per la manifesta irragionevolezza ed arbitrarietà del sistema
di selezione dei crediti da ammettere al beneficio fiscale.
8.− Con memoria depositata il 23 giugno 2015 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e la non fondatezza delle
questioni sollevate.
8.1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri
ha osservato che la stessa ordinanza di rimessione dà atto che: 1) fino al d.l. n. 185 del 2008 la normativa non fissava alcun tetto
all’erogazione dei crediti d’imposta, né prevedeva limiti di copertura del
minor gettito fiscale derivante dalla loro fruizione; 2) l’art. 29, che aveva
posto fine a tale anomala situazione, era inserito nel cosiddetto "decreto anticrisi” adottato nell’intento di fronteggiare l’eccezionale situazione di
crisi internazionale e al fine di potenziare le misure fiscali e finanziarie
occorrenti per garantire il rispetto degli obiettivi fissati dal programma di
stabilità e crescita approvato in sede europea; 3) con la successiva legge n.
191 del 2009 era stato autorizzato, per i crediti d’imposta maturati negli anni
2007, 2008 e 2009 e di cui non era stata autorizzata la fruizione, un ulteriore
stanziamento pari al 47,53 per cento del loro ammontare.
Pertanto, la normativa in questione, da
un lato, avrebbe posto un limite quantitativo a un beneficio inizialmente
sprovvisto di tetto e senza copertura finanziaria (imposta dall’art. 81 Cost.); dall’altro, in relazione alle agevolazioni in
corso, avrebbe integralmente riconosciuto i costi a una parte dei beneficiari
individuati all’esito di una procedura basata sulla priorità di invio delle
domande, e per circa metà agli altri.
Essa, dunque, tenuto conto della
situazione economica in cui erano maturate le scelte del legislatore, non
potrebbe dirsi irragionevole, poiché sarebbe volta ad assicurare l’equilibrio
dei conti pubblici e il contenimento del debito pubblico entro le soglie
stabilite a livello comunitario.
Dall’ammontare degli stanziamenti
previsti nel censurato art. 29 per gli anni 2008 e 2009 (rispettivamente 375,2
e 533,6 milioni di euro) e dei benefici rimasti insoddisfatti (pari a euro
736.137.096) per effetto del tetto introdotto con il medesimo articolo si
evincerebbe che la mancata copertura di spesa della legge del 2006 era pari a
oltre 1,6 miliardi di euro.
Il legislatore sarebbe quindi
intervenuto dapprima stanziando 900 milioni di euro con l’art. 29 indubbiato e,
in seguito, altri 350 milioni con la legge n. 191 del 2009, essendo quindi
rimasti senza copertura circa 386 milioni.
Il Presidente del Consiglio dei ministri
fa presente quindi che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale,
il legislatore può dettare norme retroattive, purché la retroattività trovi
adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare princìpi, diritti e beni di
rilievo costituzionale. L’intervento in questione, proprio perché diretto a
rimuovere un profilo di incostituzionalità della normativa del 2006, ossia la
violazione dell’art. 81 Cost., sarebbe dunque
legittimo.
Sottolinea ancora l’Avvocatura generale
dello Stato che difficilmente può ritenersi che le scelte imprenditoriali di
effettuare o meno le spese per attività di ricerca sarebbero state diverse se non
ci fosse stata l’agevolazione in questione, tenuto conto che quell’aspettativa
è stata riconosciuta quanto meno per metà.
8.2.− Anche la questione prospettata in via
subordinata, con cui si lamenta l’illegittimità costituzionale delle norme che
hanno regolato la procedura di ammissione al beneficio fiscale, è, secondo il
Presidente del Consiglio, inammissibile e infondata.
Un primo profilo di inammissibilità
sarebbe dato dall’omessa motivazione sulla rilevanza della questione, non
avendo la Corte di cassazione indicato il momento in cui la ricorrente aveva
presentato la propria istanza: essendo state ammesse solo le domande presentate
nei primi minuti, sarebbe evidente che, se l’invio fosse avvenuto dopo un
notevole lasso di tempo, non vi sarebbe alcun interesse alla censura dedotta.
La questione sarebbe poi inammissibile per difetto
di rilevanza.
Il giudice a quo ritiene che il criterio cronologico non sia di per sé
illegittimo e che siano state invece le modalità seguite a ingenerare una gara
illegittima: il problema, allora, non starebbe nella norma che quel criterio
pone ma esclusivamente nella sua realizzazione esecutiva, e quindi nel
provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 24 marzo 2009, che
avrebbe dovuto essere oggetto di impugnazione davanti al giudice
amministrativo.
La questione sarebbe anche infondata nel
merito.
Posto che le risorse a disposizione
erano limitate, un criterio di selezione andava comunque adottato. L’avere
previsto l’ordine di invio telematico delle richieste non sarebbe irrazionale,
tenuto conto della vasta platea dei beneficiari, delle esigenze di celerità e
della difficoltà di una procedura concorsuale alternativa legata a criteri di
più complessa valutazione.
Quand’anche l’effetto pratico della gara
fosse stato quello di una scelta meramente casuale, per ciò solo non si
potrebbe ritenere la norma in contrasto con la Costituzione.
9.− Con memoria depositata il 1° marzo 2017
la parte privata ha ulteriormente illustrato le difese già svolte in sede di
costituzione.
In relazione alle eccezioni
d’inammissibilità sollevate del Presidente del Consiglio dei ministri, la Dallan spa afferma di avere inoltrato la propria istanza
alle ore 10:06 del 6 maggio 2009 (come risulterebbe dall’attestazione di
presentazione del formulario F24 rilasciata dall’Agenzia delle entrate), ossia
soli 6 minuti dopo l’apertura del click day.
Osserva l’interveniente, poi, che
contrariamente a quanto asserito dal Presidente del Consiglio dei ministri,
l’art. 1, commi da 280 a 283, della legge n. 296 del 2006 era pienamente rispettoso del
principio di copertura finanziaria di cui all’art. 81 Cost.
La relazione tecnica del Ministero del
tesoro sulla finanziaria 2007 aveva, infatti, chiaramente quantificato
l’impatto dell’attribuzione del credito d’imposta in termini di riduzione di
gettito. La stessa relazione indicava le variazioni annue di gettito di cassa
calcolate, ipotizzando che il credito trovasse capienza nell’IRES e nell’IRAP
dovute per l’esercizio. Il comma 1361 dell’art. 1 della legge in questione,
ancora, rimandava per la copertura, anche delle riduzioni di entrata, al
prospetto allegato («Prospetto di copertura»), riportante, tra le altre, le
voci relative a «Sviluppo e ricerca» e «Misure per lo sviluppo».
La norma censurata, dunque, lungi dal
rispondere all’esigenza di rimediare a una pregressa incostituzionalità della
disciplina, risponderebbe a «mere esigenze di natura finanziaria contingente».
10.− Con ordinanza iscritta al reg. ord.
n. 251 del 2016, la Commissione tributaria regionale del Veneto ha sollevato
questioni di legittimità costituzionale sostanzialmente identiche, per
parametri e norme censurate, a quelle sollevate dalla Corte di cassazione, con
la differenza che esse non sono prospettate in una relazione di subordinazione.
11.− Con memoria depositata nella cancelleria di questa
Corte il 2 gennaio 2017 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
eccependo l’inammissibilità e la non fondatezza delle questioni sollevate.
11.1.−
Quanto alla prima, l’Avvocatura generale dello Stato afferma che l’ordinanza di
rimessione sarebbe incorsa nel medesimo vizio motivazionale già censurato dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 236 del
2014.
Come in quel caso, infatti, il rimettente avrebbe
omesso di valutare l’impatto sul quadro normativo di riferimento dell’art. 2,
comma 236, dalla legge n. 191 del 2009 e dell’art. 4, comma 1, del d.l. n. 40 del 2010.
11.2.− Il Presidente del Consiglio dei ministri ha
eccepito, poi, l’inammissibilità della questione sollevata in via subordinata e
l’infondatezza di entrambe per le medesime ragioni già illustrate nella memoria
depositata nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 100
del 2015.
12.− Si è
costituita la Eurometalnova srl,
ricorrente nel giudizio a quo,
chiedendo in via preliminare la riunione del giudizio a quello iscritto al reg.
ord. n. 100 del 2015, avendo entrambi ad oggetto le
medesime questioni di costituzionalità, e nel merito aderendo alle
prospettazioni del rimettente.
Con memoria depositata fuori termine la parte
privata ha ribadito le argomentazioni già svolte nella memoria di costituzione.
Considerato in diritto
1.− La sesta
sezione civile della Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento all’art.
3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 29,
comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa
e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale),
convertito, con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nella parte in cui, nell’introdurre un
tetto massimo di stanziamento e una procedura per la selezione dei crediti
d’imposta regolati dall’art. 1, commi 280-283, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge finanziaria 2007)», «non fa salvi i diritti e le aspettative
sorti in relazione ad attività di ricerca e sviluppo avviate prima del
29/11/2008» (data di entrata in vigore del d.l. n.
185 del 2008).
Secondo il giudice rimettente, la norma censurata,
"abolendo” i diritti di credito maturati in relazione ai costi già sostenuti e
l’aspettativa dei crediti maturandi in relazione ai costi da sostenere per
attività già avviate prima della sua entrata in vigore, avrebbe leso
l’affidamento dei contribuenti che avevano intrapreso iniziative economiche
confidando nel quadro normativo vigente.
2.− La Corte di cassazione ha poi sollevato,
in via subordinata, e sempre con riferimento all’art. 3 Cost.,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi 2, lettera a), e 3, del d.l.
n. 185 del 2008, nella parte in cui, anche per i crediti d’imposta relativi a
costi sostenuti per attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008,
prevedono una procedura di ammissione al beneficio fiscale basata sul criterio
cronologico di ricezione delle domande telematiche dei contribuenti.
Difatti, se, in linea generale, non sarebbe
irrazionale il ricorso al criterio selettivo prior in tempore potior in iure, nel caso di
specie, in cui la selezione si svolge tra una vasta platea di concorrenti e si
fonda sul momento di arrivo al destinatario di atti trasmessi per via
telematica, esso condurrebbe a risultati del tutto casuali e scollegati non
solo dal merito delle ragioni di credito ma anche dalla solerzia nel loro
esercizio, così ingenerando una disparità di trattamento
tra contribuenti tutti egualmente titolari di crediti di imposta derivanti da
attività già avviate alla data del 29 novembre 2008.
3.− La Commissione tributaria
regionale del Veneto ha sollevato questioni di legittimità costituzionale
sostanzialmente identiche, per censure
e parametri, a quelle sollevate dalla Corte di cassazione, con l’unica
differenza che esse non sono prospettate in una relazione di subordinazione ma
cumulativamente.
4.− In considerazione della identità delle questioni proposte, i
giudizi vanno riuniti per essere decisi congiuntamente.
5.− È opportuno, prima di esaminare tanto l’ammissibilità quanto il
merito delle questioni sollevate, ricostruire l’articolato quadro normativo regolante i crediti d’imposta richiesti dalle contribuenti
nei giudizi a quibus.
L’art. 1, comma 280, della legge n. 296
del 2006 – abrogato per il disposto dell’art. 23, comma 7, e del numero 42 dell’Allegato 1
del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del
Paese), convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ma
applicabile ratione temporis alla
fattispecie in esame – aveva attribuito alle imprese, a decorrere dal periodo
d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2006 e fino alla chiusura
del periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2009, un credito
d’imposta pari al 10 per cento dei costi sostenuti per attività di ricerca
industriale e sviluppo precompetitivo, percentuale che – per come modificata
dall’art. 1, comma 66, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge finanziaria 2008)» – era pari al 40 per cento per i costi riferiti a
contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca.
Questi costi, ai sensi del comma 281, non potevano
superare per ciascuna impresa e per ciascun periodo d’imposta l’importo di 15
milioni di euro (poi elevato a 50 dal citato art. 1, comma 66, della legge n.
244 del 2007).
Successivamente, con l’art. 29, comma 1,
del d.l. n. 185 del 2008 (la prima delle disposizioni
censurate), il legislatore aveva disposto l’assoggettamento di tutti i crediti
di imposta vigenti alla data di entrata in vigore del medesimo d.l. − ivi compresi, quindi, quelli introdotti dalla
legge n. 296 del 2006 − alla disciplina recata dal decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138 (Interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di
contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche
nelle aree svantaggiate), convertito, con modificazioni dalla legge 8 agosto 2002, n. 178.
Con riferimento a questi ultimi crediti
d’imposta, era stato conseguentemente previsto, al secondo comma, un tetto
massimo fruibile dalle imprese, mediante definizione dei relativi stanziamenti
nel bilancio dello Stato (375,2 milioni di euro per l’anno 2008, 533,6 milioni
di euro per l’anno 2009, 654 milioni di euro per l’anno 2010 e 65,4 milioni di
euro per l’anno 2011).
Ciò aveva comportato la necessità di
prevedere una procedura di selezione dei contribuenti da ammettere al beneficio
fiscale in relazione (anche) alle attività di ricerca avviate prima del 29
novembre 2008.
I commi 2 e 3 dello stesso art. 29 (le
altre disposizioni censurate), per quanto qui rileva, avevano stabilito che, a
decorrere dall’anno 2009, per la fruizione del credito d’imposta le imprese
dovevano inoltrare per via telematica all’Agenzia delle entrate un apposito
formulario, valevole come «prenotazione dell’accesso», e che l’Agenzia delle
entrate provvedeva ad esaminare le domande secondo l’ordine cronologico di
arrivo, comunicando alle imprese medesime – per le attività già avviate prima
del 29 novembre 2008 – «esclusivamente un nulla-osta ai soli fini della
copertura finanziaria».
Nel quinto comma del citato art. 29,
infine, si era previsto che la procedura doveva essere attivata entro 30 giorni
dalla data di adozione del formulario medesimo da parte del direttore
dell’Agenzia delle entrate.
Quest’ultimo, con provvedimento del 21 aprile 2009,
aveva stabilito che i formulari relativi ad attività di ricerca e sviluppo già
avviate alla data del 29 novembre 2008 dovevano essere presentati, a pena di
decadenza dal contributo, dalle ore 10:00 del 6 maggio 2009 (cosiddetto click day)
alle ore 24:00 del 5 giugno 2009.
Di fatto, la capienza degli stanziamenti si era
esaurita nei primi minuti successivi all’apertura della procedura telematica e
numerose imprese erano state escluse dalla fruizione del credito di imposta in
relazione ad attività di ricerca avviate prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 185 del 2008.
Per i crediti d’imposta maturati negli anni
2007, 2008 e 2009, di cui non era stata autorizzata la fruizione da parte
dell’Agenzia delle entrate per esaurimento dei fondi disponibili, l’art. 2,
comma 236, della legge 23 dicembre 2009, n.
191, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», aveva autorizzato un ulteriore stanziamento di 200 milioni di euro per
ciascuno degli anni 2010 e 2011, la cui entità era stata successivamente
ridotta di 50 milioni di euro per l’anno 2010 dall’art. 4, comma 1, del
decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (Disposizioni urgenti tributarie e
finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e
nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e
«cartiere», di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria
anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti
recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda
in particolari settori), convertito, con modificazioni dalla legge 22 maggio
2010, n. 73.
Le modalità di utilizzo di tale
stanziamento erano state definite con decreto del Ministro dell’economia e
delle finanze 4 marzo 2011 (Modalità di utilizzo dell’ulteriore stanziamento
disposto dal comma 236 dell’articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191,
per le finalità di cui all’articolo 29, comma 1, del decreto-legge 29 novembre
2008, n. 185), che aveva autorizzato la fruizione dei crediti in questione
nella misura massima del 20,37 per cento dell’importo complessivamente
richiesto per gli anni 2007, 2008 e 2009 a decorrere dalla data di
pubblicazione del medesimo decreto, e dell’ulteriore 27,16 per cento a
decorrere dal 2011.
6.− L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità
delle questioni sollevate dalla Commissione tributaria regionale del Veneto,
poiché il rimettente avrebbe omesso di valutare l’impatto sul quadro normativo
di riferimento delle disposizioni successive a quelle censurate, e in
particolare dell’art. 2, comma 236, della legge n. 191 del 2009 e dell’art. 4,
comma 1, del d.l. n. 40 del 2010.
6.1.− L’eccezione è fondata.
Questa Corte, con la sentenza n. 236 del
2014, ha dichiarato inammissibili identiche
questioni sollevate dalla Corte di cassazione e dalla Commissione tributaria
provinciale di Treviso, poiché le ordinanze di rimessione, pur citandole, non
avevano preso in considerazione le disposizioni sopravvenute.
In quell’occasione si è affermato che
«La nuova disciplina introduce novità non marginali nel complesso normativo in
esame e quindi la prospettazione della questione di legittimità costituzionale
non poteva prescindere dalla verifica del suo impatto sulle situazioni
soggettive e sui valori che venivano in gioco. Ciò tanto più ove si consideri
che tale disciplina è sensibilmente più favorevole al contribuente-creditore,
cosicché occorreva spiegare perché la si sia ritenuta irrilevante, e quindi
tale da non far venire meno il vulnus
costituzionale denunciato, e ciò nonostante non meritevole di impugnazione.
Anche nella prospettiva dei rimettenti, che in effetti hanno delineato in
maniera completa il quadro normativo, sarebbe stato dunque necessario vagliare,
e non solo citare, le norme sopravvenute».
L’ordinanza della Commissione tributaria
regionale del Veneto è affetta dallo stesso vizio, sicché anche le questioni da
essa sollevate devono essere dichiarate inammissibili.
7.− La Corte di cassazione ha sollevato, in
via principale, questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 1,
del d.l. n. 185 del 2008, per violazione del
principio dell’affidamento tutelato dall’art. 3 Cost.
Secondo il rimettente, la disposizione censurata
avrebbe inciso sotto due profili sulla posizione dei contribuenti che, pur
avendo già avviato attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo
alla data di entrata in vigore della disposizione medesima, sono stati esclusi
dalla fruizione del credito d’imposta: per costoro, infatti, essa avrebbe
«abolito», in primo luogo, il diritto di credito già maturato in relazione ai
costi già sostenuti e, in secondo luogo, l’aspettativa del credito maturando in
relazione ai costi da sostenere.
Incidendo su diritti e aspettative che erano già
entrati nel patrimonio dei contribuenti, l’art. 29, comma 1, del d.l. n. 185 del 2008 avrebbe violato il principio
dell’affidamento del cittadino nella certezza delle situazioni giuridiche.
Aggiunge la Corte di cassazione che il vulnus al principio costituzionale
dell’affidamento non potrebbe essere escluso alla luce della normativa
sopravvenuta alle disposizioni censurate, normativa che − con riferimento
ai crediti per attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008 e rimasti
priva di copertura finanziaria − ha previsto ulteriori stanziamenti fino
a coprire il 47,53 per cento del loro ammontare.
Le norme in questione si sarebbero limitate a
trasformare la "ablazione” del credito in «falcidia», ma la violazione
sussisterebbe per il solo fatto che un credito già entrato nel patrimonio del
contribuente sia stato significativamente pregiudicato per effetto di una
disposizione retroattiva.
8.− La questione non è fondata.
9.− Secondo la costante giurisprudenza di
questa Corte, «il valore del legittimo affidamento, il quale trova copertura
costituzionale nell’art. 3 Cost., non esclude che il
legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole
agli interessati la disciplina di rapporti giuridici "anche se l’oggetto di
questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti”, ma esige che ciò avvenga
alla condizione "che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento
irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle
leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica (sentenze n. 56 del
2015, n. 302
del 2010, n.
236 e n. 206
del 2009). Solo in presenza di posizioni giuridiche non adeguatamente
consolidate, dunque, ovvero in seguito alla sopravvenienza di interessi
pubblici che esigano interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente
su di esse, ma sempre nei limiti della proporzionalità dell’incisione rispetto
agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti, è consentito alla legge di
intervenire in senso sfavorevole su assetti regolatori precedentemente definiti
(ex plurimis,
sentenza n. 56
del 2015)» (sentenza
n. 216 del 2015; si vedano anche, tra le tante, le sentenze n. 160
e n. 103 del
2013, n. 416
del 1999).
L’intervento retroattivo del legislatore, dunque,
può incidere sull’affidamento dei cittadini a condizione che: 1) trovi
giustificazione in «principi, diritti e beni di rilievo costituzionale” (ex multis, sentenza n. 308 del
2013), e dunque abbia una "causa normativa adeguata» (sentenze n. 203 del
2016, n. 34
del 2015 e n.
92 del 2013), quale un interesse pubblico sopravvenuto (sentenze n. 16 del
2017, n. 216
e n. 56 del 2015)
o una «inderogabile esigenza» (sentenza n. 349 del
1985); 2) sia comunque rispettoso del principio di ragionevolezza (fra le
tante, sentenza
n. 16 del 2017) inteso, anche, come proporzionalità (sentenze n. 203
e n. 108 del
2016; n. 216
e n. 56 del 2015).
In altri termini, il principio dell’affidamento è
sottoposto al normale bilanciamento proprio di tutti i diritti e valori
costituzionali (sentenze
n. 16 del 2017, n. 203 del 2016,
n. 264 del 2012).
10.− Nel caso di specie, per valutare
l’esistenza di una causa normativa adeguata, è opportuno prendere le mosse
dall’osservazione dell’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui la
disposizione censurata sarebbe stata introdotta per eliminare un’anomalia
genetica della legge n. 296 del 2006, la quale sarebbe stata priva di copertura
finanziaria e non avrebbe previsto alcun tetto massimo di stanziamento:
l’intervento retroattivo del legislatore, quindi, risponderebbe, in primo
luogo, all’esigenza di porre rimedio a un vulnus
arrecato all’art. 81 Cost.
11.− In realtà, come eccepito dalle parti
private intervenienti, l’art. 1, commi
da 280 a 283, della legge n. 296 del 2006, nel prevedere i crediti d’imposta
per le attività di ricerca svolte negli anni dal 2007 al 2009, recava una
copertura finanziaria.
Il comma 1361 dell’art. 1 della legge in questione,
infatti, rimandava per la copertura, anche delle riduzioni di entrata, al
prospetto allegato («Prospetto di copertura»), riportante, tra le altre, le
voci (e gli importi) relativi a «Sviluppo e ricerca» e «Misure per lo sviluppo»
(pagina 269).
La relazione tecnica sulla finanziaria 2007 aveva,
poi, quantificato l’impatto del credito d’imposta (pari a circa 2.008.000 euro
per gli anni dal 2007 al 2010), ipotizzando che la conseguente riduzione di
gettito fiscale trovasse capienza, quanto all’anno in corso, nell’IRES e
nell’IRAP dovute per l’esercizio (pagine 68 e 69).
È vero, tuttavia, che la disciplina originaria non
prevedeva un tetto massimo, che è stato appunto introdotto dalla disposizione
censurata.
Essa ha esteso a tutti i «crediti d’imposta vigenti
alla data di entrata in vigore del presente decreto», compresi quelli per
attività di ricerca, la disciplina sul monitoraggio prevista dall’art. 5, commi
1 e 2, del d.l. 138 del 2002, alla cui stregua il
riconoscimento dei crediti d’imposta è condizionato al non esaurimento dei
relativi «stanziamenti di bilancio, delle autorizzazioni di spesa, ovvero delle
previsioni di minori entrate» (così il citato art. 5, comma 1), e ciò al fine
di garantire la parità di trattamento tra i soggetti titolari dei medesimi e
l’effettivo rispetto del principio costituzionale di copertura della spesa.
Tale ultima esigenza, del resto, era già codificata,
per le spese, dall’art. 11-ter, comma
1, della legge 5 agosto 1978, n. 468 (Riforma
di alcune norme di contabilità generale dello Stato
in materia di bilancio), il cui contenuto precettivo è stato poi ribadito dall’art. 17, comma 1,
della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge
di contabilità e finanza pubblica).
11.1.− L’introduzione di un tetto massimo di
stanziamento ha comportato la necessità di prevedere una
procedura di selezione (anche) dei contribuenti da ammettere al beneficio
fiscale in relazione alle attività di ricerca avviate prima del 29 novembre
2008.
All’esito di tale selezione, disciplinata dai commi
2 e 3 dello stesso art. 29 (sui cui si tornerà in seguito), alcuni di questi
contribuenti (cosiddetti "perdenti”) si sono visti negare il riconoscimento dei
loro diritti di credito, nonostante il legislatore con il d.l.
n. 185 del 2008 avesse previsto, per gli anni dal 2008 al 2011, stanziamenti
complessivamente superiori a quelli originariamente previsti dalla legge n. 296
del 2006.
Il legislatore, tuttavia, è nuovamente intervenuto
con la legge n. 191 del 2009, prevedendo per i soli "perdenti” un ulteriore
finanziamento di 400 milioni, poi ridotti a 350 dal d.l.
n. 40 del 2010.
12.− Nell’indicata prospettiva di valutare
l’adeguatezza dell’intervento normativo censurato è poi di fondamentale
importanza il rilievo che esso è stato effettuato con il «decreto anticrisi»,
intitolato «Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e
impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico
nazionale», volto a «fronteggiare l’eccezionale situazione di crisi
internazionale» e «potenziare le misure fiscali e finanziarie occorrenti per
garantire il rispetto degli obiettivi fissati dal programma di stabilità e
crescita approvato in sede europea» (così il preambolo al d.l.
n. 185 del 2008).
Il decreto rappresenta il primo tentativo
legislativo di fare fronte alla crisi economica internazionale del 2008 che
contagiò l’Italia. Esso prevedeva un pacchetto di
misure di assistenza alle famiglie e ai lavoratori, volto, nelle intenzioni del
Governo, anche al rilancio
dell’economia.
La manovra era stata concepita a saldi
nulli (art. 35), sicché, per fronteggiare le maggiori uscite, il decreto
prevedeva nuove entrate e riduzioni di spesa. Il comma successivo a quello
censurato dal rimettente, pur disponendo, in relazione ai crediti in parola,
coperture nel tempo complessivamente superiori rispetto a quelle previste dal
legislatore del 2006, stanziava minori
somme per il biennio 2008 e 2009 e creava quindi, per tale periodo,
disponibilità finanziarie per fronteggiare il contagio della crisi economica
internazionale e redistribuire risorse secondo un
preciso disegno perequativo.
12.1.− In questo quadro, si deve dunque
ritenere che la disposizione censurata abbia una «"causa” normativa adeguata» (sentenze n. 203 del
2016, n. 34
del 2015 e n.
92 del 2013), perché trova giustificazione nei «principi, diritti e beni di
rilievo costituzionale» (sentenze n. 308,
n. 170 e n. 103 del 2013,
n. 264 e n. 78 del 2012)
tutelati dagli artt. 2, 3 e 81 Cost.
12.2.− Essa poi, sempre alla luce delle sue
finalità e del contesto economico che ne ha visto la genesi, non viola i
princìpi di ragionevolezza e proporzionalità.
Difatti, a seguito dei successivi interventi
normativi, la posizione dei titolari di crediti "perdenti” non è stata incisa
in maniera assoluta, poiché gli ulteriori stanziamenti previsti per costoro
hanno permesso la copertura di circa metà (47,53 per cento) dei loro crediti.
Inoltre, per quanto la riduzione sia consistente, va
ricordato che i crediti d’imposta originariamente riconosciuti andavano a coprire
il 10 per cento dei costi delle attività di ricerca (il 40 per cento nel caso
di contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca), cosicché
l’ablazione retroattiva nei confronti dei soggetti non ammessi al beneficio
fiscale è stata del solo 5 per cento circa dei costi sostenuti (20 per cento
per le attività convenzionate con università ed enti pubblici): il venir meno
di tale posta non può, dunque, aver avuto una incidenza decisiva sul
complessivo andamento economico delle imprese.
Non è irrilevante, infine, che il diritto in
questione abbia ad oggetto il riconoscimento di un beneficio e non sia
espressione di una pretesa fondata su un rapporto convenzionale; beneficio, per
di più, di natura fiscale, e quindi maturato in un ambito in cui il tasso di
politicità delle scelte legislative è massimo, come riconosciuto dalla stessa
giurisprudenza della Corte EDU (sentenze 31 marzo 2009, Faccio contro Italia; 12 luglio 2001, Ferrazzini contro Italia, paragrafo
29).
13.− La Corte di cassazione ha poi sollevato,
in via subordinata, questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi
2, lettera a), e 3, del d.l. n. 185 del 2008 per violazione dell’art. 3 Cost.
Il rimettente censura queste disposizioni nella
parte in cui, anche per i crediti d’imposta relativi ad attività di ricerca
avviate prima del 29 novembre 2008, prevedono una procedura di ammissione al
beneficio basata sul criterio cronologico di ricezione delle domande
telematiche dei contribuenti.
Secondo la Corte di cassazione, se, in linea
generale, non può ritenersi irrazionale il criterio selettivo prior in tempore potior
in iure, nel caso di specie, in cui la selezione si svolge tra una platea
vastissima di concorrenti e si fonda sul momento di arrivo al destinatario di
atti trasmessi per via telematica, tale criterio condurrebbe a risultati
completamente scollegati non solo dal merito delle ragioni di credito ma anche
dalla solerzia nel loro esercizio.
La risultante di fattori quali la sproporzione tra
risorse disponibili e domande, l’elevato numero dei concorrenti e la velocità
dei meccanismi di trasmissione informatica determinerebbe, infatti, una
selezione sostanzialmente casuale che si esaurisce in un tempo brevissimo e
produce risultati dipendenti prevalentemente «dalla potenza e sofisticatezza
delle apparecchiature informatiche, di cui dispongono i singoli contribuenti o
i professionisti che li assistono».
Ciò comporterebbe una irragionevole disparità di
trattamento tra contribuenti tutti egualmente titolari di crediti di imposta.
Non a caso questo tipo di procedura sarebbe stato abbandonato in sede di
definizione delle modalità di distribuzione del rifinanziamento disposto dalla
legge n. 191 del 2009, per le quali il d.m. 4 marzo 2011 avrebbe fatto ricorso, più ragionevolmente, a un
criterio concorsuale, assegnando a ciascun contribuente una percentuale del
credito.
14.− L’Avvocatura generale dello Stato ha
eccepito l’inammissibilità della questione, osservando che la censura, pur
essendo rivolta alle disposizioni di legge che hanno previsto la procedura
telematica, in realtà si appunterebbe sulle modalità esecutive previste a valle
dal decreto del direttore dell’Agenzia delle entrate del 24 marzo 2009, sicché
le pretese dei contribuenti andrebbero fatte valere non in questa sede, bensì
davanti al giudice amministrativo.
14.1.− L’eccezione non è fondata.
Oggetto della censura del rimettente sono proprio le
norme legislative che hanno disciplinato la procedura, la quale «si compendia
nell’inoltro per via telematica all’Agenzia delle entrate di un formulario
valevole come prenotazione e nell’acquisizione ed evasione, da parte della
predetta Agenzia, dei formulari alla stessa pervenuti, secondo l’ordine
cronologico di arrivo».
La rilevanza, dunque, sussiste perché, in caso di
declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate,
verrebbe travolto l’intero meccanismo che ha condotto al diniego del
nulla-osta.
15.− Quest’ultima considerazione comporta
anche la non fondatezza della seconda eccezione d’inammissibilità sollevata
dall’Avvocatura generale dello Stato per difetto di motivazione sulla
rilevanza, e incentrata sull’omessa indicazione nell’ordinanza di rimessione
del momento in cui la contribuente avrebbe presentato la sua istanza
telematica: il travolgimento dell’intera procedura, come conseguenza diretta
dell’eventuale pronuncia di incostituzionalità, rende irrilevante il momento di
inoltro della richiesta da parte della contribuente.
16.− La questione è tuttavia inammissibile
sotto altro profilo.
Un eventuale accoglimento, infatti, determinerebbe un assetto normativo caratterizzato da
iniquità e irragionevolezza, poiché coloro che sono risultati vincitori nella
procedura telematica, non solo perderebbero il beneficio ottenuto, ma non
potrebbero neanche concorrere alla distribuzione del successivo finanziamento
previsto dall’art. 2, comma 236, della legge n. 191 del 2009, finanziamento che
è riservato ai "perdenti”.
Né a tale irrazionalità si potrebbe ovviare con un intervento di questa
Corte, che, attesa la pluralità delle soluzioni ipotizzabili, nessuna delle
quali costituzionalmente obbligata (tra le tante, sentenze n. 223 del
2015 e n. 81
del 2014), finirebbe con il sovrapporre la propria valutazione
discrezionale a quella del legislatore (tra le tante, ordinanza n. 46 del
2016).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 29, commi 1, 2, lettera a), e 3, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie,
lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il
quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge 28 gennaio
2009, n. 2, sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale del Veneto, con l’ordinanza
indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibile
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi 2, lettera a), e 3, del d.l.
n. 185 del 2008, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost.,
dalla Corte di cassazione, sezione sesta civile, con l’ordinanza indicata in
epigrafe;
3) dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 1, del d.l. n. 185 del 2008, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Corte di cassazione, sezione sesta civile, con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2017.