SENTENZA N. 132
ANNO 2023
Commento alla decisione di
Damiano Florenzano
negli Studi 2024/I di questa Rivista
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Silvana SCIARRA;
Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 2, della legge della Regione Puglia 11 maggio 2001, n. 13 (Norme regionali in materia di opere e lavori pubblici), promosso dalla Corte d’appello di Bari nel procedimento vertente tra Azienda sanitaria locale Barletta-Andria-Trani (ASL BAT) e Manelli Impresa srl, in proprio e quale mandataria del Raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) costituito tra Manelli Impresa srl e Eurosistemi srl, con ordinanza del 6 giugno 2022, iscritta al n. 115 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2022.
Visti gli atti di costituzione di ASL BAT e di Manelli Impresa srl, in proprio e quale mandataria del RTI;
udita nell’udienza pubblica del 18 aprile 2023 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;
udito l’avvocato Oscar Bezzi per ASL BAT;
deliberato nella camera di consiglio del 18 aprile 2023.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 6 giugno 2022, iscritta al n. 115 del registro ordinanze 2022, la Corte d’appello di Bari ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 2, della legge Regione Puglia 11 maggio 2001, n. 13 (Norme regionali in materia di opere e lavori pubblici), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
2.– Il rimettente riferisce che la Manelli Impresa srl – in proprio e quale mandataria del Raggruppamento temporaneo di imprese (RTI), che si era aggiudicato «con deliberazione n. 1145/CS del 22.7.2011» l’appalto per i lavori di adeguamento a norma e di rifunzionalizzazione del Presidio ospedaliero di Bisceglie – aveva citato in giudizio l’ASL BAT, in qualità di stazione appaltante, facendo valere il diritto al risarcimento del danno da responsabilità contrattuale.
2.1.– Il giudice a quo riporta che il Tribunale ordinario di Bari ravvisava in capo alla stazione appaltante una responsabilità riferibile a carenze progettuali, all’assenza di alcune autorizzazioni e alla inidonea predisposizione dell’area di intervento, e condannava quest’ultima al risarcimento del danno, quantificato in euro 1.863.317,37, oltre interessi legali.
Secondo quanto espone il rimettente, il giudice di primo grado dava atto dell’avvenuta iscrizione di riserve, riferite alle pretese risarcitorie, e riscontrava (in quanto fatto non contestato dalle parti) l’omessa prestazione delle garanzie, che l’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001 imponeva all’appaltatore, a pena di decadenza, qualora le riserve comportassero variazioni «dell’importo economico delle opere in aumento rispetto all’importo contrattuale».
Nondimeno, il Tribunale di Bari respingeva l’eccezione di decadenza sollevata dalla stazione appaltante, ritenendo che il citato art. 23, comma 2, non potesse trovare applicazione, in mancanza di un suo esplicito richiamo nel capitolato speciale di appalto, come richiesto dall’art. 25 della stessa legge reg. Puglia n. 13 del 2001.
2.2.– Il rimettente riferisce di seguito che l’ASL BAT impugnava la sentenza di primo grado, adducendo che non fosse necessario uno specifico richiamo al contenuto dell’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001 all’interno del capitolato d’appalto, il quale, comunque, prevedeva in generale l’applicazione «di tutte le leggi vigenti […] emanate […] dalle Regioni».
L’appellato contestava la fondatezza di tale motivo di ricorso, sostenendo che la stazione appaltante, nel riconoscere l’ammissibilità di alcune delle riserve iscritte, avesse ammesso per facta concludentia la non riferibilità al rapporto contrattuale delle disposizioni di cui alla legge reg. Puglia n. 13 del 2001, che sarebbe stata implicitamente abrogata dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE).
In subordine, la mandataria del RTI eccepiva l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001.
3.– La Corte d’appello, riservata la causa per la decisione, solleva questione di legittimità costituzionale della citata disposizione regionale, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., con riguardo alla materia «ordinamento civile».
3.1.– Nel motivare la rilevanza della questione, il giudice a quo sottolinea il carattere incontestato tra le parti della mancata costituzione del deposito cauzionale e argomenta a favore della persistente vigenza della disposizione censurata e della sua concreta applicabilità alla fattispecie portata all’esame della Corte d’appello.
A parere di quest’ultima, non vi sarebbero ragioni per affermare l’abrogazione implicita della legge pugliese, sicché l’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001 troverebbe applicazione allo specifico contratto.
In particolare, il capitolato speciale d’appalto, richiamato dall’art. 2 del contratto, avrebbe fatto rinvio a tutte le leggi, comprese quelle regionali, fra le quali – secondo il rimettente – non potrebbe che essere ricompresa «per la sua ampia portata ed indubbia rilevanza, anche la L.R. Puglia n. 13/2001».
Inoltre, la Corte d’appello esclude che l’art. 25 della legge reg. Puglia n. 13 del 2001 possa essere interpretato nel senso di condizionare l’applicazione della legge stessa a un richiamo esplicito delle sue norme nei capitolati speciali e nei disciplinari d’appalto; ragionando in questi termini – osserva la Corte rimettente – l’art. 25 finirebbe «con il rimettere all’autonomia privata non la scelta di non applicare singole disposizioni della legge (evidentemente di natura derogabile), ma addirittura la scelta di non applicare l’intera legge […] oltretutto in mancanza di criteri orientativi specifici e predeterminati circa le ragioni della deroga».
Da ultimo, il giudice a quo esclude che si possa inferire dalla condotta della ASL una presunta rinuncia implicita a far valere la decadenza, di cui alla disposizione censurata.
3.2.– In merito alla non manifesta infondatezza, il rimettente ripercorre e ripropone gli argomenti già spesi dalla Corte di cassazione che, con l’ordinanza 5 gennaio 2021, n. 25, aveva sollevato sulla medesima norma, oggetto della odierna censura, questione di legittimità costituzionale in riferimento allo stesso parametro costituzionale.
3.2.1.– In particolare, la Corte d’appello sottolinea il carattere inequivoco dell’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001, nel senso dell’affermazione di una «decadenza dalle riserve iscritte sui documenti contabili nell’ipotesi di mancata costituzione da parte dell’Impresa di un deposito cauzionale a favore dell’Amministrazione».
In tal modo – secondo il rimettente – il legislatore regionale avrebbe intersecato una materia di competenza legislativa statale esclusiva, in quanto avrebbe regolato «profili concernenti l’ordinamento civile, che è materia che ricomprende al suo interno la disciplina sulla stipulazione e sull’esecuzione dei contratti».
Si tratta – prosegue il giudice a quo, evocando la giurisprudenza di questa Corte – «di un ambito di competenza esclusiva dello Stato, poiché viene in rilievo l’esigenza, sottesa al principio costituzionale di uguaglianza, di assicurare, in relazione agli aspetti di pertinenza ad esso, l’uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale».
3.2.2.– Di seguito, la Corte d’appello rimettente si confronta con le ragioni per le quali questa Corte ha dichiarato inammissibile, con la sentenza n. 211 del 2021, la questione sollevata, con la citata ordinanza n. 25 del 2021, dalla Corte di cassazione.
In particolare, ritiene che le motivazioni, che hanno condotto a un giudizio di inammissibilità per difetto di rilevanza rispetto alla fattispecie oggetto di quel primo intervento, non sarebbero riferibili al caso di specie. Sia l’oggetto dell’appalto portato all’esame della Corte d’appello, sia il momento in cui tale contratto è stato stipulato deporrebbero, infatti, a favore della sicura applicabilità dell’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001.
4.– Il 24 ottobre 2022 si è costituita in giudizio l’ASL BAT, sostenendo la non fondatezza della questione sollevata dalla Corte d’appello di Bari, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., con riguardo alla materia «ordinamento civile».
In particolare, la difesa della stazione appaltante rileva che la competenza legislativa statale esclusiva riguarderebbe la sola fase prodromica alla stipulazione del contratto, essendo unicamente quest’ultima finalizzata a garantire la concorrenza per il mercato.
Di seguito, preso atto che la giurisprudenza di questa Corte ha ascritto alla materia «ordinamento civile» la fase dell’esecuzione del contratto, alla quale – come riconosce la stessa difesa dell’ASL – attiene la disposizione censurata, conclude che «ciò non significa che in relazione a peculiari esigenze di interesse pubblico, non possano residuare in capo all’autorità procedente poteri pubblici riferibili, tra l’altro, a specifici aspetti organizzativi», dal che inferisce che sarebbe consentito alle norme regionali «produrre effetti “proconcorrenziali”».
5.– Il 7 novembre 2022 si è costituita in giudizio la Manelli Impresa srl, in proprio e quale mandataria del RTI, eccependo, innanzitutto, l’inammissibilità della questione, per avvenuta abrogazione implicita della legge reg. Puglia n. 13 del 2001 da parte del d.lgs. n. 163 del 2006; in subordine, la difesa dell’appaltatore ritiene che le questioni sollevate siano fondate e aderisce alle argomentazioni prospettate dal giudice a quo.
5.1.– Secondo la parte su citata, il d.lgs. n. 163 del 2006 avrebbe «regolamentato ex novo l’intera materia dei lavori pubblici, con abrogazione della l. n. 109/1994 (e di tutte le disposizioni che di essa erano attuative, come la legge regionale in questione), ma quello che è più importante è che ciò [sarebbe] avvenuto tenendo espressamente conto della riforma dell’art. 117 della Costituzione (l. cost. n. 3 del 18.10.2001)».
Pertanto, a parere della mandataria del RTI, si dispiegherebbe un implicito effetto abrogativo, in virtù del dettato dell’art. 15 delle Preleggi e dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, a norma del quale «[l]e regioni, nel rispetto dell’articolo 117, comma secondo, della Costituzione, non possono prevedere una disciplina diversa da quella del presente codice in relazione: […] alla stipulazione e all’esecuzione dei contratti, ivi compresi direzione dell’esecuzione, direzione dei lavori, contabilità e collaudo».
La difesa dell’appaltatore evoca, a riguardo, la sentenza n. 401 del 2007 di questa Corte, ove si è chiarito come «la modifica del titolo V della parte seconda della Costituzione non abbia determinato l’automatica illegittimità costituzionale delle norme emanate nel vigore dei vecchi parametri costituzionali. Tali norme, infatti, adottate in conformità al preesistente quadro costituzionale, mantengono, in applicazione del principio di continuità, la loro validità fino al momento in cui “non vengano sostituite da nuove norme dettate dall’autorità dotata di competenza nel nuovo sistema” (sentenza numero 376 del 2002)».
La mandataria del RTI precisa, infine, che la persistente vigenza della legge reg. Puglia n. 13 del 2001 non sarebbe desumibile da quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 211 del 2021, che non si è espressa a riguardo, avendo fermato il suo giudizio alle soglie di una irrilevanza in apicibus, dovuta alla inapplicabilità, ratione materiae e ratione temporis, della disposizione censurata alla fattispecie concreta allora portata all’attenzione del giudice a quo.
5.2.– In subordine, la difesa dell’appaltatore condivide le motivazioni della Corte d’appello rimettente in ordine alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Viene, oltretutto, precisato che, anche nella vigenza del precedente assetto costituzionale, le regioni, nel legiferare in materie di interesse regionale, non potevano spingersi a disciplinare fattispecie incidenti sul diritto privato.
6.– In prossimità dell’udienza, la mandataria del RTI ha depositato una memoria integrativa, con cui ha sottolineato che la norma censurata incide sull’ordinamento civile, «imponendo limitazioni finanche alle facoltà difensive in sede processuale, in quanto prevede decadenze dei diritti dell’appaltatore, peraltro irragionevoli anche perché correlate a (meri) dati patrimoniali, ovvero la prestazione di una cauzione pari allo 0,5 % dell’importo delle riserve iscritte (atteso che il maggior costo presunto è quello, appunto, derivante dagli importi iscritti nelle riserve)».
Conclude, pertanto, constatando la contemporanea incidenza sugli «ambiti dell’esecuzione contrattuale, della contabilità, del collaudo e del contenzioso, quest’ultimo certamente ricompreso nella materia dell’ordinamento civile e – come detto – oggetto di espressa riserva di legge statale [in virtù del] richiamato art. 4 del D. Lgs. n. 163/2006».
7.– All’udienza la difesa dell’ASL BAT ha insistito per le conclusioni rassegnate negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 6 giugno 2022 (reg. ord. n. 115 del 2022), la Corte d’appello di Bari ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., con riguardo alla materia «ordinamento civile».
2.– La disposizione censurata stabilisce quanto segue: «2. Qualora, a seguito dell’iscrizione delle riserve da parte dell’impresa sui documenti contabili, l’importo economico dell’opera variasse in aumento rispetto all’importo contrattuale, l’impresa è tenuta alla costituzione di un deposito cauzionale a favore dell’Amministrazione pari allo 0,5 per cento dell’importo del maggior costo presunto, a garanzia dei maggiori oneri per l’Amministrazione per il collaudo dell’opera. Tale deposito deve essere effettuato in valuta presso la Tesoreria dell’ente o polizza fidejussoria assicurativa o bancaria con riportata la causale entro quindici giorni dall’apposizione delle riserve. Decorso tale termine senza il deposito delle somme suddette, l’impresa decade dal diritto di far valere, in qualunque termine e modo, le riserve iscritte sui documenti contabili. Da tale deposito verrà detratta la somma corrisposta al collaudatore e il saldo verrà restituito all’impresa in uno con il saldo dei lavori».
3.– Il giudice a quo, dopo aver argomentato in merito alla rilevanza della questione, ha motivato in ordine alla non manifesta infondatezza, sostenendo che la disposizione censurata regoli «profili concernenti l’ordinamento civile che è materia che ricomprende al suo interno la disciplina sulla stipulazione e sull’esecuzione dei contratti».
Il rimettente aggiunge che si tratta «di un ambito di competenza esclusiva dello Stato, poiché viene in rilievo l’esigenza, sottesa al principio costituzionale di uguaglianza, di assicurare, in relazione agli aspetti di pertinenza ad esso, l’uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale».
Pertanto, il legislatore regionale non potrebbe in alcun modo stabilire principi o regole diversi e contrastanti rispetto a quelli fissati dallo Stato.
4.– Si sono costituite in giudizio sia la stazione appaltante, la ASL BAT, sia la società appaltatrice, la Manelli Impresa srl, in proprio e quale mandataria del RTI.
5.– In rito, l’appaltatore ha sollevato un’eccezione di inammissibilità per irrilevanza della questione, sul presupposto che il d.lgs. n. 163 del 2006 abbia espressamente abrogato la legge n. 109 del 1994 e abbia implicitamente travolto anche la legge reg. Puglia n. 13 del 2001.
A giudizio della parte, il citato effetto abrogativo si dispiegherebbe in virtù del dettato dell’art. 15 delle Preleggi e dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, a norma del quale «[l]e regioni, nel rispetto dell’articolo 117, comma secondo, della Costituzione, non possono prevedere una disciplina diversa da quella del presente codice in relazione: […] alla stipulazione e all’esecuzione dei contratti, ivi compresi direzione dell’esecuzione, direzione dei lavori, contabilità e collaudo».
A tal riguardo, la difesa della mandataria del RTI richiama la sentenza n. 401 del 2007 di questa Corte, ove si è chiarito come «la modifica del titolo V della parte seconda della Costituzione non abbia determinato l’automatica illegittimità costituzionale delle norme emanate nel vigore dei vecchi parametri costituzionali. Tali norme, infatti, adottate in conformità al preesistente quadro costituzionale, mantengono, in applicazione del principio di continuità, la loro validità fino al momento in cui “non vengano sostituite da nuove norme dettate dall’autorità dotata di competenza nel nuovo sistema” (sentenza numero 376 del 2002)».
6.– L’eccezione non è fondata.
6.1.– Occorre precisare, in via preliminare, che la legge reg. Puglia n. 13 del 2001, nella quale è inserita la disposizione censurata, è entrata in vigore il quindicesimo giorno successivo alla data della sua pubblicazione (il 15 maggio 2001), vale a dire qualche mese prima dell’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
Dopo la riforma del Titolo V, venuta meno la materia «lavori pubblici di interesse regionale», contemplata nel previgente art. 117 Cost., lo Stato ha revisionato l’intera disciplina dei contratti pubblici con il d.lgs. n. 163 del 2006, le cui norme sono in buona parte riconducibili alle materie «tutela della concorrenza» e «ordinamento civile», che la riforma costituzionale del 2001 ha attribuito in via esclusiva alla competenza legislativa statale.
Il descritto quadro normativo fa da sfondo all’eccezione di inammissibilità della questione, che la difesa della mandataria del RTI solleva sul fondamento di una supposta abrogazione implicita della disposizione regionale censurata, da parte del d.lgs. n. 163 del 2006.
6.2.– Ebbene, si deve, innanzitutto, rilevare che spetta al giudice a quo valutare l’avvenuta abrogazione di una disposizione (sentenze n. 85 del 2020, n. 150 del 2019, n. 495 del 2005, n. 342 del 1995; ordinanza n. 363 del 2010) e che il rimettente, nel caso di specie, ha escluso l’effetto abrogativo.
D’altro canto, va altresì evidenziato che l’eccezione di rito viene motivata dalla parte, presupponendo che, rispetto alla disposizione censurata, la Regione avesse in origine competenza ad adottarla e che, solo con la riforma del Titolo V della Costituzione, vi sarebbe stato, in merito a tale competenza, un mutamento nel riparto fra Stato e regioni.
Sennonché, il rimettente argomenta proprio nel senso che il legislatore regionale non avesse ab initio la competenza a prevedere la disposizione censurata e che, dunque, rispetto a tale previsione, la competenza non sia cambiata nel passaggio dal precedente al nuovo assetto costituzionale.
Il giudice a quo lamenta, infatti, la violazione della competenza legislativa statale esclusiva nella materia «ordinamento civile», che è sì un limite espressamente introdotto con la riforma del Titolo V, ma che ha perpetuato il precedente limite del “diritto privato”, il quale è «rimasto fondamentalmente invariato nel passaggio dal vecchio al nuovo testo dell’art. 117» (sentenze n. 244 e n. 189 del 2020).
L’eccezione di rito non è, pertanto, fondata.
7.– Nel merito la questione è fondata.
7.1.– L’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001 prevede che l’appaltatore abbia l’onere di fornire garanzie reali o personali alla stazione appaltante per i maggiori costi che l’amministrazione si trovi a sopportare «per il collaudo dell’opera». La condizione affinché si configuri un tale onere è che l’iscrizione di riserve comporti un aumento rispetto all’importo contrattuale dell’opera; clausola, per la verità, di mero stile, essendo simile evenienza connaturata all’istituto.
Il mancato rispetto del richiamato vincolo comporta la decadenza dalle pretese iscritte a riserva, siano esse relative all’esecuzione del contratto o alla eventuale responsabilità contrattuale della stazione appaltante.
Ove, viceversa, la garanzia sia rispettata, la disposizione stabilisce che essa vada a coprire i costi corrisposti al collaudatore; l’ultimo periodo della norma censurata prevede, infatti, che dal deposito sia «detratta la somma corrisposta al collaudatore e il saldo [sia] restituito all’impresa in uno con il saldo dei lavori». Ne consegue, nel caso della garanzia personale, la sua possibile escussione per la somma corrispondente ai costi versati al collaudatore.
7.2.– Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’attrazione di una disposizione nell’area del diritto privato dipende dall’oggetto e dal contenuto della norma, così come dalla sua ratio e dalla finalità che persegue (ex plurimis, sentenze n. 116 del 2019, n. 287 del 2016, n. 245 del 2015, n. 167 e n. 121 del 2014).
Non è, viceversa, rilevante il coinvolgimento di istituti disciplinati dal codice civile, tant’è che questa Corte, con specifico riferimento al contratto pubblico d’appalto, ha ravvisato «la sussistenza di aspetti di specialità, rispetto a quanto previsto dal codice civile, nella disciplina della fase di stipulazione e [di] esecuzione»; aspetti che non sono «di ostacolo al riconoscimento della legittimazione statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.» (sentenza n. 401 del 2007).
Quanto alle ragioni sottese alla competenza legislativa statale esclusiva nella materia «ordinamento civile», esse sono le medesime che, prima ancora della riforma del Titolo V della Costituzione, hanno indotto questa Corte ad affermare il limite del “diritto privato”.
In particolare, la citata competenza si radicava (e tuttora si radica) nella «esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti fra privati» (così testualmente la sentenza n. 352 del 2001, che richiama in proposito le sentenze n. 326 e n. 82 del 1998, n. 307 del 1996, n. 462 e n. 408 del 1995, n. 441 del 1994; nonché l’ordinanza n. 243 del 2000).
Sulla scia della sentenza n. 352 del 2001, sopra menzionata, e proprio in virtù della stretta connessione con il principio di eguaglianza, questa Corte è venuta poi specificando le condizioni che consentono a una disposizione regionale, che intersechi la materia privatistica, di superare il vaglio di legittimità costituzionale in riferimento all’«ordinamento civile». L’intervento deve essere connesso con una materia di competenza regionale, deve essere marginale e deve risultare conforme al principio di ragionevolezza, proprio nel rispetto del principio di eguaglianza, che incarna la ratio del limite medesimo (sentenze n. 283 del 2016 e n. 295 del 2009).
7.3.– Tanto premesso, l’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001 introduce, con una disciplina di rilievo tutt’altro che marginale, istituti propri del diritto privato e, in specie, del diritto contrattuale.
7.3.1.– Sotto il profilo dell’oggetto, la disposizione censurata regola profili che attengono all’efficacia e all’esecuzione del contratto pubblico d’appalto, fasi nelle quali l’amministrazione si pone in una posizione di tendenziale parità con la controparte e agisce non avvalendosi di poteri autoritativi, bensì nell’esercizio della propria autonomia privata (sull’inclusione tra i limiti del diritto privato di istituti e rapporti privatistici inseriti nelle fasi di conclusione e di esecuzione del contratto pubblico di appalto, sentenze n. 79 e n. 44 del 2023, n. 23 del 2022, n. 269 del 2014 e n. 74 del 2012).
Ebbene, in linea generale, la disciplina del rapporto contrattuale è riservata alla legislazione statale, essendo precluso al potere legislativo regionale interferire con i diritti soggettivi e, in specie, con «i modi di acquisto e di estinzione, [con] i modi di accertamento, [e con] le regole sull’adempimento delle obbligazioni e sulla responsabilità per inadempimento» (sentenza n. 391 del 1989; in senso analogo, sentenze n. 159 del 2013, n. 411 e n. 29 del 2006, n. 506 del 1991).
7.3.2.– Più in particolare, quanto al contenuto specifico dell’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001, esso non attiene ad aspetti organizzativi (sentenze n. 137 del 2013 e n. 401 del 2007) o a profili marginali delle riserve: quelli che lo stesso art. 23, comma 1, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001 rimetteva alla fonte regolamentare, dopo aver però precisato che «[p]er la disciplina delle riserve e la definizione delle controversie relative alle opere e lavori di cui alla presente legge si applicano i principi delle disposizioni statali in materia».
Al contrario, l’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001 introduce una autonoma e peculiare disciplina che imputa all’appaltatore i costi di collaudo correlati alla verifica delle riserve, così incidendo sull’efficacia del contratto (sentenza n. 79 del 2023).
A copertura di quei costi, prevede inoltre un onere di prestare garanzie reali o personali, stabilendo che, ove l’appaltatore non ottemperi a esso, consegue la decadenza dalle pretese iscritte a riserva, che possono attenere tanto alla corretta esecuzione del contratto, quanto alla eventuale responsabilità contrattuale della stazione appaltante (sulla riconducibilità al diritto privato: delle garanzie in materia di appalti, sentenze n. 79 e n. 44 del 2023, n. 401 del 2007; della disciplina sulla decadenza, sentenze n. 283 del 2016 e n. 18 del 2013 e di quella relativa alle riserve, sentenza n. 109 del 2021).
Proprio il meccanismo della decadenza dimostra poi che la norma ha il potere di incidere sul diritto a far valere il corretto adempimento delle obbligazioni contrattuali e su quello al risarcimento del danno da responsabilità contrattuale, potendo cagionare l’estinzione di tali diritti, che nell’autonomia privata rinvengono la loro fonte. E questo è senza dubbio precluso al legislatore regionale (sentenze n. 265 e n. 159 del 2013).
7.3.3.– La disposizione censurata, oltre a regolare istituti propri del diritto privato, non trova alcuna corrispondenza nella legislazione statale: né in quella vigente al momento dell’emanazione della legge regionale e neppure in quella emanata in via successiva, fermo restando che l’illegittimità costituzionale della disposizione opera ab initio.
In primo luogo, in base alla disciplina statale, le spese di collaudo gravano sull’amministrazione appaltante e non già sull’appaltatore.
L’art. 16 della legge n. 109 del 1994, vigente al momento dell’entrata in vigore della norma censurata, prevedeva, al comma 7, che «[g]li oneri inerenti alla progettazione, alla direzione dei lavori, alla vigilanza e ai collaudi, nonché […] i costi riguardanti prove, sondaggi, analisi, collaudo di strutture e di impianti per gli edifici esistenti, fanno carico agli stanziamenti previsti per la realizzazione dei singoli lavori negli stati di previsione della spesa o nei bilanci delle amministrazioni aggiudicatrici, nonché degli altri enti aggiudicatori o realizzatori». Analoga disciplina si rinviene, di seguito: nell’art. 93, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006; nell’art. 113, comma 11, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) e, da ultimo, negli artt. 45, comma 1, e 116, comma 11, del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici).
In secondo luogo, nella normativa statale vigente all’epoca in cui è entrata in vigore quella regionale censurata (art. 30 della legge n. 109 del 1994), così come nelle differenti versioni che si sono susseguite del codice dei contratti pubblici (art. 129 del d.lgs. n. 163 del 2006; art. 103 del d.lgs. n. 50 del 2016; art. 117 del d.lgs. n. 36 del 2023), non si ravvisa alcuna garanzia riferita ai maggiori costi dovuti all’attività di collaudo.
Altrettanto eccentrica è la previsione del meccanismo decadenziale, che dipende da un onere del tutto estraneo rispetto ai contenuti e alla ratio propri della disciplina delle riserve.
La tempestiva iscrizione di queste ultime serve, infatti, a consentire la prosecuzione dell’opera, rinviando a un momento successivo la composizione di eventuali contenziosi, e, soprattutto, vale ad assicurare una immediata e costante evidenza delle spese correlate alla realizzazione dei lavori pubblici, il che potrebbe indurre la stazione appaltante finanche ad avvalersi del recesso (sentenza n. 109 del 2021).
Per converso, la disposizione censurata introduce, con un onere di prestare garanzie il cui inadempimento è sanzionato con la decadenza dalle pretese iscritte a riserva, un inedito istituto latamente ispirato a una finalità deterrente, che non mira alla tempestiva informazione sui costi dell’appalto, quanto piuttosto a inibire l’iscrizione di riserve e, comunque, a ottenere che parte dei costi di collaudo gravino sull’appaltatore.
7.3.4.– Tale ratio sottesa alla disposizione censurata è del tutto inidonea a giustificare una competenza legislativa regionale.
Da un lato, l’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001 non si limita ad addebitare all’appaltatore i maggiori costi di collaudo dovuti a pretese indebitamente iscritte. Al contrario, stabilisce che in sede di rimborso siano trattenuti tutti i costi di verifica delle riserve, prescindendo dalla fondatezza o infondatezza delle pretese fatte valere nei confronti della stazione appaltante.
Da un altro lato, ove pure si potesse ravvisare il perseguimento di un interesse pubblico, questo non sarebbe comunque idoneo a legittimare una competenza legislativa regionale.
È, infatti, dirimente constatare che, poiché l’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001 va a incidere sull’autonomia contrattuale, il perseguimento di un interesse pubblico, ascrivibile all’utilità sociale, è sì idoneo a giustificare, in conformità all’art. 41 Cost., una limitazione della libera iniziativa economica, che si esplica attraverso l’autonomia privata, ma lo è solo se la limitazione è effettuata dal legislatore statale e non già da quello regionale.
La circostanza «che il legislatore persegua la tutela di un superiore interesse pubblico può essere […] rilevante ad altri effetti, ma non esclude che la materia vada individuata nell’ordinamento civile, perché ciò si deve ritenere connaturato ad ogni limitazione dell’autonomia privata, in quanto condizione della sua legittimità costituzionale ai sensi degli artt. 41 e 42 Cost.» (sentenza n. 245 del 2015).
8.– In definitiva, l’art. 23, comma 2, della legge reg. Puglia n. 13 del 2001, in ragione dell’ambito che disciplina, del suo contenuto, della ratio e delle finalità che persegue, vìola il limite del “diritto privato”, confluito, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, nella competenza legislativa statale esclusiva relativa alla materia «ordinamento civile».
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 2, della legge della Regione Puglia 11 maggio 2001, n. 13 (Norme regionali in materia di opere e lavori pubblici).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2023.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente
Emanuela NAVARRETTA, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2023.