SENTENZA N.326
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELKSY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale della legge Regione Marche 9 maggio 1997, n. 30 (Disciplina regionale della bonifica. Attribuzione di funzioni alle Province in attuazione della legge 8 giugno 1990, n. 142. Soppressione dei consorzi di bonifica), promossi con ordinanze emesse l’11 novembre 1997 (n. 8 ordinanze) e il 21 ottobre 1997, rispettivamente iscritte ai nn. 238, 239, 240, 241, 242, 243, 244, 245 e 246 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visti gli atti di costituzione della Regione Marche, di Bassotti Domenico ed altri, del Consorzio di Bonifica dell’Aso ed altri e della Presidenza del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 30 giugno 1998 il Giudice relatore Valerio Onida;
uditi gli avvocati Andrea Calzolaio e Ranieri Felici per Bassotti Domenico ed altri, Alesssandro Pace e Giovanni Compagno per il Consorzio di Bonifica dell’Aso ed altri, l’avvocato dello Stato Aldo Linguiti per la Presidenza del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.
Ritenuto in
fatto
1.–
Con otto ordinanze di analogo tenore, emesse l'11 novembre 1997 (R.O. nn.
da
L'autorità remittente premette che la legge regionale in questione ha disposto la soppressione dei consorzi di bonifica operanti esclusivamente sul territorio della Regione e il trasferimento delle loro funzioni alla Provincia, passando per una fase di liquidazione affidata ad appositi commissari. Alcuni consorzi, nonchè alcune persone nella qualità di amministratori degli stessi e in quella di consorziati, hanno impugnato una delibera della Giunta regionale che costituisce un gruppo di lavoro per avviare la concreta estinzione dei consorzi, e il relativo atto di trasmissione, chiedendone la sospensione, negata dal TAR adìto. Giudicando in sede di appello contro l'ordinanza del TAR di diniego della sospensione per assenza del danno, il Consiglio di Stato ritiene che si potrebbe invece "intravvedere già in atto la situazione di danno accampata", ma che il testo della legge regionale impedirebbe di considerare sussistente il fumus di fondatezza dei ricorsi, onde anche nella fase cautelare in corso si presenterebbe come rilevante la questione di legittimità costituzionale della predetta legge.
Ricordato come essa fosse stata già impugnata, prima della sua promulgazione, dal Governo, ma con ricorso giudicato inammissibile per tardività del deposito, il Consiglio di Stato afferma di condividere, nella prospettiva di una pronuncia di non manifesta infondatezza, le argomentazioni rappresentate in quella sede dal Governo.
In primo luogo, la legge regionale non sarebbe conforme all'art. 117 della Costituzione, in quanto essa trasferisce alle Province funzioni e poteri per la realizzazione e gestione delle opere di bonifica e irrigazione, che gli artt. 13, 14 e 59 del r.d. n. 215 del 1933, sulla bonifica, e l'art. 27 della legge n. 36 del 1994 sulla gestione delle acque attribuirebbero ai consorzi di bonifica, con disposizioni che, per quanto riguarda la legislazione del 1933, questa Corte avrebbe già individuato, con la sentenza n. 66 del 1992, come recanti principi fondamentali della materia.
In secondo luogo, il trasferimento delle funzioni dei consorzi alla Provincia (prevedendosi che, per i consorzi con circoscrizione eccedente quella provinciale, esse siano attribuite alla Provincia dove é posta la maggior parte del territorio interessato) violerebbe un principio emergente dall'art. 14 della legge n. 142 del 1990 sulle autonomie locali, posto che non vi é corrispondenza fra circoscrizione provinciale e bacino idrico, nel cui ambito si esercitano le funzioni dei consorzi di bonifica: ciò che potrebbe altresì portare pregiudizio al buon andamento dell'amministrazione, di cui all'art. 97 della Costituzione, dato che la Provincia potrebbe essere indotta a favorire la parte di territorio consortile rientrante nella sua circoscrizione, dovendosi prevedere l'insorgere di contrasti nell'ambito del bacino.
In terzo luogo, le norme che più specificamente prevedono la soppressione dei consorzi sarebbero in contrasto con il principio della legislazione statale desumibile dall'art. 73 del d.P.R. n. 616 del 1977, il quale consente bensì alla Regione la soppressione di singoli consorzi, ma non sembrerebbe permettere la eliminazione dell'intera categoria di enti, cui sarebbe riconosciuto un ruolo istituzionale per la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la gestione del patrimonio idrico.
In
quarto luogo, l'art. 4 della legge regionale (che
prevede l’istituzione presso ogni Provincia di un comitato di rappresentanza
delle categorie interessate alla esecuzione, all'esercizio e alla manutenzione
delle opere di bonifica) violerebbe il principio della legislazione statale
ricavabile dall'art. 73 del d.P.R. n. 616 del
Infine, la violazione dei principi della legislazione statale in materia di bonifica comporterebbe anche violazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, non avendo giustificazione un diverso trattamento delle opere di bonifica a seconda che esse riguardino il territorio della Regione Marche o quello di altre Regioni.
2.– Nel corso di un giudizio promosso da un consorzio di bonifica e da due consorziati per l'annullamento della delibera regionale di nomina del commissario liquidatore dello stesso consorzio, il Consiglio di Stato, con ordinanza emessa il 21 ottobre 1997 (R.O. n. 246 del 1998), ha sollevato identica questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli stessi parametri. L'ordinanza é motivata con le stesse considerazioni esposte nelle ordinanze cui si é fatto riferimento al paragrafo precedente.
3.– In tutti i giudizi si é costituita la Regione Marche, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
In particolare, nella memoria di costituzione depositata nel giudizio promosso con l'ordinanza iscritta al n. 245 R.O. 1998, la Regione sostiene che il trasferimento alle Province delle funzioni relative alla realizzazione delle opere di bonifica non viola l'art. 117 della Costituzione in quanto non sarebbe dato rinvenire nella legislazione statale un principio fondamentale che impedisca tale trasferimento. Infatti le funzioni relative alla esecuzione, alla manutenzione e all'esercizio delle opere di bonifica sarebbero attribuite dal r.d. n. 215 del 1933 allo Stato, con la possibilità di utilizzare mediante concessione i consorzi dei proprietari. Questi ultimi dunque non sarebbero titolari dell'attività ma solo concessionari: non vi sarebbero funzioni proprie dei consorzi, che sarebbero enti strumentali per l'esercizio di funzioni che restavano nella titolarità dello Stato. Tale titolarità, con il d.P.R. n. 616 del 1977 (artt. 50, 66 e 73), sarebbe passata interamente alle Regioni, le quali possono avvalersi dei consorzi ai fini dell'esecuzione delle opere di bonifica, qualora non vi procedano direttamente. Non vi sarebbe dunque nell'ordinamento un principio fondamentale che attribuisca ai consorzi la titolarità delle competenze in materia di bonifica.
La legge regionale impugnata sarebbe pienamente conforme ai nuovi principi della autonomia locale stabiliti dalla legge n. 59 del 1997, che prevede il conferimento alle Regioni e agli enti locali di tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonchè di tutte le funzioni e i compiti localizzabili nei rispettivi territori, in atto esercitati da amministrazioni dello Stato ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici (art. 1, comma 2), e in particolare il conferimento della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai Comuni, alle Province e alle comunità montane, in base ai principi di sussidiarietà, di efficienza e di economicità, e quindi anche con la soppressione delle funzioni e dei compiti divenuti superflui (art. 4). La legge regionale avrebbe dato attuazione ai principi di semplificazione organizzativa e di decentramento amministrativo stabiliti dalla legge n. 59 del 1997.
Nè si potrebbe richiamarsi all'art. 27 della legge n. 36 del 1994, che circoscriverebbe l'autonomia dei consorzi di bonifica nell'ambito delle competenze definite dalla legge, senza stabilire a loro favore alcuna riserva di attività.
I consorzi non sarebbero dunque enti necessari; la sentenza n. 66 del 1992 di questa Corte avrebbe precisato che i principi fondamentali della materia riguardano esclusivamente il carattere settoriale delle attività di bonifica, e dunque la specialità degli interventi relativi, da realizzare sulla base di un piano, e l'operatività della bonifica in relazione ad un determinato territorio avente caratteristiche idrogeologiche omogenee.
La Regione, titolare dei poteri in tema di organizzazione, gestione e realizzazione delle opere di bonifica, ben potrebbe delegare alle Province tali funzioni, che si inquadrano nell'ambito delle funzioni di difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell'ambiente e prevenzione delle calamità, e di tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche, che secondo l'art. 14 della legge n. 142 del 1990 spettano appunto alle Province.
La Regione contesta poi che la delega delle funzioni alle Province possa trovare ostacolo nel carattere superprovinciale di taluni dei consorzi soppressi. Infatti la legge regionale, prevedendo l'esercizio delle funzioni da parte della Provincia nel cui territorio ricade la maggior parte del bacino, e la consultazione delle altre Province interessate, metterebbe in atto un meccanismo che concilia in modo equilibrato le esigenze del bacino con i limiti territoriali dell'ente provinciale: la concentrazione delle competenze in un unico ente darebbe attuazione al principio del buon andamento dell'amministrazione.
Sotto altro profilo, la Regione osserva che la soppressione dei consorzi di bonifica é conforme ai principi stabiliti dal d.P.R. n. 616 del 1977, che all'art. 13 prevede i poteri della Regione nei confronti degli enti da essa dipendenti, quali dovrebbero qualificarsi i consorzi in quanto concessionari di un'attività la cui titolarità spetta alla Regione, poteri fra cui dovrebbe ritenersi compreso anche quello di sopprimere gli enti stessi, organizzando diversamente l'attività di bonifica.
Quanto alla rappresentanza dei proprietari, dal r.d. n. 215 del 1933 non si ricaverebbe un principio di rappresentanza necessaria dei soggetti interessati alle opere di bonifica in forma di autogoverno, ma solo la finalità del coinvolgimento dei soggetti interessati nello svolgimento di funzioni pubbliche, coinvolgimento che potrebbe essere realizzato anche con formule diverse da quelle previste per la composizione degli organi consortili. Il sistema adottato dalla Regione Marche non escluderebbe la rappresentanza dei proprietari e non sarebbe in contrasto con i principi espressi dall'art. 44 della Costituzione, che consente di imporre obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata.
Infine, secondo la Regione, il trasferimento alle Province delle funzioni svolte dai consorzi di bonifica sarebbe legittimo anche con riferimento al principio di eguaglianza, in quanto ciascuna Regione avrebbe la possibilità di individuare soluzioni legislative coerenti con gli interessi della comunità regionale, e di adeguare la normativa nazionale alla specialità del proprio territorio. La legge impugnata non comprometterebbe l'impianto della legge statale nè sarebbe contraddittoria rispetto ai valori perseguiti dal legislatore statale, onde non sarebbe violato il principio di ragionevolezza; d'altra parte, negare la possibilità per la Regione di realizzare soluzioni normative modellate sui propri interessi equivarrebbe a negare in radice la stessa potestà normativa regionale.
4.– Si sono costituiti, con memorie di identico contenuto, i ricorrenti nei giudizi di cui alle ordinanze dal n. 238 al n. 245 R.O. 1998, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia accolta in tutti i suoi profili.
Richiamate le norme delle leggi statali sulle funzioni dei consorzi, le parti affermano che dall'art. 73 del d.P.R. n. 616 del 1977 si desume che alle Regioni sono state trasferite le funzioni già esercitate dallo Stato relativamente ai consorzi, ma non le funzioni dei consorzi, onde la Regione non potrebbe sopprimere l'intera categoria degli enti in questione, istituiti con legge statale.
Le parti osservano che nella sentenza n. 66 del 1992 di questa Corte i consorzi vengono indicati come una delle istituzioni principali per la realizzazione degli scopi di difesa del suolo, risanamento delle acque, gestione del patrimonio idrico e tutela dei connessi aspetti ambientali; e che il legislatore statale, anche dopo il trasferimento di funzioni alle Regioni, ha continuato a contemplare e disciplinare i consorzi, considerandoli enti essenziali: in proposito si ricordano la legge n. 183 del 1989 e la legge n. 36 del 1994.
Inoltre la legge n. 59 del 1997, all'art. 1, comma 4, lettera c, avrebbe riservato allo Stato i compiti relativi alla difesa del suolo, nel cui ambito si inserisce l'attività dei consorzi di bonifica.
L'art. 117 della Costituzione sarebbe altresì violato in quanto la legge, prevedendo che la Provincia nel cui territorio ricade la maggior parte del bacino eserciti le funzioni del consorzio soppresso, non avrebbe rispettato il principio in base al quale la Provincia può essere titolare di funzioni solo rispetto al territorio provinciale. Il sistema sarebbe anche privo di coerenza, poichè, essendo i bacini quasi sempre interprovinciali, sono da prevedersi conflitti che non gioverebbero alle opere di bonifica, con violazione anche del principio del buon andamento dell'amministrazione, di cui all'art. 97 della Costituzione.
Sotto un diverso profilo, le parti sostengono che i consorzi non sono enti "pararegionali", ma enti autonomi esponenziali della categoria interessata e di autogoverno ai fini della gestione delle aziende e delle opere di bonifica, dotati del potere di imporre contributi ai proprietari consorziati. Essi dunque non sarebbero enti strumentali della Regione, come dimostrerebbero le affermazioni giurisprudenziali circa la loro natura di enti pubblici economici, sottratti al sistema della tesoreria unica, soggetti alla giurisdizione dei giudici ordinari per quanto riguarda il rapporto di impiego dei loro dipendenti, non soggetti alla giurisdizione contabile della Corte dei conti, e circa l'esclusione della qualità di pubblici ufficiali dei loro funzionari.
La legge impugnata sarebbe altresì in contrasto con gli artt. 41, 42 e 44 della Costituzione, in quanto, declassando i consorzi ad enti strumentali della Regione, per poi sopprimerli, avrebbe compresso il principio della libertà di impresa e quello della garanzia della proprietà privata: i proprietari perderebbero praticamente ogni controllo e ogni cointeressenza nella gestione e nell'esecuzione di opere che coinvolgono direttamente le loro proprietà.
Infine sarebbe violato il principio di eguaglianza, poichè solo nella Regione Marche i proprietari si vedrebbero negato il diritto, di fonte statale e di rilievo costituzionale, di gestire direttamente le opere di bonifica che interessano le loro terre e di associarsi a tal fine.
5.– Si sono costituiti anche i ricorrenti nel giudizio di cui alla ordinanza n. 246 R.O. 1998, chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge impugnata nel suo complesso, in accoglimento delle censure mosse dal giudice a quo.
Riaffermata anzitutto la censura relativa al contrasto con l'art. 14 della legge n. 142 del 1990, per l'attribuzione alle Province di poteri che travalicano l'ambito del territorio provinciale, le parti si soffermano sulla censura di violazione degli artt. 41, 42 e 44 della Costituzione, rilevando che il remittente prospetta due profili di incostituzionalità fra di loro strettamente connessi: da un lato la "pubblicizzazione integrale" dei consorzi di bonifica pregiudicherebbe la forma mista, pubblico-privata, implicitamente recepita dall'art. 44 della Costituzione; dall'altro lato verrebbe revocata in dubbio la qualificazione di enti strumentali attribuita ai consorzi dalla Regione. Secondo le parti, la natura pubblica dei consorzi sarebbe la conseguenza della concezione organica propria dello Stato fascista, e non contraddirebbe la sottostante proprietà privata e la connessa libertà di iniziativa, così che i consorzi dovrebbero considerarsi sia come enti esponenziali dei proprietari, sia come enti autonomi e strumenti di amministrazione diretta da parte dei proprietari delle funzioni di bonifica e di irrigazione. Ulteriori elementi che contraddicono la considerazione "piattamente pubblicistica" dei consorzi sarebbero la loro riconosciuta natura di enti pubblici economici, la loro esclusione dal sistema della tesoreria unica e dalla cosiddetta finanza pubblica allargata, nonchè dalla giurisdizione della Corte dei conti, e altresì l'impossibilità giuridica di qualificare i funzionari dei consorzi come pubblici ufficiali. Si ricorda poi la dottrina che ha ritenuto l'intangibilità da parte del legislatore regionale dell'attuale assetto organizzativo delle bonifiche, anche sulla base delle leggi più recenti che avrebbero irrobustito i principi vigenti: onde a pieno titolo la commissione agricoltura della Camera dei deputati, a conclusione di una recente indagine conoscitiva, avrebbe ritenuto che i consorzi siano una istituzione necessaria.
In stretto collegamento con tale censura si ricorda l'altra, relativa alla compressione del ruolo di autogoverno delle categorie interessate, e la tesi secondo cui non sarebbero nemmeno ammissibili disposizioni legislative regionali che prevedessero un inserimento negli organi dei consorzi di rappresentanti di enti locali in misura così massiccia da esautorare il ruolo dei proprietari consorziati.
Le parti osservano poi che la legge impugnata falsamente presuppone che alle Regioni siano state trasferite le funzioni di competenza dei consorzi, anzichè le sole funzioni statali concernenti i consorzi: e ricordano la tesi dottrinale secondo cui manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica costituirebbero funzioni che competono ai consorzi in via permanente. La normativa statale consentirebbe dunque alla Regione la soppressione di singoli consorzi, ma non la soppressione dell'intera categoria.
Si ricordano infine le censure mosse dal giudice remittente, secondo cui sarebbero violati i principi fondamentali della legislazione statale in forza dei quali la realizzazione e la gestione delle opere di bonifica dovrebbero essere affidate ai consorzi e non ad enti regionali o pararegionali, e secondo cui la violazione dei principi della materia comporterebbe altresì la violazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza.
6.– Si é costituita, nel giudizio di cui alla ordinanza n. 246 R.O. 1998, la Presidenza del Consiglio dei ministri, parte costituita nel giudizio a quo, chiedendo che sia dichiarata la illegittimità costituzionale della legge regionale impugnata.
L'Avvocatura erariale sostiene anzitutto che alle Regioni non sarebbe stata trasferita la materia della bonifica, la quale sarebbe rimasta in capo allo Stato, e per esso, nel caso in esame, alla organizzazione indiretta costituita dai consorzi concessionari, ma solo le funzioni amministrative relative. La legge impugnata non si sarebbe invece limitata a disciplinare le funzioni amministrative concernenti la bonifica, ma, eliminando i consorzi, avrebbe dato alla materia un assetto completamente diverso. La Regione, in altri termini, non potrebbe incidere sulla individuazione del soggetto legittimato a svolgere le funzioni: l'organizzazione soggettiva resterebbe quella voluta dallo Stato, e della quale la Regione dovrebbe continuare ad avvalersi.
La Regione inoltre, sostituendo ai consorzi altri soggetti, avrebbe alterato l'organizzazione territoriale della materia, basata sui comprensori di bonifica, cui corrispondono i consorzi, incidendo, anche sotto questo profilo, su un aspetto che precede l'esercizio delle funzioni amministrative.
In secondo luogo, la difesa della Presidenza del Consiglio afferma che la legge impugnata non rispetta i limiti derivanti alla legislazione regionale dai principi di quella statale. Infatti il r.d. n. 215 del 1933 individuerebbe nei consorzi i soggetti cui é affidata in concessione l'esecuzione delle opere di bonifica e cui spetta istituzionalmente l'attività di gestione e manutenzione delle stesse opere: sistema non modificato dal d.P.R. n. 11 del 1972, il cui art. 3 faceva salve le funzioni di carattere esclusivamente locale già esercitate, fra l'altro, nelle materie trasferite, dagli "altri enti locali". A sua volta il d.P.R. n. 616 del 1977 avrebbe fatto salva l'autonomia dei consorzi, come si ricaverebbe dall'art. 73, onde la Regione incontrerebbe un limite insormontabile nel doveroso riconoscimento dell'istituto del consorzio di bonifica. Quand'anche ai consorzi potesse attagliarsi la qualifica di enti dipendenti dalla Regione, i poteri regionali ad essi relativi non sarebbero quelli desumibili dall'art. 13 del d.P.R. n. 616, ma quelli specificamente disciplinati dall'art. 73.
Tale situazione, secondo la Presidenza del Consiglio, si collegherebbe al fatto che, essendo l'istituto consortile espressione del principio del pluralismo sociale, garantito dall'art. 18 della Costituzione, le leggi statali che lo prevedono lo farebbero oggetto di una garanzia che rappresenta un limite per la legislazione regionale.
Ciò sarebbe confermato da altre leggi statali, come la legge n. 183 del 1989, modificata con la legge n. 253 del 1990, che stabilisce il concorso dei consorzi di bonifica alle attività di difesa del suolo, di risanamento delle acque, di gestione del patrimonio idrico, di tutela dei comuni aspetti ambientali, e la legge n. 36 del 1994, il cui art. 27 presuppone la esistenza dei consorzi di bonifica e lo svolgimento da parte di essi di attività di realizzazione e gestione di reti irrigue.
In definitiva, secondo la parte, il sistema disegnato nel r.d. n. 215 del 1933 metterebbe capo ad una disciplina nella quale i consorzi rappresenterebbero elemento fondamentale, espressione di un modo associativo di concepire e sviluppare la bonifica. Coerentemente con tale disegno, la normativa di trasferimento delle funzioni alle Regioni non avrebbe attribuito ad esse il potere di sopprimere in modo generalizzato i consorzi.
Inoltre la legge impugnata, secondo l'Avvocatura erariale, contrasterebbe col principio costituzionale del decentramento (art. 5 Cost.), e dell'autonomia degli enti locali (art. 128), in base al quale le funzioni delle Province sono determinate nell'ambito di principi fissati da leggi generali della Repubblica: principio esplicitato dall'art. 14 della legge n. 142 del 1990 e la cui violazione comporterebbe altresì contrasto con l'art. 97 della Costituzione. Infatti la legge impugnata assegnerebbe alle Province funzioni relative ad aree di estensione ultraprovinciale; attribuirebbe alle Province stesse funzioni nel settore delle bonifiche, non previsto dal citato art. 14 della legge n. 142 del 1990; ed inoltre, sopprimendo i consorzi, comporterebbe l'eliminazione delle contribuzioni che i consorziati sono tenuti a versare, così chiamando le Province a svolgere dei compiti senza prevedere le risorse finanziarie occorrenti, e violando ulteriormente la loro autonomia. Nè, mancando una apposita previsione, potrebbe farsi ricorso ad accordi fra Province per l'esercizio di compiti ultraprovinciali.
Infine la Presidenza del Consiglio afferma che l'art. 4 della legge impugnata violerebbe l'art. 117 della Costituzione perchè relegherebbe i soggetti interessati alla bonifica, vale a dire i proprietari, al ruolo di partecipi ad una semplice attività consultiva, privandoli delle funzioni di autogoverno dei propri interessi, loro assegnate dal sistema legislativo statale.
7.– Nell'imminenza dell'udienza hanno prodotto memorie la Regione Marche, il Consorzio di bonifica dei bassi bacini del Musone, del Potenza e del Chienti e dei bacini litoranei dell'Asola e del Pilocco, il Consorzio di bonifica della Valle del Tenna e il Consorzio di bonifica dell'ASO, illustrando ulteriormente le rispettive tesi.
In particolare, la Regione Marche ribadisce che i consorzi si configuravano come enti strumentali dello Stato, e che con il trasferimento delle funzioni in materia di bonifica alle Regioni sono divenuti enti strumentali di queste ultime, le quali possono procedere all'esecuzione delle opere di bonifica direttamente ovvero tramite i consorzi.
La Regione contesta la distinzione, formulata dalla difesa della Presidenza del Consiglio, fra la materia della bonifica e l'esercizio delle relative funzioni amministrative, affermando, sulla scorta della sentenza n. 66 del 1992 di questa Corte, che le attività di bonifica trasferite alla competenza delle Regioni costituiscono un settore della generale programmazione del territorio, e più precisamente di quella riguardante la difesa e la valorizzazione del suolo con particolare riguardo all'uso delle risorse idriche.
Ribadito che l'esistenza dei consorzi non rientrerebbe fra i principi fondamentali della materia, che riguarderebbero solo le caratteristiche degli interventi di bonifica e non i consorzi, e che le funzioni in materia, di titolarità regionale, potevano essere delegate alle Province, la Regione si sofferma sulle disposizioni del d.lgs. n. 112 del 1998, che, all'art. 1, comma 2, riafferma il potere degli enti cui sono conferite le funzioni di stabilire le relative modalità di organizzazione; all'art. 3, comma 2, prevede l'attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai Comuni, alle Province e alle Comunità montane, con esclusione delle sole funzioni che richiedono l'unità di esercizio a livello regionale; all'art. 7 precisa che sono conferiti alle Regioni e agli enti locali tutte le funzioni e i compiti non espressamente conservati allo Stato; e in tema di territorio ed urbanistica e di risorse idriche e difesa del suolo conferisce alle Regioni e agli enti locali tutte le funzioni amministrative non espressamente mantenute in capo allo Stato, fra cui non rientrano quelle relative alla bonifica. La Regione sostiene l'impossibilità di una interpretazione del riparto delle competenze nel senso prospettato dal giudice a quo.
Nella memoria si ribadiscono poi le tesi già svolte circa l'irrilevanza della mancanza di corrispondenza fra circoscrizioni provinciali e bacini idrografici, e circa l'applicabilità dell'art. 13 del d.P.R. n. 616 del 1977, dato il carattere di enti strumentali della Regione assunto dai consorzi; si contesta quindi la fondatezza della censura, mossa dalla Presidenza del Consiglio, circa l'accollo alle Province delle nuove funzioni senza previsione di risorse finanziarie, ricordando che l'art. 8 della legge impugnata attribuisce alle Province il compito di riscuotere i contributi stabiliti a carico dei proprietari a norma del r.d. n. 215 del 1933, e osservando che nella relazione al disegno di legge poi approvato dalla Regione si indicava il deficit finanziario dei consorzi come una delle ragioni della necessaria riorganizzazione delle funzioni in materia di bonifica.
Si nega inoltre che siano violati l'art. 117 e gli artt. 41, 42 e 44 della Costituzione dall'art. 4 della legge, che stabilisce una forma di partecipazione dei soggetti interessati alla bonifica, mediante l'istituzione dei comitati di rappresentanza, che tiene presente l'esigenza di salvaguardare gli interessi di tali soggetti: il sistema prescelto rappresenterebbe una alternativa ragionevole ed efficace al sistema imperniato sui consorzi, alternativa che non escluderebbe le funzioni di rappresentanza dei proprietari. Infine si ribadisce che il trasferimento delle funzioni alle Province non lede i principi di eguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione.
8.– Nelle memorie, di identico contenuto, presentate dai Consorzi ricorrenti nei giudizi di cui alle ordinanze n. 238 e n. 241 del 1998, si sostiene anzitutto che i principi fondamentali in materia di bonifica, desumibili dal r.d. n. 215 del 1933, consistono nell'appartenenza diretta ai proprietari dell'obbligo di bonificare i loro terreni, nella possibilità e talora obbligatorietà di costituzione, anche d'ufficio, dei consorzi di proprietari, dotati di personalità giuridica pubblica, autonomia di bilancio, proprio personale e finanziamento mediante il meccanismo delle contribuzioni da parte dei proprietari, e nella riserva allo Stato solo dell'esecuzione di alcune opere. Da questo quadro normativo emergerebbe che i consorzi sono enti esponenziali dei proprietari, autonomi, autogovernati e autofinanziati: la possibilità di concessione ai consorzi per l'esecuzione delle opere di competenza dello Stato costituirebbe un mero completamento del sistema. La legge impugnata avrebbe invece stravolto tale sistema.
Le parti, replicando alle tesi della Regione Marche, insistono sul fatto che le attività di bonifica spettano, salvo alcune opere riservate allo Stato, ai proprietari, e che a tal fine la legge prevede il modulo organizzativo dei consorzi: onde alla Regione, in forza dell'art. 73 del d.P.R. n. 616 del 1977, sarebbero state trasferite solo le funzioni esercitate dallo Stato concernenti i consorzi, e non già l'intera attività di bonifica. Contestano poi che argomenti favorevoli alla possibilità per la Regione di sopprimere i consorzi possano trarsi dalla legge n. 59 del 1997, la quale anzi riserverebbe in modo espresso allo Stato i compiti relativi alla difesa del suolo, nel cui ambito si inserirebbe l'attività dei consorzi; mentre la possibilità di sopprimere funzioni e compiti di enti locali, divenuti superflui, di cui é parola nell'art. 4 della stessa legge, non potrebbe comportare la soppressione dei consorzi, tanto più che essi non sarebbero enti locali, come ha chiarito questa Corte nella sentenza n. 346 del 1994.
La
memoria sottolinea il fatto che il legislatore
statale, dopo il d.P.R. n. 616 del 1977, e anche dopo
la legge n. 59 del
La memoria ribadisce poi che sarebbe in contrasto con l'art. 14 della legge n. 142 del 1990 sulle autonomie locali, e con il principio di buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione, l'attribuzione alle Province di funzioni anche per le parti del bacino idrografico non rientranti nel rispettivo territorio; che sarebbe errata la configurazione dei consorzi come enti strumentali della Regione, laddove essi sarebbero enti autonomi, onde sarebbero altresì violati i principi di libertà di impresa e di garanzia della proprietà privata. Contesta infine che sussistano nelle Marche elementi di specialità del relativo territorio tali da giustificare, solo in questa Regione, la soppressione dei consorzi.
9.– Nella memoria del Consorzio dell'ASO si ripercorre l'evoluzione secolare della legislazione sulla bonifica, rilevando che il fenomeno consortile preesiste alla sua pubblicizzazione, essendo sorto allo scopo di consentire la migliore utilizzazione agricola e l'irrigazione dei terreni superando l'opposizione o l'assenteismo di singoli proprietari. A tale impostazione corrisponderebbe la natura, conservata anche oggi, dei consorzi come enti autonomi, rappresentativi degli interessi della collettività costituita dai proprietari degli immobili. Alla fine del secolo scorso, volendosi realizzare interventi di eccezionale importanza eccedenti i confini dell'economia privata, senza ricorrere a massicci contributi finanziari a favore dei proprietari, si inquadrò l'intervento finanziario nell'ambito della disciplina delle opere pubbliche, ricomprendendo in tale categoria gli interventi fondamentali di bonifica.
I consorzi – prosegue la memoria – hanno in via esclusiva la funzione di manutenzione e di esercizio delle opere, e curano la programmazione, la progettazione e l'esecuzione delle opere finanziate, limitandosi l'intervento dello Stato (oggi della Regione) al finanziamento. Benchè lo Stato (oggi la Regione) possa scegliere fra esecuzione delle opere in via diretta o mediante concessione, ai consorzi é attribuito il diritto di preferenza ai fini della concessione: di fatto non risulterebbero opere di bonifica eseguite direttamente dallo Stato. Ciò sarebbe confermato dalla legge n. 64 del 1986 che, per il Mezzogiorno, ha trasformato l'opera di bonifica di competenza statale in opera finanziata dallo Stato.
Una volta qualificati come opere pubbliche i più importanti interventi di bonifica, ne derivò necessariamente la attribuzione di natura pubblica ai consorzi chiamati a curare l'esercizio e la manutenzione delle opere stesse, senza che però ne mutasse la natura di enti esponenziali dei proprietari, dotati di autonomia: tanto é vero che l'art. 1 del d.P.R. n. 947 del 1962 prevede che i consorzi siano amministrati da organi eletti esclusivamente dai consorziati, e che l'art. 63 del r.d. n. 215 del 1933 sottopone i consorzi a controlli quasi esclusivamente di legittimità.
La parte osserva ancora che, a differenza dei consorzi di bonifica, i consorzi di bonifica montana, istituiti per la prima volta solo con la legge n. 991 del 1952 per una malintesa esigenza di simmetria, e più tardi soppressi da parte di alcune Regioni, erano una creazione artificiosa in quanto priva di substrato economico-sociale, e si rivelarono un fallimento per la mancata acquisizione, da parte dei proprietari, di una coscienza consortile, ed il loro correlativo estraniarsi dalla vita dei consorzi.
I consorzi di bonifica rappresentano, secondo la parte, una proiezione necessaria della proprietà e dell'impresa: l'azione di bonifica costituirebbe parte integrante del processo produttivo agricolo, e sarebbe stata considerata dall'art. 44 della Costituzione così come regolata dalla nostra legislazione. I consorzi costituirebbero il punto di incontro fra gli interessi della proprietà consorziata e le istanze dello Stato: onde la veste pubblicistica loro attribuita non comporterebbe la loro recezione nell'orbita dello Stato o del parastato.
La
dissociazione, realizzata dalla legge marchigiana, tra i soggetti interessati
sotto il profilo economico e i soggetti cui competono le relative
determinazioni sarebbe irragionevole e priva di ogni giustificazione, anche nel
divenire delle situazioni, che ha portato fra l'altro alla accentuazione
ed integrazione, da parte di leggi successive, delle funzioni consortili,
previste dal r.d. n. 215 del
In definitiva, dovrebbero identificarsi tre punti fermi: primo, la peculiare natura giuridica dei consorzi, enti a struttura associativa rappresentativi della proprietà privata; secondo, la loro qualificazione come enti autonomi e strumenti di amministrazione diretta, da parte dei proprietari, delle funzioni di bonifica; terzo, la loro insopprimibilità in quanto istituzioni necessarie per assicurare la difesa del suolo, la raccolta e l'utilizzazione delle acque e la salvaguardia dell'ambiente, come ritenuto dalla commissione agricoltura della Camera nel documento conclusivo della indagine conoscitiva sui consorzi. Questi non rientrerebbero nè fra gli enti locali, difettando in essi la territorialità e la rappresentatività degli interessi comunitari, nè fra gli enti amministrativi dipendenti dalla Regione, essendo dotati di autonomia imprenditoriale, patrimoniale e contabile, come enti pubblici economici.
La qualificazione pubblicistica sarebbe stata impressa ai consorzi per sottoporli ai più agili controlli della pubblica amministrazione, sottraendoli al macchinoso sistema degli interventi dell'autorità giudiziaria. Onde dovrebbe concludersi che l'art. 73 del d.P.R. n. 616 del 1977 non contempla il potere di soppressione generalizzata dei consorzi, che nemmeno il legislatore statale possederebbe, in quanto lo impedirebbero gli artt. 41, 42 e 44 della Costituzione.
Si osserva poi che la legge impugnata andrebbe contro la linea di tendenza legislativa che muove verso la trasformazione di enti pubblici non necessari in quanto tali in associazioni o in persone giuridiche di diritto privato; e attribuirebbe alle Province funzioni che esse non sono in grado di svolgere e che sono in contrasto con i principi dell'ordinamento, per la non coincidenza dei bacini con i territori provinciali.
Da ultimo la memoria sottolinea l'isolamento in cui si sarebbe trovata la Regione Marche nella sua scelta: infatti le altre Regioni avrebbero di regola fatto rientrare nell'ambito della bonifica le azioni mirate alla difesa del suolo, alla utilizzazione delle acque a scopo prevalentemente irriguo e alla salvaguardia ambientale, operando, per quanto riguarda l'istituto consortile, una meritoria opera di riorganizzazione strutturale, da cui sono derivati processi di fusione dei consorzi. Questi sono oggi 180, e operano sul 50% del territorio nazionale e su circa il 90% del territorio di pianura, gestendo un numero assai ingente di opere (canali irrigui e di scolo, argini, briglie e sbarramenti, impianti idrovori e di sollevamento delle acque, invasi per uso prevalentemente irriguo, acquedotti rurali).
Considerato in
diritto
1.– I giudizi, aventi il medesimo oggetto, possono essere riuniti per essere decisi con unica pronuncia.
2.– La questione proposta investe la legge della Regione Marche 9 maggio 1997, n. 30 (Disciplina regionale della bonifica. Attribuzione di funzioni alle Province in attuazione della legge 8 giugno 1990, n. 142. Soppressione dei consorzi di bonifica). Detta legge si articola in un capo I (Programmazione ed esecuzione delle opere di bonifica) in cui si enunciano le finalità perseguite, in particolare statuendo che le opere di bonifica "sono finalizzate al riequilibrio del territorio ed al suo razionale sfruttamento, alla difesa del suolo, delle acque e dell’ambiente" (art. 1); si delineano le funzioni della Regione in materia (art. 2), e quelle delle Province, alle quali sono devolute anche le funzioni amministrative di competenza dei soppressi consorzi di bonifica integrale (art. 3); si prevede la istituzione presso ogni Provincia di un comitato di rappresentanza delle categorie interessate (art. 4), di cui si disciplina l’elezione da parte dei soggetti che pagano i contributi per l’esecuzione, l’esercizio e la manutenzione delle opere di bonifica (art. 5); si sopprimono i pareri già richiesti ai comitati tecnici per la bonifica (art. 6); si disciplina l’esecuzione, da parte delle Province e delle comunità montane, delle opere di competenza privata (art. 7); si prevede che i proprietari di beni immobili beneficiari degli interventi di bonifica contribuiscano alle spese, sulla base di un riparto effettuato dalle Province (art. 8); e in un capo II (Soppressione dei consorzi di bonifica integrale), nel quale, oltre a disporre la soppressione dei consorzi (art. 9), si regolamentano le operazioni di liquidazione dei consorzi soppressi (art. 10), nonchè il trasferimento dei relativi beni e personale alle Province (artt. 11 e 12); si dettano norme transitorie (art. 13), e si dispone l’abrogazione espressa della legge regionale n. 13 del 1985, salva la disciplina transitoria (art. 14).
La legge é impugnata sia "nel suo testo integrale", sia, in particolare, quanto agli articoli 3 (Funzioni delle province), con speciale riguardo al comma 3 (che attribuisce alle Province le funzioni amministrative di competenza dei soppressi consorzi di bonifica), 4 (Rappresentanza delle categorie interessate), 7 (Opere di competenza privata), 8 (Contributi di privati), 9 (Soppressione dei consorzi di bonifica integrale), 13 (Norme transitorie).
Sostanzialmente, le ordinanze affermano che la legge regionale, disponendo la soppressione dei consorzi di bonifica, attribuendone le funzioni alle Province (in particolare, nel caso di consorzi costituiti in comprensori ultraprovinciali, alla Provincia nel cui territorio ricade la maggior parte del bacino: art. 3, comma 4), e prevedendo solo la istituzione presso le Province di comitati di rappresentanza delle categorie interessate, viola l’art. 117 della Costituzione, poichè trasferisce alle Province funzioni che il r.d. n. 215 del 1933 e l’art. 27 della legge n. 36 del 1994 attribuirebbero ai consorzi di bonifica, con disposizioni di principio vincolanti per il legislatore regionale; eccede i poteri consentiti alla Regione dall’art. 73 del d.P.R. n. 616 del 1977, che prevederebbe la possibilità di soppressione di singoli consorzi ma non dell’intera categoria di tali enti, e attribuirebbe alle Regioni le sole funzioni già spettanti allo Stato sui consorzi, ma non le funzioni dei consorzi stessi, i quali dovrebbero considerarsi strumenti di autogoverno della categoria dei proprietari interessati. Sotto quest’ultimo profilo, la legge violerebbe altresì gli artt. 41, 42 e 44 della Costituzione, riducendo il ruolo dei proprietari ad una mera partecipazione consultiva all’attività della Provincia, nonchè l’art. 3 della stessa Costituzione, realizzando una disciplina ingiustificatamente differenziata delle opere di bonifica riguardanti il solo territorio marchigiano.
3.– La questione é fondata nei limiti e nei termini di seguito precisati.
Non può accogliersi la prospettazione, avanzata dalla difesa della Presidenza del Consiglio dei ministri, secondo cui la materia della bonifica sarebbe rimasta di competenza statale, essendo state trasferite alle Regioni solo le relative funzioni amministrative. In realtà la materia della "bonifica integrale e montana" risulta inclusa in quella della "agricoltura e foreste", di competenza regionale, come individuata dall’art. 66, primo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, oltre ad inquadrarsi per diversi aspetti nelle attribuzioni regionali in tema di assetto ed utilizzazione del territorio; e il trasferimento, con detta norma completato, delle relative funzioni amministrative non ha solo l’effetto di consentire l’esercizio da parte delle Regioni dei compiti già di pertinenza, in questa materia, degli organi dello Stato, ma altresì l’effetto di rendere esercitabile la potestà legislativa regionale nella materia medesima, ai sensi dell’art. 117 e della VIII disp. trans. fin., secondo comma, della Costituzione, e dell’art. 9, secondo comma, della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (come sostituito dall’art. 17, ultimo comma, della legge 16 maggio 1970, n. 281), con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali della legislazione statale nella materia. In tanto l’organizzazione amministrativa del settore, risultante dalla normativa statale previgente, deve essere conservata, e non può essere innovata dalla Regione, in quanto in essa si esprimano principi fondamentali della relativa disciplina.
Ad escludere, pertanto, la possibilità per la Regione di sopprimere la categoria dei consorzi di bonifica, trasferendone le funzioni alle Province, non può bastare il richiamo all’art. 73 del d.P.R. n. 616 del 1977, che, individuando le funzioni amministrative oggetto del trasferimento alle Regioni, ha bensì limitato la propria considerazione alle funzioni che gli organi statali esercitavano nei confronti dei consorzi, ma senza che ciò valga di per sè a negare o a limitare la potestà legislativa della Regione, anche riguardo alla organizzazione e alla distribuzione delle funzioni amministrative che si esercitano nella materia.
Nè le norme di leggi statali previgenti, che prevedono compiti amministrativi in capo ai consorzi di bonifica costituiti fra i proprietari, possono considerarsi norme direttamente attributive di funzioni a tali soggetti in quanto "enti locali", titolari di funzioni proprie di interesse esclusivamente locale, in materia di competenza regionale, ai sensi dell’art. 118, primo comma, della Costituzione. Infatti, come questa Corte ha già avuto modo di affermare (sia pure a proposito del regime dei controlli sugli atti: sentenza n. 346 del 1994), i consorzi di bonifica non sono "enti locali" nel senso della disposizione costituzionale ora citata, difettando di caratteristiche come la territorialità e la rappresentatività diretta o indiretta degli interessi comunitari (cfr. sentenza n. 164 del 1990); ma appartengono piuttosto, nel loro profilo pubblicistico, alla categoria degli "enti pubblici locali" operanti nelle materie di competenza regionale, e dunque degli "enti amministrativi dipendenti dalla Regione" di cui all’art. 117, primo alinea, della Costituzione e all’art. 13 del d.P.R. n. 616 del 1977, della cui organizzazione e delle cui funzioni la Regione può disporre nell’ambito e nei limiti della propria potestà legislativa.
4.– Si tratta perciò, al fine di vagliare la legittimità delle scelte operate dal legislatore regionale delle Marche, di individuare i "principi fondamentali" che emergono dalla legislazione statale nella materia della bonifica, e che vincolano la potestà regionale.
Come é noto, l’unica disciplina organica della bonifica "integrale" si trova tuttora nelle disposizioni del r.d. n. 215 del 1933, come integrato da leggi più particolari successivamente intervenute. In base a tale disciplina, le opere di bonifica, intese come complesso di interventi "speciali" relativi ad un territorio determinato e delimitato in base alle sue caratteristiche idrogeologiche, e costituenti oggetto di una programmazione di settore (cfr. sentenza n. 66 del 1992) vengono distinte in opere "di competenza dello Stato" (capo III del titolo II), necessarie "ai fini generali della bonifica" (art. 2, secondo comma), eseguite a carico totale o parziale dello Stato, sia pure col concorso finanziario obbligatorio dei privati (capo II del titolo II), e opere "di competenza privata" (capo V del titolo II), cioé di competenza dei proprietari, in quanto "di interesse particolare dei propri fondi" (art. 38, primo comma), rese dal piano obbligatorie per i proprietari medesimi in quanto "necessarie ai fini della bonifica" (art. 2, terzo comma), ed eseguite a loro cura e a loro carico, sia pure con l’eventuale concorso finanziario dello Stato (art. 8).
Secondo la disciplina del r.d. n. 215 del 1933, alla esecuzione delle opere di competenza statale provvede il Ministero dell’agricoltura (ora la Regione), direttamente o per concessione, accordata in questo caso prioritariamente al consorzio dei proprietari dei terreni da bonificare o al proprietario della maggior parte di essi (art. 13, primo e secondo comma); la manutenzione e l’esercizio di dette opere, salvo alcune categorie di esse, sono posti a carico dei proprietari (art. 17, primo comma), e sono assicurati normalmente da un consorzio di proprietari (art. 18, primo comma). All’esecuzione delle opere di competenza privata provvedono i proprietari, direttamente o attraverso il consorzio, tenuto ad assumerla (art. 41, primo comma), nonchè a sostituirsi ai proprietari inadempienti (art. 42, primo comma). In ogni caso i proprietari sono tenuti a contribuire alle spese di esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere pubbliche di bonifica, in base ad un riparto effettuato di norma dai consorzi, in ragione dei benefici conseguiti (art. 11), configurandosi i contributi come oneri reali sui fondi (art. 21), e dal punto di vista costituzionale come prestazioni patrimoniali imposte in base alla legge (sentenza n. 55 del 1963).
I
consorzi di bonifica, a cui é dedicato il capo I del
titolo V del r.d. n. 215, sono contemplati altresì, nei loro lineamenti
fondamentali, dall’art. 862 del codice civile. Ancorchè
qualificati come "persone giuridiche pubbliche" (art. 59 r.d. n. 215
del 1933; art. 862, quarto comma, cod. civ.), e
costituiti con atto dell’autorità amministrativa, fra tutti i proprietari
dell’ambito considerato, su iniziativa della maggioranza di questi (art. 55
r.d. n. 215 del 1933), o "eccezionalmente" anche d’ufficio (art. 56),
e assoggettati ai poteri di conformazione, di vigilanza e di tutela
dell’autorità amministrativa (artt. da
5.– Fanno parte senza dubbio dei principi fondamentali tuttora vigenti nella materia, non derogabili ad opera del legislatore regionale nell’esercizio della potestà legislativa concorrente, sia la distinzione fra opere di bonifica di competenza pubblica (già statale), caratterizzate da una preminente finalizzazione agli interessi pubblici legati alla bonifica, e opere di competenza privata, in quanto di interesse particolare dei fondi inclusi nel comprensorio di bonifica; sia il connesso duplice carattere dei consorzi, e in particolare la loro qualificazione come enti a struttura associativa. Onde solo il legislatore statale potrebbe sciogliere definitivamente l’intreccio di pubblico e di privato che nei consorzi si esprime, per separare in modo netto le manifestazioni dell’autonomia privata dai caratteri pubblicistici impressi a tali enti dalla legislazione pre-costituzionale.
Ciò consegue anche all’operare del limite, che il legislatore regionale incontra, di non poter alterare le regole fondamentali di diritto concernenti la disciplina dei rapporti fra privati (cfr., ad esempio, sentenze n. 82 del 1998; n. 462 del 1995; n. 35 del 1992).
6.– Altro discorso é da farsi con riguardo alle funzioni schiettamente pubblicistiche o amministrative dei consorzi, e ai poteri della Regione nel riassetto di tali funzioni.
Non possono ritenersi far parte dei principi fondamentali della legislazione statale nella materia nè la norma che prevede la preferenza a favore dei consorzi ai fini della concessione per la esecuzione delle opere di bonifica "di competenza statale" che l’amministrazione pubblica non esegue direttamente (art. 13, secondo comma, r.d. n. 215 del 1933); nè la norma che pone la manutenzione e l’esercizio di tali opere a carico esclusivo dei proprietari degli immobili situati entro il perimetro di contribuenza (art. 17, primo comma); nè quella che attribuisce di regola ai consorzi di bonifica la manutenzione e l’esercizio delle medesime opere, salve determinate categorie di esse (art. 18, primo comma, r.d. n. 215 del 1933).
Tale assetto dei compiti amministrativi e degli oneri era infatti coerente con una situazione nella quale, pur superate le primitive concezioni della bonifica "igienica", le attività di bonifica erano comunque volte principalmente a realizzare migliori condizioni fisiche e produttive dei fondi agricoli, e di conseguenza i proprietari di detti fondi erano chiamati non solo ad eseguire e mantenere a proprio carico le opere di bonifica "di competenza privata" e le opere di miglioramento fondiario, indipendenti dai piani generali di bonifica (anch’esse considerate come parte della "bonifica integrale": cfr. art. 1, primo comma, r.d. n. 215 del 1933), ma anche a contribuire in modo più o meno consistente all’onere di esecuzione delle opere "di competenza statale" (salvo quelle a totale carico dello Stato), e a sostenere i relativi oneri di manutenzione e gestione.
Questa situazione é andata evolvendo negli anni più recenti, così che oggi le attività di bonifica fanno parte della più ampia azione pubblica per la difesa del suolo, la tutela, la valorizzazione e il corretto uso delle risorse idriche, la tutela dell’ambiente come ecosistema, in una concezione globale degli interventi sul territorio (cfr. sentenza n. 66 del 1992): azione che per sua natura coinvolge preminenti interessi pubblici, facenti capo alle comunità territoriali nel loro complesso più che a singole categorie di soggetti privati.
Il legislatore statale, pur non avendo provveduto a dettare nuove norme di principio in tema di bonifica, ha però disciplinato un articolato sistema di programmazione complessiva degli interventi per la difesa del suolo, incentrato sul ruolo dei piani di bacino e delle autorità di bacino per i bacini di rilievo nazionale (legge 18 maggio 1989, n. 183), nel cui ambito ha fra l’altro previsto l’adeguamento ai piani di bacino anche dei piani generali di bonifica (art. 17, comma 4, legge cit.); e ha, per altro verso, dettato nuove norme in materia di risorse idriche (legge 5 gennaio 1994, n. 36), prevedendo, nell’ambito di un principio generale di pubblicità di tutte le acque (art. 1, comma 1, legge cit.), una organizzazione territoriale del "servizio idrico integrato" fondata sulla delimitazione di "ambiti territoriali ottimali" e sul ruolo di organizzazione e di gestione del servizio attribuito a Comuni e Province (artt. 8 e 9 legge cit.).
In questo quadro, le leggi dello Stato prevedono bensì che i consorzi di bonifica concorrano, secondo le rispettive competenze, alla realizzazione delle attività di difesa del suolo e partecipino all’esercizio delle funzioni regionali in materia (art. 1, comma 4, e art. 11, comma 1, legge n. 183 del 1989); e che essi, nell’ambito delle competenze definite dalla legge, abbiano la facoltà di realizzare e gestire reti irrigue, acquedotti rurali e altri impianti funzionali ai sistemi irrigui e di bonifica (art. 27, comma 1, legge n. 36 del 1994): ma non pongono vincoli alle Regioni in ordine all’assetto e alla distribuzione delle funzioni amministrative incidenti in questa materia.
Sicchè non può ritenersi precluso al legislatore regionale di dar vita ad un nuovo assetto di tali funzioni, e così anche di attribuire funzioni pubbliche, già esercitate dai consorzi di bonifica, ad altri enti pubblici, in ispecie territoriali, anche in attuazione e in coerenza con i principi dell’ordinamento delle autonomie locali dettati dalla legge n. 142 del 1990, che riconosce come di spettanza delle Province le funzioni di interesse provinciale "che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale", fra l’altro nei settori della "difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell’ambiente e prevenzione delle calamità" e della "tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche" (art. 14, comma 1, lettere a e b, legge cit.).
7.– Nè, da questo punto di vista, può costituire ostacolo insormontabile la non coincidenza dei confini degli enti territoriali, come la Provincia, con gli ambiti cui si riferisce la pianificazione nel settore della bonifica, e così con i comprensori di bonifica o i bacini idrografici: ben potendo il legislatore regionale prevedere opportuni sistemi di coordinamento, analoghi a quelli che il legislatore statale ha previsto per funzioni attribuite alle Regioni, da esercitarsi con riguardo ad ambiti territoriali interregionali (cfr. ad esempio l’art. 20, comma 2, della legge n. 183 del 1989, sui piani di bacino di rilievo regionale; e lo stesso art. 73, secondo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, sui consorzi di bonifica interregionali).
8.– La legge impugnata non si é però limitata a riordinare l’esercizio delle funzioni pubbliche in tema di bonifica, e in particolare di quelle già esercitate dai consorzi di bonifica, ma ha inteso disporre dell’esistenza stessa di questi ultimi, con la loro soppressione ed il passaggio alle Province di tutte le loro funzioni, ivi compresa l’esecuzione delle opere di competenza privata, nonchè dei beni e del personale. In tal modo ha violato i principi fondamentali della legislazione statale nella materia.
L'impianto
della legge é tuttavia unitario: la dichiarazione di illegittimità
costituzionale deve perciò colpire non solo le disposizioni che prevedono la
soppressione dei consorzi, la conseguente liquidazione e il trasferimento dei
beni e del personale (articoli 9, 10, 11 e 12), ma anche le disposizioni che
attribuiscono alle Province tutte le funzioni in ordine alle opere di bonifica,
ivi comprese quelle già spettanti ai consorzi di bonifica, anche riguardo alle
opere di competenza privata (artt. 3 e 7, e il connesso art. 6); che
istituiscono e disciplinano i comitati di rappresentanza delle categorie
interessate, configurati sostanzialmente come sostitutivi dei soppressi
consorzi (artt. 4 e 5); che attribuiscono alle Province, sostituite anche in
questo ai consorzi, il compito di ripartire e di riscuotere le quote di spesa
gravanti sui beneficiari delle opere di bonifica (art. 8); nonchè
le norme transitorie strettamente connesse alle disposizioni colpite (art. 13,
commi da
Restano
invece indenni, perchè non coinvolti nella censura
qui accolta, nè connessi alle altre disposizioni
dichiarate illegittime, gli articoli 1 e 2, oltre al
comma 1 dell’art.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la illegittimità costituzionale degli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 - limitatamente ai commi 2, 3, 4 e 5 – e 14 della legge della Regione Marche 9 maggio 1997, n. 30 (Disciplina regionale della bonifica. Attribuzione di funzioni alle Province in attuazione della legge 8 giugno 1990, n. 142. Soppressione dei consorzi di bonifica).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1998.
Presidente: Giuliano VASSALLI
Redattore: Valerio ONIDA
Depositata in cancelleria il 24 luglio 1998.