Sentenza n. 265 del 2013

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SENTENZA N. 265

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Gaetano                        SILVESTRI                                                   Presidente

-           Luigi                             MAZZELLA                                                   Giudice

-           Sabino                           CASSESE                                                               "

-           Giuseppe                       TESAURO                                                              "

-           Paolo Maria                   NAPOLITANO                                                      "

-           Giuseppe                       FRIGO                                                                    "

-           Paolo                             GROSSI                                                                  "

-           Giorgio                          LATTANZI                                                             "

-           Aldo                              CAROSI                                                                 "

-           Marta                            CARTABIA                                                            "

-           Sergio                            MATTARELLA                                                     "

-           Mario Rosario               MORELLI                                                              "

-           Giancarlo                      CORAGGIO                                                           "

-           Giuliano                        AMATO                                                                  "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 30, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana 15 giugno 1988, n. 11 (Disciplina dello stato giuridico ed economico del personale dell’Amministrazione regionale per il triennio 1985-1987 e modifiche ed integrazioni alla normativa concernente lo stesso personale), promosso dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana – sezioni riunite, nel procedimento vertente tra Insinga Antonio ed altri e l’Assessorato dei beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione della Regione siciliana, con ordinanza del 17 aprile 2012, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Udito nella camera di consiglio del 23 ottobre 2013 il Giudice relatore Aldo Carosi.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 17 aprile 2012 il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana - sezioni riunite ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 30, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana 15 giugno 1988, n. 11 (Disciplina dello stato giuridico ed economico del personale dell’Amministrazione regionale per il triennio 1985-1987 e modifiche ed integrazioni alla normativa concernente lo stesso personale), in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione ed all’art. 14, lettera q), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana). In via subordinata, le medesime disposizioni sono state censurate per violazione dell’art. 3 Cost. e «per mancato rispetto dei limiti costituiti dalle riforme economico-sociali, nonché dai principi generali dell’ordinamento» espressi dal combinato disposto degli artt. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), e 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nonché, in ulteriore subordine, per contrasto con gli artt. 3 e 117, terzo comma, Cost., in relazione al combinato disposto degli artt. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994 e 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991, espressivo di un principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica.

Il rimettente riferisce che alcuni dipendenti dell’assessorato ai beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione della Regione siciliana, aventi la qualifica di assistente tecnico bibliotecario, il 9 luglio 1996 hanno proposto ricorso straordinario al Presidente della Regione per ottenere l’annullamento della nota del 31 maggio 1996 con cui l’Assessore aveva disatteso la richiesta di pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi legali sui crediti di lavoro da essi vantati, tardivamente soddisfatti, costituiti dall’indennità “video” relativa agli anni 1990-1994, percepita nel luglio del 1995; dalla medesima indennità relativa all’anno 1995, dall’indennità di turnazione per i mesi di novembre e dicembre del 1995 e dal F.E.S. per i mesi di ottobre-dicembre del 1995, percepiti nel marzo del 1996; dall’indennità di turnazione relativa ai mesi di settembre ed ottobre del 1995 e dalle indennità “video”, di turnazione e per il lavoro straordinario relative al mese di gennaio 1996, percepite nel maggio dello stesso anno a seguito di diffida all’amministrazione. Il giudice a quo, in particolare, riferisce che i ricorrenti hanno lamentato la violazione dell’art. 30, comma 2, della legge della Regione siciliana n. 11 del 1988, secondo il quale la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sarebbero dovuti anche per il ritardato pagamento delle somme da erogarsi ai sensi della legge della Regione siciliana 29 ottobre 1985, n. 41 (Nuove norme per il personale dell’amministrazione regionale) – tra cui rientrerebbero le indennità in considerazione – e non solo dello stipendio o della pensione, come sostenuto dalla Regione.

Ritenuta l’ammissibilità del ricorso straordinario – non vi osterebbe l’art. 7, comma 8, dell’Allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), secondo cui «il ricorso straordinario è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa», inapplicabile ratione temporis – e chiamato a rendere il parere sullo stesso, il rimettente solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana n. 11 del 1988, affermando di essere a ciò abilitato dall’art. 13, primo comma, del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi), come modificato dall’art. 69, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile).

1.1.– Il giudice a quo rileva che l’art. 30 della legge della Regione siciliana n. 11 del 1988, dopo aver previsto al comma 1 che: «Al personale dell’Amministrazione regionale in servizio o a riposo, per i periodi di tempo intercorrenti dal primo del mese successivo alla maturazione del diritto e fino alla data di liquidazione delle competenze economiche spettanti a titolo di stipendio o di pensione, sono dovuti gli interessi nella misura legale nonché la rivalutazione monetaria del valore del credito, applicando l’indice dei prezzi previsto dall’articolo 150 del regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, e successive modifiche ed integrazioni», stabilisce, al comma 2, che: «Le disposizioni del precedente comma si applicano anche per le somme erogate o da erogare al personale in servizio o a riposo ai sensi della legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41, e successive modifiche ed integrazioni».

In tal modo al lavoratore dipendente dell’amministrazione regionale spetterebbe, nel caso di ritardata corresponsione delle indennità previste dalla legge della Regione siciliana n. 41 del 1985, il pagamento in via cumulativa degli interessi in misura legale e della rivalutazione monetaria.

Ad avviso del rimettente, simile previsione esulerebbe dalla competenza legislativa esclusiva riconosciuta alla Regione dall’art. 14, lettera q), dello statuto regionale siciliano in materia di «stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione», afferendo in realtà – quantomeno in via prevalente – alla materia dell’«ordinamento civile» (o, al più, a quella della «giurisidizione e norme processuali», ove tra queste ultime si ritenesse di annoverare l’art. 429, terzo comma, del codice di procedura civile, di contenuto analogo alle disposizioni impugnate) di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., di competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Secondo il giudice a quo, infatti, l’attribuzione del diritto a percepire i cosiddetti accessori del credito in caso di ritardato adempimento non atterrebbe alla determinazione dei livelli retributivi del lavoratore (costituenti il suo «stato economico»), ma alla disciplina degli istituti risarcitori e compensativi del pregiudizio derivato dalla ritardata percezione delle somme dovute. Rispetto al credito retributivo principale, gli accessori rientrerebbero fra gli istituti generali che, seppur con declinazioni differenziate a seconda del tipo di rapporto obbligatorio cui attengono, sarebbero demandati dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. alla disciplina unitaria della legge statale, che si imporrebbe anche alla Regione siciliana.

L’illegittimità costituzionale delle norme impugnate risulterebbe ancor più evidente in ragione della sopravvenuta divergenza tra quanto da esse disposto ed il regime degli accessori dei crediti di lavoro previsto dalla disciplina statale. Infatti, se fino al 31 dicembre 1994 quest’ultima, dettata dall’art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., e quella regionale siciliana coincidevano, dal 1° gennaio 1995 l’art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994, in combinato disposto con l’art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991, ha escluso per i crediti di lavoro tardivamente soddisfatti la cumulabilità degli interessi in misura legale e della rivalutazione, sostituendola con l’attribuzione di una sola (la maggiore) di dette voci. Successivamente, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 459 del 2000, il nuovo regime risulterebbe applicabile esclusivamente ai crediti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, dal cui novero andrebbe però esclusa la Regione siciliana in ragione della disciplina speciale dettata dalle norme censurate.

Viceversa, ad avviso del rimettente, proprio l’esigenza di garantire che il regime degli accessori del credito, indipendentemente dalla natura di esso, sia uniforme su tutto il territorio nazionale così come le regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati – in applicazione del principio di uguaglianza espresso dall’art. 3 Cost. – eviterebbe irragionevoli disparità di trattamento nell’ambito del pubblico impiego e giustificherebbe la riconduzione della normativa censurata all’«ordinamento civile» che, d’altra parte, avrebbe sempre rappresentato un limite alla potestà legislativa regionale, anche prima della modifica del Titolo V della Costituzione.

Alla stregua di tali ragioni, il giudice a quo assume che l’art. 30, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana n. 11 del 1988, quantomeno dal 1° gennaio 1995, contrasterebbe con gli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), Cost. e con l’art. 14, lettera q), dello statuto regionale siciliano.

1.2.– In via subordinata, il rimettente assume che le norme censurate sarebbero costituzionalmente illegittime per contrasto con il combinato disposto degli artt. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 e 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994. Quest’ultimo sarebbe espressione di una grande riforma economico-sociale della Repubblica – per aver superato, sia pur nel più ristretto ambito del pubblico impiego per effetto della menzionata sentenza della Corte costituzionale n. 459 del 2000, il pregresso principio giuslavoristico di automatica cumulabilità degli interessi legali e della rivalutazione monetaria – ed avrebbe altresì introdotto un nuovo principio generale dell’ordinamento giuridico, opposto al previgente, basato sulla normale alternatività della spettanza di detti accessori del credito nato dal rapporto di pubblico impiego. Il riconoscimento della natura di norma fondamentale di riforma economico-sociale deriverebbe dalla valutazione del legislatore statale della contingente situazione sociale ed economico-finanziaria pubblica, già deteriorata nel 1994, e dalla necessità di farvi fronte, che ne imporrebbero l’attuazione in modo generalizzato ed uniforme su tutto il territorio nazionale, prevalendo su qualunque tipo di potestà legislativa regionale.

Ad avviso del rimettente, la questione non andrebbe scrutinata alla stregua del Titolo V della Costituzione quale modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), ma nella versione previgente, atteso che la legge censurata è entrata in vigore nel 1988 e sarebbe divenuta incostituzionale dal 1° gennaio 1995 o, al più, dal 1° marzo (rectius: aprile) 1995, ove si ritenesse che la Regione abbia avuto a disposizione il termine di novanta giorni per adeguare la propria legislazione alla riforma, ai sensi dell’art. 10, secondo comma, della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (Costituzione e funzionamento degli organi regionali). La notazione escluderebbe anche che possa rilevare il venir meno per le Regioni a statuto speciale del limite delle norme fondamentali di riforma economico-sociale a seguito della sopravvenuta modifica del Titolo V della Costituzione, ove si condividesse tale orientamento esegetico. Peraltro, rimarrebbe comunque in essere il limite del necessario rispetto da parte del legislatore regionale del principio generale dell’ordinamento giuridico nazionale espresso dalla citata normativa statale.

Pertanto, secondo il giudice a quo, l’art. 30, commi 1 e 2, della legge reg. siciliana n. 11 del 1988, dal 1° gennaio 1995 o dal 1° aprile 1995, contrasterebbe con l’art. 3 Cost. e con la norma fondamentale di riforma economico-sociale rappresentata dal combinato disposto degli artt. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994 e 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991, altresì espressivo di un principio generale dell’ordinamento giuridico.

1.3.– In via ulteriormente subordinata, il rimettente assume che le norme censurate sarebbero costituzionalmente illegittime per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto, contrastando con il combinato disposto degli artt. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 e 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994, violerebbero il principio fondamentale da esso espresso in materia di «coordinamento della finanza pubblica». La citata normativa statale, infatti, manifesterebbe la necessità di una più adeguata ponderazione dell’interesse collettivo al contenimento della spesa pubblica (quella afferente al pubblico impiego), che si imporrebbe a tutte le Regioni, anche a quelle a statuto speciale, ed alle Province autonome, concorrendo a realizzare, attraverso un risparmio della spesa corrente, l’equilibrio della finanza pubblica complessiva.

Per tali ragioni, l’art. 30, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana n. 11 del 1988 contrasterebbe con gli artt. 3 e 117, terzo comma, Cost.

2.– Quanto alla rilevanza, il rimettente osserva che, come dedotto dai ricorrenti, l’art. 30 della legge reg. siciliana n. 11 del 1988 prevede il riconoscimento di interessi e rivalutazione non soltanto per le «competenze economiche spettanti a titolo di stipendio o di pensione» (comma 1), ma anche «per le somme erogate o da erogare […] ai sensi della legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41 […]» (comma 2) e da quest’ultima sarebbero contemplate almeno due delle indennità tardivamente corrisposte a cui si riferisce il ricorso: l’indennità per il lavoro straordinario (art. 30) e l’indennità “video” (art. 39).

Poiché, secondo il giudice a quo, il tenore letterale del comma 1 – cui rinvia il comma 2 – dell’art. 30 impugnato, sancendo la spettanza degli interessi legali «nonché» della rivalutazione monetaria del credito, non sarebbe suscettibile di essere interpretato se non nel senso di attribuirli in via cumulativa, la sua applicazione determinerebbe il riconoscimento ai ricorrenti sia degli interessi legali che della rivalutazione monetaria, anche per le mensilità delle due tipologie di indennità maturate dopo il 31 dicembre 1994 e tardivamente corrisposte. Viceversa, in relazione a queste ultime, ove la questione sollevata fosse fondata, i ricorrenti avrebbero diritto a percepire soltanto uno di detti accessori, quello di maggiore importo, trovando applicazione la generale disciplina statale.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 17 aprile 2012 il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana - sezioni riunite, chiamato a rendere il parere sul ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana proposto il 9 luglio 1996 da alcuni dipendenti regionali, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 30, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana 15 giugno 1988, n. 11 (Disciplina dello stato giuridico ed economico del personale dell’Amministrazione regionale per il triennio 1985-1987 e modifiche ed integrazioni alla normativa concernente lo stesso personale), in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione ed all’art. 14, lettera q), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana). In via subordinata, le medesime disposizioni sono state censurate per violazione dell’art. 3 Cost. e «per mancato rispetto dei limiti costituiti dalle riforme economico-sociali, nonché dai principi generali dell’ordinamento» espressi dal combinato disposto degli artt. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica) e 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nonché, in ulteriore subordine, per contrasto con gli artt. 3 e 117, terzo comma, Cost., in relazione al combinato disposto degli artt. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994 e 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991, espressivo di un principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica.

Anzitutto, il rimettente sostiene che la previsione a favore dei dipendenti della Regione siciliana del cumulo di interessi in misura legale e rivalutazione monetaria nel caso di ritardata corresponsione delle somme dovute ai sensi della legge della Regione siciliana 29 ottobre 1985, n. 41 (Nuove norme per il personale dell’amministrazione regionale), esulerebbe dalla competenza legislativa esclusiva riconosciuta alla Regione dall’art. 14, lettera q), dello statuto della Regione siciliana in materia di «stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione», afferendo in realtà – quantomeno in via prevalente – alla materia dell’«ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., di competenza legislativa esclusiva dello Stato, già in epoca precedente alla modifica del Titolo V della Costituzione, in applicazione del principio di uguaglianza espresso dall’art. 3 Cost.

In via subordinata, il rimettente assume che le norme censurate sarebbero costituzionalmente illegittime per contrasto con l’art. 3 Cost. e con il combinato disposto degli artt. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 e 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994. Quest’ultimo costituirebbe norma fondamentale di riforma economico-sociale della Repubblica – per aver superato, sia pur nel più ristretto ambito del pubblico impiego per effetto della sentenza di questa Corte n. 459 del 2000, il pregresso principio di automatica cumulabilità degli interessi legali e della rivalutazione – ed avrebbe altresì introdotto un nuovo principio generale dell’ordinamento giuridico, opposto al previgente, basato sulla normale alternatività della spettanza di detti accessori del credito nato dal rapporto di pubblico impiego.

In via di ulteriore subordine, il rimettente sostiene che le norme censurate sarebbero costituzionalmente illegittime in quanto, contrastando con il combinato disposto degli artt. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 e 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994, violerebbero il principio fondamentale da esso espresso in materia di «coordinamento della finanza pubblica» e quindi gli artt. 3 e 117, terzo comma, Cost.

2.– Si deve preliminarmente riconoscere la sussistenza della legittimazione del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana – sezioni riunite a sollevare questione di legittimità costituzionale in sede di parere sul ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana.

Ai sensi degli artt. 23, quarto comma, del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), e 9, comma 4, del decreto legislativo 24 dicembre 2003, n. 373 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana concernenti l’esercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato), i ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, sono decisi dal Presidente della Regione, su parere obbligatorio reso dalle sezioni riunite del Consiglio di giustizia amministrativa. Il medesimo decreto legislativo, dopo aver chiarito che le due sezioni che compongono il predetto Consiglio costituiscono sezioni distaccate del Consiglio di Stato (art. 1, comma 2), prevede all’art. 12, comma 1, che: «Per l’organizzazione e il funzionamento del Consiglio di giustizia amministrativa in sede consultiva e in sede giurisdizionale si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni vigenti per il Consiglio di Stato».

Il citato rinvio rende applicabile anche al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana – sezioni riunite quanto previsto per il Consiglio di Stato dall’art. 13, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi) – come modificato dall’art. 69, primo comma, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile) – secondo cui l’organo consultivo, «Se ritiene che il ricorso non possa essere deciso indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità costituzionale che non risulti manifestamente infondata, sospende l’espressione del parere e, riferendo i termini e i motivi della questione, ordina alla segreteria l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87, nonché la notifica del provvedimento ai soggetti ivi indicati».

Non rileva la circostanza che, nel caso di specie, il ricorso straordinario sia stato proposto nel 1996, ossia prima della menzionata modifica normativa. Invero, in mancanza di diversa prescrizione, essa risulta applicabile in ragione del principio tempus regit actum, considerato che la richiesta del parere al Consiglio di giustizia amministrativa è stata inoltrata il 10 giugno 2011, quando era già in vigore la nuova versione dell’art. 13, primo comma, del d.P.R. n. 1199 del 1971 (sentenza della Corte di cassazione - sezioni unite n. 20569 del 6 settembre 2013, che richiama altresì la precedente sentenza delle stesse sezioni unite n. 23464 del 19 dicembre 2012).

3.– Sempre in via preliminare, si deve escludere che la rilevanza della questione – e, dunque, l’ammissibilità della stessa – possa essere inficiata dall’art. 7, comma 8, dell’Allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), secondo cui «Il ricorso straordinario è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa».

Infatti, la norma non risulta applicabile ai ricorsi straordinari notificati, come nel caso di specie, prima della data di entrata in vigore del decreto che l’ha introdotta.

4.– Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana n. 11 del 1988 sollevata in via principale è fondata.

Le disposizioni censurate prevedono che: «Al personale dell’Amministrazione regionale in servizio o a riposo, per i periodi di tempo intercorrenti dal primo del mese successivo alla maturazione del diritto e fino alla data di liquidazione delle competenze economiche spettanti a titolo di stipendio o di pensione, sono dovuti gli interessi nella misura legale nonché la rivalutazione monetaria del valore del credito […]» (comma 1) e che: «Le disposizioni del precedente comma si applicano anche per le somme erogate o da erogare al personale in servizio o a riposo ai sensi della legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41 […]» (comma 2).

Come risulta dal tenore letterale, le norme in questione riconoscono al dipendente regionale il diritto di percepire in via cumulativa interessi in misura legale e rivalutazione monetaria nel caso di tardiva corresponsione delle somme da esse contemplate.

Ai sensi dell’art. 14, lettera q), dello statuto della Regione siciliana, quest’ultima ha competenza legislativa esclusiva in materia di stato giuridico ed economico del proprio personale. Questa Corte ha riconosciuto al legislatore regionale ampia discrezionalità nella determinazione del trattamento economico da accordare ai propri dipendenti. Ciò, tuttavia, nei limiti derivanti dalle norme di rango costituzionale, dai principi generali dell’ordinamento giuridico statale, dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica nonché dagli obblighi internazionali, cui aggiungere, per quanto concerne il settore in esame, anche il limite interno alla materia del divieto di adottare per i dipendenti della Regione siciliana trattamenti economici inferiori a quelli previsti per il personale statale (sentenza n. 19 del 1989).

Nella fattispecie il legislatore regionale non si è attenuto a detti limiti, ma li ha oltrepassati, violando così il citato parametro statutario.

Infatti, nell’attribuire ai dipendenti regionali il diritto a percepire in via cumulativa interessi in misura legale e rivalutazione monetaria in caso di pagamento tardivo del debito di lavoro contemplato dalle disposizioni censurate, esse hanno disciplinato il profilo, prettamente civilistico, dell’adempimento di un particolare tipo di obbligazione pecuniaria e delle conseguenze del suo inadempimento, iniziativa preclusa alla legge regionale (sentenza n. 82 del 1998).

In tal modo le norme censurate hanno travalicato il limite del diritto privato – vigente fin dal momento di emanazione della norma – fondato sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole che disciplinano i rapporti privatistici e, come tali, si impongono anche alle Regioni a statuto speciale (sentenza n. 189 del 2007).

L’art. 30, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana n. 11 del 1988 deve pertanto essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, restando assorbite le ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate in via gradata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 30, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana 15 giugno 1988, n. 11 (Disciplina dello stato giuridico ed economico del personale dell’Amministrazione regionale per il triennio 1985-1987 e modifiche ed integrazioni alla normativa concernente lo stesso personale).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2013.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 novembre 2013.