Sentenza n. 19 del 1989

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SENTENZA N.19

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO,Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma secondo, 4, 7, 8, comma terzo, 9, 11, 16, 21, 23, 24, 25, 26 e 28 della delibera legislativa n. 415 approvata il 5 maggio 1988 dall'Assemblea Regionale siciliana (successivamente promulgata come legge regionale 15 giugno 1988 n. 11), avente per oggetto: <Disciplina dello stato giuridico ed economico del personale dell'Amministrazione regionale per il triennio 1985-87 e modifiche ed integrazioni alla normativa concernente lo stesso personale>), promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, notificato il 13 maggio 1988, depositato in cancelleria il 23 maggio 1988 ed iscritto al n. 16 del registro ricorsi 1988.

Visto l'atto di costituzione della Regione Sicilia; udito nell'udienza pubblica del 27 settembre 1988 il Giudice relatore Enzo Cheli;

uditi l'Avvocato dello Stato Franco Favara, per il ricorrente, e l'avvocato Silvio De Fina per la Regione.

 

Considerato in diritto

 

1.-Il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha impugnato varie norme della delibera legislativa approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 5 maggio 1988 con il n. 415, recante <Disciplina dello stato giuridico ed economico del personale dell'Amministrazione regionale per il triennio 1985-87 e modifiche e integrazioni alla normativa concernente lo stesso personale>, adducendo la violazione degli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione nonchè dell'art. 4 della 1. 29 marzo 1983 n. 93 (legge-quadro sul pubblico impiego).

Le diverse censure prospettate nel ricorso possono essere raggruppate, per comodità di esame, nei seguenti ordini di motivi:

A) Un primo gruppo di norme (artt. 1, secondo comma, e 16) viene contestato per il fatto di aver previsto la concessione di particolari benefici economici (assegno perequativo e assegno integrativo di quiescenza) al personale comandato da altre amministrazioni, con riferimento anche al periodo anteriore all'inquadramento nei ruoli dell'amministrazione regionale: ad avviso del ricorrente tale previsione esulerebbe dalle competenze assegnate alla Regione dallo Statuto speciale in tema di stato giuridico ed economico dei propri dipendenti (art. 14 lett. q).

B) Un secondo gruppo di norme (artt. 7, primo e secondo comma, e 9) viene impugnato con riferimento agli artt. 3, 36 e 97 Cost., nonché all'art. 4 della legge n. 93 del 1983, per il fatto di aver stabilito, per determinate indennità, aumenti indiscriminati e misure comunque maggiori di quelle spettanti ai dipendenti statali.

C) Profili di illegittimità analoghi a quelli richiamati sub B) vengono prospettati nei confronti di un terzo gruppo di norme (artt. 11, 21, 25 e 28), dove si statuiscono a favore del personale regionale benefici di carattere giuridico non previsti per i dipendenti statali e comunque ritenuti non rispondenti al principio del buon andamento della pubblica amministrazione.

D) Un quarto gruppo di norme (artt. 8, 11, 23, 24 e 25) viene censurato per asserita lesione del principio generale di irretroattività della legge, ritenuto inderogabile per il legislatore regionale.

E) Infine, la disciplina contenuta nell'art. 4 viene impugnata per il fatto di aver previsto, per tutto il personale regionale, la possibilità di un passaggio alla fascia retributiva superiore rispetto a quella di appartenenza in base al solo requisito dell'anzianità, prescindendo dal titolo di studio e/o da prove selettive: previsione questa ritenuta in contrasto con i criteri dell'imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione fissati dall'art. 97 Cost.

2.-La questione di legittimità prospettata con riferimento alle norme di cui sub 1.A) non appare fondata.

L'art. 1, secondo comma, della delibera legislativa di cui e causa prevede il riconoscimento, a titolo di assegno perequativo regionale, dei benefici ivi stabiliti anche a favore del personale proveniente dall'Amministrazione dello Stato o da altri enti <per il periodo anteriore all'inquadramento nei ruoli dell'Amministrazione regionale>. A sua volta, l'art. 16 riconosce al personale statale già in posizione di comando presso l'Amministrazione regionale nonché agli insegnanti statali comandati presso la Regione e cessati dal servizio con decorrenza non anteriore al 1° gennaio 1984 un assegno mensile integrativo di quiescenza <pari alla differenza tra il trattamento pensionistico lordo spettante ed il trattamento spettante al personale dell'Amministrazione regionale in quiescenza di corrispondente qualifica e pari anzianità>.

A sostegno di tale disciplina la difesa regionale richiama l'art. 55 l.r. 29 dicembre 1980 n. 145 - mai contestato in sede di legittimità costituzionale - che aveva già introdotto, in via generale, un criterio di perequazione retributiva tra il personale statale in posizione di comando ed il personale regionale, criterio di cui le norme impugnate rappresenterebbero una semplice applicazione: tale richiamo, peraltro, non può assumere rilievo decisivo, stante l'autonomia delle norme impugnate rispetto alla disciplina in precedenza adottata nella stessa materia dalla Regione. Resta, invece, determinante il fatto che le norme di cui e causa non abbiano disciplinato ne modificato lo stato giuridico di personale non regionale, bensì solo regolato un aspetto del trattamento economico di dipendenti che, inizialmente in posizione di comando, sono poi transitati nei ruoli regionali o sono già cessati dal servizio. Entro tali limiti, la previsione di determinati benefici (nella forma di assegni perequativi), quand'anche venga a riferirsi, come nel caso in esame, a periodi di servizio anteriormente espletati in posizione di comando, non esula dalla competenza che l'art. 14 lett. q) dello Statuto speciale riferisce alla Regione, potendo, d'altro canto, trovare adeguata giustificazione nell'esigenza di far salvo il principio della parità di trattamento nell'ambito delle varie categorie di dipendenti regionali, cosi da assicurare, a pari qualifica e anzianità, identica retribuzione o trattamento di quiescenza.

3.-Anche le censure formulate nei confronti delle norme di cui sub 1.B) non si presentano fondate.

Va innanzitutto contestato che l'art. 7, secondo comma, della legge impugnata abbia inteso conferire agli assistenti ed agli agenti tecnici del Corpo regionale delle foreste l'indennità di cui all'art. 2 della l. 20 marzo 1984 n. 34 e successive modifiche e integrazioni in misura diversa e più elevata di quella prevista per il personale statale investito delle medesime funzioni. Contro tale interpretazione, affermata nel ricorso, si pone, infatti, la stessa lettera della norma impugnata, dove per l'indennità in questione vengono integralmente richiamate le <<modalità e decorrenze> previste dalla disciplina statale per il personale del Corpo forestale dello Stato.

Ma neppure le questioni sollevate nei confronti dell'art. 7, primo comma (aumento del 20%, a decorrere dal 1° gennaio 1988, di varie indennità regionali), e 9 (rivalutazione e nuova disciplina dell'indennità di trasferta) meritano di essere accolte.

A questo proposito va ricordata la natura <primaria> della competenza assegnata dallo Statuto speciale (art. 14 lett. q) alla Regione siciliana in tema di stato giuridico ed economico del proprio personale, natura cui consegue il rispetto da parte del legislatore regionale dei soli limiti derivanti dalle norme di rango costituzionale, dai principi generali dell'ordinamento giuridico statale, dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica (nel cui ambito va ricompresa anche la legge 29 marzo 1983 n. 93), nonchè dagli obblighi internazionali. A tali limiti esterni va altresì aggiunto, per quanto concerne il settore in esame, anche il limite interno alla materia enunciato dalla stessa norma statutaria attributiva della competenza, dove si pone il divieto di adottare per i dipendenti della Regione siciliana trattamenti economici inferiori a quelli previsti per il personale statale.

Questa Corte ha già avuto modo di sottolineare come, nell'ambito di tali limiti, spetti al legislatore siciliano, nella disciplina del proprio personale, un'ampia discrezionalità, cui risulta collegata la possibilità di adottare trattamenti giuridici ed economici differenziati da quelli previsti per il personale statale, purchè correlati ad esigenze oggettive e peculiari l regionale (v. sentt. n. 112 del 1973; n. 12 del 1980; n. 1032 del 1988).

Nei confronti della Regione siciliana non può, di conseguenza, valere ne l'ultima parte dell'art. 67 della legge 10 febbraio 1953 n. 62, dove si vieta alle Regioni a statuto ordinario di disporre trattamenti economici più favorevoli di quelli spettanti al personale statale (v. sent. n. 21 del 1978), ne un'interpretazione dei principi fondamentali richiamati dall'art. 4 della legge n. 93 del 1983, in tema di <omogeneizzazione> delle posizioni giuridiche e di perequazione dei trattamenti economici, cosi rigida da precludere per il personale regionale l'adozione di trattamenti migliorativi rispetto a quelli in vigore per l'impiego statale. Ciò posto, resta comunque essenziale che le diversificazioni apportate dalla disciplina regionale debbano pur sempre risultare giustificate da specifiche esigenze dell'amministrazione regionale e rispettare margini accettabili di compatibilità con i criteri ispiratori del rapporto d'impiego statale, cosi da evitare ogni possibile lesione ai principi di ragionevolezza e buon andamento desumibili dagli artt. 3 e 97 della Costituzione.

L'esame delle norme di cui e causa non conduce, peraltro, a riscontrare una lesione dei criteri appena richiamati, dal momento che la misura della rivalutazione prevista per talune indennità dall'art. 7, primo comma, può trovare un fondamento giustificativo nell'incremento del costo della vita nell'ultimo triennio, valutato dal legislatore con riferimento all'ambito regionale, mentre la disciplina posta dall'art. 9 in tema di indennità di trasferta non si distacca irragionevolmente dalla valutazione dei costi medi attuali dell'alloggio e del vitto che il dipendente - anche in relazione alle disagiate condizioni locali - e tenuto a sopportare quando debba trovarsi fuori sede.

Parimenti non appare irragionevole la previsione relativa al rimborso diretto della spesa per i pasti, una volta che tale possibilità venga collegata, come accade con la norma impugnata, alla corrispondente riduzione, per ciascun pasto rimborsato, della misura dell'indennità.

4. -Considerazioni analoghe possono valere anche con riferimento alle questioni prospettate nei confronti delle norme richiamate sub 1.C).

Nessuna di tali norme, infatti, - ove si prescinda da valutazioni che attengono al merito - prevede trattamenti differenziati in grado di ledere specifici limiti vigenti in materia per la legge regionale o suscettibili di pregiudicare il rispetto dei canoni di ragionevolezza e buon andamento imposti al legislatore regionale degli artt. 3 e 97 Cost.

L'osservazione vale, in primo luogo, in relazione all'art. 11, primo comma, dove si prevede, ai fini della progressione giuridica ed economica, la valutazione, a domanda degli interessati, dei servizi <comunque resi> dai dipendenti regionali, senza distinguere tra servizi di ruolo e non di ruolo, ma computando al 100 per cento i servizi prestati in qualifiche o carriere corrispondenti o superiori a quella posseduta ed al 60 per cento i servizi prestati in qualifiche o carriere immediatamente inferiori. Spetta, infatti, alla discrezionalità del legislatore regionale stabilire, ai fini della progressione nella carriera, l'incidenza dei servizi resi e graduare, a seconda dei casi, il rilievo degli stessi, anzichè sulla natura (di ruolo o non di ruolo), sul tipo di qualifica o di carriera in cui i servizi siano stati espletati. Ne più fondata appare la censura riferita al secondo comma dello stesso articolo, dove non si prevede alcuna <reiterazione> nella valutazione dell'anzianità di servizio, dal momento che, una volta che il servizio sia stato valutato ed abbia influito sulla posizione stipendiale in godimento, la valutazione successiva e consentita dalla norma <ai soli fini giuridici>.

Del pari non merita accoglimento la questione prospettata nei confronti dell'art. 21. Tale norma - nel prevedere che i servizi prestati presso la Regione prima della data del collocamento in ruolo sono valutati ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza senza alcun onere per l'interessato - non entra in conflitto con norme o principi di rango costituzionale, tanto più ove si consideri che la stessa normativa statale, nel disciplinare i servizi computabili ai fini del trattamento di quiescenza dei dipendenti statali, ammette a valutazione, senza che nulla sia dovuto dagli stessi dipendenti, tutti i servizi resi prima della nomina in ruolo, ove risultino coperti da iscrizione all'assicurazione generale obbligatoria e non abbiano dato luogo a diverso trattamento pensionistico (cfr. artt. 10, 11, 12 e 41 D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092).

Vanno, infine, respinte le questioni relative agli artt. 25 e 28 che prevedono l'inquadramento (rispettivamente, di diritto e a domanda) di particolari categorie di personale in livelli determinati corrispondenti alla qualifica. Tali norme non appaiono lesive ne dell'art. 97 Cost. ne del principio del reclutamento mediante pubblico concorso di cui all'art. 20 della legge n. 93 del 1983, dal momento che le stesse hanno soltanto provveduto a regolare, in via transitoria, situazioni del tutto peculiari di determinate categorie di dipendenti (operai collocati al secondo livello retributivo; personale di ruolo ad esaurimento; personale addetto al Centro sociale di Catania dell'Ente nazionale rimpatriati e profughi) pretermessi da precedenti discipline di carattere generale poste in essere dalla Regione (l. r. 29 ottobre 1985 n. 41 e l. r. 27 dicembre 1985 n. 53).

5.-Anche le censure sub 1.D, prospettate nei confronti degli artt. 8, 11, 23, 24 e 25, con riferimento ad una asserita lesione del principio di irretroattività della legge, non sono fondate.

Questa Corte, dopo aver da tempo sottolineato come il principio di irretroattività della legge sia stato costituzionalizzato soltanto con riferimento alla materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.), ha di recente riconosciuto che l'art. 11 delle disposizioni preliminari del Codice civile, dove si enuncia tale principio in via generale, non può assumere per il legislatore regionale <altro e diverso significato da quello che esso assume per il legislatore statale>, con la possibilità per l'uno e per l'altro di emanare fuori della materia penale norme legislative alle quali possa essere attribuita efficacia retroattiva (ord. n. 713 del 1988). A questa considerazione, va altresì aggiunto il richiamo al carattere specifico della legge di cui e causa, che, essendo volta a disciplinare lo stato giuridico ed economico del personale regionale per il triennio 1985-87, non poteva esimersi dal formulare, per la sua stessa funzione di recepimento di un contratto collettivo di lavoro relativo ad un triennio già decorso

norme ad efficacia retroattiva.

6. - Resta, infine, da esaminare la questione sollevata nei confronti dell'art. 4 con riferimento all'art. 97 Cost. Tale questione e fondata.

Con la disciplina posta da questo articolo sono state estese a tutti i dipendenti dell'amministrazione regionale le disposizioni dell'art. 5 della legge regionale 29 ottobre 1985 n. 41 e successive modifiche, dove si prevede il passaggio di determinate categorie di personale (commesso, agente tecnico, operatore archivista, stenodattilografo, dattilografo etc.) da una fascia funzionale ad altra superiore - pertinente a qualifiche diverse-, una volta maturato un determinato periodo di servizio (decennale o quinquennale) nella qualifica.

Ad avviso del ricorrente la possibilità di un passaggio generalizzato alla fascia retributiva superiore in base al solo requisito dell'anzianità urta contro il parametro del buon andamento richiamato dall'art. 97 Cost., non risultando correlato al soddisfacimento di specifiche esigenze della pubblica amministrazione. Di contro, la Regione oppone che la norma in questione rappresenterebbe soltanto la generalizzazione di un principio già introdotto con l'art. 5 della 1. r. n. 41 del 1985 e successivamente esteso con l'art. 5 della 1. r. n. 21 del 1986, principio che non risulterebbe censurabile sul piano della legittimità costituzionale in quanto circoscritto alla sola progressione economica e insuscettibile di determinare variazioni nello stato giuridico e nelle qualifiche dei dipendenti legittimati a beneficiarne.

Ora, non v'è dubbio che una disciplina quale quella in esame-a parte ogni considerazione in ordine alle incertezze interpretative e applicative che può in concreto suscitare - e tale, per il suo carattere indiscriminato, da determinare una irragionevole alterazione in quel naturale rapporto di corrispondenza che, in tutto il settore del pubblico impiego, non può non collegare il livello retributivo alla qualifica esercitata. Se e vero, infatti - come afferma la difesa regionale - che il meccanismo in contestazione viene a incidere soltanto sulla progressione economica nell'ambito della qualifica (senza modificare il principio dell'accesso alla stessa mediante concorso), e anche vero che la previsione di uno scorrimento illimitato tra le varie fasce funzionali in base al solo criterio dell'anzianità finisce, nella sostanza, per togliere valore all'ordine delle stesse qualifiche ed ai diversi requisiti di preparazione, competenza e professionalità che per ciascuna di esse sono richiesti.

Attraverso il meccanismo in esame il dipendente collocato in ragione della sua qualifica in una fascia funzionale meno elevata potrebbe, infatti, raggiungere, con passaggi successivi determinati dalla sola durata del servizio, i livelli retributivi propri delle fasce più elevate, riservate nella naturale progressione delle carriere alle qualifiche che richiedono titoli di studio più impegnativi ed esperienze più specializzate. La possibilità di tale livellamento retributivo, ancorato al solo parametro automatico dell'anzianità, non può non contrastare con il canone del buon andamento fissato dall'art 97 Cost., dal momento che, oltre a rompere il rapporto tra qualifiche e fasce funzionali, viene ingiustificatamente a deprimere quei profili di merito e di professionalità che, congiuntamente all'anzianità, devono orientare e ispirare-anche alla luce dei principi desumibili dalla l. 29 marzo 1983 n. 93-lo sviluppo delle carriere e delle posizioni retributive nell'ambito del pubblico impiego.

7. - Tra le norme impugnate compare anche l'art. 26, concernente la proroga del termine massimo di utilizzazione del personale tecnico regionale comandato o utilizzato in uffici diversi da quelli di appartenenza: ma la totale assenza nel ricorso di profili di impugnativa riferiti a tale norma rende inammissibile la domanda.

8.-Essendo intervenute, nelle more del giudizio, la promulgazione e la pubblicazione della l. r. 15 giugno 1988 n. 11, che hanno completato l'iter normativo connesso alla delibera legislativa di cui e causa, la pronuncia della Corte va adottata nei confronti di tale legge.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1. dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 della legge della Regione siciliana 15 giugno 1988 n. 11 (Disciplina dello stato giuridico ed economico del personale dell'Amministrazione regionale per il biennio 1985-87 e modifiche ed integrazioni alla normativa concernente lo stesso personale);

2. dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata, con il ricorso di cui in epigrafe, nei confronti dell'art. 26 della stessa legge regionale;

3. dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, con il ricorso di cui in epigrafe, nei confronti degli artt. 1, secondo comma, 7, 8, terzo comma, 9, 11, 16, 21, 23, 24, 25 e 28 della stessa legge regionale, con riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione ed all'art. 4 della l. 29 marzo 1983 n. 93.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/01/89.

 

Giovanni CONSO,Presidente - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 24/01/89.

 

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Enzo CHELI, REDATTORE