SENTENZA N. 143
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO
”
- Augusto Antonio BARBERA ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1,
commi 109 e 110, della legge
28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promossi con
ricorsi della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e della Regione Puglia,
notificati il 29 febbraio 2016 ed il 29 febbraio-4 marzo 2016, depositati in
cancelleria il 7 e l’8 marzo 2016 ed iscritti ai nn. 14 e 16 del
registro ricorsi 2016.
Visti gli atti di costituzione del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 9 maggio 2017 il Giudice
relatore Giuliano Amato;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon
per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Marcello Cecchetti per la
Regione Puglia e l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 29 febbraio
2016 e depositato il 7 marzo 2016 (reg. ric. n. 14 del 2016), la Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97, primo comma, 117, primo comma, in
relazione all’art. 33 del regolamento
del Consiglio della Comunità europea n. 1083/2006 dell’11 luglio 2006
(Disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo
sociale europeo e sul Fondo di coesione), 118, 119 e 120, secondo comma,
della Costituzione, all’art. 10 della legge
costituzionale 10 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione), all’art. 16, in combinato disposto con gli artt. 4, 5
e 6, e agli artt. 48, 49, 50 e 63 dello statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia (legge costituzionale 31 gennaio
1963, n. 1), al principio pattizio e al principio di leale collaborazione,
questione di legittimità costituzionale, tra gli altri, dell’art. 1, commi 109
e 110, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità
2016)».
Le disposizioni censurate prevedono che:
«109. Entro il 31 marzo 2016 si
provvede, con le procedure di cui all’articolo 4, comma 3, del decreto-legge 28
giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013,
n. 99, alla ricognizione delle risorse del Fondo di rotazione di cui
all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183 ,
già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione (PAC), non ancora
oggetto di impegni giuridicamente vincolanti rispetto ai cronoprogrammi
approvati. A tal fine, le amministrazioni titolari di interventi del PAC,
approvati alla data di entrata in vigore della presente legge, inviano al
sistema di monitoraggio nazionale, entro il 31 gennaio 2016, i dati relativi
alle risorse impegnate e pagate per ciascuna linea di intervento.
110. Con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri, adottato entro il 30 aprile 2016 di concerto con il
Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, è determinato l’ammontare delle risorse disponibili in esito
alla ricognizione di cui al comma 109 ed è disposto l’utilizzo delle stesse per
l’estensione dell’esonero contributivo di cui ai commi 178 e 179 alle assunzioni
a tempo indeterminato effettuate nell’anno 2017 in favore dei datori di lavoro
privati, operanti nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia,
Puglia, Calabria e Sardegna, alle medesime condizioni previste dai predetti
commi, eventualmente rimodulando la durata temporale e l’entità dell’esonero e
comunque assicurando una maggiorazione della percentuale di decontribuzione e
del relativo importo massimo per l’assunzione di donne di qualsiasi età, prive
di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, in ragione delle
risorse che si renderanno disponibili ai sensi del comma 109, la cui efficacia
è subordinata all’autorizzazione della Commissione europea ai sensi
dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea.».
2.– La parte ricorrente, in via preliminare,
ricostruisce il contesto in cui le disposizioni impugnate si collocano,
individuato nell’ambito dei fondi destinati al Piano di Azione Coesione (PAC).
L’art. 1 della legge n. 208 del 2015, in particolare, prevede un monitoraggio e
una ricognizione delle risorse non ancora oggetto di impegni giuridicamente
vincolanti rispetto ai cronoprogrammi approvati (comma 109) e, all’esito di
tale ricognizione, una riallocazione delle risorse disponibili per destinarle
al finanziamento dell’esonero contributivo in favore dei datori di lavoro
privati nelle Regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia,
Calabria e Sardegna, con particolare riferimento all’impiego femminile (comma
110).
La Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia, pertanto, ricostruisce il Piano di Azione Coesione quale strumento di
programmazione avviato dal Governo italiano, d’intesa con la Commissione
Europea, mediante l’accordo sottoscritto il 7 novembre 2011, per accelerare
l’attuazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013 e per
recuperare i ritardi nell’uso di detti fondi strutturali. Il Piano definisce
un’azione di cooperazione rafforzata tra le autorità europee, il Governo e le
amministrazioni e prevede la costituzione di un "Gruppo di azione” con il
compito di seguire i Piani di Azione Coesione, quale modalità di cooperazione
rafforzata tra lo Stato membro e la Commissione europea.
Per assicurare il pieno e tempestivo
utilizzo dei fondi PAC, l’art. 4, comma 3, del decreto-legge 28 giugno 2013, n.
76, recante «Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in
particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul
valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti», convertito nella
legge 9 agosto 2013, n. 99, ha previsto che il Gruppo di azione proceda
periodicamente, in collaborazione con le amministrazioni interessate, alla
verifica dello stato di avanzamento dei singoli interventi e alle conseguenti
rimodulazioni del Piano che si rendessero necessarie a seguito dell’attività di
monitoraggio, anche mediante eventuali riprogrammazioni.
Sulla base di tali regole generali, nel
2012, la stessa Regione ricorrente ha concordato con il Governo l’adesione al
Piano di Azione Coesione, confermata dal Presidente della Regione con nota del
7 dicembre 2012.
In seguito, la Commissione europea, in
data 14 giugno 2013, ha acconsentito ad una modifica del Programma Operativo
Regionale del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (POR FESR) a favore della
riprogrammazione delle risorse per le iniziative del Programma Operativo
Regionale del Fondo Sociale Europeo (FSE) sul programma esterno parallelo,
richiedendo che la Regione procedesse ad un’unica notifica di modifica del POR
FESR.
Il complesso degli interventi del Piano
regionale è stato poi successivamente approvato dalla Giunta regionale con
delibera del 21 marzo 2014, n. 515, con l’impegno finanziario di oltre 67
milioni di euro, derivanti dalla riduzione della quota nazionale del Fondo di
rotazione del Programma «POR FESR 2007-2013 Obiettivo Competitività regionale e
occupazione Friuli-Venezia Giulia».
Nella ricostruzione regionale, il Piano
in parte proseguirebbe iniziative già avviate nel quadro del POR FESR, in parte
finanzierebbe iniziative nuove, prevedendo diverse "azioni”, ciascuna destinata
al perseguimento di importanti obiettivi di politica sociale.
La difesa regionale sottolinea come il
finanziamento del Piano sia già stato una prima volta ridotto dal legislatore
statale. Precisamente, l’art. 1, comma 122, della legge 23 dicembre 2014, n.
190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge di stabilità 2015)», come modificato dall’art. 7, comma
9-sexies, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in
materia di enti territoriali), convertito nella legge 6 agosto 2015, n. 125, ha
previsto una "riprogrammazione” delle risorse del Fondo di rotazione, già
destinate agli interventi del PAC, che dal sistema di monitoraggio del
Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia
e delle finanze risultassero non ancora impegnate.
La parte ricorrente pone in evidenza,
dunque, la nuova riprogrammazione dei fondi realizzata dalle disposizioni
impugnate, che sarebbe preordinata alla revoca di fondi gestiti dalla Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia per gli interventi previsti dal PAC nelle
materie di sua competenza. Precisamente, la riduzione delle risorse del PAC
sarebbe prevista dal comma 110 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, ma gli
stessi obblighi di comunicazione e il relativo monitoraggio di cui al comma l09
sarebbero funzionali all’operazione di cui al comma successivo, ponendosi in
posizione accessoria e servente rispetto al comma 110.
Le disposizioni impugnate, dunque,
sarebbero collegate e nel loro insieme lesive delle competenze della Regione e,
quindi, illegittime.
2.1.– In primo luogo, la Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia deduce la violazione dell’autonomia finanziaria garantita dagli artt.
48, 49 e 50 dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia e dall’art. 119 Cost., la
violazione del principio pattizio, e, in subordine, del principio di leale
collaborazione di cui all’art. 120, secondo comma Cost.
Il PAC, infatti, frutto di uno specifico
accordo tra il Governo e la Regione, costituirebbe una forma di finanziamento
regionale, pienamente rientrante nel quadro previsto dagli artt. 48, 49 e 50
dello statuto di autonomia e dall’art. 119 Cost., in particolare nella parte in
cui si prevede che, per provvedere a scopi determinati, che non rientrano nelle
funzioni normali della Regione, e per l’esecuzione di programmi organici di
sviluppo, lo Stato possa assegnare alla stessa speciali contributi (art. 50).
Il finanziamento del PAC, quindi, una
volta deciso, entrerebbe a far parte della complessiva finanza regionale e
l’accordo tra il Governo e la Regione per tale finanziamento costituirebbe
applicazione del principio pattizio che regge i rapporti tra il Friuli-Venezia
Giulia, quale Regione ad autonomia differenziata, e lo Stato. Tale principio,
fondato su una pluralità di regole previste dallo statuto reg. Friuli-Venezia
Giulia, tra le quali la procedura concordata per la revisione delle regole del
Titolo IV (art. 63, quinto comma) e la procedura prevista per le norme di
attuazione (art. 65), troverebbe piena affermazione nella legislazione, in
particolare nell’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in
materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della
Costituzione), nonché nella giurisprudenza costituzionale (sono citate le sentenze n. 155
e n. 19 del 2015).
La revoca unilaterale del finanziamento,
quindi, sarebbe in contraddizione con il suddetto principio e, in ogni caso,
lesiva del principio di leale collaborazione, in collegamento con l’art. 50
dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia, il quale non prevede che
l’assegnazione di fondi alla Regione possa essere revocata ad nutum, in assenza di qualunque forma di interlocuzione.
2.2.– In secondo luogo, la parte ricorrente deduce la
lesione: dell’art. 3 Cost., per violazione del principio di ragionevolezza,
dell’affidamento e di certezza del diritto; dell’art. 97, primo comma, Cost.,
per contrasto con il principio di buon andamento e di programmazione delle
risorse finanziarie e dell’attività amministrativa; dell’art. 117, primo comma,
Cost., sempre per violazione del principio di certezza del diritto, radicato
anche nel diritto europeo.
La sottrazione dei finanziamenti PAC –
il quale è il risultato di un’azione combinata tra Unione europea, Stato,
Regione e comunità locali – alla propria destinazione e alla comunità
regionale, infatti, sarebbe irragionevole e in contraddizione con il principio
di programmazione, componente essenziale del principio di buon andamento della
pubblica amministrazione.
La norma lederebbe poi il principio
dell’affidamento, anch’esso radicato nell’art. 3 Cost.,
perché la Regione e la sua comunità territoriale sarebbero privati di risorse
sulle quali esse potevano legittimamente contare, interrompendo in settori
delicati l’esercizio, già in corso, di funzioni amministrative e di azioni di
politica sociale. Il che renderebbe priva di razionalità anche la parte già
svolta, frustrando la complessiva azione regionale e la generale produttività
della spesa.
Il difetto di ragionevolezza sarebbe
ulteriormente rafforzato dal fatto che l’utilizzo delle risorse a cui dare
nuova destinazione non risulterebbe neppure certo, dato che la stessa
disposizione impugnata conclude stabilendo che la sua efficacia «è subordinata
all’autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell’articolo l08,
paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea».
La previsione colliderebbe anche con il
principio di certezza del diritto, radicato sia nell’art. 3 Cost. sia nel diritto europeo, vincolante ai sensi dell’art. 117,
primo comma, Cost., trattandosi di fattispecie condizionata dagli obblighi
europei, in relazione all’intervenuto accordo con la Commissione europea sulla
nuova destinazione dei fondi e alle regole sulla riprogrammazione contenute
nell’art. 33 del regolamento CE n. 1083/2006, in attuazione degli artt. 176 e
177 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).
Il contrasto delle norme impugnate con i
predetti parametri costituzionali ridonderebbe sull’esercizio di competenze
costituzionali della Regione, perché condizionerebbe l’esercizio delle funzioni
amministrative della ricorrente nelle materie ad essa attribuite dallo statuto
reg. Friuli-Venezia Giulia (art. 16, in combinato con gli artt. 4, 5 e 6) o
dall’art. 118 Cost., in combinazione con l’art. 10
della legge cost. n. 3 del 2001, e segnatamente nelle
materie interessate dagli interventi del PAC, quali: l’organizzazione
regionale, l’urbanistica, i trasporti locali, il sostegno alle imprese e
all’occupazione, i porti. Tale contrasto violerebbe, di conseguenza, anche
l’autonomia finanziaria della Regione.
La difesa regionale precisa, altresì,
che la disposizione di cui all’impugnato comma 109, nella parte in cui si
riferisce a risorse «non ancora oggetto di impegni giuridicamente vincolanti
rispetto ai cronoprogrammi approvati», potrebbe anche interpretarsi nel senso
di imporre la revoca dei soli fondi per i quali vi sia ritardo rispetto al
cronoprogramma. Nondimeno, anche accedendo a tale interpretazione, la
disposizione determinerebbe la revoca del finanziamento in modo generalizzato e
senza una valutazione specifica in ordine alla responsabilità e gravità del
ritardo, nonché all’interesse pubblico alla prosecuzione del programma, in
relazione al suo stato di avanzamento e al suo rilievo.
3.– Con ricorso notificato il 29 febbraio-4 marzo 2016
e depositato l’8 marzo 2016 (reg. ric. n. 16 del 2016), la Regione Puglia ha
sollevato, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.,
in relazione all’art. 33 del regolamento
CE n. 1083/2006, nonché all’art. 117, terzo e quarto
comma, 118, primo
e secondo comma, e 119,
primo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale del solo comma
110 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015.
3.1.– Nello specifico, l’illegittimità costituzionale
conseguirebbe alla violazione dell’intesa tra Governo italiano e Commissione
europea del 7 novembre 2011, con la quale si è dato avvio, congiuntamente e
simultaneamente, alla revisione dei programmi operativi riferiti ai fondi
strutturali 2007-2013 e al PAC, con conseguente lesione dell’art. 33 del
regolamento CE n. 1083/2006, che disciplina la revisione dei programmi operativi,
nella cui cornice si collocherebbe l’intesa.
L’intesa del 7 novembre 2011, infatti,
avrebbe definito una revisione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali
europei 2007-2013, al fine di far fronte al ritardo che gravava sull’impiego di
tali fondi. Il PAC, quindi, sarebbe stato istituito appunto per l’utilizzazione
delle somme risultanti dalla rimodulazione al ribasso del cofinanziamento
statale ai programmi operativi.
L’accordo stipulato il 3 novembre 2011
tra il Governo e le Regioni destinatarie del PAC, inoltre, avrebbe previsto la
revisione del tasso di cofinanziamento comunitario a condizione che le
risultanti risorse nazionali fossero vincolate al riutilizzo nel rispetto del
principio di territorialità, in condivisione tra il Governo italiano e la
Commissione europea.
Da ultimo, l’art. 23, comma 4, della
legge 12 novembre 2011, n. 183 recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012)», ai sensi
del quale le risorse derivanti dalla riduzione del tasso di cofinanziamento
nazionale dei programmi dei fondi strutturali 2007-2013 vengono destinate alla
realizzazione di interventi «concordati tra le Autorità italiane e la
Commissione europea nell’ambito del processo di revisione dei predetti
programmi», confermerebbe tale centralità del concerto con le Istituzioni
europee.
Dunque, se la revisione dei Programmi
Operativi sarebbe consentita, ai sensi del citato art. 33 del regolamento CE n.
1083/2006, solo alle condizioni individuate di concerto tra Stato membro e
Commissione, tali condizioni assumerebbero carattere vincolante. Così,
qualunque atto che disponesse in senso contrario, dando un’altra destinazione
alle risorse in questione, violerebbe la citata intesa e la normativa europea,
con conseguente lesione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.; il che è
quanto avverrebbe nel caso di specie, poiché il d.P.C.m.
previsto dal comma 110 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015 disporrebbe
l’utilizzo delle risorse già destinate al PAC e non oggetto di obbligazioni
giuridicamente vincolanti per finalità diverse da quelle che
caratterizzerebbero lo stesso PAC.
3.2.– La violazione delle disposizioni richiamate dalla
Regione Puglia ridonderebbe sull’autonomia finanziaria regionale, ledendo,
dunque, anche l’art. 119 Cost., poiché, a seguito dell’entrata in vigore delle
disposizioni impugnate e del venir meno delle risorse che lo Stato aveva già
destinato al PAC, la Regione dovrebbe necessariamente procedere ad una
significativa modifica del proprio bilancio, con riferimento sia alle entrate
sia alle spese. In conseguenza di ciò, la Regione ricorrente vedrebbe compressa
anche la propria autonomia amministrativa, tutelata dall’art. 118, primo e
secondo comma, Cost., che in base al quadro normativo
previgente era destinata ad esplicarsi in ambiti materiali – quelli connessi
agli interventi compresi nella programmazione di utilizzo dei fondi erogati
dall’Unione europea – affidati alla sua potestà legislativa concorrente o
residuale, ai sensi dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
4.– Con due atti depositati rispettivamente il 7 aprile
2016 e l’8 aprile 2016 si è costituito in entrambi i giudizi il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che sia dichiarata l’infondatezza delle questioni di
legittimità costituzionale sollevate dalle Regioni ricorrenti.
4.1.– In via preliminare, in riferimento al ricorso
promosso dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la difesa statale sottolinea
l’assoluta carenza d’interesse a ricorrere, non risultando in alcun modo
allegati né gli specifici progetti da finanziare con i fondi di cui all’art. 1,
comma 110, della legge n. 208 del 2015, né la precisa entità delle risorse che
verrebbero in tal modo sottratte alla Regione ricorrente.
L’Avvocatura generale evidenzia,
altresì, che l’art. 1, comma 992, della legge impugnata prevede espressamente
che «le disposizioni della presente legge sono applicabili nelle regioni a
statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano compatibilmente
con le disposizioni dei rispettivi statuti e le relative norme di attuazione,
anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3», la qual
cosa farebbe, di per sé, escludere la fondatezza delle censure prospettate
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
4.2.– Nel merito delle specifiche
contestazioni, l’Avvocatura generale dello Stato ricostruisce l’evoluzione del
PAC, sottolineando che lo stesso nasce per effetto degli impegni assunti
dall’Italia nei confronti dell’Unione europea in virtù del sostegno ricevuto
per rivedere i programmi relativi ai fondi strutturali, ridefinendo le priorità
dei progetti e concentrando l’attenzione su istruzione, occupazione, agenda
digitale, ferrovie e reti, allo scopo di migliorare le condizioni per un
rafforzamento della crescita e affrontare il divario regionale.
Successivamente, le Regioni meridionali hanno sottoscritto l’Accordo che ha
dato avvio alla revisione dei Programmi cofinanziati con i fondi strutturali
comunitari, con l’introduzione del PAC, nel quale far confluire le risorse
riprogrammate, che sarebbero quota parte del cofinanziamento nazionale ai
Programmi Operativi e riguarderebbero specificatamente le risorse del Fondo di
Rotazione di cui alla legge 16 aprile 1987, n. 183 (Coordinamento delle
politiche riguardanti l’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee ed
adeguamento dell’ordinamento interno agli atti normativi comunitari). Il 7
novembre 2011, dunque, è intervenuto l’accordo sottoscritto tra il Ministro
italiano pro-tempore per i rapporti con le Regioni e la coesione territoriale e
il Commissario alla coesione della UE, con il quale sono stati fissati gli
obiettivi programmatici del PAC e sono state previste le modalità di programmazione
e riprogrammazione, monitoraggio e sorveglianza, attraverso l’intervento di un
Gruppo di azione a cui partecipa la Commissione Europea. Tale Gruppo di azione,
istituito a Roma, presso il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione del
Ministero dello sviluppo economico, ora Agenzia per la coesione, a cui
partecipano, ratione materiae,
i rappresentanti dei soggetti titolari delle singole linee di azione del PAC,
di cui sono titolari le diverse amministrazioni da cui provengono le dotazioni
a seguito della rimodulazione dei Programmi Operativi, avrebbe il compito di
fissare termini stringenti per l’attuazione dei programmi e ne verificherebbe
il rispetto attraverso i sistemi informativi di monitoraggio.
Dunque, secondo la difesa statale, le
risorse del Fondo di Rotazione, inizialmente affidate alle Regioni nei
Programmi Operativi per garantirne il necessario cofinanziamento, con il
trasferimento al PAC sarebbero rientrate nella titolarità nazionale. Ne
conseguirebbe che, accertata dai sistemi nazionali di monitoraggio l’incapacità
del PAC di dare impulso agli investimenti con la necessaria efficacia nonché al
fine di rispettare gli impegni assunti con la Commissione e con il Consiglio
Europeo, il legislatore avrebbe operato una scelta programmatoria ancora più
incisiva, destinando risorse all’esonero contributivo di cui ai commi 178 e 179
della legge di stabilità 2016.
Le risorse, argomenta altresì la
resistente, sarebbero esclusivamente quelle per le quali era previsto dai
cronoprogrammi approvati un impegno giuridicamente vincolante ad una certa
data, oramai trascorsa, laddove l’impegno giuridicamente vincolante non risulti
dai dati comunicati secondo la procedura di cui all’art. 1, comma 109, della
legge n. 208 del 2015. Conseguentemente, il riferimento ad interventi per i
quali sia venuto meno il rispetto dei cronoprogrammi da parte delle
amministrazioni responsabili legittimerebbe lo Stato all’esercizio di un potere
sostitutivo, secondo il principio di sussidiarietà verticale, ai sensi dell’articolo
120, secondo comma, Cost., al fine di assicurare la
competitività, la coesione e l’unità economica del Paese.
4.3.– Dunque, secondo la difesa statale,
le disposizioni impugnate non violerebbero né il principio del legittimo
affidamento né il principio di ragionevolezza e di certezza del diritto, né
tantomeno quello di buon andamento della pubblica amministrazione; infatti, lo
spirito della norma sarebbe quello del riutilizzo delle risorse, relative
all’ormai trascorso periodo di programmazione 2007-2013, non spese in tempi
ragionevolmente stabiliti, principio posto alla base della politica di coesione
territoriale dell’UE. Le stesse disposizioni, inoltre, troverebbero ulteriore
giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo
costituzionale, essendo finalizzate non ad un mero risparmio di spesa, ma alla
promozione di forme di occupazione stabile. La previsione non colliderebbe
nemmeno con il principio della certezza del diritto, in quanto il PAC non
sarebbe soggetto alla disciplina dettata dall’art. 33 del regolamento CE n.
1083/2006 per la revisione dei Programmi operativi.
In tal senso, l’Avvocatura generale
dello Stato richiama la giurisprudenza costituzionale secondo cui la legge
statale può «nell’ambito di manovre di finanza pubblica, anche determinare
riduzioni nella disponibilità finanziaria delle Regioni, purché […] non tali da
produrre uno squilibrio incompatibile con le esigenze complessive della spesa
regionale» (ex multis, sentenza n. 138 del
1999). Situazione che, nel caso di specie, non sarebbe stata in alcun modo
prospettata dalle ricorrenti.
Inoltre, con specifico riferimento al
ricorso proposto dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la difesa
statale sottolinea come, sebbene rispetto ai principi di coordinamento della
finanza pubblica recati dalla legislazione statale debba essere privilegiata la
via dell’accordo con gli enti ad autonomia speciale, in casi particolari
sarebbero pur sempre ammissibili deroghe al principio pattizio da parte del
legislatore statale (in tal senso si richiama la sentenza n. 77 del
2015).
Da ultimo, neppure potrebbe postularsi
l’assenza di forme d’interlocuzione con le Regioni, dato il rinvio, da parte
del comma 109 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2005, alle modalità di cui
all’art. 4, comma 3, del decreto-legge n. 76 del 2013; la concertazione con le
amministrazioni interessate, dunque, sarebbe garantita dalla stessa norma per
finalità di riprogrammazione.
5.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza
la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha risposto alle difese svolte dalla
Presidenza del Consiglio dei ministri nell’atto di costituzione, dando conto,
altresì, delle vicende normative ed attuative che hanno interessato
direttamente o indirettamente le disposizioni oggetto di impugnazione.
5.1.– Innanzi tutto, la Regione si sofferma sulla
mancanza d’interesse a ricorrere, eccepita dal Presidente del Consiglio dei
ministri, alla luce della mancata indicazione delle risorse sottratte alla
Regione. In particolare, la ricorrente argomenta come già dal ricorso sarebbe
evidente il coinvolgimento della Regione negli effetti della revoca delle
risorse attribuitele nell’ambito del PAC, dal momento che essa è una delle
«amministrazioni titolari di interventi del PAC», ai sensi dell’art. 1, comma
109, della legge n. 208 del 2015.
Né, argomenta ancora la Regione,
l’interesse a ricorrere verrebbe meno qualora l’applicazione dei due commi
impugnati dovesse ritenersi esclusa per effetto della clausola di salvaguardia
sancita dall’art. l, comma 992, della legge n. 208 de 2015. In tal caso, anzi,
l’interpretazione delle norme dovrebbe ritenersi satisfattiva dell’interesse
fatto valere con il ricorso. Interpretazione che, a detta della ricorrente, non
sarebbe però effettivamente fatta propria dalla difesa statale.
5.2.– Ciò premesso, la Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia ripercorre lo stato di avanzamento delle singole azioni del PAC,
compiutamente descritto nella Relazione sintetica annuale, predisposta nel
marzo 2017 dal Dipartimento delle politiche di coesione della Presidenza del
Consiglio dei ministri, sulla base dei dati presenti nella Banca Dati Unitaria
del Sistema nazionale di monitoraggio al 31 dicembre 2016. Ivi, infatti, è
rinvenibile il piano della Regione, da cui si registrerebbero impegni effettivi
per 30.621.627,62 euro e pagamenti controllati per 18.365.421,85 euro,
corrispondenti rispettivamente al 61 per cento e al 36,59 per cento del piano
finanziario. La Regione allega una più dettagliata relazione sugli interventi
da cui emergerebbe, in sintesi, che gli interventi relativi a «Misure di
politica attiva», a sostegno della occupazione, vedrebbero una copertura
pressoché totale a livello di impegno (97,19 per cento) e molto avanzata anche
per i pagamenti (72 per cento). Considerazioni in parte analoghe varrebbero per
le azioni della «Archeologia industriale», mentre gli impegni di spesa
sarebbero ridotti per ulteriori azioni, quali quella relativa a
«Trasporti-Reti» e alla «Progettazione integrata per uno sviluppo territoriale
sostenibile». Ritardi che, in ogni caso, non sarebbero imputabili alla Regione,
perché dovuti a ragioni estrinseche, come ad esempio, ai procedimenti
giurisdizionali relativi agli appalti degli interventi o a ritardi di altri
soggetti pubblici (come lo stesso Stato) o privati (come gli aggiudicatari).
In via generale, in ogni caso, la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia afferma l’impossibilità di quantificare
con esattezza le risorse che le saranno sottratte, perché il decreto che
dispone la revoca dei fondi non risulterebbe essere stato ancora adottato, o
comunque non le sarebbe stato comunicato.
5.3.– La Regione ricorrente, quindi, asserisce che,
contrariamente a quanto sostenuto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri,
le norme impugnate non sarebbero giustificabili come esercizio di potere
sostitutivo, fondato sull’art. 120, secondo comma Cost., che anzi sarebbe
proprio uno dei parametri violati.
Nel presente caso, infatti, il potere
sostitutivo sarebbe esercitato per sottrarre risorse alla Regione e quindi in
funzione sostanzialmente sanzionatoria, peraltro senza rispetto dei principi di
proporzionalità e di leale collaborazione, che governano lo stesso potere
sostitutivo. Il ritardo rispetto al cronoprogramma non giustificherebbe, di per
sé, una sostituzione o una conseguenza sanzionatoria, visto che esso potrebbe
essere causato da fattori su cui la Regione non ha alcun controllo, come nel
caso di specie. Né il meccanismo contestato potrebbe giustificarsi in base al
"principio di riutilizzo delle risorse”, che starebbe alla base della politica
di coesione dell’Unione Europea, perché non si vedrebbe come le risorse
recuperate mediante la riprogrammazione dei Fondi strutturali potrebbero
legittimamente essere poi unilateralmente distolte dalle loro nuove finalità
concordate con la Commissione europea.
Da ultimo, neppure la destinazione dei
fondi sottratti alla Regione al finanziamento di incentivi all’occupazione e
quindi alla tutela di beni di interesse costituzionale basterebbe a
giustificare il tutto. A prescindere dal fatto che il perseguimento di fini
legittimi o persino doverosi non esonererebbe il legislatore statale dal
rispetto delle altre norme costituzionali, tale finalizzazione sarebbe solo eventuale,
essendo subordinata all’autorizzazione della Commissione europea.
5.4.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia richiama,
inoltre, la sentenza
n. 155 del 2016, con cui questa Corte si è pronunciata, successivamente
alla proposizione del ricorso in esame, sull’art. l, comma 122, della legge n.
190 del 2014, che prevedeva un meccanismo di revoca di risorse non impegnate
del PAC, dichiarando la non fondatezza delle questioni poste in riferimento
agli artt. 3, 97 e 120 Cost.
Ad avviso della Regione ricorrente,
tuttavia, vi sarebbero ragioni per distinguere il caso in esame da quello
deciso con la predetta sentenza. Ivi, infatti, si argomentava la legittimità
della disposizione allora in questione – che finanziava incentivi per le
assunzioni con la riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazione di cui
all’articolo 5 della legge n. 183 del 1987, già destinate agli interventi del
Piano di azione coesione, ai sensi dell’articolo 23, comma 4, della legge n.
183 del 2011, non ancora impegnate alla data di entrata in vigore della legge –
poiché le risorse del Fondo di rotazione sarebbero somme ancora legittimamente
programmabili dallo Stato.
Nondimeno, osserva la difesa regionale,
la norma della legge n. 190 del 2014 prevedeva una generale riprogrammazione
degli interventi, già a livello statale, dall’interno del sistema PAC, poiché
si prevedeva che il Gruppo di azione avrebbe provveduto all’individuazione
delle specifiche linee di intervento oggetto di riprogrammazione. Operazione
che avrebbe trovato corrispondenza anche nella Regione ricorrente, che ha
riveduto la propria programmazione, intervenendo sul proprio PAC all’esito
della riduzione effettuata con decreto del Ministero dell’economia e delle
finanze del 5 agosto 2015 (impugnato dalla Regione avanti al Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio).
Nel caso di specie, invece, secondo la
ricorrente l’operazione sottrattiva contestata non si legherebbe ad una
complessiva riprogrammazione del sistema PAC, ma sarebbe un mero taglio del
finanziamento, tale da costringere la Regione ad abbandonare i programmi in
corso, salvo reperire aliunde risorse, che sarebbero
comunque sottratte ad altre funzioni pubbliche.
In ogni caso, pur ritenendo l’oggetto
del ricorso in esame analogo a quello deciso con la sentenza n. 155 del
2016, le disposizioni impugnate dovrebbero, se non altro, essere lette nel
modo più ristretto, escludendo quindi la revocabilità delle somme non ancora
oggetto di impegno vincolante, ma rispettose del cronoprogramma.
Le norme sarebbero comunque
irragionevoli, se esaminate in base alle circostanze di fatto documentate dalla
stessa Regione, che dimostrerebbero come il ritardo dell’impegno rispetto al
cronoprogramma sia nella parte sostanziale dovuto a ragioni estrinseche e non
imputabili alla Regione. In tal senso, la difesa regionale richiama la sentenza n. 13 del
2017, che ha dichiarato illegittima, limitatamente alla Regione Umbria
ricorrente, la norma dell’art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge n. 78 del
2015, che fissava il termine di riferimento della operazione di
riprogrammazione e sottrazione del Fondo di rotazione da riversare nel PAC
regolata dal citato art. l, comma 122, della legge n. 190 del 2014, perché
irragionevole riguardo a quella Regione (che aveva successivamente aderito al
PAC).
La mancata considerazione da parte della
disposizione impugnata dei motivi concreti di ritardo dell’impegno rispetto
all’originario cronoprogramma rileverebbe anche sotto il profilo della lesione
del principio di leale collaborazione, prospettato nel ricorso per l’assenza,
nella decisione sulla revoca delle risorse, di forme d’interlocuzione con la
Regione circa i possibili motivi di discrepanza tra cronoprogramma ed impegno
di spesa. Rimarrebbe ferma, infatti, la violazione dell’autonomia finanziaria e
del principio pattizio, perché della finanza regionale farebbero parte, ai
sensi dell’art. 50 dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia, anche i fondi
assegnati alla Regione per programmi di sviluppo. Sul punto la ricorrente
segnala la sentenza
n. 83 del 2016, ove – in materia di competenza statale riguardo a risorse
da tempo inutilizzate e per interventi non ancora in atto – si sarebbe
affermata la necessità del coinvolgimento della Regione sull’adozione dell’atto
di revoca. Il che dovrebbe valere ancor di più, a detta della Regione, in
materie come quella in esame.
6.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza
la Regione Puglia ha insistito sulle conclusioni rassegnate nel ricorso n. 16
del 2016, rispondendo, altresì, alle difese svolte dalla Presidenza del
Consiglio dei ministri nell’atto di costituzione.
6.1.– In primo luogo, la difesa
regionale richiama la predetta sentenza n. 13 del
2017, poiché la norma ivi censurata, allo stesso modo di quella oggetto
d’esame, aveva l’effetto di far venir meno, destinandole a scopi diversi, le
risorse originariamente stanziate per gli interventi afferenti al PAC,
determinando la perdita del finanziamento, con conseguente violazione dell’art.
119 Cost., nonché della sfera di autonomia amministrativa regionale, tutelata
dall’art. 118 Cost. Tali vizi di legittimità non sarebbero stati esclusi dalla
citata pronuncia, bensì soltanto dichiarati assorbiti.
6.2.– In secondo luogo, a detta della ricorrente, sarebbe
incontestabile la necessaria destinazione delle risorse derivanti dalla
riduzione della quota di cofinanziamento nazionale alle linee di intervento del
Piano di Azione Coesione. Il Gruppo di azione, infatti, non potrebbe
indirizzare le risorse che, con l’approvazione della Commissione Europea, sono
confluite nel PAC per realizzare interventi ricadenti nelle Linee di intervento
del medesimo, verso interventi alle stesse non riconducibili. Né a diverse
conclusioni potrebbe giungersi anche a voler ammettere che l’intesa del 7
novembre 2011 abbia attribuito al Gruppo di azione il compito di procedere alla
definizione e alla revisione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali
2007-2013, così istituendo una deroga alla procedura di cui all’art. 33 del
regolamento CE n. 1083/2006. Nel caso di specie, infatti, le disposizioni
impugnate attribuirebbero al Gruppo di Azione la mera ricognizione delle
risorse del Fondo di rotazione, già destinate agli interventi PAC, non ancora
oggetto di impegni giuridicamente vincolanti rispetto ai cronoprogrammi approvati,
mentre l’effettiva nuova destinazione delle risorse sarebbe adottata
unilateralmente dallo Stato con il ricordato d.P.C.m.
6.3.– Secondo la Regione Puglia non sarebbe decisivo
l’argomento della difesa statale per cui verrebbero interessate solamente le
risorse «non ancora oggetto di impegni giuridicamente vincolanti rispetto ai
cronoprogrammi approvati», trattandosi di risorse ancora disponibili in ragione
di un inadempimento della Regione rispetto a tali cronoprogrammi, che
legittimerebbe lo Stato all’esercizio del potere sostitutivo. Infatti, il fatto
che le risorse, alla data del 31 gennaio 2016, non fossero tra quelle oggetto
di impegni giuridicamente vincolanti rispetto ai cronoprogrammi approvati né
tra quelle impegnate e pagate per ciascuna linea d’intervento, non
significherebbe che le medesime non siano state impegnate (seppur non pagate) o
che non siano state impegnate a causa del mancato rispetto dei cronoprogrammi.
In ogni caso, anche laddove il mancato
impegno e pagamento delle risorse fosse riconducibile a ritardi attuativi
imputabili alla Regione, è evidente che l’art. 1, comma 110, della legge n. 208
del 2015 non potrebbe essere considerato frutto di legittimo esercizio del
potere sostitutivo di cui all’art. 120, secondo comma, Cost. Infatti, non ci si
troverebbe dinanzi alla sostituzione, da parte del Governo, di organi
regionali, bensì ad una disposizione, approvata dal Parlamento, che non può
dirsi sostitutiva dell’inerzia o dell’inadempimento da parte degli organi
regionali, dal momento che la stessa disposizione prevedrebbe un intervento
diverso da quello che tali organi avrebbero dovuto portare a compimento.
Inoltre, mancherebbe del tutto il rispetto del principio di leale
collaborazione, non soddisfatto dall’intervento del Gruppo di Azione, che
avrebbe solo un ruolo marginale nell’attività di ricognizione delle risorse.
7.– Con due diverse memorie depositate in prossimità
dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha insistito sulle conclusioni rassegnate
negli atti di costituzione in giudizio e ribadito l’infondatezza delle censure
proposte dalle parti ricorrenti.
Considerato in diritto
1.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (reg.
ric. n. 14 del 2016) e la Regione Puglia (reg. ric. n. 16 del 2016) hanno
promosso questioni di legittimità costituzionale di diverse disposizioni della
legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)».
L’esame di questa Corte è qui limitato
alle questioni relative ai commi 109 e 110 dell’art. 1 di detta legge, restando
riservata a separate pronunce la decisione sulle altre questioni promosse dalle
ricorrenti.
In particolare, l’art. 1 è impugnato,
con riguardo ai commi 109 e 110, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
e, con riguardo al solo comma 110, dalla Regione Puglia.
L’art. 1, comma 109, della legge n. 208
del 2005, prevede una procedura di ricognizione, da effettuarsi secondo le
modalità di cui all’art. 4, comma 3, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76,
recante «Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in
particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul
valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti», convertito, con
modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99, al fine d’individuare le
risorse del Fondo di rotazione di cui all’art. 5 della legge 16 aprile 1987, n.
183 (Coordinamento delle politiche riguardanti l’appartenenza dell’Italia alle
Comunità europee ed adeguamento dell’ordinamento interno agli atti normativi
comunitari), già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione (PAC),
non ancora oggetto di impegni giuridicamente vincolanti rispetto ai
cronoprogrammi approvati. Il successivo comma 110 stabilisce la destinazione
delle risorse disponibili in esito a tale ricognizione per l’estensione
dell’esonero contributivo (di cui ai commi 178 e 179 della stessa legge) alle
assunzioni a tempo indeterminato, effettuate nell’anno 2017, in favore dei
datori di lavoro privati, operanti nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania,
Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna, con particolare attenzione
all’impiego femminile (per cui è prevista una maggiore decontribuzione). Tale
nuova destinazione, determinata con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, in ogni caso è subordinata all’autorizzazione della Commissione
europea ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea.
2.– In considerazione della parziale identità delle
norme denunciate e delle censure proposte, i due giudizi, come sopra
delimitati, devono essere riuniti per essere trattati congiuntamente e decisi
con un’unica pronuncia.
3.– Un primo gruppo di censure è prospettato dalla
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in relazione agli artt. 48, 49, 50 e 63
dello statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1), all’art. 119 della Costituzione, al
principio pattizio, e, in subordine, al principio di leale collaborazione, di
cui all’art. 120, secondo comma, Cost.
La revoca unilaterale del finanziamento
previsto con il Piano di Azione Coesione, che sarebbe parte della complessiva
finanza regionale, in assenza di qualunque forma di interlocuzione con la
Regione, si risolverebbe, infatti, in una lesione del principio pattizio, che
regola i rapporti in materia finanziaria tra il Friuli-Venezia Giulia, quale
Regione ad autonomia differenziata, e lo Stato; principio che troverebbe
fondamento in una pluralità di regole previste dallo statuto reg.
Friuli-Venezia Giulia, nonché nella stessa legislazione ordinaria, in
particolare nell’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in
materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della
Costituzione).
4.– Un secondo gruppo di censure è
formulato dalla ricorrente in riferimento agli artt. 3, 97, primo comma, e 117,
primo comma, Cost., in relazione all’art. 33 del regolamento del Consiglio
della Comunità europea n. 1083/2006 dell’11 luglio 2006 (Disposizioni generali
sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo
di coesione), nonché all’autonomia amministrativa della Regione, nelle funzioni
ad essa attribuite dallo statuto reg. Friuli-Venezia Giulia (art. 16, in
combinato con gli artt. 4, 5 e 6) o dall’art. 118 Cost., in combinazione con
l’art. 10 della legge costituzionale 10 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo
V della parte seconda della Costituzione).
La sottrazione dei finanziamenti PAC – i
quali sono frutto di un’azione combinata tra Unione europea, Stato, Regione e
comunità locali – alla propria destinazione e alla comunità regionale, infatti,
pregiudicherebbe: il principio di programmazione, componente essenziale del
principio di buon andamento della pubblica amministrazione; il principio
dell’affidamento, portando all’interruzione di funzioni amministrative e di
azioni di politica sociale, rendendo priva di razionalità anche la parte già
svolta; il principio della certezza del diritto, radicato sia nell’art. 3 Cost.
sia nel diritto europeo, vincolante ai sensi dell’art.
117, primo comma, Cost., trattandosi di fattispecie condizionata dagli obblighi
europei.
La revoca sarebbe irragionevole,
altresì, anche se riferita ai soli fondi per i quali vi sia ritardo rispetto al
cronoprogramma, perché non terrebbe contro delle circostanze di fatto che
renderebbero i ritardi non imputabili alla Regione, nonché in quanto l’utilizzo
delle risorse a cui dare nuova destinazione non sarebbe neppure certo, poiché
subordinato all’autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell’art.
108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).
Il contrasto delle norme impugnate con i
predetti parametri costituzionali ridonderebbe sull’esercizio di competenze
costituzionali della Regione, perché condizionerebbe l’esercizio delle funzioni
amministrative attribuite alla ricorrente dallo statuto reg. Friuli-Venezia
Giulia o dalla Costituzione nelle materie interessate dagli interventi del PAC.
5.– Un ultimo gruppo di censure è formulato dalla
Regione Puglia in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in
relazione all’art. 33 del regolamento CE n. 1083/2006, nonché agli artt. 117,
terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119, primo comma, Cost.
L’utilizzo delle risorse già destinate
al PAC e non oggetto di obbligazioni giuridicamente vincolanti per finalità
diverse da quelle che caratterizzano il PAC stesso si risolverebbe in una
violazione dell’intesa tra Governo italiano e Commissione europea del 7
novembre 2011, con la quale si è dato avvio, congiuntamente e simultaneamente,
alla revisione dei programmi operativi riferiti ai fondi strutturali 2007-2013
e al PAC, nonché nella conseguente violazione dell’art. 33 del regolamento CE
n. 1083/2006, nella cui cornice si collocherebbe l’intesa. Le condizioni
individuate di concerto tra Stato membro e Commissione, quindi, assumerebbero
carattere vincolante e qualunque atto che disponesse in senso contrario, dando
un’altra destinazione alle risorse in questione, sarebbe illegittimo.
Siffatta illegittimità ridonderebbe:
sull’autonomia finanziaria regionale, poiché a seguito del venir meno delle
risorse che lo Stato aveva già destinato al PAC, la Regione dovrebbe
necessariamente procedere ad una significativa modifica del proprio bilancio;
sull’autonomia amministrativa, che in base al quadro normativo previgente era
destinata ad esplicarsi in ambiti affidati alla sua potestà legislativa
concorrente o residuale.
6.– Preliminarmente deve essere respinta l’eccezione
avanzata dall’Avvocatura generale dello Stato in riferimento alla carenza
d’interesse a ricorrere da parte della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
Come questa Corte ha già avuto modo di osservare, infatti, quando la norma
censurata è tale da comportare minori entrate alle Regioni, come nel caso di
specie, essendo la ricorrente destinataria di risorse del PAC, si giustificano
l’interesse processuale al ricorso ed il rigetto dell’eccezione (tra le tante, sentenze n. 97 del
2013 e n.
241 del 2012).
7.– Le questioni di legittimità costituzionale promosse
dalla Regione Puglia riguardo all’art. 1, comma 110, della legge n. 208 del
2015, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione
all’art. 33 del regolamento CE n. 1083/2006, nonché agli artt. 117, terzo e
quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119, primo comma, Cost., non sono
fondate.
7.1.– La rimodulazione delle risorse statali stanziate in
seguito all’introduzione del PAC è stata già oggetto d’intervento ad opera
dell’art. 1, comma 122, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge di stabilità 2015)», come modificato dall’art. 7, comma 9-sexies, del
decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti
territoriali), convertito nella legge 6 agosto 2015, n. 125. Anche in tal caso si
stabiliva una riprogrammazione delle risorse già destinate agli interventi del
PAC, prevedendo una nuova destinazione per le somme che non risultassero ancora
impegnate.
Come già affermato da questa Corte
riguardo a siffatte disposizioni (sentenza n. 155 del
2016), le risorse del Fondo di Rotazione, inizialmente affidate alle
Regioni nei Programmi Operativi, con il trasferimento al PAC sono rientrate
nella titolarità dello Stato, il quale, dunque, ha la facoltà di riprogrammarne
la destinazione ove non già impegnate dalle Regioni interessate.
Il PAC, infatti, non è soggetto alla
disciplina dettata dall’art. 33 del regolamento CE n. 1083/2006 per la
revisione dei Programmi operativi, mentre il comma 109 dell’art. 1 della legge
n. 208 del 2005, richiamando le modalità di cui all’art. 4, comma 3, del d.l. n. 76 del 2013, prevede il coinvolgimento del Gruppo
di azione nel monitoraggio delle risorse al fine di riprogrammazione.
Le risorse del Fondo di rotazione, in
definitiva, sono somme ancora legittimamente programmabili dallo Stato e,
soprattutto, non necessariamente destinate ad essere utilizzate dalle Regioni.
La disposizione impugnata, quindi, è
tesa al riutilizzo di risorse, rientrate nella disponibilità dello Stato,
relative all’ormai trascorso periodo di programmazione 2007/2013, non impegnate
in tempi ragionevolmente stabiliti, secondo un principio posto alla base della
politica di coesione territoriale dell’UE.
Da quanto detto, pertanto, deriva
l’inesistenza della violazione degli artt. 11 e 117 Cost. e,
di conseguenza, degli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo
comma, e 119, primo comma, Cost., che sono richiamati solo in relazione alla
presunta violazione dei parametri di diritto europeo.
8.– Non sono fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi 109 e 110, della legge n. 208 del 2015,
promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in relazione agli artt.
48, 49, 50 e 63 dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia, all’art. 119 Cost.,
al principio pattizio, e, in subordine, al principio di leale collaborazione,
di cui all’art. 120, secondo comma, Cost.
8.1.– Come già precisato nella sentenza n. 155 del
2016, nonché nei precedenti paragrafi, le risorse del Fondo di rotazione
sono somme ancora legittimamente programmabili dallo Stato quando non risultino
già impegnate dalle Regioni.
Con precipuo riferimento alle Regioni ad
autonomia speciale, sebbene questa Corte abbia in altre occasioni sottolineato
che, relativamente alle stesse, debba essere privilegiata la via dell’accordo,
espressione di un principio generale, desumibile anche dall’art. 27 della legge
n. 42 del 2009 (sentenze
n. 46 e n.
155 del 2015, n.
193 e n. 118
del 2012), è anche vero, tuttavia, che il principio pattizio, proprio in
quanto non rispondente ad una finalità costituzionalmente vincolata, può essere
derogato in casi particolari dal legislatore statale (sentenze n. 46 del
2015, n. 23
del 2014 e n.
193 del 2012).
Quanto affermato, quindi, rende
inapplicabile la clausola di salvaguardia, prevista dall’art. 1, comma 992,
della legge n. 208 del 2015. L’evidente sussistenza della competenza statale a
disciplinare il fondo nei termini suddetti, infatti, fa sì che non si incida su
alcuna competenza della Regione.
Anzi, altresì inapplicabile, nel caso di
specie, è lo stesso principio di leale collaborazione (così già le sentenze n. 155 del
2016, n. 196
del 2015, n.
273 del 2013 e n. 297 del 2012).
Infatti, «[n]é la sfera di competenze
costituzionalmente garantita delle Regioni, né il principio di leale
collaborazione risultano violati da una norma che prende atto dell’inattività
di alcune Regioni nell’utilizzare risorse poste a loro disposizione nel
bilancio dello Stato» (sentenza n. 83 del
2016). In caso di revoca di risorse assegnate alle Regioni e da tempo
inutilizzate, dunque, le esigenze di leale collaborazione possono essere
considerate recessive (sentenza n. 105 del
2007).
Non possono quindi essere accolte le
argomentazioni della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, secondo cui il PAC
rientrerebbe nel quadro previsto dagli artt. 48, 49 e 50 dello statuto reg.
Friuli-Venezia Giulia e dall’art. 119 Cost. e, dunque,
il finanziamento sarebbe ormai parte della finanza regionale e non potrebbe
essere revocato dallo Stato se non nel rispetto delle procedure pattizie
statutariamente previste e desumibili dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009.
Le disposizioni impugnate, infatti,
rientrano tra le competenze statali in materia di perequazione finanziaria,
poiché, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (in particolare
dalla sentenza
n. 16 del 2010), fondi come quello in esame sono istituiti dallo Stato a
tutela di peculiari esigenze e finalità di coesione economica e sociale. Si
tratta, infatti, di fondi recanti risorse aggiuntive rispetto a quelle
necessarie per l’esercizio delle ordinarie funzioni regionali, i quali possono,
quindi, essere oggetto di una nuova programmazione, alla luce di valutazioni di
interesse strategico nazionale.
9.– Lo scrutinio di questa Corte deve
incentrarsi sulle questioni promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia riguardo all’art. 1, commi 109 e 110, della legge n. 208 del 2015, in
riferimento agli artt. 3, 97, primo comma, e 117, primo comma Cost., in
relazione all’art. 33 del regolamento CE n. 1083/2006, nonché all’autonomia
finanziaria e sull’autonomia amministrativa regionale, nelle funzioni ad essa
attribuite dallo statuto reg. Friuli-Venezia Giulia (art. 16, in combinato con
gli artt. 4, 5 e 6) o dall’art. 118 Cost., in combinazione con l’art. 10 della
legge cost. n. 3 del 2001.
Anche tali questioni non sono fondate.
9.1.– Va precisato che in questa sede
non appare pertinente il richiamo alla declaratoria d’illegittimità
costituzionale, di cui alla sentenza n. 13 del
2017, relativa alla modifica apportata all’art. 1, comma 122, della legge
n. 190 del 2014 dall’art. 7, comma 9-sexies, del d.l.
n. 78 del 2015; tale disposizione differiva alla «data di entrata in vigore
della presente legge» (1° gennaio 2015), il termine, originariamente previsto
per il 30 settembre 2014, per valutare come non impegnate le risorse oggetto di
riprogrammazione. Ciò, in effetti, creava un difetto di ragionevolezza nei
confronti della Regione Umbria, poiché l’inclusione (intervenuta il 22 dicembre
2014) fra le risorse del PAC dei fondi di spettanza di tale Regione era
successiva al 30 settembre 2014. Lo spostamento in avanti del termine, quindi,
rendeva impossibile alla Regione evitare la perdita del finanziamento mediante
l’impegno delle risorse stesse. Il profilo d’illegittimità costituzionale,
pertanto, concerneva esclusivamente la tempistica nei confronti della Regione
Umbria, effettivamente irragionevole, senza intervenire sulla possibilità per
lo Stato di provvedere alla distrazione delle risorse.
9.2.– Nel caso in esame sono impugnati due commi, il
primo dei quali (comma 109) disciplina la ricognizione, ad opera delle
amministrazioni titolari di interventi PAC, delle risorse non ancora oggetto di
impegni giuridicamente vincolanti rispetto ai cronoprogrammi approvati. A tal
fine, la disposizione richiede alle amministrazioni predette di inviare al
sistema di monitoraggio i «dati relativi alle risorse impegnate e pagate per
ciascuna linea d’intervento». Il secondo dei due commi (comma 110) affida ad un
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la determinazione delle
risorse disponibili in esito a tale ricognizione e la loro nuova destinazione.
Il riferimento alle risorse non già
soltanto impegnate, ma anche «pagate», può avere rilievo ai soli fini del monitoraggio
e non anche per la determinazione delle risorse disponibili, poiché è fuor di
dubbio che è già l’impegno a renderle indisponibili.
La questione qui posta, quindi, verte
sull’estensione delle risorse da ritenere impegnate, poiché, come testé ricordato,
il comma 109 si riferisce espressamente a quelle «non ancora oggetto di impegni
giuridicamente vincolanti rispetto ai cronoprogrammi approvati».
Proprio il richiamo di questi ultimi fa
ritenere che la disposizione censurata si riferisca ad una fase successiva alla
mera programmazione, ma che non necessariamente debba essersi già perfezionato
l’impegno di spesa propriamente detto. Il comma 109, infatti, sembra definire
una nozione d’impegno in realtà riconducibile alla "prenotazione d’impegno” (o
"pre-impegno”), ben espressa dai principi contabili
di cui al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia
di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle
Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2
della legge 5 maggio 2009, n. 42) e, più in generale, dalla disciplina di
contabilità pubblica. Riguardo, in particolare, alle spese d’investimento, ad
esempio, si pensi all’art. 183, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), che
fa esplicito riferimento, all’interno della nozione d’impegno di spesa, agli
impegni prenotati e cioè relativi alle procedure in via di espletamento.
Da quanto detto consegue che non saranno
disponibili, ai fini della nuova destinazione prevista dal comma 110, le
risorse vincolate al completamento dell’intervento come scandito dal
cronoprogramma; così, ad esempio, per le somme necessarie al collaudo di
un’opera programmata e già in fase realizzativa, sebbene ancora non
definitivamente impegnate, e comunque per tutte le obbligazioni perfezionate.
Nei limiti indicati l’intervento
statale, dunque, non risulta irragionevole né lesivo dei principi di
affidamento e di certezza del diritto. Né rileva l’obiezione che la nuova
programmazione sarebbe subordinata all’autorizzazione della Commissione europea
ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3, del TFUE, trattandosi di una mera
condizione di efficacia del nuovo utilizzo delle risorse alla luce dei profili
di compatibilità con la disciplina degli aiuti di Stato.
Tenuto presente che si tratta di fondi
su cui lo Stato può legittimamente agire, in conclusione, l’assenza d’impegni
giuridicamente vincolanti sulle risorse in questione rende legittima la sottrazione
delle stesse alle Regioni e la loro destinazione a finalità d’interesse
generale.
9.3.– Ciò precisato, le disposizioni
impugnate non possono ritenersi in contrasto con l’autonomia amministrativa
regionale, poiché, come è noto, «la semplice circostanza della riduzione,
disposta con legge statale, delle disponibilità finanziarie messe dallo Stato a
disposizione delle Regioni non è di per sé sufficiente ad integrare una
violazione dell'autonomia finanziaria regionale, costituzionalmente garantita,
se non sia tale da comportare uno squilibrio incompatibile con le esigenze
complessive della spesa regionale» (ex multis, sentenza n. 437 del
2001); infatti, la legge statale può «nell’ambito di manovre di finanza
pubblica, anche determinare riduzioni nella disponibilità finanziaria delle
Regioni, purché, appunto, non tali da produrre uno squilibrio incompatibile con
le esigenze complessive della spesa regionale» (ex multis,
sentenza n. 138
del 1999).
Siffatto squilibrio non emerge dalla
prospettazione della ricorrente, che, anzi, riconosce l’impossibilità di
determinarne la portata concreta in assenza del d.P.C.m.
previsto dal comma 110, non raggiungendosi quindi quella sufficiente
dimostrazione del pregiudizio arrecato alle funzioni regionali richiesto dalla
costante giurisprudenza costituzionale (tra le tante, sentenze n. 29 del
2016, n. 239
del 2015, n.
26 del 2014, n.
97 del 2013, n.
241 del 2012, n.
145 del 2008, n.
256 del 2007, n.
437 del 2001).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle altre
questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi indicati in
epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 110, della legge 28 dicembre
2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promosse dalla Regione
Puglia in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, in relazione all’art.
33 regolamento del Consiglio della Comunità europea n. 1083/2006 dell’11 luglio
2006 (Disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo
sociale europeo e sul Fondo di coesione), nonché agli artt. 117, terzo e quarto
comma, 118, primo e secondo comma, e 119, primo comma, della Costituzione, con
il ricorso iscritto al n. 16 del registro ricorsi del 2016;
2) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 109 e 110, della legge n. 208 del
2015, promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in riferimento agli
artt. 48, 49, 50 e 63 dello statuto speciale della Regione Friuli Venezia
Giulia (legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1), agli artt. 119 e 120,
secondo comma, Cost., al principio pattizio e al principio
di leale collaborazione, con il ricorso iscritto al n. 14 del registro ricorsi
del 2016;
3) dichiara non fondate, nei sensi di
cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1,
commi 109 e 110, della legge n. 208 del 2015, promosse dalla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia in riferimento agli artt. 3, 97, primo comma, 117, primo
comma, Cost., in relazione all’art. 33 del regolamento CE n. 1083/2006, nonché
all’art. 16, in combinato disposto con gli artt. 4, 5 e 6, dello statuto reg.
Friuli-Venezia Giulia, e all’art. 118 Cost., in combinazione con l’art. 10
della legge costituzionale 10 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione), con il ricorso iscritto al n. 14 del
registro ricorsi del 2016.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 giugno
2017.