Sentenza n. 333 del 1991

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SENTENZA N. 333

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 71, 72 e 72-quater della legge 22 dicembre 1975, n. 685 (Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), come modificata dalla legge 26 giugno 1990, n. 162 (Aggiornamento, modifiche ed integrazioni della legge 22 dicembre 1975 n. 685, recante disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza), (corrispondenti rispettivamente agli artt. 73, 75 e 78 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope) promossi con ordinanze emesse l'8 gennaio 1991 dal Pretore di Bergamo - Sezione distaccata di Grumello del Monte; il 12 ottobre e 31 dicembre 1990 e il 9 gennaio 1991 dal Tribunale di Roma (n. 4 ordd.); l'11 febbraio 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Camerino (n. 2 ordd.), iscritte rispettivamente ai nn. 73, 163, 164, 165, 166, 215 e 216 del registro ordinanze 1991 e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica n. 8, 12 e 14, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 21 maggio 1991 il Giudice relatore Renato Granata;

Udito l'Avvocato dello Stato Ignazio Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri;

Ritenuto in fatto

  1. - Con ordinanza del 12 ottobre 1990 il Tribunale di Roma, all'esito del dibattimento penale celebrato nei confronti di Martignetti Romeo, imputato del reato di cui all'art. 71 della legge 22 dicembre 1975 n. 685, come modificato dalla legge 26 giugno 1990 n. 162 per aver illecitamente detenuto 0,389 grammi di cocaina, ha sollevato questione incidentale di costituzionalità degli artt. 71, 72 e 72-quater della legge n. 685 del 1975, come modificata dalla legge 26 giugno 1990 n. 162 (corrispondenti rispettivamente agli artt. 73, 75 e 78 del T.U. 9 ottobre 1990 n. 309) in relazione agli artt. 3 e 25 della Costituzione.

In particolare il Tribunale rimettente sembra muovere dalla possibilità di una lettura duplice delle norme censurate secondo che la fattispecie di cui all'art. 71 cit. si intenda dal legislatore configurata come reato di pericolo di spaccio, presunto in maniera assoluta, ovvero si ritenga che "la suddetta fattispecie punisce non già il pericolo di spaccio, bensì direttamente il consumo".

In relazione alla prima ipotesi denuncia "violazione del principio di ragionevolezza, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione" in quanto l'esperienza giudiziaria mostra che di regola i consumatori, specie di sostanze stupefacenti c.d. "leggere" si riforniscono di quantità superiori al fabbisogno giornaliero, onde il criterio della "dose media giornaliera" non può costituire un parametro ragionevole, corrispondente cioè all'id quod plerumque accidit, su cui possa attendibilmente fondarsi una prognosi legale di pericolo di spaccio.

Con riferimento poi alla seconda ipotesi, che il tribunale rimettente sembra preferire, "la portata normativa degli artt. 71, 72 e 72-quater appare in contrasto con gli artt. 3 e 25 della Costituzione", là dove alla stregua di tali disposizioni "la detenzione per comprovato uso personale e addirittura l'effettivo consumo di sostanze stupefacenti in quantità superiore alla dose media giornaliera sono sanzionati come reato".

In questa prospettiva il Tribunale muove tre ulteriori censure di costituzionalità.

Ritiene innanzi tutto sussistere un'ipotesi di disparità di trattamento nella forma di pari trattamento di situazioni diverse perché, in caso di detenzione di sostanze stupefacenti in misura appena superiore alla dose media giornaliera, sarebbero assoggettati alla stessa sanzione sia il soggetto che ha ceduto la droga, sia quello che l'ha consumata giacché, trattandosi di un fatto minimo in senso assoluto, la pena non potrebbe essere differenziata.

Inoltre risulterebbe violato il principio della necessaria offensività del reato, che costituisce limite alla discrezionalità del legislatore penale. Infatti nel caso della detenzione destinata al consumo o di effettivo consumo di sostanze stupefacenti in quantità superiore alla dose media giornaliera non sarebbe configurabile la lesione o l'esposizione a pericolo di un bene giuridico che possa giustificare la sanzione penale. Ove anche poi si considerassero come vittime della droga, non solo lo stesso tossicodipendente, ma anche i suoi familiari, i suoi amici, la comunità in cui vive, la società nel suo complesso, il rischio di tale incidenza esulerebbe del tutto dall'assunzione, anche abituale, delle cd. sostanze stupefacenti "leggere" che non inducono tossicodipendenza, e rappresentano un rischio assai remoto in caso di uso occasionale di oppiacei o cocaina. Inoltre, nel caso di assunzione abituale di sostanze stupefacenti "pesanti", il Tribunale rimettente osserva che il tossicodipendente è indefettibilmente punito per la detenzione a fine di consumo di quantità superiori alla dose media giornaliera anche se, nel caso concreto, i beni tutelati non abbiano corso alcun pericolo, non essendo egli ammesso a provare l'insussistenza del pericolo.

Infine il giudice a quo ritiene che il meccanismo normativo attraverso il quale il legislatore individua la fattispecie penalmente rilevante contrasti con la riserva di legge in materia penale sancita dall'art. 25 Cost. essendo demandato ad un decreto del Ministro della sanità (tra l'altro) la determinazione dei limiti quantitativi massimi di principio attivo per le dosi medie giornaliere senza che risulti soddisfatta l'esigenza di predeterminazione ad opera della norma primaria del contenuto essenziale della fattispecie penale.

E poiché, secondo l'avviso del giudice rimettente, il criterio quantitativo è di per sé stesso ontologicamente inidoneo a determinare la condotta legittimamente punibile (spaccio) ed a differenziarla da quella non punibile (consumo) alla stregua della Costituzione, l'unica via per ricondurre il denunciato complesso normativo nell'ambito della legittimità costituzionale è, a giudizio del tribunale di Roma, eliminare dall' art. 72 della legge (art. 75 del t.u.) l'inciso "in dose non superiore a quella media giornaliera, determinata in base ai criteri indicati al comma I dell'art. 72-quater" (art. 78 del t.u.).

  1. - Con ordinanze del 31 dicembre 1990 (nel procedimento penale a carico di Bartolomei Claudio), del 9 gennaio 1991 (nel procedimento penale a carico di Saporito Fabrizio) e del 9 gennaio 1991 (nel procedimento penale a carico di Marconi Massimo) il Tribunale di Roma ha sollevato analoga questione incidentale di costituzionalità.
  2. - Con ordinanza dell'8 gennaio 1991 il Pretore di Bergamo, Sezione distaccata di Grumello del Monte - nel corso di un procedimento penale a carico di Piensi Massimo, imputato di detenzione di sostanze stupefacenti in misura superiore alla dose media giornaliera - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale delle medesime norme della legge n. 685 del 1975, come modificate dalla legge n. 162 del 1990, nella parte in cui sottopongono a sanzione penale la detenzione a fine di uso personale non terapeutico di sostanze stupefacenti e psicotrope in misura superiore alla dose media giornaliera. Sostiene il giudice a quo che la normativa censurata vìola l'art. 3 Cost. (perché sottopone ad uguale trattamento situazioni notevolmente diverse in relazione alle caratteristiche dei soggetti agenti), l'art. 27 Cost. (perché commina pene i cui limiti edittali sono del tutto divergenti dalla finalità rieducativa dell'imputato), l'art. 32 Cost., perché, anziché tutelare la salute dei singoli assuntori, sottopone invece a pena detentiva (formalmente una condotta, ma di fatto) lo stato personale di tossicodipendenza.
  3. - Con ordinanza dell'11 febbraio 1991 il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Camerino, nel procedimento penale nei confronti di Andreani Gianluca, imputato di illecita detenzione di 7,94 grammi di hashish, ha sollevato questione di legittimità costituzionale delle medesime norme in relazione all'art. 25 della Costituzione. Il giudice rimettente lamenta la violazione del principio di riserva di legge dettato dall'art. 25 Cost. per essere gli elementi costitutivi della fattispecie penale posti con decreto del Ministro della sanità. Svolge quindi argomentazioni in tutto analoghe a quelle espresse dal Tribunale di Roma nella menzionata ordinanza del 12 ottobre 1990.
  4. - In tutti i giudizi suddetti si è costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, eccependo preliminarmente l'inammissibilità delle questioni sollevate con l'ordinanza dell'8 gennaio 1991 dal Pretore di Bergamo, Sezione distaccata di Grumello del Monte, in quanto carente di motivazione sulla rilevanza e per incertezza nell'identificazionedella questione sottoposta alla Corte.

Nel merito, poi, sia di tale ordinanza che delle altre sopra indicate, ha sostenuto l'inammissibilità e comunque l'infondatezza delle questioni sollevate.

L'Avvocatura ritiene innanzi tutto che l'individuare in una dose giornaliera di quantità di droga il discrimine tra comportamento sanzionabile penalmente e comportamento sanzionabile solo amministrativamente costituisce esercizio di un potere discrezionale del legislatore non censurabile in sede di giudizio di costituzionalità delle leggi.

Sostiene poi potersi distinguere - al fine di determinare la soglia di punibilità della detenzione di sostanze stupefacenti - tra consumatore occasionale e tossicodipendente giacché l'art. 78 t.u. sarebbe da interpretare nel senso che coesisterebbero una dose media giornaliera personalizzata del singolo tossicodipendente (lett. a) e b) dell'art. 78), ed una dose media giornaliera unitaria desunta da metodiche di tossicologia e di statistica (lett. c) della medesima norma) per l'assuntore occasionale.

Afferma infine l'Avvocatura che non risulta violato l'art. 25 Cost. né sotto il profilo dell'offensività giacché la detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale, ove assoggettata a sanzione penale, non può considerarsi "reato senza offesa", ma piuttosto "reato con vittime indeterminate", gravissime essendo le conseguenze della tossicodipendenza (che induce spesso il tossicodipendente a compiere attività criminose, che provoca profonde sofferenze morali alle famiglie, che favorisce il diffondersi di gravissime malattie, quali l'A.I.D.S. e l'epatite virale); né sotto il profilo della riserva di legge penale, atteso che la fattispecie incriminatrice risulta pienamente determinata dalla legge essendo demandata al Ministro della sanità soltanto la specificazione in sede tecnica dei quantitativi massimi di principio attivo delle singole sostanze stupefacenti alla stregua di nozioni tossicologiche ed epidemiologiche.

In ordine alla denunciata violazione dell'art. 27 Cost. (lamentata nella sola ordinanza dell'8 gennaio 1991 del Pretore di Bergamo, Sezione distaccata di Grumello del Monte) l'Avvocatura dello Stato rileva che la configurazione della fattispecie criminosa e la valutazione delle relative pene rientrano nella discrezionalità legislativa con l'unico limite della manifesta irragionevolezza; d'altra parte al fine della rieducazione del condannato mirano varie norme della stessa legge n. 162 del 1990. Infine l'art. 32 Cost. non può dirsi violato perché la normativa impugnata mira proprio a tutelare la salute sia dissuadendo dal consumo di sostanze stupefacenti sia prevedendo programmi terapeutici e socio-riabilitativi.

  1. - In uno dei giudizi incidentali di costituzionalità - quello promosso con ordinanza n. 215/91 dal G.i.p. presso il Tribunale di Camerino nel procedimento penale a carico di Ciammarucchi Igino - si è costituito il Coordinamento radicale antiproibizionista (CORA) sostenendo preliminarmente in rito l'ammissibilità dell'intervento pur non essendo parte nel giudizio penale a quo; nel merito ha ritenuto essere costituzionalmente illegittima la normativa censurata per essere stato violato il precetto della riserva di legge in materia penale (art. 25 Cost.).
  2. - In una memoria difensiva l'Avvocatura Generale dello Stato si è opposta all'ammissione dell'intervento del C.O.R.A., ribadendo nel merito le argomentazioni già svolte nell'atto di intervento.

Considerato in diritto

  1. - È stata sollevata questione incidentale di costituzionalità degli artt. 71, 72 e 72-quater della legge 22 dicembre 1975 n. 685, come modificata dalla legge 26 giugno 1990 n. 162 (corrispondenti rispettivamente agli artt. 73, 75 e 78 del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope) per sospetta violazione:
  2. a) dell'art. 3 Cost. perché, nel caso di detenzione di sostanze stupefacenti in misura superiore alla dose media giornaliera, prevedono una presunzione assoluta di spaccio che è arbitraria ed irragionevole in quanto contrastante con l'id quod plerumque accidit;
  3. b) del medesimo art. 3 Cost. perché, nell'accomunare nella stessa fattispecie criminosa sia la detenzione in misura superiore alla dose media giornaliera, che lo spaccio di sostanze stupefacenti, determinano una disparità di trattamento nella forma di pari trattamento di situazioni diverse per il fatto di comminare la stessa pena sia al soggetto che ha ceduto la droga, sia a quello che l'ha consumata;
  4. c) dell'art. 25 Cost. per violazione del principio della necessaria offensività del reato, quale limite alla discrezionalità del legislatore penale, sotto il profilo che nel caso della detenzione per uso personale di sostanze stupefacenti in quantità superiore alla dose media giornaliera non sarebbe configurabile la lesione o l'esposizione a pericolo di alcun bene giuridico che possa giustificare la sanzione penale;
  5. d) dell'art. 25 Cost. per violazione della riserva di legge in materia penale in quanto - essendo demandato ad un decreto del Ministro della sanità la determinazione dei limiti quantitativi massimi di principio attivo per le dosi medie giornaliere - non risulterebbe soddisfatta l'esigenza di predeterminazione ad opera della norma primaria del contenuto essenziale della fattispecie penale;
  6. e) dell'art. 27 Cost. perché l'art. 73 t.u. cit., in particolare, commina pene i cui limiti edittali sono del tutto divergenti dalla finalità rieducativa dell'imputato;
  7. f) dell'art. 32 Cost., perché, anziché tutelarsi la salute dei singoli assuntori, si sottopone a pena detentiva (formalmente una condotta, ma di fatto) lo stato personale di tossicodipendenza.
  8. - Delle norme censurate, in particolare, l'art. 73 del testo unico cit. (al quale si farà unicamente riferimento in seguito) - nel prevedere un tipico reato a condotta alternativa - contempla il comportamento di "chiunque, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede o riceve a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia, acquista, trasporta, esporta, importa, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo, o comunque illecitamente detiene, fuori dalle ipotesi previste dagli articoli 75 e 76, sostanze stupefacenti o psicotrope".

A sua volta l'art. 75 configura un'ipotesi di illecito amministrativo, anch'esso a condotta alternativa, essendo previsti l'illecita importazione, l'acquisto e la detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale "in dose non superiore a quella media giornaliera".

Quest'ultima condotta quindi ricade nella fattispecie dell'art. 75 (sanzioni amministrative) - e non già in quella dell'art. 73 (sanzioni penali) - se sussiste la destinazione ad uso personale delle sostanze stupefacenti detenute e se la quantità detenuta non eccede la dose media giornaliera (d'ora in poi anche d.m.g.) determinata in base ai criteri indicati dal primo comma dell'art. 78 che demanda al Ministro della Sanità, previo parere dell'Istituto superiore di sanità, di stabilire ( a) le procedure diagnostiche e medico-legali per accertare l'uso abituale di sostanze stupefacenti e psicotrope; ( b) le metodiche per quantificare l'assunzione abituale nelle 24 ore; ( c) i limiti quantitativi massimi di principio attivo per le dosi medie giornaliere.

  1. - Premesso che l'identità delle norme censurate nelle varie ordinanze indicate in narrativa giustifica la riunione dei procedimenti e confermata, per quanto possa occorrere, la dichiarazione di inammissibilità - già resa con ordinanza pronunziata alla pubblica udienza di discussione - dell'intervento spiegato in questa sede dal C.O.R.A. (Coordinamento Radicale Antiproibizionista), non essendo esso parte nel giudizio a quo (in tal senso v., ex plurimis, sent. 63 del 1991 e n. 124 del 1990), va pregiudizialmente rilevato che delle questioni sollevate con l'ordinanza del Pretore di Bergamo l'Avvocatura dello Stato eccepisce la inammissibilità per carenza di motivazione sulla rilevanza e per incertezza nella identificazione della questione sottoposta alla Corte.

L'eccezione è infondata sotto entrambi i profili. Per un verso, perché dal testo dell'ordinanza risulta che nel giudizio a quo il Pretore procedeva a carico di persona imputata del delitto di cui all'art. 73, comma 5, onde di tale norma incriminatrice egli era ovviamente chiamato a fare applicazione. Per altro verso, perché la questione sollevata è - come più avanti si potrà constatare - enunciata in termini sufficientemente esplicativi.

4.1. - Nel merito devono innanzi tutto esaminarsi le censure di incostituzionalità mosse nell'ordinanza del Tribunale di Roma, rilevando subito che l'apparente alternativa esegetica posta dal giudice a quo in realtà non riguarda la individuazione della struttura formale della norma incriminatrice penale espressa nell'art. 73, in relazione agli artt. 75 e 78, del t.u., ma se mai la ratio della incriminazione stessa.

Il tribunale rimettente stesso, invero, non manca di rilevare che la condotta incriminata è la "detenzione" della sostanza stupefacente pur quando ne "sia provata la destinazione al consumo" e, se pur riferisce l'incriminazione anche allo "effettivo consumo", mostra peraltro di essere ben consapevole che questa ultima ipotesi ha semmai riguardo "al consumo pregresso, cioè alla detenzione per la quale", a suo avviso, "il pericolo di spaccio non è neppure ipotizzabile".

Ed in ogni caso, realmente, l'individuazione della condotta incriminata - tra le altre considerate dall'art. 71 - nella "detenzione" e non nel mero consumo di sostanze stupefacenti, è un dato ermeneutico inequivocabilmente emergente dal testo normativo, a tenore del quale è punito (art. 73, primo comma) "chiunque.. .. .. comunque illecitamente detiene, fuori dalle ipotesi previste dagli articoli 75 e 76 sostanze stupefacenti o psicotrope.. .. ..". Onde, dal raffronto con il successivo art. 75, che qualifica in termini di illecito (non penale, ma) amministrativo la condotta di "chiunque, per farne uso personale, illecitamente.. .. .. comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope in dose non superiore a quella media giornaliera, determinata in base ai criteri indicati al primo comma dell'art. 78.. .. ..", risulta che oggetto della incriminazione penale è (non l'uso, ma) sia la detenzione per uso non personale di qualsiasi quantità, tanto maggiore che minore della dose media giornaliera - condotta questa che è estranea all'oggetto del presente giudizio di costituzionalità -, sia la detenzione di una quantità eccedente la dose media giornaliera qualunque sia la finalità, di spaccio o di consumo, della detenzione stessa.

4.2. - Peraltro, pur se vietata, non ogni detenzione di sostanza stupefacente è sanzionata penalmente. Per le ragioni, le valutazioni, le finalità che fra breve verranno analiticamente messe in luce, il legislatore del 1990 ha ritenuto di dovere rendere più severa - riducendo la quantità non rilevante penalmente - la repressione criminale della "produzione e del traffico illecito di sostanze stupefacenti" (tale è la rubrica dell'art. 73 nell'attuale formulazione). Al contempo, il diverso disvalore della condotta del tossicodipendente o tossicofilo che detiene sostanze stupefacenti per uso personale, la concorrente esigenza di tenere conto del particolare stato individuale del medesimo e le aspettative di recupero della sua salute psico-fisica hanno indotto il legislatore del 1990 - non diversamente da quello del 1975 - ad operare una distinzione nell'ambito della detenzione così da rendere non penalmente sanzionabile il comportamento dell'ultimo anello della catena che dal produttore di droga si snoda fino all'assuntore.

4.3. - Un'ulteriore precisazione - in tema di individuazione della fattispecie incriminatrice - si rende a questo punto necessaria.

I giudici a quibus contestano la legittimità costituzionale dell'art. 78, laddove rimette la determinazione del limite quantitativo al decreto ministeriale, riferendosi ad un parametro "medio" unico stabilito per ogni singolo tipo di sostanza e applicabile oggettivamente nei confronti di qualsiasi detentore, indipendentemente dal suo eventuale stato di tossicofilo o di tossicodipendente e dalla entità del suo fabbisogno personale.

L'Avvocatura dello Stato suggerisce invece una diversa interpretazione, secondo la quale nella norma citata dovrebbero ravvisarsi (non uno, ma) due criteri discriminanti: per i tossicofili la dose media giornaliera unitaria (desunta con metodiche di tossicologia e di statistica sanitaria ) e per i tossicodipendenti la dose media giornaliera personalizzata (determinata per ciascun consumatore in base alle procedure diagnostiche ed alle metodiche di cui sub a) e sub b) dell'art. 78).

Tuttavia la Corte, ai fini del controllo di legittimità costituzionale della norma impugnata, non ha motivo di discostarsi dalla uniforme interpretazione adottata dai giudici a quibus.

  1. - Dalla lettura del testo della legge risulta chiaramente che scopo immediato e diretto dell'incriminazione è quello di combattere il mercato della droga, limitando - con il divieto di accumulo - la quantità di sostanza che giornalmente il soggetto agente può detenere anche per uso personale senza incorrere nella sanzione penale, con il duplice, concorrente effetto, per un verso, di ridurre il pericolo che una parte della sostanza detenuta possa essere venduta o ceduta a terzi, e, per altro verso, di indurre la domanda, e di riflesso l'offerta, a modellarsi su quantitativi minimi in guisa da costringere lo spaccio a parcellizzarsi al massimo e da renderne così più difficile la pratica. Tutto ciò al fine ultimo di espellere la droga dal mercato, anzi di espellere il mercato della droga dal circuito nazionale, per la tutela sia della salute pubblica (già sent. n. 9/1972; sent. n. 31/1983; vedi pure Preambolo Convenzione Vienna 21 febbraio 1971), sempre più compromessa da tale diffusione, sia - con non minore rilievo - della sicurezza pubblica e dell'ordine pubblico (già sent. n. 9/1972 cit.; sent. n. 243/1987; sent. n. 1044/1988) negativamente incisi vuoi dalle pulsioni criminogene indotte dalla tossicodipendenza (ibidem) vuoi dal prosperare intorno a tale fenomeno della criminalità organizzata (vedi Raccomandazione del Consiglio d'Europa 4 ottobre 1988 n. 1085 cit., punto 3; Preambolo Convenzione Vienna 20 dicembre 1988), nonché a fini di tutela delle giovani generazioni (già sent. n. 31/1983, in relazione all'art. 31, secondo comma, Cost.).
  2. - Così delineata la fattispecie incriminatrice, individuati i beni giuridici tutelati e precisata la ratio della incriminazione, può procedersi all'ulteriore valutazione delle singole censure sollevate dal Tribunale di Roma.

Con l'avvertenza, peraltro, da tenersi ben presente nell'intero prosieguo del discorso, che le argomentazioni critiche del giudice rimettente sono pertinenti al tema e meritano di essere quindi prese in considerazione e vagliate, soltanto nei limiti in cui riguardano i termini normativi di riferimento come sopra individuati, nonché - ovviamente - nel solo ambito del sindacato di competenza di questa Corte.

  1. - Conviene innanzi tutto esaminare più in dettaglio la denunziata violazione dell'art. 3 Cost. per irragionevolezza della scelta legislativa, nei termini sopra indicati, e dell'art. 25 Cost. per inosservanza del principio di necessaria offensività del reato, profili questi che presentano punti di contiguità, rinviando ai paragrafi 10 e seguenti l'esame della denunziata violazione rispettivamente dello stesso art. 3 per disparità di trattamento e dell'art. 25 per inosservanza della riserva di legge in materia penale.

Sotto un primo profilo, il Tribunale di Roma muove dal rilievo che la dose media giornaliera non costituisce un parametro ragionevole, corrispondente cioè all'id quod plerumque accidit, su cui possa attendibilmente fondarsi una prognosi legale di pericolo di spaccio, onde la norma incriminatrice viola il principio di ragionevolezza là dove irragionevolmente ricollega la presunzione assoluta del pericolo di spaccio alla detenzione di una quantità di sostanza eccedente quella misura. Al contrario, secondo il giudice rimettente, l'esperienza giudiziaria dimostra che di regola i consumatori, specie delle droghe c.d. leggere, si riforniscono di quantità superiori al fabbisogno giornaliero, anche per evitare i rischi connessi ai quotidiani contatti con il mondo del traffico.

Ancora agganci alla problematica dei reati di pericolo presentano i profili di censura proposti in riferimento al principio di necessaria offensività del reato, che pertanto qui conviene congiuntamente esaminare.

Sul presupposto che tale principio sarebbe stato costituzionalizzato nell'art. 25, comma 2, letto alla luce dell'art. 13 Cost., ed elevato a limite della discrezionalità del legislatore penale, il giudice a quo nega che nella detenzione destinata al consumo di sostanze stupefacenti in quantità superiore alla dose media giornaliera sia configurabile la lesione o la esposizione a pericolo di un bene giuridico che possa giustificare, alla stregua di quel principio, la sanzione penale. Invero, egli osserva, non è suscettibile di repressione penale la lesione o messa in pericolo di un bene proprio, neppure quello della propria salute. Né la sanzione penale può giustificarsi - come il giudice rimettente ricorda essere stato prospettato durante l'iter formativo della legge - alla luce della situazione di pericolo che il tossicomane può creare in danno della salute degli altri consociati (ad esempio con la diffusione della sindrome da immunodeficienza acquisita) e della sicurezza sociale (per le spinte criminogene in lui sollecitate dal suo stato di tossicodipendenza). Infatti tale pericolo esula del tutto dalla assunzione, anche abituale, delle c.d. sostanze stupefacenti "leggere" che non inducono tossicodipendenza, e rappresenta un rischio assai remoto nel caso di uso occasionale di oppiacei o cocaina (sicché l'incriminazione penale in tali casi si paleserebbe anche irragionevole ed arbitraria). Né giustificherebbe l'imputazione il rischio di passaggio dall'una all'altra abitudine di consumo (dal consumo di droghe leggere a quello di droghe pesanti; dal consumo occasionale di droghe pesanti al consumo abituale delle stesse) perché in realtà si tratterebbe di un "pericolo di pericolo", inidoneo a giustificare la configurazione di una fattispecie criminosa. In presenza quindi di un pericolo meramente astratto verrebbe in sostanza ad essere punita la mera disobbedienza o violazione formale della legge in relazione ad una azione di per sé inoffensiva. Quanto poi all'assuntore abituale di sostanze stupefacenti "pesanti", il tribunale rimettente osserva che "il tossicodipendente è indefettibilmente punito per il consumo di sostanze stupefacenti in quantità superiore alla dose media giornaliera, anche se, nel caso concreto, i beni tutelati non hanno corso alcun pericolo" non essendo egli ammesso a provare l'insussistenza, appunto nel caso concreto, della effettiva esposizione a pericolo di tali beni.

E poiché, secondo l'avviso del giudice rimettente, alla stregua di tali profili di censura, in una agli altri come sopra rinviati al successivo esame più avanti, il criterio quantitativo è di per sé stesso ontologicamente inidoneo a determinare la condotta legittimamente punibile (spaccio) ed a differenziarla da quella non punibile (consumo) alla stregua della Costituzione, l'unica via per ricondurre il denunziato complesso normativo nell'ambito della legittimità costituzionale è, a giudizio del Tribunale di Roma, eliminare dall'art. 75 del t.u. l'inciso "in dose non superiore a quella media giornaliera, determinata in base ai criteri indicati al primo comma dell'art. 78".

  1. - Si rende a questo punto opportuna una pur sintetica puntualizzazione dei principi fissati alla giurisprudenza di questa Corte in tema di discrezionalità del legislatore - e dei suoi limiti - nella configurazione delle fattispecie criminose, in generale e con riferimento specifico ai reati di pericolo.

In tale giurisprudenza - pure se con riferimento a parametri costituzionali solo in alcuni casi corrispondenti a quelli attualmente invocati, ma con proposizioni di principio aventi valenza generale - è consolidata l'affermazione che la configurazione delle fattispecie criminose appartiene "alla politica legislativa e, pertanto, all'incensurabile discrezionalità del legislatore, con l'unico limite della manifesta irragionevolezza". Le opzioni legislative in sede di configurazione delle fattispecie criminose tipiche "devono tenere conto non soltanto del bene o dei beni giuridici tutelati attraverso le incriminazioni delle fattispecie stesse ma anche delle finalità immediate che, nel contesto storico in cui tali opzioni vengono operate, il legislatore persegue nonché degli effetti indiretti che i fatti incriminati vanno a produrre nell'ambiente sociale". "Necessità di prevenzione generale" e "di riduzione dell'allarme sociale cagionato dai reati convergono insieme alle ragioni già indicate a motivare le opzioni legislative nella determinazione delle ipotesi criminose tipiche" coerentemente "alle varie finalità immediate perseguite nei diversi momenti storici ed alle svariate conseguenze dannose o pericolose dirette od indirette, che, nei tempi e nei luoghi nei quali i comportamenti criminosi si realizzano, questi ultimi sono idonei a produrre" (sent. n. 62/1986). La valutazione del legislatore - viene ripetuto - "varia nel tempo (oltreché nello spazio) anche in relazione alla normalità od alla eccezionalità della realtà concreta", tenuto conto cioè dell'intero sistema dell'esperienza giuridica, legislativa e non, "della concreta realtà storica" (sent. n. 171/1986). E, ribadita "la discrezionalità del legislatore in ordine alla individuazione e delimitazione delle fattispecie tipiche di reato, salvo la manifesta arbitrarietà", ulteriormente si puntualizza che il legislatore, nella determinazione delle fattispecie tipiche di reato, non tiene conto soltanto della struttura e pericolosità astratta dei fatti che va ad incriminare, ma anche della "concreta esperienza nella quale quei fatti si sono verificati e dei particolari inconvenienti provocati in precedenza dai fatti stessi, in relazione ai beni che intende tutelare", dovendo esso legislatore tenere conto "anche e soprattutto dell'uso concreto" che dell'oggetto materiale del fatto che intende incriminare "l'esperienza mostra" (sent. n. 132/1986). Ed ancora nella giurisprudenza della Corte si ricorda che non arbitrariamente "il legislatore, nell'intento di emanare una adeguata disciplina di talune fattispecie, almeno di regola, si riferisce alla esperienza dalla quale la normazione parte e sulla quale quest'ultima va ad incidere. Infatti, soltanto in base a sorpassate concezioni dottrinali sarebbe sostenibile che il legislatore possa ignorare la realtà, non verificando l'esperienza dalla quale la normazione statale prende avvio: è appunto questa che il legislatore tende a modificare" (sent. n. 132/1986 cit.). Come pure si sottolineano, da un lato, la funzione di determinazione psicologica operata dalle leggi penali (sent. n. 364/1988) e, dall'altro, il rilievo da riconoscere alla situazione di "emergenza" in cui la fattispecie incriminatrice possa essere stata emanata (sent. n. 171/1986 cit.), con la precisazione che, perché le "misure insolite" dettate dallo stato di emergenza perdano legittimità, occorre che esse siano "ingiustificatamente" protratte nel tempo (sent. n. 15/1982).

E per quanto riguarda in particolare la configurazione di fattispecie criminose strutturate con riferimento ad un evento di pericolo astratto la giurisprudenza di questa Corte, nel ritenere che le incriminazioni di pericolo presunto non sono incompatibili in via di principio con il dettato costituzionale, ha anche riconosciuto che è riservata al legislatore l'individuazione sia delle condotte alle quali collegare una presunzione assoluta di pericolo sia della soglia di pericolosità alla quale far riferimento, purché, peraltro, l'una e l'altra determinazione non siano irrazionali od arbitrarie, ciò che si verifica allorquando esse non siano collegabili all'id quod plerumque accidit (cfr. sent. n. 1/1971, n. 139/1982, n. 126/1983, n. 71/1978).

9.1. - Orbene oggetto della verifica che la Corte è chiamata a compiere è se la scelta del legislatore censurata dai giudici rimettenti, indipendentemente da qualsiasi valutazione nel merito, sia manifestamente arbitraria o irragionevole.

Tale verifica conduce ad un esito negativo.

Infatti il complesso normativo direttamente rivolto alla repressione delle attività illecite si è strutturato anche con l'introduzione di una più rigorosa, rispetto al passato, limitazione della non punibilità penale della detenzione di sostanze vietate, attuata mediante la riduzione della quantità di sostanza stupefacente la cui detenzione non costituisce reato in modo da rendere estremamente improbabile che l'agente possa cederla anche solo in piccola parte a terzi, al tempo stesso, come si è detto, frapponendo ostacoli all'offerta attraverso la necessitata frantumazione della domanda.

Tale irrigidimento si coordina con la ratio fondamentale e sostanzialmente unica, pur se composita, da ravvisarsi nella valutazione del pericolo di spaccio insito nell'accumulazione di sostanze oltre un dato limite, comunque finalizzata, e - ad un tempo - nella ricerca di una più efficace strategia di contrasto del narcotraffico, costretto dalla parcellizzazione della domanda a moltiplicare i rivoli dell'ultima fase di spaccio.

Con la duplice conseguenza che, da un lato, la scelta legislativa in discussione si appalesa né arbitraria né irragionevole, e che dall'altro, per le stesse ragioni, essa neppure può essere utilmente censurata sotto il profilo del principio di offensività, in quanto - a parte il rilievo che "può certo discutersi sulla costituzionalizzazione o meno del principio d'offensività" (sent. n. 62/1986) - l'apprezzamento del legislatore è anch'esso né irrazionale né arbitrario.

In realtà, l'offensività deve ritenersi di norma implicita nella configurazione del fatto e nella sua qualificazione di illecito da parte del legislatore, salvo talune ipotesi marginali - cui si farà cenno - nelle quali, a causa della necessaria astrattezza della norma, può verificarsi divergenza fra tipicità ed offesa.

Impropriamente, comunque, dal giudice a quo si parla di "presunzione assoluta" del pericolo di spaccio. La valutazione del pericolo di spaccio insito nell'accumulo di sostanze stupefacenti o psicotrope al di sopra della d.m.g. costituisce infatti uno dei due concorrenti aspetti in cui si articola la ratio della sanzione penale del relativo divieto. Mentre la esistenza o meno nel caso concreto del pericolo è fuori dalla fattispecie legale; come tale è irrilevante.

9.2. - Ulteriori considerazioni concorrono poi a dimostrare infondato l'addebito di irragionevolezza - sotto il profilo anche della offensività - mosso al criterio "quantitativo obiettivo" adottato per individuare la fattispecie di detenzione sanzionata penalmente ex art. 73 rispetto a quella non ricompresa, invece, in tale previsione.

Si è già visto sopra che il criterio distintivo tra detenzione sanzionata penalmente, e non, riposa essenzialmente su un dato quantitativo: la "dose media giornaliera" del regime della legge del 1990, che si è sostituita alla "modica quantità" di cui alla legge del 1975.

Tale criterio quantitativo oggettivo è coerente con l'oggetto giuridico tutelato dalla norma incriminatrice se si considera che, con riferimento al tossicodipendente o tossicofilo, possono distinguersi una detenzione di sostanze stupefacenti per il consumo immediato ed una detenzione per il consumo differito (ossia l'ipotesi di accumulo, intendendosi per tale la detenzione di più dosi singole).

Le due fattispecie non sono sullo stesso piano perché la prima - soprattutto se riferita al tossicodipendente che è pressato dalle urgenti pulsioni che gli derivano dal suo stato di dipendenza - può fare insorgere la problematica relativa alla legittimità costituzionale della incriminazione penale del consumo personale.

Non così, invece, la seconda, rispetto alla quale va considerato che già la incriminazione penale dello spaccio - in principio certamente legittima - di per sé sola provoca difficoltà nell'approvvigionamento di sostanza da parte del consumatore. Quando a ciò si aggiunge - come ha fatto la legge n. 162 del 1990 (ma analogamente aveva già operato il legislatore del 1975) - il divieto (penalmente sanzionato) di accumulo di sostanze stupefacenti, si ha l'effetto di creare difficoltà al mercato della droga.

Del resto l'adozione del discrimine quantitativo oggettivo, giova ripeterlo, non costituisce una novità rispetto alla legislazione precedente, la quale tale discrimine identificava nella nozione di "modica quantità" (che ha superato il vaglio di costituzionalità pur sotto profili diversi da quello qui in esame: ord. n. 136/1987) sempre alla luce della ispirazione di fondo di non consentire "accumulazione", oltre una certa misura, di droga (sent. n. 170/1982; ord. n. 94/1/984).

La legge del 1990 ha ridotto tale misura, cioè ha ridotto la quantità di sostanze stupefacenti che, se detenuta per uso personale, non integra la condotta penalmente sanzionata; quindi la soglia tra detenzione penalmente punibile e detenzione non penalmente punibile è tracciata in modo da ridimensionare l'area di quest'ultima. Infatti, secondo la giurisprudenza consolidata della Cassazione, come più avanti si riferirà, era ritenuta "modica" la quantità destinata al consumo abituale, durante l'arco di un certo numero di giorni, da parte di un consumatore medio. Il legislatore del 1990 si è invece arrestato alla dose media per un solo giorno. Scelta indubbiamente più severa, perché accentua le difficoltà di approvvigionamento del consumatore, ma che (indipendentemente da ogni valutazione sul piano del merito) non travalica la discrezionalità del legislatore in rapporto al duplice effetto al quale il divieto di accumulo è finalizzato. Inoltre una volta riconosciuta l'offensività della condotta del tossicodipendente o tossicofilo che, per il suo personale consumo differito, accumuli una quantità di sostanza stupefacente superiore ad una certa soglia, tale offensività non viene meno per il mero spostamento di quest'ultima, che determina soltanto un diverso, più severo bilanciamento dei contrapposti interessi: quello dello Stato di reprimere lo spaccio della droga; quello del tossicodipendente o tossicofilo di approvvigionarsi di droga.

9.3. - Altre specifiche riflessioni sono richieste dalle ulteriori considerazioni svolte dal giudice a quo a proposito della distinzione fra droghe pesanti (tab. I e III) e droghe leggere (tab. II e IV) ed alle implicazioni diverse che secondo le prime due ordinanze di rimessione dovrebbero trarsene, con riferimento anche alla abitualità o occasionalità del consumo, in punto di ragionevolezza, di configurabilità di un evento di pericolo e di necessaria offensività.

Anche tali particolari critiche - da esaminarsi nei limiti della loro pertinenza ai reali termini normativi del problema - riguardano peraltro scelte di merito del legislatore, non inficiate dai vizi di costituzionalità denunziati.

Ancora il dato storico, l'esperienza concreta, da cui il legislatore della novella si è mosso, rendono avvertiti che il fenomeno droga ha caratteristiche dinamiche sue proprie, che possono suffragare una considerazione di esso sostanzialmente unitaria la quale può non apparire la migliore né, certamente, è l'unica soluzione possibile; ma che altrettanto certamente (come dimostrano da un lato, la storia della legislazione nazionale dell'ultimo quarantennio, che ha disciplinato sempre in modo unitario la repressione del commercio dei due tipi di sostanza e, dall'altro, la variegata disciplina normativa vigente negli altri Paesi, anche appartenenti alla C.E.E.) è una delle possibili, di per sé non irragionevole.

Il pericolo di assuefazione alle droghe pesanti anche del consumatore inizialmente occasionale è un dato altamente probabile in base alla comune esperienza.

Invece il passaggio dalle droghe leggere alle droghe pesanti non presenta, secondo opinioni esperte largamente prevalenti, analoghi connotati di probabilità. Ma tale diversità non rende di per sé sola irragionevole o arbitraria la scelta, fra le varie possibili, di una disciplina fondamentalmente unitaria rispetto alle differenti ipotesi, pur nella logica graduazione della sanzione in riferimento al rispettivo loro diverso disvalore sociale.

9.4. - In definitiva, deve constatarsi che, dalla lettura del contesto sociale sul quale era chiamato ad intervenire, il legislatore ha tratto la individuazione, al negativo, di fattori patogeni da rimuovere e, al positivo, di valori antagonisti da tutelare - salute pubblica, sicurezza pubblica, pace sociale minacciate in modo straordinariamente grave dal fenomeno droga - anche con il sacrificio dell'interesse del tossicodipendente o tossicofilo ad un meno disagevole rifornimento di sostanze stupefacenti, talché il legislatore nel configurare la fattispecie incriminatrice in esame, ha esercitato una scelta discrezionale, né arbitraria né irragionevole anche sotto il profilo della offensività, coerentemente rapportata al quadro globale della strategia di intervento deliberata ed alla particolare gravità del fenomeno criminoso da reprimere.

Ne consegue che, con riferimento ai parametri fin qui esaminati, priva di fondamento si appalesa anche l'opinione del giudice rimettente secondo cui il criterio quantitativo oggettivo medio, utilizzato dal legislatore, non sarebbe in principio idoneo ad individuare la condotta punibile in conformità a Costituzione.

  1. - Un ulteriore profilo di legittimità costituzionale, comune alle quattro ordinanze del tribunale di Roma, è contenuto nella censura, sempre nei confronti dello stesso complesso normativo di cui agli articoli 73, 75 e 78 t.u. approvato con d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, di violazione dell'art. 3 Cost. per disparità di trattamento nella forma di pari trattamento di situazioni diverse perché, in caso di detenzione di sostanze stupefacenti in misura appena superiore alla dose media giornaliera, sarebbero assoggettati alla stessa pena sia il soggetto che ha ceduto la droga, sia quello che l'ha consumata giacché, trattandosi di un fatto minimo in senso assoluto, le due condotte non potrebbero essere differenziate, salvo a ritenere, con violazione dei criteri generali di applicazione della legge penale, che alla fattispecie minima di spaccio di sostanze stupefacenti non si possa mai applicare il minimo edittale.

Alla stessa idea di fondo di violazione dell'art. 3 Cost. per parità di trattamento di situazioni non omogenee, ma all'interno in questo caso della categoria dei detentori per uso personale, si ispira anche la prima delle due censure di legittimità costituzionale sollevate in riferimento all'art. 3 Cost. dal Pretore di Bergamo, sezione distaccata di Grumello del Monte, sul rilievo che le disposizioni citate sottopongono ad uguale trattamento situazioni che possono essere notevolmente diverse in relazione alle caratteristiche dei soggetti agenti, per essere dissimili le loro esigenze e diverso il grado individuale di assuefazione o dipendenza dalla sostanza.

La questione è infondata sotto entrambi i profili prospettati.

Va in primo luogo rettificata la premessa dalla quale muove il tribunale di Roma là dove qualifica "un fatto minimo in senso assoluto" sia la condotta del soggetto che ha venduto una quantità di sostanza stupefacente "appena superiore" alla dose media giornaliera, sia quella del soggetto che l'ha acquistata e consumata.

In realtà le due fattispecie così poste a raffronto non sono affatto entrambe al limite minimo della soglia di punibilità. Infatti la dose media giornaliera opera come discrimine della punibilità solo per la detenzione per uso personale e non anche per la detenzione per lo spaccio o per lo stesso spaccio. Quindi lo spaccio di una quantità di droga appena superiore alla dose media giornaliera non rappresenta - a differenza dalla sua mera detenzione - la condotta di minore disvalore penale destinata in linea di principio alla applicazione della pena minima, salvo il giuoco in concreto della valutazione discrezionale di cui agli artt. 132 e 133 c.p. che non rileva sul piano della considerazione in astratto delle due fattispecie. Né, secondo la giurisprudenza di questa Corte, eventuali illegittime applicazioni del minimo e del massimo della pena edittale possono ridondare in ragione di illegittimità della norma incriminatrice (ord. n. 806/1988).

Nel quadro dell'ovvia considerazione che offerta (spaccio) e domanda (consumo) sono profili interagenti di un unico fenomeno, "le due facce del medesimo ed indivisibile problema" (Raccomandazione citata punto 9) posto che, come insistentemente sottolineato nel corso dei lavori preparatori, non vi potrebbe essere offerta senza (la sollecitazione della) domanda, né domanda senza (la disponibilità della) offerta, il legislatore, al momento di operare le sue scelte strategiche di politica criminale contro il mercato della droga, ha ritenuto opportuno contrastare entrambi i momenti - la domanda, e per essa la detenzione, e la offerta - dei quali, appunto, qualsiasi mercato vive, peraltro limitando, per le ragioni già viste, la parificazione del trattamento sanzionatorio, quanto alla detenzione, soltanto a partire da un determinato limite quantitativo. Sicché anche nel caso della detenzione, quando quella quantità di accumulo sia superata, entrano in giuoco - nella valutazione legislativa - il mercato generale della droga ed il fenomeno droga nel suo complesso e sfuma in tale prospettiva la differenza tra le due condotte.

E non è inutile da ultimo ricordare che la legittimità di un trattamento sanzionatorio che riconduca alla medesima fattispecie incriminatrice la detenzione di droga, tanto se finalizzata allo spaccio quanto se finalizzata al consumo, è un dato già acquisito dalla giurisprudenza di questa Corte, in relazione sia alla legge del 1954 (sent. n. 9/1972), sia alla legge del 1975 (sent. n. 170/1982; ord. n. 94/1984).

  1. - Parimenti infondata è la questione di legittimità costituzionale sollevata dallo stesso pretore di Bergamo sotto un secondo profilo di violazione dell'art. 3 Cost., sul rilievo che il disposto normativo censurato "pretermette il primario compito ordinamentale di rimozione degli ostacoli di ordine sociale, che, inducendo o comunque non prevenendo ai singoli di pervenire ad uno stato di dipendenza dalle droghe, ne impedisce il pieno sviluppo della personalità". L'obiettivo della tendenziale e progressiva eliminazione di disagi e difficoltà di ordine socio-economico - che, in determinate situazioni, concorrono a dare origine al fenomeno delle tossicodipendenze - rappresenta un profilo di ben più ampia portata, che travalica quello settoriale della disciplina delle sostanze stupefacenti ed attiene a scelte di fondo di politica generale - legislativa, sociale, economica - che sfuggono al sindacato di questa Corte.

12.1. - Altro profilo di costituzionalità è quello introdotto dal Tribunale di Roma (nelle quattro ordinanze sopra indicate) e dal G.i.p. presso il Tribunale di Camerino (in due ordinanze), i quali ritengono che il meccanismo normativo attraverso il quale il legislatore individua la fattispecie penalmente rilevante contrasti con la riserva di legge in materia penale sancita dall'art. 25 Cost. per il fatto che l'art. 78 demanda ad un decreto del Ministro della sanità la determinazione dei limiti quantitativi massimi di principio attivo per le dosi medie giornaliere. Tale rinvio non soddisfa - secondo i giudici rimettenti - l'esigenza di predeterminazione ad opera della norma primaria del contenuto essenziale della fattispecie penale. In particolare l'art. 78 cit. - mentre alle lett. a) e b) detta criteri per l'accertamento dell'uso abituale di sostanze stupefacenti e metodiche per la quantificazione dell'assunzione abituale nelle 24 ore - non detta invece alcun criterio per la determinazione della dose media giornaliera, a differenza di quanto faceva l'art. 12 della legge n. 685/75 in ordine alle tabelle delle sostanze stupefacenti, indicando con ricchezza di dettagli i criteri per la formazione di tali tabelle e così circoscrivendo l'intervento della pubblica amministrazione nei limiti di un'attività meramente tecnica. Invece l'art. 78 contiene il richiamo ad "un'entità irreale (la "dose media giornaliera") assolutamente insuscettibile di definizione dal punto di vista tecnico - scientifico", atteso che, dovendo la dose media giornaliera riferirsi alla media aritmetica tra dose minima e dose massima assumibile nelle 24 ore, tali due estremi sono altamente incerti e mutevoli a causa delle molte variabili da cui essi dipendono, quali il modo di assunzione ed il grado di tolleranza del soggetto assuntore. In tal modo lo scrimine tra il lecito e l'illecito è rimesso alla discrezionalità dell'autorità amministrativa. In concreto poi il D.M. 12 luglio 1990 n. 186 confermerebbe questo assunto evidenziando in particolare l'inadeguatezza della determinazione (in linea di massima eccessivamente restrittiva) della dose media giornaliera di eroina, cocaina e della cannabis e derivati e l'illegittimo perseguimento di finalità di prevenzione e disincentivazione. Tra l'altro si osserva che il discrimine fondato sulla "dose media giornaliera" sarebbe fortemente penalizzante per i tossicomani pesanti, esposti alla sanzione penale pur quando mantengano l'approvvigionamento nei limiti del loro fabbisogno quotidiano, ed invece colpevolmente gratificante per i piccoli spacciatori, che siano eventualmente anche assuntori occasionali o allo stadio iniziale, i quali, avendo un fabbisogno personale inferiore alla "dose media giornaliera", conservano un margine per il piccolo spaccio. In realtà - si sostiene soprattutto nelle ordinanze del Tribunale di Roma come si è già prima ricordato - il dato quantitativo obiettivo non è in linea di principio idoneo a differenziare, senza violare la Costituzione, la condotta penalmente punibile (spaccio) da quella non penalmente punibile (consumo); il discrimine fra le due condotte, invece, deve essere fondato su dati fattuali emergenti singolarmente dall'accertamento giudiziale, nell'ambito del quale la quantità di sostanze stupefacenti detenute può costituire unicamente uno degli elementi di prova. Da qui la necessità della caducazione nell'art. 75 dell'inciso "in dose non superiore a quella media giornaliera, determinata in base ai criteri indicati al comma primo dell'art. 78", per effetto della quale il discrimine del penalmente rilevante verrebbe a fondarsi sul tipo di condotta (destinazione allo spaccio o al consumo) passando da un criterio "medio" ad uno individuale.

12.2. - Della censura più radicale, formulata nelle ordinanze del Tribunale di Roma, volta a denunziare la non idoneità, in principio, del parametro quantitativo oggettivo medio ad individuare la detenzione penalmente punibile senza violare i principi costituzionali, si è già rilevata la infondatezza con riferimento ai profili di ragionevolezza ed offensività.

Ad eguale conclusione si perviene con riferimento al profilo della riserva di legge, dovendosi escludere, per le ragioni che seguono, che il complesso normativo in esame violi il relativo principio. Come si è prima accennato, il criterio della dose media giornaliera - unico e non duplice, oggettivo medio e non personalizzato - era concetto già noto alla esperienza giurisprudenziale sotto la vigenza della legge n. 685 del 1975.

Infatti la giurisprudenza di gran lunga prevalente della Cassazione era pervenuta a definire la modica quantità come un multiplo variamente quantificato del consumo giornaliero "medio" riferito alla figura del "consumatore medio", non dovendosi tenere conto delle esigenze del singolo tossicodipendente: quindi non solo tale parametro era già noto, ma la giurisprudenza stessa faceva già riferimento alla quantità di principio attivo cioè di sostanza pura o allo stato puro presente nelle cosidette dosi di strada.

12.3. - Diversi, peraltro, sono i criteri di determinazione, rispettivamente, della "dose media giornaliera" e della "modica quantità": la seconda affidata al giudice; la prima invece rimessa ad un decreto ministeriale dal combinato disposto degli artt. 75 e 78 t.u. 9 ottobre 1990 n. 309.

Ma il tassello che nell'attuale disciplina va in tal guisa a completare la fattispecie penale contiene già l'estrinsecazione della prerogativa della norma primaria di determinare ciò che è sanzionato e ciò che non è sanzionato perché fa ricorso ad un criterio obiettivo di valutazione che - per le considerazioni testé svolte sul punto che anche nel regime previgente la dose giornaliera abituale media era la base di calcolo della modica quantità - costituiva un'acquisizione già presente nella giurisprudenza. La discrezionalità del legislatore primario è stata esercitata nel momento in cui, tra le varie soluzioni possibili, ha optato per il criterio della dose media giornaliera come scriminante tra detenzione sanzionata penalmente e non. Così definita la soglia di punibilità, la fattispecie penale è sufficientemente descritta nei suoi elementi essenziali e, al di là di questa opzione, residua soltanto una determinazione tecnica sulla base di nozioni di tossicologia, farmacologia e statistica sanitaria, ma non anche una scelta di politica criminale (tant'è che il precetto penale potrebbe in ipotesi sussistere autonomamente anche senza l'integrazione del decreto ministeriale, come era previsto nel testo proposto dalle Commissioni riunite 2ª e 12ª del Senato e come lo stesso testo definitivo non ha in principio escluso che potesse, almeno interinalmente, verificarsi quando ha fissato in due mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 162 cit. il termine finale per l'emanazione del decreto stesso). Sono quindi queste conoscenze tecniche che fissano in termini sufficientemente delimitati le coordinate dell'integrazione rimessa al Ministro della sanità, il quale pertanto è tenuto ad esercitare una discrezionalità solo tecnica, come risulta dalla previsione di aggiornamenti nel solo caso di "evoluzione delle conoscenze del settore" (e non già di inasprimento o allentamento della repressione dello spaccio). In quest'ottica il criterio indicato sub c) del primo comma dell'art. 78 - secondo cui devono essere fissati "i limiti quantitativi massimi di principio attivo per le dosi medie giornaliere" - appare vincolare in modo sufficientemente adeguato all'attuale stato delle conoscenze suddette la determinazione del Ministro della sanità, al quale la legge non consente alcuna valutazione in chiave di prevenzione o di repressione, volta cioè ad integrare la scelta di politica criminale che solo la normativa primaria può operare. Si aggiunga che il criterio della lett. c) del primo comma dell'art. 78 va coordinato con i precedenti criteri sub a) e b) giacché l'art. 75 richiama tutto il contenuto del suddetto primo comma e non già solo la lett. c). Ed infatti - dovendo la soglia quantitativa essere "media" ed essere riferita all'arco di una giornata - soccorrono a tal fine le "procedure diagnostiche e medico-legali per accertare l'uso abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope" e "le metodiche per quantificare l'assunzione abituale nelle ventiquattro ore" che il Ministro della sanità deve emanare, previo parere dell'Istituto superiore di sanità, ai sensi, rispettivamente, delle lett. a) e b) dell'art. 78, così standardizzando i procedimenti di rilevazione statistica già adottati nella prassi.

In sostanza quindi il criterio sub c) del primo comma dell'art. 78 va integrato con quelli sub a) e b) (di contenuto strettamente tecnico-scientifico), nel senso che questi ultimi due - che nel testo dell'originario disegno di legge erano deputati a specificare il criterio della dose media "personalizzata" prevista per l'abituale assuntore di sostanze stupefacenti - oggi conservano egualmente una loro funzione in quanto indicano all'autorità amministrativa le metodiche per stabilire quale sia il consumo abituale di sostanze stupefacenti che consentono di pervenire attraverso campionature statistiche a conoscere un panorama di dati individuali da utilizzare per quantificare la misura "media", secondo criteri obiettivi di valutazione alla stregua della ricordata giurisprudenza.

Vero è che tali criteri - come risulta dalla letteratura sul tema e dalla stessa esperienza testimoniata dagli organi tecnici chiamati a fornire parere durante la elaborazione della legge ed in sede di redazione del decreto ministeriale e delle relative tabelle - presentano margini di opinabilità e non conducono alla individuazione di risultati del tutto sicuri e precisi.

Ma tecnicità e scientificità del criterio di riferimento ben raramente, e comunque non necessariamente al fine che qui interessa, equivalgono a certezza: è sufficiente, per realizzare il requisito della adeguata predeterminazione del contenuto essenziale del precetto penale, la verificabilità, la ragionevolezza dei criteri ai quali la norma primaria rinvia. E nella specie, come si è ripetutamente sottolineato, si tratta di criteri la cui concreta praticabilità operativa è testimoniata dall'applicazione fattane durante i quindici anni di vigenza della precedente disciplina. Né va trascurata la considerazione che comunque, rispetto alle finalità pratiche perseguite attraverso il divieto di accumulo più volte indicate, è sufficiente - e quindi non è irragionevole - una determinazione quantitativa che pure presenti margini inevitabili di approssimazione.

Onde, in definitiva, la dose media giornaliera, pur con le approssimazioni proprie di ogni standardizzazione, è nozione riferita a criteri obiettivi determinati nella realtà del momento. La prevista variabilità delle tabelle "in relazione alla evoluzione delle conoscenze del settore" (art. 78 comma 2) è il sufficiente correttivo di tali approssimazioni.

12.4. - Così delimitata l'integrazione della fattispecie penale, il rinvio al d.m. non vi'ola il precetto dell'art. 25, secondo comma, Cost.

Conforta tale convincimento la giurisprudenza di questa Corte che - a parte la radicale affermazione di principio formulata in alcune risalenti pronunzie (sent. n. 36/1964; sent. n. 9/1972; sent. n. 113/1972) secondo cui la riserva di legge penale è rispettata solo che la norma primaria indichi "la condotta vietata" e "l'oggetto materiale del reato" - ha ritenuto costituzionalmente legittima la integrazione della fattispecie penale ad opera di atti amministrativi in numerose altre ipotesi non dissimili da quella in esame.

Può richiamarsi innanzi tutto la già citata sentenza n. 36 del 1964 (confermata dalla pure già citata sent. n. 9 del 1972) che non ha ravvisato la illegittimità costituzionale, in riferimento all'art. 25 Cost., dell'art. 6 della legge n. 1041 del 1954 cit. perché, nel sanzionare tra l'altro l'illecita detenzione di sostanze stupefacenti, rimetteva all'autorità amministrativa l'elencazione di queste ultime. Anzi la Corte rilevava la maggiore puntualità della fattispecie criminosa introdotta dall'art. 6, rispetto a quella dei precedenti artt. 446 e 447 cod. pen. che invece facevano genericamente riferimento alla nozione di "stupefacenti" con la conseguenza che "nell'applicazione delle norme del codice gli accertamenti subivano le incertezze, le insufficienze, le difformità di valutazioni disposte di volta in volta dal giudice" (rilievo questo che, può valere anche nel passaggio da un sistema fondato sulla nozione generale di "modica quantità", la cui determinazione era rimessa di volta in volta al giudice penale, ad un sistema fondato sulla dose media giornaliera che è preventivamente determinata in modo oggettivo e fornisce "la garanzia di una qualificazione unitaria" valevole per tutti). Con riferimento poi ad altre fattispecie la Corte ha ribadito che "il principio di legalità in materia penale è soddisfatto sotto il profilo della riserva di legge (art. 25, secondo comma, Cost.) allorquando la legge determina con sufficiente specificazione il fatto cui è riferita la sanzione penale. In corrispondenza della ratio garantista della riserva, è infatti necessario che la legge consenta di distinguere tra la sfera del lecito e quella dell'illecito, fornendo a tal fine un'indicazione normativa sufficiente ad orientare la condotta dei consociati" (sent. n. 282 del 1990, che richiama proprio i suddetti elenchi di sostanze stupefacenti). Rispettosa di tale principio è stata ritenuta la normativa in materia di sanzioni penali per violazione di provvedimenti della p.a. - quali quelli del C.I.P. in materia di prezzi ovvero quelli emessi per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene ex art. 650 cod. pen. (ord. n. 659 del 1988; sent. n. 58 del 1975; n. 21 del 1973; n. 168 del 1971) -, fattispecie queste in cui l'integrazione ad opera del provvedimento amministrativo della condotta sanzionata penalmente appare di maggior momento rispetto a quella operata dall'art. 78 in esame.

Gli stessi principi si ritrovano ribaditi in varie ulteriori ipotesi di integrazione della fattispecie penale (cfr. ord. n. 492 del 1987; sent. n. 108 del 1982 e n. 113 del 1972).

E anche nella delicata materia alimentare è stata ritenuta la legittimità della integrazione della fattispecie incriminatrice mediante rinvio a fonti secondarie dalla sentenza n. 96/1964 relativamente alla individuazione degli additivi chimici vietati, nonché dalla sentenza n. 61/1969. In particolare quest'ultima ha ritenuto compatibile con la riserva di legge il rinvio al decreto del Ministro della sanità non soltanto della formazione degli elenchi dei coloranti consentiti delle sostanze alimentari, ma anche delle "modalità d'uso"; la Corte ha ritenuto che tale termine contenesse un'indicazione sufficientemente vincolata per la p.a. e non consentisse "arbitrarie dilatazioni".

Infine, anche la "pregressa elaborazione giurisprudenziale" - quale nella specie è quella formatasi riguardo alla nozione della "modica quantità" - è stata ritenuta adeguato criterio di integrazione della fattispecie penalmente rilevante (sent. n. 49/1980). In conclusione pertanto può dirsi che, anche nel caso del rinvio operato dall'art. 78 al decreto del Ministro della sanità, i parametri indicati nella lett. c) del primo comma, integrati da quelli contemplati nelle precedenti lett. a) e b), rappresentano - in correlazione con la richiamata esperienza giurisprudenziale maturata circa la individuazione del dato di base (consumo giornaliero di un assuntore medio) già utilizzato per la quantificazione della "modica quantità" di cui alla legge del 1975 - vincoli sufficienti a restringere la discrezionalità della p.a. nell'ambito di una valutazione strettamente tecnica - e come tale giudicata ripetutamente idonea a concorrere, nel pieno rispetto dell'art. 25, secondo comma, Cost. a precisare il contenuto della norma incriminatrice con l'ausilio dei "suggerimenti che la scienza specialistica può dare in un determinato momento storico" (sent. n. 475/1988 con riferimento ad elementi normativi della fattispecie affidati alla individuazione del giudice) - ed in conseguenza può affermarsi che la condotta penalmente sanzionata risulta sufficientemente descritta dalla norma primaria dettata con il citato art. 78.

12.5. - Le prime due ordinanze del Tribunale di Roma contengono ulteriori censure rivolte (non più all'art. 78, ma) direttamente nei confronti del decreto ministeriale, che - mal utilizzando le conoscenze tecniche del settore - avrebbe determinato la dose media giornaliera delle singole sostanze stupefacenti eccedendo essenzialmente per difetto.

Ma tali censure, in quanto concernenti non la sufficienza dei criteri fissati dalla norma primaria - in misura, come si è visto, costituzionalmente adeguata - bensì la applicazione fattane dall'autorità amministrativa, rimangono estranee al giudizio di questa Corte. Infatti l'eventuale illegittimità della integrazione amministrativa della norma incriminatrice primaria non ridonderebbe certamente in illegittimità costituzionale di quest'ultima, ma soltanto radicherebbe il potere-dovere del giudice ordinario di disapplicare nel caso concreto la fonte normativa integratrice secondaria (nella parte in cui la ritenga illegittima), dato il potere di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo che compete all'autorità giudiziaria.

  1. - La anelasticità dell'attuale discrimine fra illecito penale e illecito amministrativo - identificato nella "dose media giornaliera" normativamente predeterminata in misura fissa per ciascun tipo di sostanza - può provocare il verificarsi di situazioni particolarmente delicate - di cui questa Corte si sente avvertita - in tutti i casi in cui l'eccedenza rispetto al limite di tolleranza si presenti in termini quantitativamente marginali o comunque modesti.

È questo, peraltro, un conseguenziale effetto della scelta legislativa - in sé, come si è visto, non viziata da illegittimità costituzionale - di un limite obiettivo fisso, predeterminato con valenza generale. E se è innegabile che alla peculiarità della situazione verificantesi per il mero detentore nelle ipotesi di eccedenza marginale avrebbe potuto farsi corrispondere una configurazione della fattispecie criminosa più articolata rispetto a quella già adottata con la disposizione di cui all'art. 73, comma 5, t.u., cit., è anche vero che l'essersi il legislatore - fino ad oggi - diversamente determinato concretizza una scelta di politica criminale che (la si voglia oppure no condividere nel merito) rientra nella sua discrezionalità, e non presenta connotati di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà - gli unici censurabili da questa Corte in tema di individuazione della fattispecie (ord. n. 439/1987; sent. n. 132/1986; sent. n. 62/1986; sent. n. 126/1983) - trattandosi di scelta coerente con una delle plausibili conseguenze della predeterminazione normativa di un limite fisso. D'altra parte non può non tenersi conto, sempre sul piano del controllo di ragionevolezza, che il legislatore non ha comunque mancato di configurare una ipotesi di attenuante specifica ovvero di autonomo reato attenuato (questione interpretativa di cui non deve darsi conto in questa sede) riguardo ai fatti da ritenersi di "lieve entità" in considerazione, fra l'altro, proprio della quantità di sostanza detenuta.

Rimane precipuo dovere del giudice di merito - nelle ipotesi peculiari in discorso - apprezzare, alla stregua del generale canone interpretativo offerto dal principio di necessaria offensività della condotta concreta, se la eccedenza eventualmente accertata sia di modesta entità così da far ritenere che la condotta dell'agente - avuto riguardo alla ratio incriminatrice del divieto di accumulo e tenuto conto delle particolarità della fattispecie - sia priva di qualsiasi idoneità lesiva concreta dei beni giuridici tutelati e conseguentemente si collochi fuori dall'area del penalmente rilevante (così come già affermato da questa Corte nella sent. n. 62/1986).

Ed al riguardo neppure va pretermesso il rilievo che a differenza del sistema normativo delineato dalla legge del 1975 - vigente il quale si riteneva che il dato quantitativo giuocasse nella struttura della fattispecie incriminatrice il ruolo di esimente - nella nuova disciplina il limite della dose media giornaliera opera come elemento negativo della fattispecie, questa identificandosi nella detenzione di sostanza contenenti un quantitativo di principio attivo superiore al massimo consentito. Quindi anche questo ulteriore elemento della condotta incriminata deve essere investito dal dolo (essendo insufficiente la mera colpa con previsione); cioè è necessario che l'agente sia consapevole di detenere una quantità totale di sostanza stupefacente tale che contenga una quantità di principio attivo superiore a quella tabellata nel citato decreto ministeriale. Di guisa che, ad esempio, nell'ipotesi in cui il soggetto tossicodipendente o tossicofilo acquisti una quantità di droga che normalmente contiene un principio attivo inferiore a quello di legge, ma che per avventura risulti essere particolarmente pura e quindi ricca di principio attivo in misura superiore a quella di legge, potrebbe mancare la consapevolezza del superamento della soglia di punibilità e quindi il dolo e, per esso, il reato stesso.

Infine, una ulteriore puntualizzazione dei criteri di quantificazione della pena adottati dal legislatore conferma la conclusione secondo cui il regime vigente permette una modulazione della sanzione sufficientemente rispettosa del criterio di ragionevolezza.

Il comma 5 dell'art. 73 prevede l'ipotesi in cui "per i mezzi, per le modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze" i fatti previsti nel medesimo articolo siano di "lieve entità"; in tal caso le pene detentive sono rispettivamente, nel minimo, un anno (per le "droghe pesanti") e sei mesi (per le "droghe leggere") di reclusione.

Orbene, tra le "circostanze dell'azione" menzionate nella disposizione citata sono comprese anche le "circostanze soggettive" tutte, e quindi anche le finalità della condotta tenuta dall'agente. Con la conseguenza che anche la detenzione di una quantità di sostanze stupefacenti che ecceda in misura non "lieve" la d.m.g. può comunque essere ricondotta nell'ambito della incriminazione attenuata ove il giudice ritenga, in relazione alle circostanze del caso, di potere a tal fine valorizzare la inequivoca destinazione al consumo personale.

  1. - Il Pretore di Bergamo ha poi sollevato questione di costituzionalità delle norme censurate in riferimento all'art. 27 Cost. nella parte in cui esse (ma in realtà l'art. 73) comminano pene i cui limiti edittali sono divergenti dalle finalità rieducative dell'imputato.

La questione, così posta, non appare fondata perché secondo la giurisprudenza di questa Corte, come già ricordato, "la configurazione della fattispecie criminosa e la valutazione della congruità della pena rientrano nella discrezionalità legislativa con l'unico limite della manifesta irragionevolezza" (ord. n. 439/1987; sent. n. 132/1986; sent. n. 62/1986; sent. n. 126/1983, cit.). D'altra parte la funzione rieducativa della pena trova una speciale ed accentuata attuazione nella legge n. 162 del 1990, come all'evidenza risulta dalla lettura, fra gli altri, degli articoli 89, 90, 93, 94, 95 t.u., che disegnano un complesso di misure tutte orientate verso il recupero del tossicodipendente e che assicurano una piena (ed anzi esaltata) attuazione della funzione rieducativa della pena quale prescritta dall'art. 27 Cost.

  1. - Con ordinanza dell'8 gennaio 1991 il Pretore di Bergamo, Sezione distaccata di Grumello del Monte, ha sollevato, in riferimento all'art. 32 della Costituzione, ulteriore questione di legittimità costituzionale delle medesime norme già censurate sotto i profili finora esaminati nella parte in cui sottopongono a sanzione penale la detenzione a fine di uso personale non terapeutico di sostanze stupefacenti e psicotrope in misura superiore alla dose media giornaliera, sul rilievo che le norme stesse, anziché tutelare la salute dei singoli assuntori, sottopongono invece a pena detentiva (formalmente una condotta, ma di fatto) lo stato personale di tossicodipendenza.

Si tratta null'altro che di un ulteriore profilo argomentativo discendente dalla premessa che la condotta sanzionata penalmente dall'art. 73 cit. è in realtà lo stesso consumo di sostanze stupefacenti. Di tale premessa si è già ampiamente detto, pervenendo alla conclusione che sanzionata penalmente è la detenzione (e non già il consumo) di sostanze stupefacenti, condotta di per sé stessa connotata dal carattere dell'offensività, e che la configurazione di tale fattispecie incriminatrice è immune da vizi di illogicità o irrazionalità. Consegue che anche la prospettazione svolta dal Pretore di Bergamo, sotto l'ulteriore profilo della violazione del diritto alla salute individuale (art. 32 Cost.), non è fondata non potendo accogliersi la premessa da cui tale censura muove.

  1. - In definitiva, e conclusivamente, tutte le questioni di costituzionalità sollevate dai giudici a quibus sono infondate.

In relazione alla gravità, complessità, delicatezza e drammaticità dei problemi individuali e sociali, morali e politici, nazionali ed internazionali implicati nel fenomeno droga, rimane affidato alla sensibilità del legislatore il compito essenziale di verificare sul concreto terreno applicativo, alla luce degli effetti provocati dal sistema normativo in questione, la bontà delle scelte di merito non sindacabili come tali da questa Corte e di individuare le linee di ogni possibile ed utile modifica migliorativa.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 71, 72 e 72-quater della legge 22 dicembre 1975 n. 685, come modificata dalla legge 26 giugno 1990 n. 162 (corrispondenti rispettivamente agli artt. 73, 75 e 78 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope), sollevate in relazione agli artt. 3, 25, 27 e 32 della Costituzione dal Tribunale di Roma, dal Pretore di Bergamo, Sezione distaccata di Grumello del Monte, e dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Camerino con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

 

Depositata in cancelleria l'11 luglio 1991.