SENTENZA N. 36
ANNO 1964
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3, 6, 18 e 25 della legge 22 ottobre 1954, n. 1041, promossi con le sottoelencate ordinanze:
1) ordinanza emessa il 5 dicembre 1963 dal Giudice istruttore del Tribunale di Massa nel procedimento penale a carico di Pagani Pierino ed altri, iscritta al n. 1 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 21 del 25 gennaio 1964;
2) ordinanza emessa il 30 ottobre 1963 dal Tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Palma Gilberto ed altri, iscritta al n. 4 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 21 del 25 gennaio 1964;
3) ordinanze emesse il 14 e il 16 novembre 1963 dal Giudice istruttore del Tribunale di Venezia nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Danna Livia, Temperini Italo ed altri e di Bedon Rino, iscritte ai nn. 5 e 6 del Registro ordinanze 1964 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 21 del 25 gennaio 1964.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e gli atti di costituzione in giudizio di Bedon Rino e di Temperini Italo;
udita nell'udienza pubblica del 4 marzo 1964 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;
uditi l'avv. Giuseppe Ragno, per Bedon Rino, e il sostituto avvocato generale dello Stato Stefano Varvesi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
Nel procedimento penale in corso dinanzi al Giudice istruttore presso il Tribunale di Massa, a carico di Bustichi Cesare, Malaspina Alfonso, Pagani Pierino e Zini Maria, imputati dei reati di cui agli artt. 6,18 e 25 della legge 22 ottobre 1954, n. 1041, i difensori dei primi tre hanno eccepito la questione di legittimità costituzionale delle suddette norme in riferimento all'art. 25 della Costituzione.
L'art. 6 prevede come delitto il fatto di chi, senza autorizzazione, acquisti, venda, ceda, esporti, importi, passi in transito, procuri ad altri, impieghi o comunque detenga sostanze o preparati indicati nell'elenco degli stupefacenti, e quello di commercio illecito di stupefacenti commesso da chi sia in possesso di autorizzazione. L'art. 18 estende la pena prevista per la prima ipotesi al fatto del medico o veterinario, che per favorire l'abuso di stupefacenti, rilasci prescrizioni contenenti stupefacenti, non giustificate o non proporzionate rispetto ai bisogni della cura. L'art. 3 dispone che l'Alto Commissario, ora Ministro per la sanità, compili l'elenco delle sostanze o preparati ad azione stupefacente con relative variazioni, elenchi e variazioni che vengono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale e inseriti nella "Farmacopea ufficiale". L'art. 25 infine prevede per le suddette ipotesi di reato, oltre che per quella di cui all'art. 5 (produzione di oppio officinale e di altri stupefacenti senza autorizzazione), il mandato di cattura obbligatorio.
Secondo la difesa degli imputati il precetto contenuto nelle norme impugnate sarebbe costituito, oltre che dalla legge, anche da un atto amministrativo, e cioè dall'elenco previsto dall'articolo 3; di qui la violazione dell'art. 25 della Costituzione, secondo il quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge.
Il Giudice istruttore ha ritenuto che la questione di legittimità prospettata dalla difesa non sia manifestamente infondata e l'ha estesa anche all'art. 1, che sottopone la produzione, il commercio e l'impiego degli stupefacenti al controllo e alla vigilanza dell'Alto Commissario per l'igiene e la sanità, o al citato art. 3. Ritenuta quindi la rilevanza di tali questioni rispetto al giudizio in corso, con ordinanza del 5 dicembre 1963, ha sospeso questo ultimo rimettendo gli atti alla Corte costituzionale.
Nell'ordinanza si osserva che il legislatore, negli artt. 6 e 18, anziché determinare nella sua integrità la fattispecie, si é limitato a porre il divieto relativo a preparati e sostanze che però non figurano indicate nella legge, ma in un separato atto, vale a dire l'elenco di cui all'art. 3, che é atto formalmente e sostanzialmente amministrativo. Il precetto verrebbe in tal modo ad essere integrato da statuizioni di carattere amministrativo; onde il contrasto con l'art. 25 della Costituzione.
La stessa questione é stata sollevata, limitatamente all'art. 6, anche dal Tribunale di Milano con ordinanza del 30 ottobre 1963 e, limitatamente agli artt. 3, 6, 18, dal Giudice istruttore di Venezia con due separate ordinanze del 14 e del 16 novembre 1963.
Tutte le ordinanze sono state regolarmente notificate, comunicate e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, n. 21 del 25 gennaio 1964.
Nel giudizio relativo alla ordinanza del Giudice istruttore di Massa non vi é stata costituzione di parte. Il Presidente del Consiglio dei Ministri si é costituito, con atti di intervento dell'Avvocatura generale dello Stato, depositati rispettivamente il 14 e il 7 dicembre 1963, nei giudizi relativi alla ordinanza del Tribunale di Milano e alla prima delle due ordinanze del Giudice istruttore di Venezia. In questo si é anche costituito l'imputato Temperini Italo con atto depositato il 12 febbraio 1964, mentre nell'ultimo giudizio, quello cioè relativo alla ordinanza del Giudice istruttore di Venezia del 16 novembre 1963, si é costituito il solo imputato Bedon Rino con atto depositato il 2 gennaio 1964.
L'Avvocatura dello Stato osserva che la norma impugnata non é in contrasto con il principio di legalità, perché in situazioni come quella in esame l'atto amministrativo non costituisce integrazione del precetto penale, bensì soltanto un presupposto della fattispecie punibile; mentre sarebbe la sola legge penale, che a quel provvedimento si riferisce, a stabilire, in modo completo, l'obbligo penalmente sanzionato.
La difesa del Temperini osserva che, in conseguenza del richiamo contenuto nell'art. 6 all'elenco di cui all'art. 3, il reato previsto dal primo e quindi dall'art. 18, risulterebbe configurato "in forza di un eterogeneo amalgama fra legge e non legge"; e tutto ciò in violazione del principio di legalità sancito dal secondo comma dell'art. 25 della Costituzione.
La difesa, nella istanza al Giudice istruttore di Venezia, aveva eccepito anche la questione di legittimità delle norme impugnate in relazione agli artt. 24, primo e secondo comma, e 102 della Costituzione, questione che, non presa in considerazione nella ordinanza di rinvio, viene dalla difesa ripetuta nell'atto di costituzione in giudizio.
La difesa del Bedon dopo aver rilevato che gli artt. 6 e 18, ai fini della configurazione dei reati da essi preveduti, rinviano allo art. 3 per la indicazione dei prodotti che debbono ritenersi stupefacenti, osserva che in ciò deve senz'altro ravvisarsi una violazione dell'art. 25 della Costituzione.
Il 20 febbraio 1964 l'Avvocatura generale dello Stato e la difesa del Temperini e del Bedon hanno depositato in cancelleria memorie illustrative nelle quali hanno ribadito i concetti già esposti.
Considerato in diritto
1. - Le questioni sollevate sono identiche e possono decidersi con unica sentenza.
Le quattro ordinanze, pur presentando qualche difformità nella indicazione degli articoli della legge impugnata (Giudice istruttore del Tribunale di Massa: artt. 1, 3, 6, 18, 25; Tribunale di Milano: artt. 3 e 6; Giudice istruttore del Tribunale di Venezia: artt. 3, 6 e 18), sono concordi nel far riferimento, come norma violata, al solo articolo 25 della Costituzione. Entro questo limite, pertanto, deve rimanere stabilita la questione di legittimità costituzionale, senza che si possa dare ingresso nel presente giudizio ai riferimenti, contenuti in una memoria difensiva, agli artt. 24 e 102 della Costituzione.
Tanto le ordinanze che le allegazioni difensive sono poi concordi, a parte trascurabili divergenze di forma, nel porre la questione nel senso che il precetto penale contenuto nell'art. 6 della legge n. 1041 non avrebbe come sua fonte esclusiva la legge, ma riceverebbe la sua integrazione da un atto amministrativo, cioè dall'elenco degli stupefacenti; e ciò in violazione della riserva di legge stabilita dall'art. 25 della Costituzione, secondo il quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge.
2. - É opportuno ricordare che gli elenchi degli stupefacenti esistevano, obbedendo a molteplici finalità, ancor prima della legge impugnata (v., tra l'altro il D.M. 18 febbraio 1937, modificato con D. C. G. 24 gennaio 1942, in Gazzetta Ufficiale 7 febbraio 1942, n. 31). Ma ciò che soprattutto importa é il collocare questa legge, e gli elenchi cui essa si riferisce, nel quadro degli accordi internazionali in materia, accordi le cui iniziali manifestazioni rimontano ai primi decenni del secolo, e riguardano non soltanto gli stupefacenti come piaga sociale da combattere, ma tutto il complesso delle progressive esperienze inerenti all'uso normale di tali sostanze, per scopi commerciali, terapeutici e scientifici (Convenzione di Ginevra del 19 febbraio 1925, approvata in Italia con R.D.L. 31 dicembre 1928, n. 3517; Convenzione di Ginevra del 13 luglio 1931, approvata con legge 16 gennaio 1933, n. 130; Protocollo di Parigi del 19 novembre 1948, approvato con legge 27 ottobre 1950, n. 1070, ecc.). In questi accordi, tra le finalità degli Stati contraenti, preminente é quella relativa alla precisa identificazione delle sostanze aventi azione stupefacente, finalità che si realizza appunto mediante la formulazione di elenchi, inclusi nel testo degli accordi e quindi negli atti dei singoli Stati, e sottoposti inoltre a tutto un meccanismo di continuo aggiornamento. E ciò in ispecie dopo che i progressi raggiunti dalla chimica e dalla farmacologia moderna hanno condotto alla realizzazione di droghe sintetiche, con la conseguente necessità di disciplinarne la fabbricazione e la distribuzione e di combatterne i crescenti e deplorevoli abusi (v. preambolo del Protocollo di Parigi del 19 novembre 1948). É da aggiungere che la disciplina internazionale degli stupefacenti, già affidata a un Comitato centrale permanente presso la Società delle Nazioni, é posta attualmente sotto la sorveglianza di una Commissione degli stupefacenti presso l'O. N. U., alla quale i singoli Stati aderenti alle convenzioni devono far capo, per tutto ciò che concerne la fabbricazione e distribuzione dei prodotti e relativi limiti, rigorosamente stabiliti. Tali precisazioni erano opportune per significare come priva di fondamento sia l'asserzione che nella formazione degli elenchi l'Amministrazione competente sia arbitra di includere o escludere questa o quella materia, mentre é evidente che le specifiche qualificazioni compiute a livello internazionale fanno di questi elenchi niente altro che l'attuazione degli accordi intervenuti fra gli Stati contraenti. La stessa legge n. 1041, che contro gli abusi dispone una reazione penale ben più severa che non quella stabilita nel Codice, deve la sua emanazione anche alle sollecitazioni pervenute all'Italia dalla Commissione stupefacenti dell'O. N. U. (Atti parlamentari, Senato della Repubblica 1953, doc. 314, p. 2).
3. - La questione relativa al valore e alla posizione che l'elenco degli stupefacenti assume in relazione alla struttura del precetto penale non si presenta nuova a questa Corte; e può essere riportata ad altre questioni analoghe già decise con precedenti sentenze.
Atti e provvedimenti dell'Amministrazione aventi per oggetto determinazioni di prezzi, denominazioni tipiche di prodotti, modifiche a norme della circolazione stradale, ecc., rispondenti a valutazioni di carattere tecnico o contingente, in connessione con precetti penali posti a garanzia della loro osservanza (sentenze n. 103 del 1957, n. 4 del 1958, nn. 15 e 31 del 1962, ecc.) sono stati ritenuti legittime manifestazioni dell'attività normativa dell'Amministrazione, e le loro specifiche statuizioni considerate al di fuori del precetto penale, il quale deve ritenersi già integralmente costituito con la generica imposizione di obbedienza a quegli atti e provvedimenti.
Nella questione in esame l'aspetto particolare che viene posto in luce é che l'art. 6 si riferisce non, in genere, a sostanze stupefacenti, bensì a "sostanze o preparati indicati nell'elenco degli stupefacenti". Con ciò, tuttavia, non si dà luogo a un precetto penale la cui fonte sarebbe, come si assume, parte nella legge e parte nell'atto amministrativo (elenco degli stupefacenti). Il precetto penale, ai fini della riserva di legge, riceve intera la sua enunciazione con la generale imposizione del divieto. Le singole voci degli elenchi a cui essa fa rinvio, costituiscono indicazioni particolareggiate che, per le variabili forme della sostanza e per le continue e rinnovate indagini cui é soggetta (ben cinque elenchi si sono avuti successivamente alla legge n. 1041, di cui l'ultimo, approvato con D. M. 4 giugno 1960, revoca tutte le precedenti disposizioni), si sottraggono alla possibilità di una anticipata specificazione da parte della legge. Indubbiamente questo concorso fra norme di legge e statuizioni amministrative, di cui continuamente si manifesta la necessità nella disciplina giuridica, deve verificarsi con la piena osservanza delle norme costituzionali e, in particolare, quando ricorrano precetti penali, della riserva di legge di cui all'art. 25 della Costituzione. Ma la Corte ritiene che tale osservanza non sia venuta meno nella legge in esame.
Con la formula dell'art. 6 non soltanto é stata, dalla legge, indicata la condotta vietata (vendita senza autorizzazione, acquisto, cessione, detenzione, ecc.), ma anche l'oggetto materiale del delitto. Il quale deve ritenersi idoneamente designato, al fine di una sufficiente posizione della fattispecie penale, con la espressione "sostanze o preparati indicati nell'elenco degli stupefacenti".
Del resto non é stato mai posto in dubbio che nelle figure di reato prevedute dagli artt. 446-447 del Cod. pen. la enunciazione del precetto da parte della legge fosse completa pur essendo l'oggetto materiale indicato, puramente e semplicemente, con la locuzione "sostanze stupefacenti". Si é riconosciuto a tal proposito, in uno degli scritti difensivi, con riferimento alle predette norme del Codice, che in esse il precetto rimaneva posto esclusivamente dalla legge, mentre gli elenchi valevano, tutt'al più, per il giudice come utile guida di carattere tecnico. Ma ciò altro non significa se non che il precetto era dalla legge sufficientemente posto con quella formula, pur nella sua genericità. Ora, l'art. 6 della legge n. 1041 nulla sostanzialmente ha tolto alla formula del Codice; né può dirsi che il precetto non sia posto dalla legge sol perché questa fa richiamo all'elenco degli stupefacenti. La formula dello art. 6 é non meno dell'altra sufficiente a costituire il precetto penale, in quanto, lasciando ferma in tutta la sua validità la indicazione generica della precedente, vi aggiunge un ulteriore elemento di certezza. Le due formule, d'altra parte, si equivalgono anche in ciò, che con nessuna di esse si elimina l'esigenza di un accertamento tecnico. Alla quale si ottempera dall'art. 6 mediante il rinvio agli elenchi, che di accertamenti tecnici sono il risultato; mentre negli artt. 446-447 del Cod. pen. siffatta esigenza rimane necessariamente implicita nella stessa astratta locuzione di "stupefacenti", che della sostanza indica gli effetti ma non contiene la individuazione. Tutto ciò con la seguente rilevante differenza:
che nell'applicazione delle norme del Codice gli accertamenti subivano le incertezze, le insufficienze, le difformità delle valutazioni disposte volta per volta dal giudice, mentre nell'ipotesi dell'art. 6 della legge impugnata la preventiva indicazione degli elenchi fornisce la garanzia di una qualificazione unitaria, valevole, in base agli accordi internazionali, per tutti gli Stati contraenti e in tutti i casi di uso illecito che la realtà presenta all'esame del magistrato. Per il quale, del resto, la possibilità della indagine tecnica resta pur ferma, ed é quella che é propria della sua funzione: accertare cioè se, in concreto, la sostanza che ha dato luogo al procedimento corrisponda oppure no ad una delle categorie indicate negli elenchi.
É ovvio, infine, che ogni indagine riguardante gli artt. 93 e 95 del Cod. pen., circa la imputabilità dell'agente, eventualmente esclusa o diminuita per effetto di sostanze stupefacenti, di cui si é fatto cenno in una allegazione difensiva, esula dal compito di questa Corte nella presente questione;
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
pronunciando sui giudizi riuniti elencati in epigrafe:
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale proposta con le ordinanze 30 ottobre 1963 del Tribunale di Milano, 14 e 16 novembre 1963 del Giudice istruttore presso il Tribunale di Venezia, 5 dicembre 1963 del Giudice istruttore presso il Tribunale di Massa, in riferimento all'art. 25 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1964.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 19 maggio 1964.