Sentenza n. 282 del 1990

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SENTENZA N.282

 

ANNO 1990

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Francesco SAJA, Presidente

 

Prof. Giovanni CONSO

 

Prof. Ettore GALLO

 

Dott. Aldo CORASANITI

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 7 dicembre 1984, n. 818 (Nulla osta provvisorio per le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, modifica agli artt. 2 e 3 della legge 4 marzo 1982, n. 66 e norme integrative dell'ordinamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco) promosso con ordinanza emessa il 30 giugno 1989 dal Pretore di Mantova-Sezione distaccata di Revere-nel procedimento penale a carico di Giusti Erminio, iscritta al n. 447 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41/1a s.s. dell'anno 1989.

 

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 31 gennaio 1990 il Giudice relatore Renato Dell'Andro.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Nel corso di un procedimento penale a carico di Giusti Erminio, imputato della contravvenzione prevista e punita dagli arti. 1 e 5 della legge 7 dicembre 1984, n. 818, il Pretore di Mantova - Sezione distaccata di Revere, con ordinanza 30 giugno 1989, ha sollevato, in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 27, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale denari. 1 della citata legge n. 818 del 1984, nella parte in cui rinvia ad una fonte di grado inferiore (il decreto ministeriale 16 febbraio 1982) l'individuazione dei destinatari dell'obbligo (di richiesta del suddetto certificato) la cui violazione é sanzionata penalmente dal successivo art. 5.

 

Il giudice a quo rileva, anzitutto, il contrasto della norma impugnata con il principio di riserva di legge ex art. 25, secondo comma, Cost. Invero, il rinvio ad una fonte subordinata avrebbe posto in essere una non consentita "delega" all'esecutivo per l'individuazione dei soggetti attivi del reato, che costituiscono "un momento caratterizzante del disvalore penale del fatto".

 

Nè, ad escludere il cennato contrasto con l'art. 25, secondo comma, Cost. servirebbe la considerazione dell'elemento cronologico della preesistenza della fonte regolamentare, a cui la legge denunciata rinvia, dal momento che sussiste la possibilità di successive modifiche del regolamento destinate ad incidere sulla portata del precetto penale. Peraltro, sottolinea l'ordinanza di rimessione, una tale possibilità si é avverata nel caso di specie, avendo il decreto ministeriale 27 marzo 1985 modificato il decreto ministeriale 16 febbraio 1982, al quale rinvia l'art. 1 della legge n. 818 del 1984.

 

D'altra parte, dato l'eccesso casistico del regolamento in questione, ad avviso del giudice a quo, risultano lesi sia l'esigenza della certezza del diritto sia il principio della responsabilità personale in materia penale. Infatti, la tabella allegata al decreto ministeriale 16 febbraio 1982, contenente l'elenco di ben novantasette attività soggette all'obbligo di richiesta del certificato di prevenzione incendi, ha dato luogo a non pochi dubbi interpretativi, non dissipati da successive e reiterate circolari ministeriali.

 

2.- É intervenuto in giudizio il Presidente dei Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o, comunque, per la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale.

 

Secondo l'Avvocatura dello Stato l'ordinanza di rimessione non avrebbe motivato a sufficienza la rilevanza della questione, poichè, affermando che proprio in relazione al tipo di attività per la quale é stata contestata la violazione della legge n. 818 del 1984, il punto 15) delle tabelle di cui al decreto ministeriale 16 febbraio 1982 é stato modificato con il successivo decreto ministeriale 27 marzo 1985 "in senso favorevole al reo", l'ordinanza stessa fa sorgere il dubbio che il fatto contestato rientri ancora nella fattispecie normativa e, comunque, non chiarisce tale circostanza da cui dipende la rilevanza della normativa

 

Passando al merito della questione, l'Avvocatura ne eccepisce l'infondatezza sotto entrambi i profili denunciati.

 

In relazione al principio della riserva di legge in materia penale ex art. 25, secondo comma, Cost., l'interveniente ricorda che la giurisprudenza costituzionale ne ha escluso la lesione nelle ipotesi in cui una disposizione penale é in qualche modo "integrata" da provvedimenti dell'amministrazione, a condizione che la disposizione di rango primario rechi una "sufficiente determinazione" dei presupposti, caratteri, contenuti e limiti dell'atto normativo dell'autorità non legislativa. Nella fattispecie, l'esigenza di determinatezza sottolineata dalla Corte sarebbe adempiuta, in quanto la legge penale richiama espressamente il preesistente regolamento governativo, cosi "incorporando per relazione l'elencazione attraverso la sintetica formula di richiamo".

 

In ordine al parametro ex art. 27, primo comma, Cost., l'Avvocatura non condivide il giudizio di "incertezza" sull'estensione della fattispecie penale, a causa dell'eccesso casistico della norma regolamentare. Questa, infatti, contiene, in tutte le sue partizioni e in ispecie in quella che più rileva (punto n. 15) descrizioni di stretta connotazione tecnico-giuridica facenti riferimento a oggetti e qualificazioni anche merceologicamente specificate. Non si riscontra, in tale tecnica descrittiva, alcun reale spazio di accentuata, anormale opinabilità; nè le perplessità interpretativi adombrate dal giudice remittente circa il senso dell'espressione "per uso artigianale" possono tradursi in obiettive censure di "incomprensibilità" e, pertanto, di non tassatività della prescrizione penale. Infine, l'Avvocatura ritiene improprio il richiamo al principio di personalità della pena, poichè ritenere sussistente un dubbio in merito all'inclusione o meno d'una determinata categoria di soggetti nell'ambito dell'elencazione degli obbligati, si traduce al più in una deduzione incentrata sulla (asserita) lesione del principio di tassatività ma non implica in nessun modo conseguenze in termini di responsabilità non per fatto proprio.

 

Considerato in diritto

 

1.-L'ordinanza di rimessione lamenta anzitutto la violazione dell'art. 25, secondo comma, Cost. in quanto viene dalla legge demandata al regolamento perfino l'individuazione dei soggetti attivi del reato, elemento caratterizzante il disvalore penale del fatto. Nè, a parere del giudice a quo, potrebbe accogliersi la tesi secondo la quale, essendo la fonte normativa, di grado inferiore, cui la legge rinvia, preesistente a questa, non vi sarebbe lesione del principio di riserva di legge in quanto il legislatore, conoscendo il contenuto della fonte di grado inferiore, lo farebbe proprio. L'eventualità d'una successiva modifica della fonte subordinata, richiamata dalla legge penale, potrebbe, infatti, portare anche alla modifica del fatto penalmente rilevante, con evidente indebita ingerenza d'un organo esecutivo in ordine alla delimitazione degli elementi essenziali del reato. Così come è avvenuto per l'ipotesi di specie.

 

Nè può rilevare il fatto che la modifica intervenuta sia risultata < favorevole al reo>, essendo preclusa, dal principio della riserva di legge penale, ex art. 25, secondo comma, Cost., al potere esecutivo qualsiasi attività normativa in sede penale.

 

L'ordinanza di rimessione lamenta, altresì, la violazione, da parte della legge impugnata, dei principi di tassatività e di personalità della responsabilità penale (quest'ultimo, ex art. 27, primo comma, Cost.) dato l' < eccesso casistico> del decreto del Ministro dell'interno 16 febbraio 1982 che lederebbe la certezza del diritto e lo stesso principio di personale responsabilità in materia penale.

 

2.-Va anzitutto disattesa l'eccezione d'inammissibilità, sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato, della dedotta questione di legittimità costituzionale.

 

La rilevanza della predetta questione risulta, nell'ordinanza di rimessione, sufficientemente motivata non soltanto attraverso il breve accenno contenuto nelle prime righe della stessa ordinanza (< il Pretore non può esimersi dall'applicare la norma suddetta nel presente giudizio>) ma anche dal successivo chiarimento relativo alla modifica del decreto del Ministro dell'interno 16 febbraio 1982, richiamato dall'art. 5 della legge n. 818 del 1984.

 

Si precisa, infatti, nell'ordinanza di rimessione, che tale modifica, operata con decreto del Ministro dell'interno 27 marzo 1985, attiene proprio < al tipo d'attività per la quale è stata contestata all'imputato l'omessa richiesta del nulla osta provvisorio>.

 

Che la predetta modifica sia favorevole all'imputato non solo non dimostra l'estraneità del fatto contestato alla fattispecie normativa (quand'anche fosse legittima, non si tratterebbe, comunque, di modifica abrogativa) ma pone l'ulteriore precisazione dell'irrilevanza, in sede penale, anche delle disposizioni dell'esecutivo, successive alla legge penale incriminatrice < favorevoli all'imputato>, essendo preclusa al potere esecutivo ogni ingerenza in ordine agli elementi essenziali del fatto penalmente rilevante, siano essi sfavorevoli o favorevoli all'imputato.

 

3.-La sollevata questione di legittimità costituzionale, in riferimento alla violazione dell'art. 25, secondo comma, Cost., sotto il profilo del principio di riserva di legge nonchè sotto il profilo del principio di tassatività, è fondata.

 

Vanno, intanto, precisati sia l'esatto oggetto della questione sia la delimitazione che la giurisprudenza di questa Corte ha operato in ordine ai rapporti, in sede di riserva di legge penale, tra quest'ultima e le fonti o gli atti subordinati alla medesima.

 

In ordine all'oggetto della questione in esame va osservato che l'eccezione di legittimità costituzionale, per quanto formalmente riferita alla sola disposizione dell'art. 1, primo comma, della legge 7 dicembre 1984, n. 818, è dal Pretore motivata nei confronti del combinato disposto dell'art. 1, primo comma, ora citato, e dell'art. 5 della legge n. 818 del 1984: in effetti, mentre la prima norma non assume, di per sè, natura penale (e si prospetta anzi come mero precetto sprovvisto di sanzione, rivolto ai < titolari delle attività indicate nel decreto del Ministro dell'interno 16 febbraio 1982>) è la seconda norma che, ricollegandosi alla prima, determina la sanzione penale conseguente all'inosservanza dell'obbligo di richiedere o di rinnovare il certificato di prevenzione incendi. Ed il Pretore appunta del resto la propria censura proprio sul fatto che < la norma penale rinvia, per quanto riguarda l'individuazione dei soggetti destinatari, ad una fonte normativa di grado inferiore alla legge>.

 

In ordine alla delimitazione dei rapporti tra legge penale e fonti subordinate alla medesima, è giurisprudenza costante di questa Corte il ritenere che il principio di legalità in materia penale è soddisfatto, sotto il profilo della riserva di legge (art. 25, secondo comma, Cost.) allorquando la legge determina con sufficiente specificazione il fatto cui è riferita la sanzione penale. In corrispondenza della ratio garantista della riserva, è infatti necessario che la legge consenta di distinguere tra la sfera del lecito e quella dell'illecito, fornendo a tal fine un'indicazione normativa sufficiente ad orientare la condotta dei consociati (cfr. sentenza di questa Corte n. 364 del 1988).

 

In questo senso si è ritenuto che non contrasti col principio della riserva la funzione integrativa svolta da un provvedimento amministrativo, rispetto ad elementi normativi del fatto, sottratti alla possibilità di un'anticipata indicazione particolareggiata da parte della legge, quando il contenuto d'illecito sia peraltro da essa definito (come accade, ad esempio, per gli elenchi delle sostanze psicotrope e stupefacenti contenuti in un decreto ministeriale, correlati ad un divieto i cui essenziali termini normativi risultano legalmente definiti). In ipotesi di questo tipo, infatti, l'alternativa sarebbe quella di rimettere al giudice l'interpretazione dell'elemento normativo; ma ciò determinerebbe un significativo scadimento di certezza conseguente alle inevitabili oscillazioni applicative.

 

Risulta del pari compatibile col principio della riserva di legge l'ipotesi in cui il precetto penale assume una funzione lato sanzionatoria rispetto a provvedimenti emanati dall'autorità amministrativa, quando sia la legge ad indicarne presupposti, carattere, contenuto e limiti, di modo che il precetto penale riceva < intera la sua enunciazione con l'imposizione del divieto> (Corte cost., sentenza n. 113 del 1972). In questi casi, l'alternativa consisterebbe nella rinuncia alla tutela penale, che non può tuttavia essere postulata in termini assoluti sol perchè la salvaguardia d'un interesse dipenda, o sia mediata, da un atto di natura amministrativa.

 

É piuttosto onere del legislatore determinare con precisione il tipo di provvedimento cui la tutela si riferisce, consentendone l'individuazione sicura e fissandone i presupposti, in modo d'assicurare un efficace controllo incidentale di legalità.

 

Resta in ogni caso ferma, sul piano della comminatoria penale, la necessità che < sia soltanto la legge (od un atto equiparato) dello Stato a stabilire con quale sanzione debba essere repressa la trasgressione dei precetti che vuole sanzionati penalmente> (Corte Cost., sentenza n. 26 del 1966).

 

4.-L'ipotesi attualmente sottoposta all'esame della Corte s'avvicina, per un verso, a quella degli atti amministrativi in funzione integrativa, perchè la disposizione dell'art. 5 della legge n. 818 del 1984, rinvia, per la precisazione dei soggetti tenuti all'osservanza dell'obbligo di richiedere il rilascio od il rinnovo del certificato di prevenzione nonchè il rilascio del nulla osta provvisorio, ai titolari < di una delle attività di cui al decreto ministeriale 16 febbraio 1982>; ma, per altro verso, risulta simile a quella degli atti amministrativi assunti quali elementi determinanti della fattispecie tipica sanzionata penalmente, dato che l'obbligo di richiedere il certificato di prevenzione incendi è rivolto in via esclusiva ai soggetti < titolari delle attività indicate nel decreto del Ministro dell'interno 16 febbraio 1982> (art. 1, primo comma, della legge n. 818 del 1984): la condotta penalmente rilevante è dunque destinata ad emergere solo in connessione coi contenuti specifici del decreto ministeriale 16 febbraio 1982.

 

In ogni caso, vale qui metodologicamente chiarire che la disamina in ordine ai rapporti tra legge penale e regolamento (o tra legge penale ed atto amministrativo) si è svolta, almeno principalmente, supponendo ancora non emanato il regolamento (o l'atto amministrativo): sicchè, ponendosi dal punto di vista del momento della formazione della legge penale ci si è domandato quali fossero gli elementi essenziali per la < sufficiente determinazione> del fatto tipico da parte della legge penale e quali elementi potessero, senza violare il principio di riserva di legge, dal legislatore essere invece rimessi al regolamento od all'atto amministrativo, da emanare successivamente all'entrata in vigore della legge penale, per il completamento, spesso tecnico, di quest'ultima.

 

A ben riflettere, l'intero dibattito sull'assolutezza o relatività della riserva di legge penale ex art. 25, secondo comma, Cost., si è svolto nel quadro dei rapporti tra legge penale e regolamento od atto amministrativo da emettere successivamente all'emanazione della legge penale.

 

L'ipotesi in esame si inquadra invece in tutt'altra dimensione sistematica.

 

Si suppone già emanato il regolamento o l'atto amministrativo e ci si domanda se è consentito alla legge penale, senza violare la riserva ex art. 25, secondo comma, Cost., rimettersi ai medesimi, già emanati, recependone i contenuti anche per la determinazione di elementi essenziali al fatto tipico incriminato (es. i soggetti investiti dell'obbligo di cui alla legge penale).

 

Altra singolarità dell'ipotesi considerata è che il rinvio al regolamento assume un carattere rigido e storicamente definito: esso concerne, infatti, uno specifico decreto ministeriale, e non in genere i decreti ministeriali emanati in virtù dell'art. 4, primo comma, della legge 26 luglio 1965, n. 966, secondo cui < i depositi e le industrie pericolose soggette alle visite ed ai controlli di prevenzione incendi, nonchè alla periodicità delle visite, sono determinati con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per l'industria e commercio, in relazione alle esigenze di sicurezza degli impianti>. In apparenza, sembrerebbe dunque pienamente soddisfatta l'esigenza di predeterminazione legale del contenuto d'illecito, essendo l'atto richiamato preesistente al precetto penale, assunto dal legislatore stesso entro il quadro della fattispecie incriminatrice.

 

In realtà, occorre precisare che la rigidità del riferimento non costituisce, di per sè, attuazione del principio di legalità sotto il profilo della riserva di legge. Infatti, il rinvio operato dalla legge nel caso di specie non incide sul potere della pubblica amministrazione di revocare o modificare l'atto oggetto del rinvio stesso: nel caso in esame, tale potere discende dall'art. 4, primo comma, della legge n. 966 del 1965, che non è, ovviamente, abrogato per il fatto che l'art. 5 della legge n. 818 del 1984, ricolleghi la sanzione penale ad uno, in particolare, dei decreti ministeriali emanati in forza del potere riconosciuto dalla legge all'amministrazione.

 

Può dunque ben darsi che il decreto richiamato sia in seguito sostituito o modificato da un nuovo provvedimento: ciò che per l'appunto-avendo l'amministrazione inteso il rinvio operato dalla legge penale come formale-si è verificato nella materia qui considerata, dato che il decreto ministeriale 27 marzo 1985 ha variato i contenuti del precedente decreto ministeriale 16 febbraio 1982, e proprio in riferimento alla fattispecie sottoposta all'esame del giudice a quo (art. 1 del decreto ministeriale 27 marzo 1985). Tali eventualità finiscono peraltro col determinare situazioni antinomiche di consistenza paradossale.

 

Per un verso, il soggetto originariamente tenuto può risultare non più vincolato all'adempimento, sul piano degli obblighi amministrativi; per altro verso, la rigidità del rinvio operato dal precetto penale continua ad obbligarlo, ancorchè sia venuto meno l'oggetto stesso della tutela penale.

 

Questa non può peraltro estendersi al contenuto del nuovo decreto, estraneo alla specificità storica del richiamo: di modo che soggetti obbligati in via amministrativa non potrebbero considerarsi tali in rapporto alla legge penale.

 

All'esclusione amministrativa finisce così col corrispondere l'obbligo penale ed all'esclusione penale finisce invece col corrispondere l'obbligo amministrativo. In tal modo, il senso stesso della tutela penale viene smarrito, disperso.

 

Consegue dunque che la rigidità del rinvio ad uno specifico atto preesistente quando persista il potere dell'amministrazione di revocarlo, di sostituirlo o di modificarlo, rappresenta una tecnica normativa suscettibile d'indurre incertezze sul contenuto del fatto ed in questo senso non corrispondente neppure alle esigenze del principio di determinatezza.

 

Nel caso di specie, il contrasto del combinato disposto degli artt. 1, primo comma, e 5 della legge n. 818 del 1984 con l'art. 25, secondo comma, Cost. emerge da un ulteriore rilievo specifico.

 

La norma descrive infatti una fattispecie di reato proprio, riferita al < titolare di una delle attività di cui al decreto ministeriale 16 febbraio 1982>; in questo modo essa rimette al regolamento la determinazione della cerchia degli obbligati, che rappresenta peraltro il nucleo fondante il contenuto d'illecito del reato proprio, in quanto tale contenuto discende essenzialmente dal rapporto funzionale intercorrente tra la posizione del soggetto e l'interesse tutelato dalla norma.

 

Nell'ipotesi di specie, viene così demandata all'amministrazione la determinazione di tutti i termini normativi rilevanti per l'individuazione del fatto tipico, contraddicendo l'esigenza che sia la legge, e solo la legge dello Stato, a stabilire, con sufficiente precisione, gli estremi del fatto.

 

Non possono, pertanto, nel caso in esame, distinguersi, nella legge penale, gli elementi costituenti sufficiente determinazione del fatto tipico, essenziali all'individuazione del medesimo, dagli elementi integranti la determinazione legale (ben consentito è, invero, che taluni elementi, soprattutto di natura < tecnica>, impossibilitati ad essere previamente ed una volta per tutte individuati dalla legge penale, vengano dalla stessa legge rimessi alla storica variabilità delle determinazioni degli atti dell'amministrazione) a causa della mancanza, nella legge penale impugnata, di ogni distinzione che possa ricondurre l'ipotesi in esame alle classiche, e consentite, < distinzioni> operate dalla dottrina e dalla giurisprudenza in tema di rapporti tra legge penale e norme o provvedimenti subordinati, destinati a completare la prima.

 

Il totale rinvio al regolamento od all'atto amministrativo < subordinato>, da parte della legge penale (finanche per l'identificazione dei soggetti obbligati) nella persistenza del potere dell'amministrazione di modificare l'atto stesso, equivale a rinvio, da parte della legge, al potere subordinato ed è, pertanto, chiaramente violativo della riserva di legge ex art. 25, secondo comma, Cost. Tale tecnica di normazione penale induce, fra l'altro, ad incertezze sul contenuto essenziale dell'illecito penale: sicchè, anche in assenza di modi fiche, da parte dell'amministrazione, dell'atto formalmente recepito dalla legge penale, tali incertezze non possono ritenersi escluse.

 

5.-In base alle precedenti considerazioni, il totale rinvio della legge penale al regolamento od all'atto amministrativo già esistente non può considerarsi rinvio ad uno specifico atto bensì, ove perduri la facoltà dell'amministrazione di mutare, sostituire od abrogare l'atto stesso, rinvio al potere subordinato a quello legislativo e, come tale, costituzionalmente illegittimo.

 

Ed anche quando la legge penale distinguesse, enucleandoli dall'atto già esistente, gli elementi essenziali del reato dagli elementi destinati a completare la sufficiente determinazione del fatto tipico, legislativamente precisata, ove il potere dell'amministrazione rimanga libero di mutare, sostituire od abrogare anche i predetti elementi essenziali, ugualmente potrebbero verificarsi gli inconvenienti sopra lamentati.

 

Ed infatti, se il potere amministrativo modificasse od abrogasse i predetti elementi essenziali, il soggetto continuerebbe assurdamente a rimanere vincolato ad un obbligo penale mancante del necessario contenuto lesivo mentre al nuovo contenuto di tutela, amministrativamente determinato, lo stesso soggetto rimarrebbe, in sede penale, estraneo in quanto non penalmente vincolato.

 

La verità è che alla garanzia, della quale l'art. 25, secondo comma, Cost. è pregnante espressione, non è estraneo il tentativo di riduzione degli illeciti penali secondo il principio vigente, che considera il sistema penale quale extrema ratio di tutela dei beni giuridici (cfr. sentenze di questa Corte n. 364 del 1988 e n. 487 del l989).

 

Con l'accoglimento della sollevata eccezione di legittimità costituzionale sotto il profilo della violazione dell'art. 25, secondo comma Cost. risultano assorbiti tutti gli altri profili d'illegittimità proposti dall'ordinanza di rimessione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, primo comma, e 5, primo comma, della legge 7 dicembre 1984, n. 818 (Nulla osta provvisorio per le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, modifica agli artt. 2 e 3 della legge 4 marzo 1982, n. 66 e norme integrative dell'ordinamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco).

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/06/90.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

 

Renato DELL'ANDRO, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 14/06/90.