Sentenza n. 132 del 1986

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SENTENZA N. 132

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente 

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, legge 18 aprile 1975 n. 110 ("Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi"); degli artt. 697 codice penale, 2 e 7 legge 2 ottobre 1967 n. 895 ("Disposizioni per il controllo delle armi") e successive modificazioni; artt. 10 e 14 legge 14 ottobre 1974 n. 497 ("Nuove norme contro la criminalità"), promossi con ordinanze emesse il 10 ottobre 1980 e il 2 ottobre 1981 dal Tribunale di Sondrio, il 6 maggio 1982 dal Tribunale di Sciacca, il 24 settembre 1981 dal Tribunale di Caltanissetta, il 27 febbraio 1981 dal Tribunale di Sondrio, l'11 gennaio, 31 marzo, 7 e 18 giugno, 18 ottobre, 24 settembre, 3 e 19 novembre, 1 e 15 ottobre 1982, 22 e 29 aprile 1983 dal Tribunale di Agrigento, 18 ottobre 1984 dal Tribunale di Lucera, il 4 maggio 1981, l'11 e il 14 giugno 1982 dal Tribunale di Agrigento, rispettivamente iscritte ai nn. 43, 44, 532, 679 del Reg. Ord. 1982; ed ai nn. 197, 211, 212, 213, 214, 215, 216, 890, 891, 892, 893, 894, 895, 896,897, 898 del Reg. Ord. 1983; ai nn. 25, 272, 273, 274 del Reg. Ord. 1985 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 137 e 331 dell'anno 1982, nn. 67, 225, 232 dell'anno 1983, nn. 67 bis, 131 bis, 196 bis dell'anno 1985.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 gennaio 1986 il Giudice relatore Renato Dell'Andro.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza del 6 maggio 1982 (reg. ord. n. 532/82), emessa nel procedimento penale a carico di Milazzo Leonardo, accusato di aver detenuto, senza averne fatta denunzia, una carabina ad aria compressa, il Tribunale di Sciacca ha sollevato questione di legittinità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 2, terzo comma, legge 18 aprile 1975 n. 110 ("Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi"), nella parte in cui non assimila le armi ad aria compressa sia lunghe sia corte a quelle destinate alla pesca. Osserva il Tribunale che la norma impugnata - in quanto considera armi comuni da sparo quelle ad aria compressa sia lunghe sia corte, mentre non considera tali quelle destinate alla pesca - diversifica dal punto di vista penalistico congegni ad aria compressa, entrambi destinati ad uso sportivo e ricreativo nonché dotati di analoga potenzialità offensiva, e conseguentemente assoggetta ad una illegittima disparità di trattamento i detentori dell'uno e dell'altro congegno.

L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo il rigetto della questione, ed osservando che é chiaramente infondato il presupposto da cui muove il giudice a quo, e cioé che le armi ad aria compressa e quelle destinate alla pesca sarebbero entrambe destinate ad uso sportivo e ricreativo ed avrebbero analoga potenzialità offensiva. Innanzitutto, invero, non spetta al giudice valutare la potenzialità offensiva di un'arma, trattandosi di un giudizio tecnico che, nella definizione di una fattispecie astratta e generale quale quella normativa, rientra nella esclusiva competenza del legislatore. In secondo luogo, il legislatore, proprio in considerazione della intrinseca idoneità delle armi ad aria compressa a recare offesa alla persona, le ha equiparate a quelle comuni da sparo, ammettendo però la possibilità di accertare che esse, per le loro caratteristiche tecniche, non sono adatte ad offendere la persona. Le armi destinate alla pesca, invece, appartengono ad una categoria del tutto differente (a nulla rilevando il preteso uso comune sportivo e ricreativo, mera opinione del giudice a quo), che giustamente e coerentemente il legislatore ha considerato in modo diverso rispetto alla prima. In sostanza, conclude l'Avvocatura, deve escludersi che si sia in presenza di una differenziazione priva di ragionevolezza, una volta che le scelte demandate al legislatore certamente non si traducono in arbitrio. Del resto, la riprova della coerenza e razionalità della scelta legislativa si ha proprio nella esclusione, dalla categoria delle armi comuni da sparo, sia di quelle destinate alla pesca sia di quelle ad aria compressa per le quali la speciale Commissione, di cui all'art. 6 legge n. 110 del 1975, abbia escluso l'attitudine a recare offesa alla persona, non accettabile apparendo invece una indiscriminata equiparazione delle armi ad aria compressa in generale a quelle destinate alla pesca.

2. - Con due ordinanze emesse il 18 giugno 1982 (reg. Ord, n. 214/83) ed il 24 settembre 1982 (reg. ord. n. 216/83), il Tribunale di Agrigento ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 2, terzo comma, legge 18 aprile l975 n. 110, nella parte in cui equipara le armi ad aria compressa alle armi comuni da sparo.

Dopo aver sottolineato la mancata corrispondenza al comune senso di giustizia dell'equiparazione normativa fra i due tipi di armi ed il disagio che da essa deriva per molti giudici ed operatori di polizia, osserva il Tribunale che la diversità delle fattispecie penalmente parificate é stata avvertita dallo stesso legislatore quando, attraverso le differenti espressioni "sono armi comuni da sparo" e "sono... considerate armi comuni da sparo" contenute nell'art. 2 legge n. 110/75, ha reso palese l'intendimento di realizzare la detta equiparazione attraverso una fictio iuris. Data però la diversità delle fattispecie sul piano ontologico, la loro equiparazione normativa non appare ragionevole, perché se pur consente al giudice una diversificazione sanzionatoria ex art. 133 codice penale, non soddisfa tuttavia altre esigenze di adeguamento dei trattamenti normativi sostanziali e processuali alle singole fattispecie in relazione alla loro effettiva diversità (ad es., obbligatorietà del rito direttissimo e dell'arresto in flagranza, possibilità di perquisizioni ex art. 41 t.u.l.p.s., presenza di aggravanti, inapplicabilità di provvedimenti di clemenza, ecc.). Del resto, conclude il Tribunale, a sostegno della parificazione neppure può dedursi una presunta uguale pericolosità, posto che dal novero delle armi agli effetti penali sono comunque escluse quelle destinate alla pesca, ancorché ad aria compressa e ancorché aventi una potenza offensiva maggiore delle altre armi ad aria compressa e di quelle indicate nella norma impugnata, la quale appare pertanto in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il profilo della mancata aderenza del trattamento, in ogni suo aspetto considerato, alle diversità delle singole fattispecie concrete.

Entrambe le ordinanze sono state regolarmente comunicate, notificate e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale.

3. - Identica questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 2, terzo comma, legge 18 aprile 1975 n. 110, nella parte in cui equipara le armi ad aria compressa alle armi comuni da sparo, é stata sollevata dal medesimo Tribunale di Agrigento con sei ordinanze, emesse il 15 ottobre 1982 (reg. ord. n. 896/83), il 3 novembre 1982 (reg. ord. nn. 890, 891 e 895/83, il 19 novembre 1982 (reg. Ord. n. 892/83), e il 29 aprile 1983 (reg. ord. n. 898/83). Il medesimo Tribunale, con ordinanza del 1 ottobre 1982 (reg. Ord. n. 897/83), ha altresì impugnato l'art. 697 codice penale, nella parte in cui il munizionamento per le armi ad aria compressa é equiparato a quello per le armi da fuoco, mentre ha ancora impugnato l'art. 2, terzo comma, legge 18 aprile 1975 n. 110, nella parte in cui equipara le armi a gas alle armi da fuoco, con due ordinanze del 14 giugno 1982 (reg. ord. n. 274/85) e del 18 ottobre 1982 (reg. ord. n. 215/83), nonché nella parte in cui equipara gli strumenti lanciarazzi alle armi comuni da sparo, con altre due ordinanze dell'11 marzo 1983 (reg. ord. n. 893/83) e del 22 aprile 1983 (reg. ord. n. 894/83).

Tutte e undici le suddette ordinanze (regolarmente comunicate, notificate e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale) sono peraltro motivate, quanto alla non manifesta infondatezza, esclusivamente mediante rinvio alla precedente ordinanza del medesimo Tribunale del 24 settembre 1982.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza, essendo le ordinanze di rimessione motivate per relationem e non contenendo alcuna precisazione in ordine alle fattispecie concrete, e comunque manifestamente infondate oppure infondate, essendo già state risolte con le sentenze nn. 108 e 109 del 1982.

4. - Analoghe questioni sono state anche sollevate, con tre ordinanze del 10 ottobre 1980 (reg. ord. n. 43/82), del 27 febbraio 1981 (reg. ord. n. 197/83) e del 2 ottobre 1981 (reg. ord. n. 44/82), dal Tribunale di Sondrio nonché con ordinanza del 18 ottobre 1984 (reg. ord. n. 25/85), dal Tribunale di Lucera, il quale ultimo peraltro ha impugnato, per contrasto con l'art. 3 Cost., gli artt. 10 e 14 legge 14 ottobre 1974 n.497, in relazione all'art. 2 legge 18 aprile 1975 n. 110, sotto un triplice profilo: perché le armi ad aria compressa sono parificate a quelle da fuoco; perché ad esse non sono parificate vere e proprie armi, pericolose quanto quelle da fuoco; perché nell'ambito della medesima categoria delle armi ad aria compressa il legislatore ha operato una distinzione insussistente, aleatoria, discriminante.

Osserva invero il Tribunale di Lucera che le armi ad aria compressa hanno notoriamente scarsissima capacità offensiva, per cui la loro pericolosità é assimilabile a quella della "fionda" costruita artigianalmente da un ragazzo e che scagli pietre appuntite; che tali armi sono sempre state considerate come giocattoli e non sono state mai usate per commettere reati dolosi contro la persona o il patrimonio, preferendosi a tali scopi oggetti contundenti o appuntiti o copia di armi da fuoco; che quindi é ingiustificato farle rientrare nel novero delle armi comuni ed equipararle a quelle da fuoco, in cui sono compresi strumenti assai più pericolosi e letali; che ugualmente ingiustificata é l'esclusione dalla categoria delle armi comuni da sparo di altri arnesi la cui pericolosità é rapportabile a quella delle armi da fuoco (armi subacquee ad aria compressa, balestre, archi, fionde da competizione), idonei a provocare la morte ed il cui porto non presenta difficoltà maggiori o diverse; che parimenti contraria al principio di eguaglianza é la discriminazione, nell'ambito della species, scarsamente pericolosa, delle armi ad aria compressa, di alcune di esse, sulla base dell'esclusione dell'attitudine a recare offesa alla persona, mentre analoga discriminazione non vi é stata fra armi ad aria compressa ed armi da fuoco, dove invece la differenziazione é nelle cose, é notevole ed é più giustificata.

Le dette ordinanze sono state regolarmente comunicate, notificate e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale.

5. - Con cinque ordinanze del 4 maggio 1981 (reg. ord. n. 272/85), dell'11 gennaio 1982 (reg. ord. n. 211/83), del 31 marzo 1982 (reg. ord. n. 212/83), del 7 giugno 1982 (reg. ord. n. 213/83) e dell'11 giugno 1982 (reg. ord. n. 273/85), emesse nel corso di procedimenti penali a carico di soggetti accusati di avere illegalmente detenuto e portato pistole a gas o pistole lanciarazzi o carabine ad aria compressa, il Tribunale di Agrigento ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, legge 18 aprile 1975 n. 110, nella parte in cui attribuisce alla commissione di cui al successivo art. 6 il potere di escludere dal novero delle armi agli effetti della legge penale quelle che non abbiano attitudine a recare offesa alla persona, in riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost., nonché nella parte in cui equipara alle armi comuni da sparo gli altri oggetti ivi indicati, in riferimento all'art. 3 Cost..

Osserva il Tribunale che la detta commissione, con l'esercizio del potere attribuitole, delimitando il concetto di arma, finisce col delimitarne l'effettiva nozione agli effetti penali, e che quindi la disposizione impugnata demanda ad un organo amministrativo la funzione definitoria di un elemento costitutivo della fattispecie penale, sì da apparire in contrasto con la riserva di legge di cui all'art. 25, secondo comma, Cost.. Quanto al contrasto con l'art. 3 Cost. il Tribunale svolge considerazioni analoghe a quelle sopra riportate in relazione all'ordinanza dello stesso Tribunale del 24 settembre 1982.

Le ordinanze sono state regolarmente comunicate, notificate e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale.

Nel primo giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza ovvero manifestamente infondate o comunque infondate.

In particolare, quanto al presunto contrasto con l'art. 25, secondo comma, Cost., osserva l'Avvocatura che la questione presuppone una inesatta interpretazione della norma impugnata, in quanto, come ha osservato la sent. n. 109 del 1982, la norma vivente é invece nel senso che l'espressione "escluse", con cui ha inizio la seconda parte del comma, si riferisce unicamente alle armi ad aria compressa e non anche agli altri oggetti ivi elencati, e cioé agli strumenti lanciarazzi, alle armi da bersaglio da sala o ad emissione di gas. Se perciò la legge ammette solo per le armi ad aria compressa, e non anche per quelle ad emissione di gas, la possibilità di accertare che per le loro caratteristiche tecniche non sono adatte ad offendere la persona, la questione di legittimità costituzionale risulta inammissibilmente proposta nei confronti di una norma ipotetica, diversa da quella effettivamente esistente nel nostro ordinamento. La questione sarebbe comunque manifestamente infondata per le argomentazioni contenute nella sent. n. 108 del 1982 (seguita da diverse ordinanze di manifesta infondatezza).

Quanto al presunto contrasto con l'art. 3 Cost., l'Avvocatura osserva che la questione é manifestamente inammissibile per assoluta carenza di motivazione sulla rilevanza, affermata solo apoditticamente senza il minimo cenno alla concreta fattispecie in esame. La questione é comunque infondata, non potendosi contestare il potere del legislatore di riservare uguali trattamenti normativi sostanziali e processuali a fattispecie in parte diverse, salva l'ipotesi che tale uguaglianza di trattamento risulti in contrasto con evidenti principi di ragionevolezza, il che nell'ordinanza di rinvio neppure é denunciato e comunque non é dato ritenere.

6. - Con ordinanza del 24 settembre 1981 (reg. ord. n. 679/82) il Tribunale di Caltanissetta ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27, comma terzo, Cost., degli artt. 2 e 7 legge 2 ottobre 1967, n. 895 e successive modificazioni, in relazione all'art. 2 legge 18 aprile 1975 n. 110, nella parte in cui le armi ad aria compressa vengono equiparate, ai fini sanzionatori, alle armi comuni da sparo.

Osserva il Tribunale che, stante la loro diversa pericolosità offensiva, é illegittima la parificazione tra i differenti tipi di armi ricompresi nella generale categoria di "armi comuni da sparo"; che é censurabile la sproporzione fra misura della pena e significatività della sanzione, posto che la medesima pena si applica a situazioni la cui diversità é di tutta evidenza, mentre restano sfornite di sanzione situazioni identiche a quelle colpite da sanzione penale; che le norme impugnate sono altresì in contrasto con l'art. 27, comma terzo, Cost., giacché la funzione rieducativa della pena impone che la misura della sanzione penale sia graduata sulla base del disvalore del fatto, mentre nella specie sono puniti in maniera uniforme fatti la cui obiettiva pericolosità é diversa, senza che in contrario possa avere rilievo - stante la sua mera discrezionalità - l'attenuante di cui all'art. 5 della legge n. 895 del 1965.

L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Quanto alla dedotta violazione dell'art. 3 Cost., dopo aver ricordato la giurisprudenza di questa Corte sul principio di eguaglianza ed in particolare il principio secondo cui la determinazione dell'entità della pena spetta unicamente al legislatore, il cui apprezzamento può formare oggetto di censura solo quando la sperequazione tra reato e pena assuma dimensioni tali da non riuscire sorretta da ogni benché minima giustificazione, l'Avvocatura osserva che il giudizio sulla "pericolosità" maggiore di certe armi rispetto ad altre e sulla corrispondente pena in caso di comportamenti penalmente illeciti, compete appunto soltanto al legislatore, nella sfera della discrezionalità socio-politica a lui attribuita in via esclusiva, specie in materia criminale, non essendo certamente sufficiente porre a base di una denunzia di illegittimità costituzionale la mera convinzione o la rappresentazione interna del giudice a quo nell'apprezzamento e nella valutazione di un minore o maggiore disvalore di un certo comportamento sotto il profilo penale, ai fini di una corrispondente valutazione della proporzionalità della previsione punitiva della condotta antigiuridica, occorrendo invece la fondata dimostrazione di un arbitrio nel quale sarebbe caduto il legislatore disciplinando irragionevolmente diverse fattispecie penali ovvero ponendo sullo stesso piano delle "armi comuni da sparo" una serie di armi comprese quelle ad aria compressa. D'altra parte, la scelta del legislatore di porre sullo stesso piano le armi suddette appare anzi pienamente coerente e ragionevole, solo che si consideri che per certe armi ad aria compressa (quelle la cui inidoneità ad offendere la persona é accertata dalla speciale commissione) tale equiparazione é esclusa, mentre l'affermazione del giudice a quo che l'arma ad aria compressa é in via generale ed astratta meno pericolosa rispetto ad una qualsiasi altra arma é rigettabile per la sua stessa indiscriminata generalizzazione.

Quanto alla dedotta violazione dell'art. 27, comma terzo, Cost., l'Avvocatura osserva che il giudice a quo pretenderebbe in sostanza una frammentazione o notomizzazione della categoria "armi da sparo" in tante sotto-categorie quanti i vari tipi di arma, in funzione, ad esempio, del calibro, della lunghezza della canna, del sistema di caricamento e sparo o del mezzo propellente e così via, e per quelle ancora pretenderebbe una comminatoria di diverse pene corrispettive, in un minimo ed in un massimo. Senonché, da un lato, una siffatta ricostruzione normativa avrebbe effetti paralizzanti nella prevenzione e nella persecuzione dei reati connessi al porto e alla detenzione delle armi, e rapidamente porterebbe ad un disancoramento del fatto-reato dall'astratta fattispecie punitiva, in presenza non solo e non tanto della mutevole realtà da disciplinare, quanto anche della continua evoluzione tecnica, e dall'altro, la proporzionalità fra reato e pena e la possibilità di rispetto dell'art. 27, terzo comma, Cost., sono assicurate proprio dalla estrema flessibilità della previsione punitiva in esame, con la possibilità di rilevanti riduzioni di pena, anche con riguardo alla quantità e qualità delle armi.

Considerato in diritto

1. - Tutte le ordinanze vanno esaminate in unico giudizio poiché sollevano identiche od analoghe questioni d'illegittimità costituzionale.

2. - Vanno dichiarate inammissibili le questioni proposte dalle ordinanze n. 890/83, emessa dal Tribunale di Agrigento il 3 novembre 1982; n. 891/83 emessa dallo stesso Tribunale il 3 novembre 1982; n. 895/83, emessa dal Tribunale di Agrigento il 3 novembre 1982; n. 896/83 emessa il 1 ottobre 1982 dal Tribunale di Agrigento; n. 897/83 emessa dal predetto Tribunale il 1 ottobre 1982; n. 274/85 emessa il 14 giugno 1982 dal Tribunale di Agrigento; n. 215/83 emessa il 18 ottobre 1982 dallo stesso Tribunale; n. 893/83 emessa l'11 marzo 1983 sempre dal Tribunale di Agrigento; n. 894/83 emessa il 22 aprile 1983 dal predetto Tribunale. Le ora indicate ordinanze di rimessione sono motivate esclusivamente per relationem e non contengono alcuna precisazione in ordine alle fattispecie concrete.

Vanno altresì dichiarate inammissibili le questioni proposte con le ordinanze n. 43/82 emessa il 10 ottobre 1980 dal Tribunale di Sondrio; n. 44/82 emessa dallo stesso Tribunale il 2 ottobre 1981 e n. 197/83 emessa il 27 febbraio 1981 dal Tribunale di Sondrio. Queste ultime ordinanze difettano di motivazione sulla rilevanza, nei giudizi nel corso dei quali sono state emesse, delle sollevate questioni di legittimità costituzionale: le stesse ordinanze non fanno alcun cenno alle fattispecie concrete; non indicano né i reati contestati agli imputati né i fatti loro addebitati.

3. - La prima questione della quale la Corte é tenuta ad occuparsi attiene alla così detta equiparazione, a fini penali, delle armi ad aria compressa, sia lunghe che corte, alle armi comuni da sparo: tale questione viene sollevata con l'impugnazione degli artt. 2 e 7 della legge 2 ottobre 1967 n. 895 e successive modificazioni (in relazione all'art. 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975 n. 110); 10 e 14 della legge 14 ottobre 1974 n. 497 (sempre in relazione all'art. 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975 n. 110); nonché della sola legge 18 aprile 1975, n. 110 (art. 2, terzo comma). Le predette impugnazioni sono sollevate in primo luogo con riferimento all'art. 3 Cost.: sicché é anzitutto da questo profilo che va esaminata la precitata c.d. equiparazione legale delle armi ad aria compressa alle armi comuni da sparo.

Per poter esattamente inquadrare il thema decidendum, vale in primo luogo ricordare che la così detta equiparazione in discorso (si rinvia, comunque, alle osservazioni che si svolgeranno nel seguito in ordine alla "relatività" della medesima) non é improvvisamente comparsa nell'art. 2, terzo comma, della legge n. 110 del 1975 ma affonda le radici in una relativamente lunga evoluzione storica, anche precedente alla stessa legge 2 ottobre 1967 n. 895, la quale ultima, pertanto, deve ritenersi l'abbia recepita dalla preesistente esperienza legislativa e giurisprudenziale.

É sufficiente, a questo proposito, ricordare che, se é vero che non sempre e non tutte le armi ad aria compressa sono state considerate, a fini penali, armi comuni da sparo, é altresì vero che la giurisprudenza, in epoca insospetta, cioé, prima della legge 2 ottobre 1967 n. 895 nell'interpretare l'art. 585, comma secondo, c.p., ha ritenuto che "deve considerarsi arma da sparo, agli effetti della legge penale, non solo quella funzionante con polvere pirica o con altro esplosivo ma anche quella atta ad offendere l'incolumità delle persone mediante la forza d'impulsione dei proiettili a mezzo di aria compressa". Questa interpretazione é stata più volte ribadita dalla Corte di Cassazione dopo il 1967 e prima del 18 aprile 1975. Né può esser dimenticato che la stessa Corte, nell'interpretare l'art. 44, ultimo comma, del Regolamento per l'esecuzione del T.U. di P.S. (approvato con Regio Decreto 6 maggio 1940 n. 635) ove espressamente si considerano armi da sparo anche quelle funzionanti ad aria compressa, ha più volte ribadito che l'articolo da ultimo citato ha soltanto valore di riscontro dell'interpretazione degli artt. 585, secondo comma, c.p. e 30 del testo unico delle leggi di P.S. (approvato con R.D. 18 giugno 1931 n. 773) nel senso che, anche a prescindere dall'art. 44, ultimo comma, del Regolamento al T.U. delle leggi di P.S., l'art. 585, secondo comma, c.p. e l'art. 30 del T.U. delle leggi di P.S. e conseguentemente gli artt. 704, 697 e 699 c.p. devono interpretarsi come consideranti le armi ad aria compressa quali armi comuni da sparo.

Se, pertanto, dal codice penale del 1930, le armi ad aria compressa sono ritenute armi comuni da sparo; se l'art. 44, ultimo comma, del più volte citato Regolamento per l'esecuzione del T.U. delle leggi di P.S., già nel 1940, nell'interpretare l'art. 30 del predetto T.U. (approvato nel 1931) s'esprime in questi termini: "Sono pure considerate armi da sparo quelle denominate da "bersaglio da sala" e quelle ad aria compressa, siano lunghe o corte"; l'art. 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975 n. 110 nulla ha innovato, in materia, limitandosi a recepire i principi espressi dalle preesistenti legislazione e giurisprudenza. Sembra, anzi, che l'ora citato art. 2 della legge 18 aprile 1975 n. 110 ("Sono infine considerate armi comuni da sparo quelle denominate da bersaglio da sala o ad emissione di gas, gli strumenti lanciarazzi e le armi ad aria compressa, sia lunghe che corte...") abbia ricopiato, con alcune "aggiunte", l'art. 44 ultimo comma del Regolamento predetto.

Inquadrato il thema decidendum alla luce dei "precedenti" legislativi e giurisprudenziali della legge 18 aprile 1975 n. 110, resta ora da esaminare, in sé, l'arbitrarietà o meno della considerazione, nell'ora citata legge, quali armi comuni da sparo, delle armi ad aria compressa.

Richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte in tema di discrezionalità del legislatore in ordine all'individuazione e delimitazione delle fattispecie tipiche di reato ed alla determinazione relativa alla congruenza tra reato e conseguenze penali (salva la manifesta arbitrarietà), vale qui aggiungere, una necessaria puntualizzazione. Il legislatore, nella determinazione delle fattispecie tipiche di reato, non tien conto soltanto della struttura e pericolosità astratta dei fatti che va ad incriminare ma, almeno di regola, della concreta esperienza nella quale quei fatti si sono verificati e dei particolari inconvenienti provocati, in precedenza, dai fatti stessi, in relazione ai beni che intende tutelare. E quand'anche fosse vero che le armi ad aria compressa non siano naturalmente destinate ad offendere (come sostenuto da alcune ordinanze di rimessione) sarebbe altresì vero che il legislatore non ha da tener conto soltanto della naturale destinazione dell'oggetto materiale del fatto che intende incriminare bensì anche, e soprattutto, dell'uso concreto che dell'oggetto stesso l'esperienza mostra. Non può certo esser precluso al legislatore penale tener conto dell'uso distorto delle armi ad aria compressa, già realizzato e prevedibilmente verificabile in futuro. E nessuno può disconoscere che, non di rado, esse sono (e possono essere) usate in modo da destare concreto pericolo almeno per l'incolumità individuale. Allorché si sostiene (come fa l'ordinanza di rimessione del Tribunale di Lucera del 18 ottobre 1984) che la capacità offensiva delle armi ad aria compressa consiste "in ferite superficiali perché il pallino, al massimo, penetra per meno di un centimetro nella carne, sempre che essa non sia coperta da indumenti" (e si parificano le predette armi alle "fionde" artificialmente costruite dai ragazzini per scagliare "piccole" pietre appuntite) si dimenticano (a parte ogni discorso sulla pericolosità delle precitate "fionde") gli "accecamenti" che, appunto i ragazzini, per scopi ricreativi, possono provocare: la penetrazione sia pur per meno di un centimetro, in una parte vitale del corpo umano, normalmente non coperta da indumenti, può provocare danni irreversibili che, se non giungono alla morte, sono certamente da evitare mediante rigorose sanzioni tese a prevenire offese a beni di grande rilevanza.

Né si osservi che le armi ad aria compressa non servono, almeno di norma, a commettere delitti dolosi giacché non può esser precluso al legislatore di prevenire delitti colposi: e l'esperienza insegna che danni gravi ed irreversibili sono spesso provocati, per gioco, imprudentemente, negligentemente, per mancanza di perizia ecc. nell'uso delle armi in esame.

V'é, infine, una caratteristica delle armi ad aria compressa che va qui posta in rilievo: ed é la "silenziosità". Esse possono raggiungere il bersaglio, finalisticamente proposto dal soggetto attivo del fatto o colposamente perseguito, in maniera silenziosa; e si prestano, pertanto, agevolmente ad uso fraudolento.

Tenuto conto di ciò, davvero non può condividersi l'affermazione contenuta nell'ora citata ordinanza di rimessione del Tribunale di Lucera, a termini della quale le armi ad aria compressa sono sempre state considerate "giustamente un giocattolo".

La non arbitrarietà del disposto del terzo comma dell'art. 2 della legge 18 aprile 1975 n. 110, relativo alla considerazione delle armi ad aria compressa quali armi da sparo, é definivamente dimostrata dalla non estensione della predetta considerazione alle armi ad aria compressa, per le quali la speciale commissione di cui all'art. 6 della legge in discussione (parzialmente sostituito dagli artt. 1 e 2 della legge 16 luglio 1982 n. 452) appunto escluda, "in relazione alle caratteristiche proprie delle stesse, l'attitudine a recare offesa alla persona". L'esclusione in discorso può esser discussa ed é stata censurata sotto altri profili: non può disconoscersi, tuttavia, che essa é solo formalisticamente eccezione alla precedente considerazione (contenuta nella prima parte del III comma dell'art. 2 della legge 18 aprile 1975 n. 110) delle armi ad aria compressa quali armi comuni da sparo. Effettivamente, distinguendo le prime in "idonee" e "non idonee" a recare offesa alla persona, l'"esclusione" in discorso allontana ogni ombra di generalizzazione. In realtà, manca proprio, nella legge in esame, la c.d. equiparazione (sulla quale insistono molte ordinanze di rimessione) delle armi ad aria compressa alle armi comuni da sparo giacché soltanto le armi ad aria compressa che, per le proprie, particolari caratteristiche, hanno attitudine a recare offesa alla persona, sono effettivamente considerate, dall'articolo in esame, quali armi comuni da sparo: non tutte, dunque. Né va taciuto che l'offensività (nel nostro caso dell'oggetto materiale) non é una delle caratteristiche della fattispecie tipica di reato ma l'essenza qualificativa della medesima: essa, delimitando la soglia del penalmente rilevante, attraverso l'esclusione della tipicità incriminatrice delle armi ad aria compressa inidonee ad offendere la persona, positivamente include nella tipicità stessa soltanto le precitate armi che, in concreto, caso per caso, secondo un esame tecnico approfondito e qualificato, si dimostrino possedere la predetta idoneità offensiva.

Consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione é dell'avviso che, fino a quando l'apposita commissione non abbia provveduto ad escludere, dalla categoria delle armi comuni da sparo, le armi ad aria compressa ritenute prive dell'attitudine a recare offesa alla persona, il giudice é tenuto a verificare, caso per caso, la potenzialità offensiva delle predette armi. Ed a volte la stessa Corte ha avuto modo di ulteriormente precisare che il giudice non ha alcun obbligo di rivolgersi alla commissione di cui all'art. 6 della legge 18 aprile 1975 n. 110 (parzialmente sostituito dagli artt. 1 e 2 della legge 16 luglio 1982 n. 452) ben potendo egli autonomamente emettere giudizi conclusivi sull'idoneità offensiva delle armi in parola.

A parte ogni questione sulla natura, costitutiva o dichiarativa, della decisione d'esclusione, emessa dalla commissione più volte citata (e dell'impugnativa alla precitata decisione) resta accertato che nessuna generale, indiscriminata "equiparazione" esiste nell'art. 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975 n. 110, mentre nello stesso articolo il legislatore, sicuramente in maniera non arbitraria, dichiara di considerare armi comuni da sparo soltanto le armi ad aria compressa che si dimostrino, in concreto, caso per caso, ad attento e qualificato esame tecnico, idonee ad offendere la persona.

4. - La c.d. equiparazione, già discussa, é stata impugnata anche in riferimento all'art. 27, terzo comma, Cost..

Poche parole bastano per precisare che se é indubbiamente vero che la funzione rieducativa della pena impone che la misura della sanzione penale sia graduata sulla base del concreto disvalore del fatto, é altrettanto vero che, a termini della normativa in esame, escluda la tipicità di comportamenti inoffensivi, non risulta sia stata operata alcuna arbitraria parificazione di diverse obiettive pericolosità. In base a quant'innanzi posto in evidenza, non soltanto risulta non essere stato violato, dalla normativa in discussione, l'art. 3 Cost. ma va anche ritenuto non violato l'art. 27, terzo comma, Cost. É sufficiente, a questo proposito, precisare che, non risultando arbitraria la considerazione delle armi ad aria compressa idonee ad offendere la persona quali armi comuni da sparo; e, non risultando, pertanto, arbitraria la determinazione delle conseguenze penali, edittalmente precisate, dei fatti tipici realizzati mediante armi da sparo o mediante l'uso distorto di armi ad aria compressa (aventi l'attitudine ad offendere la persona); spetta al giudice determinare, in concreto, caso per caso, la misura della pena adeguata alle individuali, particolari offese arrecate, ai beni penalmente tutelati, dai diversi fatti illeciti. Ove, in tale sede, (non più l'idoneità, la potenzialità lesiva ma) la concreta, particolare lesione, effettivamente prodotta, risulti di lieve entità, il giudice, valendosi dei mezzi offerti dall'intero sistema, determinerà una pena adeguata anche all'oggettivo, concreto, lieve disvalore penale del fatto illecito. Né va dimenticato che la legge 2 ottobre 1967 n. 895, all'art. 5, offre al giudice la possibilità di meglio adeguare la pena al concreto fatto da sanzionare, attraverso un'attenuante speciale: la pena può essere, infatti, diminuita fino ai due terzi quando per la quantità o per la qualità delle armi (ed é appunto il nostro caso) il fatto risulti di lieve entità. A nulla vale, peraltro, sottolineare, di contro, che la predetta attenuante é "meramente discrezionale". Il giudice, ove il fatto concreto si palesi, per la qualità delle armi, di lieve entità, é tenuto, é vincolato all'applicazione dell'attenuante in discussione.

Ove il giudice infligga sanzioni penali adeguate ai concreti, indubbiamente diversi, fatti illeciti, certamente non vien violato l'art. 27, terzo comma, Cost.. Comunque questo articolo non risulta violato dalla normativa contestata.

5. - L'art. 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975 n. 110 é stato anche impugnato, in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui esclude, dalla considerazione delle armi ad aria compressa quali armi da sparo, le armi destinate alla pesca: si sostiene in alcune ordinanze di rimessione (in particolare dall'ordinanza n. 532/84, del 6 maggio 1982 emessa dal Tribunale di Sciacca) che l'aver diversificato, dal punto di vista penalistico, due tipi di congegni ad aria compressa, entrambi destinati ad uso sportivo e ricreativo ed aventi analoga potenzialità offensiva, e l'aver conseguentemente assoggettato a disparità di trattamento i detentori dell'uno o dell'altro tipo di congegno ad aria compressa, violi l'art. 3 Cost..

Premesso che, intanto, si ammette una potenzialità offensiva anche delle armi ad aria compressa; premesso che ovviamente il legislatore penale si occupa dell'uso deviante, distorto, e non dell'uso legittimo delle armi e dei congegni in parola; a parte ogni considerazione sull'arbitrarietà di ritenere "tutte" le armi ad aria compressa destinate esclusivamente ad uso sportivo e ricreativo; va chiarito che dolersi dell'esclusione, delle armi destinate alla pesca, dalla categoria di armi comuni da sparo e chiedere l'applicazione a tutte le armi ad aria compressa della disciplina prevista per le armi destinate alla pesca (e cioé l'esclusione totale dalle sanzioni comminate dall'art. 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975 n. 110 di tutti i fatti relativi, comunque, ad armi o congegni ad aria compressa) equivale a negare, di nuovo, fondamento legittimo alla considerazione (sulla non arbitrarietà della quale s'é già discusso) delle armi ad aria compressa idonee ad offendere la persona quali armi comuni da sparo. Vanno, conseguentemente, qui ricordate e confermate tutte le argomentazioni innanzi esposte: se queste ultime valgono a confutare l'eccepita illegittimità costituzionale della c.d. equiparazione precedentemente precisata, non possono non valere anche contro l'eccepita illegittimità costituzionale dell'esclusione dalla predetta equiparazione delle armi destinate alla pesca: quest'ultima impugnativa si sostanzia, infatti, anch'essa nell'auspicare la non considerazione di tutte le armi o congegni ad aria compressa quali armi comuni da sparo.

Questa Corte potrebbe respingere, nel merito, l'impugnativa in discussione limitandosi a ricordare che, essendo il tertium comparationis (l'esclusione delle armi ad aria compressa destinate alla pesca dalle armi comuni da sparo), eccezione, non é fondato, mancando identità di ratio, richiedere l'elevazione a regola generale della disciplina prevista esclusivamente per l'eccezione. Questa Corte tiene, invece, a trattare, per quanto possibile, in particolare, la non arbitrarietà della precitata eccezione, stabilita dalla normativa impugnata.

Va, infatti, ancora una volta ricordato che il legislatore, nell'intento d'emanare un'adeguata disciplina di talune fattispecie, almeno di regola, si riferisce all'esperienza dalla quale la normazione parte e sulla quale quest'ultima va ad incidere. Infatti, soltanto in base a sorpassate concezioni dottrinali sarebbe sostenibile che il legislatore possa ignorare la realtà, non verificando l'esperienza dalla quale la normazione statale prende avvio: é, appunto, questa che il legislatore tende a modificare. In ogni caso, lo stesso legislatore mira a "prevenire" comportamenti offensivi per beni o valori che intende difendere; e se, nella verificazione dell'esperienza preesistente, giudica che taluni fatti non destano rilevante pericolo per tali beni o valori, ben può non sottoporre gli stessi fatti a sanzioni penali (fra l'altro, nella specie, particolarmente severe).

É appunto, questo il caso delle armi ad aria compressa destinate alla pesca. In materia, non risulta che si siano verificate, per il passato, rilevanti deviazioni, continui usi distorti. Ed é agevole anche spiegarne il perché. Per la loro conformazione, struttura, esse sono particolarmente ingombranti e certamente meno delle altre armi ad aria compressa si prestano ad utilizzazioni fraudolente. Va aggiunto che ad esse non sono, di norma, apponibili sistemi di puntamento tali da rendere le stesse armi strumenti di "speciale precisione" nel raggiungimento del bersaglio. Il che basta ad escludere che, nella specie, si sia invece trattato, come pure é stato sostenuto, di favorire alcune industrie.

Né può tacersi che la pesca sportiva era già prevista dalla legge 14 luglio 1965 n. 963 (che attiene alla pesca marittima in generale) e particolarmente disciplinata dal regolamento per l'esecuzione della predetta legge, approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1968 n. 1693. Quest'ultimo Regolamento, oltre ad imporre specifici divieti (come, ad es. quello di cui all'art. 131, che limita l'uso del fucile subacqueo, vietando di tenere il fucile stesso in posizione di armamento, se non in immersione) disciplina, in apposito capitolo (IV) del titolo III, la pesca sportiva; ed all'art. 6, n. 2, individua, tra gli strumenti ed apparecchi destinati alla pesca, anche "gli strumenti, azionati a mano o da altra forza di propulsione". Questa regolamentazione, tuttora vigente, fa sì che i congegni e gli strumenti ad aria compressa destinati alla pesca, benché sottratti dalla particolare disciplina penale di cui all'art. 2 della legge n. 110 del 1975, non rimangono estranei a diverse regolamentazioni, a differenza di molti degli altri congegni ad aria compressa.

Anche la proposta eccezione d'illegittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, della legge n. 110 del 1975, nella parte in cui esclude dalla considerazione, quali armi da sparo, delle armi destinate alla pesca, si palesa, dunque, in riferimento all'art. 3 Cost., infondata.

6. - L'ultima impugnativa attiene all'asserita illegittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, della legge n. 110 del 1975 (in riferimento agli artt. 25 e 3 Cost.), nella parte in cui é attribuita alla commissione prevista dall'art. 6 della precitata legge (parzialmente modificato dagli artt. 1 e 2 della legge 16 luglio 1982 n. 452) il potere d'escludere dal novero delle armi comuni da sparo, agli effetti della legge penale, quelle che non abbiano attitudine a recare offesa alla persona. Si obietta, dai giudici a quibus, che non é legittimo demandare ad un organo amministrativo la determinazione d'un elemento costitutivo della fattispecie penalmente rilevante.

Va, intanto, premesso che il potere, dell'innanzi citata commissione, d'escludere l'attitudine a recare offesa alla persona di armi ad aria compressa, non s'estende alle armi ad emissione di gas. Per queste ultime, pertanto, non é conferito alcun potere alla commissione più volte citata. La giurisprudenza ha, infatti, esplicitamente precisato che l'esclusione dalla considerazione di arma comune da sparo, in caso d'inidoneità a recare offesa alla persona (secondo le conclusioni della commissione consultiva centrale per il controllo delle armi) riguarda esclusivamente le armi ad aria compressa, sia lunghe che corte, e non s'estende alle altre armi ed oggetti individuati nel terzo comma dell'art. 2 della legge 18 aprile 1975 n. 110. D'altra parte, questa Corte ha ribadito, con la sentenza n. 109 del 1982, che l'interpretazione dominante del terzo comma dell'articolo ora citato é, appunto, nel senso che l'aggettivo "escluse", con il quale ha inizio la seconda parte del comma stesso, si riferisce unicamente alle armi ad aria compressa (le ultime contenute nella parte iniziale del comma) e non anche agli altri oggetti ivi elencati.

L'eccezione d'illegittimità costituzionale (sollevata dall'ordinanza emessa dal Tribunale di Agrigento il 4 maggio 1981, n. 272/85) secondo la quale l'art. 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975 n. 110, conferendo, per le armi ad emissione a gas, alla commissione prevista dall'art. 6 della legge in esame, il potere d'escludere l'attitudine delle stesse armi a recare offesa alla persona, va, conseguentemente, disattesa.

Per quanto attiene alla generale questione d'illegittimità costituzionale del terzo comma dell'art. 2 della legge n. 110 del 1975, nella parte in cui conferisce alla commissione più volte citata il potere d'escludere dal novero delle armi da sparo le armi ad aria compressa che, per le proprie caratteristiche, non abbiano attitudine a recare offesa alla persona, vanno ricordati i numerosi precedenti di questa Corte (v. ad es. sentenze n. 168 del 1971; n. 9 del 1972; n. 21 del 1973; n. 58 del 1975) e da ultimo le argomentazioni in forza delle quali la sentenza di questa Corte n. 108 del 1982 ha dichiarato infondata la stessa questione. Non sussiste, invero, nella specie, violazione del principio di legalità sotto il profilo della riserva di legge, poiché gli artt. 1, 2 e 6 della legge n. 110 del 1975 (e gli artt. 1 e 2 della legge 16 luglio 1982 n. 452) risultano adeguatamente specifici per quanto attiene ai pareri da esprimere dalla commissione più volte citata. E non si ha violazione dell'art. 25 Cost. (e neppure dell'art. 3 Cost.) quando é la stessa legge a fissare presupposti, caratteri, contenuti e limiti dei provvedimenti dell'autorità non legislativa alla trasgressione dei quali deve seguire la pena. In effetti la giurisprudenza é dell'avviso che l'art. 2, terzo comma, della legge n. 110 del 1975, secondo il quale le armi ad aria compressa sono considerate armi comuni da sparo, con l'eccezione di quelle destinate alla pesca e di quelle ritenute dall'apposita commissione carenti d'attitudine a recare offesa alla persona, sia una disposizione che pone un divieto generale e perentorio e non già una norma in bianco. Tuttavia, quand'anche il precitato comma venisse considerato norma in bianco, non per questo dovrebbe ritenersi violativo dell'art. 25 Cost., adempiute le condizioni innanzi indicate. In dottrina si ritiene quasi unanimemente che la norma penale in bianco non violi, per sé, il principio di riserva di legge.

Né va, infine, dimenticato che, in mancanza del parere della commissione di cui qui si discute (a richiedere il quale il giudice, peraltro, come s'è già ricordato, non é obbligato) lo stesso giudice ben può, accertata l'idoneità concreta (ad offendere la persona) dell'arma ad aria compressa attraverso la quale é stato commesso il fatto, ritenere integrata la fattispecie tipica. D'altra parte, in mancanza del parere della precitata commissione, il giudice, può sempre autonomamente, escludere l'integrazione della fattispecie tipica quando ravvisi, in concreto, l'inoffensività dell'arma ad aria compressa: se, infatti, da un canto é vero che é vietato al giudice ordinario assumere iniziative che comportino, comunque, ingerenza nell'attività amministrativa, con sostituzione della volontà propria alla volontà dell'amministrazione ed é conseguentemente vero che non solo é vietato allo stesso giudice annullare, riformare o revocare gli atti della pubblica amministrazione ma anche emanarli in sua vece, d'altro canto non si può consentire che, in mancanza d'un atto della pubblica amministrazione, venga condannato l'autore d'un fatto concretamente inidoneo a ledere il bene penalmente tutelato dalla legge.

In conclusione, soltanto quando la commissione centrale per il controllo delle armi si é esplicitamente espressa, nel senso d'escludere, in concreto, l'offensività d'una determinata arma ad aria compressa, il parere della stessa commissione, ritenuto dalla Corte di Cassazione costitutivo solo in senso negativo, vale ad escludere la fattispecie tipica penalmente rilevante, funzionando da elemento negativo della medesima. E tutto ciò non viola, per le ragioni innanzi espresse, né l'art. 25 e neppure l'art. 3 Cost..

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizio

1) dichiara inammissibili le questioni sollevate dalle ordinanze nn. 890/83; 891/83; 895/83; 896/83; 897/83; 274/85; 215/83; 893/83; 894/83; 43/82; 44/82 e 197/83;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975 n. 110; 2 e 7 della legge 2 ottobre 1967 n. 895, e 10 e 14 della legge 14 ottobre 1974 n. 497, in relazione al predetto art. 2 della legge n. 110 del 1975, sollevate, con riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost., dalle altre ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1986.

 

Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO

 

Depositata in cancelleria il 9 giugno 1986.