Sentenza n. 9 del 1972

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         SENTENZA N. 9

ANNO 1972

 

 REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv.  Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 3, 6 e 25 della legge 22 ottobre 1954, n. 1041 (disciplina della produzione, del commercio e dell'impiego degli stupefacenti), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 28 ottobre 1970 dal tribunale di Venezia nel procedimento penale a carico di Widmer Martin Josef, iscritta al n. 364 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22 del 27 gennaio 1971;

2) ordinanza emessa il 9 ottobre 1970 dal tribunale di Novara nel procedimento penale a carico di Gigante Antonio ed altri, iscritta al n. 38 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 del 24 marzo 1971;

3) ordinanza emessa il 14 dicembre 1970 dal giudice istruttore del tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Romano Giacomina e Gasser Adelaide, iscritta al n. 43 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 del 24 marzo 1971;

4) ordinanza emessa il 27 gennaio 1971 dal giudice istruttore del tribunale di Siracusa nel procedimento penale a carico di Germano Carmelo ed altri, iscritta al n. 84 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 99 del 21 aprile 1971;

5) ordinanza emessa il 16 gennaio 1971 dal tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Baccalini Luigi ed altri, iscritta al n. 136 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 106 del 28 aprile 1971;

6) ordinanza emessa il 31 marzo 1971 dal tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Ò Brien L. Katherine ed altri, iscritta al n. 189 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 163 del 30 giugno 1971.

Visti gli atti di costituzione di Widmer Martin Josef e di Lyon Peter e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 dicembre 1971 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

uditi l'avv. Adolfo Gatti, per il Lyon, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con la legge 22 ottobre 1954, n. 1041, é stata istituita una disciplina organica della produzione, del commercio e dell'impiego degli stupefacenti, affidandosene all'allora Alto Commissariato per l'igiene e sanità, ed ora Ministero della sanità, il controllo e la vigilanza. La detta legge ha disposto, fra l'altro, con l'art. 3, l'obbligo per la detta autorità amministrativa di compilare un elenco delle sostanze o preparati stupefacenti, tenuto conto delle Convenzioni internazionali, e sentito il Consiglio superiore di sanità, e con l'art. 6 l'obbligatorietà dell'autorizzazione amministrativa per importare, esportare, ricevere per il transito, commerciare a qualsiasi titolo, impiegare o comunque detenere i preparati o le sostanze indicate nel detto elenco degli stupefacenti, e, correlativamente, la sanzione penale della reclusione da 3 a 8 anni e della multa da lire 300.000 a lire 4.000.000 per chiunque, senza la detta autorizzazione, acquisti, venda, ceda, esporti, importi, passi in transito, procuri ad altri, impieghi o comunque detenga le sostanze o preparati suddetti. Con l'art. 25 della stessa legge é stata anche disposta, fra l'altro, l'obbligatorietà del mandato di cattura per le suddette infrazioni.

I menzionati artt. 3, 6 e 25 sono stati congiuntamente o separatamente impugnati per assunta violazione del principio d’eguaglianza con ordinanze emesse dal tribunale di Novara il 9 ottobre 1970 nel procedimento penale a carico di Gigante Antonio ed altri; dal tribunale di Venezia il 28 ottobre 1970 nel procedimento penale a carico di Widmer Martin Josef; dal tribunale di Roma il 16 gennaio 1971 nel procedimento penale a carico di Baccalini Luigi ed altri ed il 31 marzo 1971 nel procedimento penale a carico di ÒBrien L. Katherine ed altri; dal g.i. presso il tribunale di Siracusa il 27 gennaio 1971 nel procedimento penale a carico di Germano Carmelo ed altri.

Con l'ordinanza del tribunale di Novara si premette che, in conformità della giurisprudenza della Cassazione, si dovrebbe ritenere ancora parzialmente in vigore l'art. 446 del codice penale, per quanto riguarda il traffico clandestino, la somministrazione ed il procacciamento delle sostanze che, pur dotate d’azione stupefacente, non risultino tuttavia incluse nell'elenco di cui all'art. 3 della citata legge n. 1041.

L'applicazione dell'una o dell'altra normativa, pertanto, dipenderebbe unicamente dall’inclusione nell'elenco della sostanza stupefacente oggetto dell'azione dell'imputato. Da tale circostanza dipenderebbe, quindi, anche l'entità della pena cui il colpevole andrebbe incontro, di gran lunga inferiore per le ipotesi soggette al codice penale, che prevede appunto la reclusione da uno a tre anni e la multa non inferiore a lire 8.000. Orbene, secondo l'ordinanza, l'inclusione o meno delle sostanze in discorso nell'elenco non potrebbe considerarsi indizio di una loro maggiore o minore pericolosità, trattandosi sempre di sostanze ad effetto stupefacente, per cui verrebbe meno la giustificazione della diversità di disciplina.

Gli stessi articoli sono stati anche impugnati con l'ordinanza del giudice istruttore presso il tribunale di Siracusa, sotto analogo profilo, specificandosi peraltro che il titolo del reato dipenderebbe soltanto dall'essersi l'azione dell'imputato verificata prima o dopo l'inclusione della sostanza nell'elenco degli stupefacenti, onde l'applicazione di una piuttosto che di un'altra disciplina penale dipenderebbe solo da un atto della pubblica Amministrazione. Coerentemente con tale impostazione, dovrebbe ravvisarsi una violazione del principio d’eguaglianza anche nel fatto che, a norma dell'art. 25 citato, il cittadino sarebbe passibile di cattura obbligatoria solo in funzione dell'avvenuta inclusione o meno delle sostanze detenute nell'elenco suddetto.

L'art. 6, isolatamente, e limitatamente ai commi primo e quarto (obbligo dell'autorizzazione all'importazione ecc., e sanzioni penali per chi acquista ecc. stupefacenti senza l'autorizzazione stessa) é stato impugnato poi con l'ordinanza del tribunale di Venezia nel presupposto che gli elevati minimi della pena edittale detentiva e pecuniaria prevista in misura eguale per tutte le ipotesi delittuose ivi contemplate non consentirebbero al giudice di adeguare la misura della sanzione al fatto, ponendo in particolare sullo stesso piano il detentore di quantità minime per uso personale, e lo spacciatore abituale.

Anche l'art. 25 della legge sarebbe illegittimo perché l'obbligatorietà del mandato di cattura equiparerebbe le assai diverse situazioni ivi contemplate ai fini della valutazione della loro pericolosità sociale, operando una valutazione irrazionale specie in relazione alle ipotesi di detenzione di minimi quantitativi per uso personale.

L'art. 6 predetto é stato impugnato anche con le citate ordinanze del tribunale di Roma, secondo cui la norma, stabilendo un identico trattamento per condotte diverse, quali dovrebbero ritenersi le varie ipotesi ivi previste e punite, imporrebbe una sperequazione particolarmente evidente ed irragionevole per il caso della semplice detenzione di stupefacenti raffrontata al commercio delle sostanze medesime, senza che sull’irrazionalità di tale trattamento possa comunque incidere la possibilità di graduare la pena ai sensi dell'art. 133 del codice penale ovvero l'applicazione d’eventuali attenuanti, perché la rilevanza della lamentata uniformità di disciplina andrebbe esclusivamente riferita alla struttura della norma incriminatrice, e non alla fase della sua concreta applicazione.

Nelle due ordinanze l'impugnazione é espressamente riferita a quella parte della norma che punisce chi "comunque detiene" sostanze stupefacenti.

Sotto diverso profilo, gli artt. 3 e 6 sono infine stati impugnati con l'ordinanza del giudice istruttore presso il tribunale di Milano. Quel giudice richiama anzitutto la giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui le singole voci degli elenchi cui fa riferimento l'art. 3 costituiscono indicazioni particolareggiate che, per le variabili forme delle sostanze e per le continue e rinnovate indagini cui sono soggette, si sottraggono ad un’anticipata specificazione da parte della legge, e sono comunque fuori del precetto penale che riceve intera la sua enunciazione con la generale imposizione del divieto. Peraltro, prosegue l'ordinanza, a tale statuizione é seguita una serie di pronunzie della giurisprudenza ordinaria che hanno ritenuto, in modo ormai pacifico, la parziale sopravvivenza dell'art. 446 c.p. all’entrata in vigore della legge speciale, con la conseguenza che l'inserimento di un determinato stupefacente nell'elenco fungerebbe da condizione unica e determinante per l'applicazione al caso della legge speciale in luogo della norma del codice penale, con le sensibili differenze di rigore delle pene ivi previste. Ciò conferirebbe agli elenchi stessi la qualificazione di veri e propri elementi costitutivi del precetto penale speciale, mentre si tratterebbe di statuizioni puramente amministrative, e come tali "non elevabili alla dignità di legge formale". Né, oltretutto, l’unitarietà e certezza della qualificazione delle sostanze indicate dall'elenco sarebbe sempre vantaggiosa ai fini della giustizia sostanziale perché per alcune sostanze occorrerebbe rivedere i criteri d’inclusione negli elenchi in base alle più recenti acquisizioni scientifiche in materia.

Da quanto premesso, secondo il giudice a quo, deriverebbe la violazione del principio di legalità della pena di cui all'art. 25 della Costituzione, che, come testualmente si esprime l'ordinanza, "pone l'accento sul carattere d’operatività e d’efficacia della norma, caratteri questi che hanno il loro fondamento e la loro fonte produttiva nell'operato del Parlamento". Sarebbe inoltre anche violato l'art. 76 della Costituzione perché le specifiche e determinate condizioni previste dalla detta norma costituzionale per l'attività legislativa delegata non risulterebbero osservate nel procedimento con cui sono stati compilati ed emanati i detti elenchi.

Le ordinanze sopra menzionate sono state notificate e comunicate come per legge e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale.

Nella causa proveniente dal tribunale di Venezia si é costituito avanti a questa Corte Widmer Martin Josef, rappresentato e difeso dall'avv. Loredano Corbi, che ha depositato tempestivamente le deduzioni difensive, con cui si associa alle argomentazioni contenute nell'ordinanza di rinvio.

Si é anche costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato nei termini le proprie deduzioni.

L'Avvocatura osserva che la questione sarebbe infondata perché le varie ipotesi previste dall'art. 6 impugnato, e particolarmente anche la mera detenzione di stupefacenti per uso personale, costituirebbero, secondo la consapevole ed oculata scelta del legislatore, fatti di gravità tale da comportare l'equiparazione ai fini delle sanzioni, e l'emissione del mandato di cattura obbligatorio.

D'altra parte, la valutazione della congruenza fra reato e pena, secondo la giurisprudenza di questa Corte, apparterrebbe alla politica legislativa, con esclusione del sindacato in sede di giudizio di legittimità costituzionale, salvo che l'eventuale sperequazione assuma dimensioni tali da non risultare sorretta da ogni benché minima giustificazione.

Questa circostanza non ricorrerebbe, ovviamente, nella specie, poiché la norma troverebbe giustificazione nel dilagare dell'uso della droga e nell'esigenza di tutelare la salute pubblica, mentre il giudice avrebbe comunque la possibilità di applicare la pena entro minimi e massimi di assai ampia latitudine, fermo restando il principio della esistenza di quel minimo di capacità a porre in pericolo i beni a tutela dei quali la detenzione preventiva viene predisposta.

Nella causa proveniente dal tribunale di Roma (ordinanza emessa il 16 gennaio 1971) si é altresì costituito Lyon Peter, rappresentato e difeso dall'avv. Adolfo Gatti, che ha depositato ritualmente le proprie deduzioni.

La difesa svolge le argomentazioni enunciate nell'ordinanza, insistendo sulla mancanza di giustificazione della equiparazione sotto la medesima sanzione delle varie ipotesi contemplate dalla norma impugnata, e sulla irrilevanza della possibilità da parte del giudice di graduare la pena, poiché ciò avverrebbe comunque in base a disposizioni esterne alla norma impugnata, e comunque potrebbero trovare applicazione indifferentemente in tutte le ipotesi di cui all'art. 6.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con le suindicate ordinanze dei tribunali di Venezia, Novara, Roma e dei giudici istruttori di Siracusa e di Milano vengono proposte questioni di legittimità costituzionale che riguardano disposizioni, connesse e interdipendenti, della stessa legge 22 ottobre 1954, n. 1041, e che sono basate su motivi in parte comuni.

É, pertanto, del caso la riunione dei rispettivi giudizi, onde pervenire ad unica, globale decisione.

2. - Secondo l'ordinanza del giudice istruttore di Milano sarebbe profilabile una questione di legittimità degli artt. 3, 6, quarto comma, e 25 della legge del 1954 in quanto la struttura del reato e le sue conseguenze sanzionatorie sarebbero ivi esclusivamente collegate e condizionate agli elenchi delle sostanze stupefacenti disposti dal Ministro per la sanità: i quali elenchi, pur privi del crisma di legge formale, diverrebbero pertanto elementi costitutivi della previsione normativa, con violazione della garanzia data dal principio di legalità, di cui l'art. 25 della Costituzione impone l'osservanza.

La questione non é fondata.

Trattasi di questione uguale a quella già decisa dalla Corte, nella stessa materia, con sentenza n. 36 del 1964.

Il valore e la posizione che l'elenco degli stupefacenti assume, in relazione alla struttura del processo penale, sono stati ivi ampiamente considerati.

É stato ritenuto che, ai fini della riserva di legge, la formula di cui all'art. 6, quarto comma, della legge speciale indica tutti i necessari e sufficienti elementi costitutivi del precetto penale: la condotta vietata e l'oggetto materiale del reato. Le singole voci degli elenchi, sottratte per loro natura ad anticipata predeterminazione e soggette ad aggiornamenti successivi, anche in relazione ad accordi internazionali, costituiscono indicazioni particolareggiate atte ad offrire al giudice la garanzia, estesa a tutti gli Stati aderenti, di un’unitaria, e ufficialmente controllata, qualificazione di sostanze stupefacenti.

In mancanza d’opposte deduzioni, che siano basate su motivi conducenti ad una revisione del problema, la Corte ritiene di dovere confermare la validità dei predetti principi informatori, riguardanti i rapporti tra legislazione penale e potestà amministrativa, principi che, successivamente alla sentenza suindicata, sono stati ribaditi, per casi analoghi, con sentenze n. 96 del 1964; n. 26 del 1966; n. 61 del 1969; n. 69 del 1971.

Pur dichiarandosi propenso a seguire, in tesi generale, la surriferita giurisprudenza della Corte, il giudice istruttore di Milano perviene, tuttavia, a mantenere il dubbio di costituzionalità delle impugnate disposizioni della legge speciale, sempre per contrasto col principio di legalità. Ciò perché la riconosciuta coesistenza di dette disposizioni con quella dell'art. 446 del codice penale sul commercio clandestino o fraudolento di sostanze stupefacenti (non comprese in elenchi) porrebbe in evidenza, per via di confronto, e rivelerebbe che gli elenchi, lungi dallo star fuori del precetto penale "vi ineriscono intimamente, condizionandone l'applicazione ed i suoi limiti".

L'assunto é manifestamente infondato.

A parte la contraddittorietà della motivazione, l'ordinanza non tiene conto di quanto chiaramente detto, dimostrato e portato a conseguenza nella citata sentenza n. 36 del 1964: la quale ha posto in rilievo il parallelismo tra la formula generica del codice e quella specifica della legge speciale, riconoscendo la perdurante validità della prima, cui la seconda non fa che aggiungere ulteriori elementi di certezza, costituiti dalla predeterminazione, su scala internazionale, del risultato d’accertamenti tecnici. In altre parole, non sono i limiti d’operatività dell'art. 446 cod. pen. a conferire agli elenchi previsti dalla legge speciale quel carattere d’elementi costitutivi del reato che, indipendentemente da quanto disposto dall'art. 446, non hanno, per loro stessa natura, come si é dimostrato e qui viene ribadito e come, in sostanza, l'ordinanza stessa ammette.

3. - Con la stessa ordinanza viene, inoltre, prospettata l'incostituzionalità delle suindicate disposizioni della legge speciale, sotto il profilo di un loro contrasto con l'art. 76 della Costituzione che detta le condizioni ed i limiti della delega d’esercizio della funzione legislativa.

La questione é parimenti e manifestamente non fondata, poiché le precedenti considerazioni e gli accennati richiami bastano ad escludere che si tratti, nel caso, di delega da comprendersi nell'ambito dell'art. 76. La mera elencazione di sostanze stupefacenti, demandata al Ministro per la sanità, non é atto di legislazione delegata bensì atto d’accertamento amministrativo della capacità intrinseca di dette sostanze a conseguire gli scopi vietati dalla legge.

4. - Con l'ordinanza del tribunale di Novara viene sollevata questione di costituzionalità degli artt. 3 e 6 della legge speciale in confronto all'art. 446 cod. pen. ed in riferimento al principio d’eguaglianza statuito dall'art. 3 della Costituzione.

Si assume che la disciplina differenziata in materia, derivante dalla inserzione o meno di sostanze stupefacenti nei predisposti elenchi, si basa su dati formali ed esteriori, mentre in realtà, anche le sostanze, pur genericamente indicate nell'art. 446, non possono che ritenersi anche esse, salvo accertamenti tecnici, dotate di potere tossico.

L'assunto va respinto. Con ordinanza n. 15 del 1971 questa Corte ha dichiarato la manifesta infondatezza della stessa questione, in considerazione che la maggiore severità delle sanzioni stabilite dalla legge speciale, ha la sua razionale giustificazione nel fatto che l'inserzione di determinate sostanze stupefacenti negli elenchi a seguito di valutazioni e controlli ministeriali, ne denota la particolare pericolosità e la maggiore potenzialità di documento: il che basta a dar ragione del trattamento differenziato. L'attuale questione é posta negli stessi termini e la Corte ribadisce la stessa soluzione.

5. - Con l'ordinanza del giudice istruttore del tribunale di Siracusa, il contrasto con l'art. 3 Cost. viene prospettato sotto ulteriore aspetto, sempre riconducibile alla coesistenza di norme.

Si assume che la diversità di trattamento tra legge ordinaria e speciale viene in definitiva a dipendere unicamente da un atto che costituisce prerogativa esclusiva della pubblica Amministrazione.

Ma si é già accennato nel numero precedente alle ragioni di più efficace tutela che debbono guidare la pubblica Amministrazione nella compilazione degli elenchi. A parte inoltre quanto già detto circa la natura giuridica degli elenchi in rapporto al comando penale generale (su di che l'ordinanza affaccia non valide riserve) la Corte osserva che, essendo l'addotta prerogativa giustificata, come sopra ritenuto, dalla pubblica finalità da conseguire in modo pronto ed inequivoco, viene manifestamente a cadere, per diversità di situazioni, la censura d’irrazionale trattamento differenziato.

6. - Con le due ordinanze del tribunale di Roma, l'art. 6, quarto comma, della legge speciale del 1954 é denunciato, in riferimento all'art. 3 Cost., in quanto, punendo con eguale sanzione detentiva e pecuniaria, sia nel minimo che nel massimo, chi "comunque detiene" stupefacenti, tanto a scopo di commercio quanto senza fini speculativi, ma per uso personale, non tiene conto delle condizioni soggettive ed oggettive delle rispettive condotte, da ritenersi sostanzialmente diverse.

Con l'ordinanza del tribunale di Venezia si deducono gli stessi motivi, estendendoli alla comminatoria del mandato di cattura, in ogni caso obbligatorio, di cui all'art. 25 della legge speciale. In particolare, si pone l'accento sul fatto che la legge colloca sullo stesso piano e assoggetta allo stesso rigoroso trattamento restrittivo della libertà personale, sia i detentori di quantitativi, anche minimi, di droga per uso personale, sia gli spacciatori o ricettatori abituali a scopo di lucro, di quantitativi, sovente di rilevante consistenza.

7. - La Corte rileva, anzitutto, che le ordinanze di questo gruppo non contestano ed anzi presuppongono come legittima la comminatoria di sanzioni penali anche a carico di coloro che, pur senza farne commercio, detengano, per uso non autorizzato, sostanze stupefacenti. Ciò in conformità dell'interpretazione data dalla giurisprudenza ordinaria all'inciso "comunque detiene" contenuto nell'art. 6 della legge speciale, nel senso di ritenere comprensiva nella formula e razionale nel concetto anche l'ipotesi di detenzione senza fini di lucro.

Siffatta ipotesi, sotto l'egida del principio di tutela della pubblica salute, consacrato nell'art. 32 Cost., si inserisce come parte del tutto, nel quadro generale e nel ciclo operativo completo, della lotta, con mezzi legali, su tutti i fronti, contro l'alto potere distruttivo dell'uso della droga e contro il dilagare del suo contagio, giunto ad un livello di manifestazioni, anche delittuose, tale da suscitare, in misura sempre più preoccupante, turbamento dell'ordine pubblico e di quello morale. Dall'aggravarsi della situazione é derivata la necessità di supplire alla insufficienza dei preesistenti rimedi sanzionatori, con l'estendere le ipotesi di reato oltre quelle già previste, sia dal ricordato art. 446 cod. pen. sul commercio di sostanze stupefacenti, sia dall'art. 729 stesso codice sull'abuso di dette sostanze con ripercussioni esteriori di stati soggettivi d’alterazione psichica. Ciò sempre con salvezza del principio di non imputabilità nel caso di cui all'art. 95 del codice penale.

L'esame della questione, così come proposta dalle ordinanze di rinvio, deve, tuttavia, rimanere concentrato sul punto riguardante la dedotta incostituzionalità del pari trattamento sanzionatorio penalistico imposto per situazioni, che si assume siano sostanzialmente diverse e diversamente graduabili nei presupposti e nelle finalità: cioé situazioni che riguardano, dal punto di vista soggettivo, speculatori sul vizio, da un lato, e detentori abusivi di prodotti idonei ad alimentare il vizio, dall'altro.

La Corte osserva, tuttavia, che, per i motivi suaccennati, non si tratta di situazioni diametralmente diverse, ma tra loro concorrenti, rispetto al piano d'azione che il legislatore si é chiaramente proposto. Diversa é, bensì, la materialità e l’intenzionalità delle rispettive condotte, ma é innegabile il nesso che l'una e l'altra azione unisce nelle cause e negli effetti, con influenze reciproche e condizionanti.

L'esigenza di un trattamento differenziato non viene ad essere, nel caso, imposta dal rispetto del principio di cui all'art. 3 Cost. e dalle sue implicazioni. Qui si tratta soltanto di problema che concerne la congruenza tra reato e pena (con estensione al punto che nel sistema riguarda anche l'emissione di mandato obbligatorio di cattura), intesa sotto un profilo di graduabile proporzionalità equitativa, tenuto conto della tipologia dell'azione delittuosa, in rapporto alla personalità dei soggetti ed ai motivi del loro delinquere. Ciò anche per meglio poter assegnare alla quantità di pena da irrogare, secondo il grado di colpa, quel fine indirizzato alla rieducazione del colpevole, evidenziato nell'art. 27 della Costituzione.

Ma, il compito di determinazione della misura delle sanzioni con la loro armonizzazione, compito che ha in sé stesso un margine di discrezionalità valutativa, spetta al potere legislativo ed ai suoi indirizzi di politica giuridico-sociale e si sottrae al sindacato della Corte, secondo più volte deciso (sentenze n. 45 del 1967; n. 109 del 1968; n. 45 e 114 del 1970; n. 22 del 1971).

Deve, per intanto, darsi atto che pende davanti alle Camere più di un disegno e proposta di legge per una rielaborazione della materia sotto aggiornate prospettive, meritevoli d’ogni considerazione. Ma, nel riaffermare qui il principio della separazione delle competenze e rimanendo nei limiti delle proprie funzioni istituzionali, la Corte non può che concludere, sul punto in esame, nel senso della non fondatezza della questione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 6 della legge 22 ottobre 1954, n. 1041, sulla disciplina della produzione, commercio e impiego di stupefacenti, sollevate, con l'ordinanza in epigrafe, dal giudice istruttore del tribunale di Milano in riferimento agli artt. 25 e 76 della Costituzione;

b) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 6 della legge suindicata, sollevata, con l'ordinanza in epigrafe, dal tribunale di Novara, nei confronti dell'art. 446 del codice penale ed in riferimento all'art. 3 della Costituzione;

c) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, 6 e 25 della stessa legge suindicata, sollevata dal giudice istruttore presso il tribunale di Siracusa in riferimento all'art. 3 della Costituzione;

d) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 6, primo e quarto comma, e dell'art. 25 della legge suindicata, sollevate, con le ordinanze in epigrafe, dal tribunale di Venezia e dal tribunale di Roma, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Luigi OGGIONI

Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1972.