Sentenza n. 22 del 1971
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SENTENZA N. 22

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 624 e 625 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 27 maggio 1969 dal pretore di Siena nel procedimento penale a carico di Cortigiani Mario, iscritta al n. 245 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 172 del 9 luglio 1969.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 gennaio 1971 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Piero Peronaci, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

Nel corso di un procedimento penale a carico di Mario Cortigiani, imputato di furto, il pretore di Siena, con ordinanza del 27 maggio 1969, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 624 e 625 del codice penale, nella parte relativa ai massimi edittali di pena da essi fissati, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione.

Ritenuta rilevante la prospettata questione (sia per il caso che il procedimento resti affidato alla sua competenza, sia per il caso che, invece, per circostanze emergenti, debbano essere rimessi gli atti al P.M.), il pretore motiva sulla non manifesta infondatezza, anche con richiami ai lavori preparatori del precedente codice penale, osservando che, nel codice vigente, in omaggio ad un malinteso principio di autorità, il bene dell'integrità personale sarebbe, non di rado, meno tutelato di quello dell'integrità patrimoniale, con abnormi conseguenze, risultanti, in particolare, dalla comparazione fra il trattamento punitivo della lesione personale e quello del furto.

Siffatta disciplina sarebbe in contrasto con l'indirizzo dato dalla Costituzione repubblicana all'istituto della proprietà, che, da diritto fondamentale del cittadino, quale era in precedenza, sarebbe divenuto ora, secondo la struttura della " nuova società uscita dalla dittatura e dalla guerra, in cui i postulati di vita, di libertà, di umana dignità e di lavoro si pongono come beni primari", un mero complemento di questi.

Per il pretore l'attuale ordinamento, proprio in ciò che riflette detta tutela, sarebbe anacronistico, sperequato e ingiustificato, e le pesanti sanzioni previste per il furto, anziché tendere alla rieducazione del condannato, potrebbero esasperarlo sino a provocarne la rivolta contro l'ordine costituito.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte non vi é stata costituzione della parte privata.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto con atto depositato il 24 luglio 1969 ed ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.

Per quanto concerne l'assunta violazione del principio di eguaglianza, l'Avvocatura ritiene che non sia configurabile, nella specie, vuoi per essere i fatti previsti dalle norme denunziate obiettivamente diversi da quelli che ledono altri beni giuridici, vuoi perché la scelta dei beni da tutelare spetta al legislatore, nel suo apprezzamento di politica legislativa.

Aggiunge che erroneamente é stato asserito che le lesioni siano punite meno severamente del furto.

Né sarebbe compromesso, secondo l'Avvocatura, il fine rieducativo della pena, in quanto le denunziate disposizioni, pur nel loro rigore, consentono al giudice di adeguare la sanzione alla gravità del fatto ed alla personalità del colpevole e, se rettamente applicate, rendono possibile il riadattamento del reo alla vita sociale.  

                                                                         Considerato in diritto        

1. - Il presente giudizio di legittimità costituzionale ha per oggetto gli artt. 624 e 625 del codice penale, nella parte relativa ai massimi edittali della pena rispettivamente comminata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione.

2. - L'art. 3 della Costituzione non é violato.

É ben vero che la severità delle pene previste dal codice vigente per il furto - specie con aggravanti speciali: articolo 625 - é vivacemente criticata in dottrina, ma la questione esula da un qualsivoglia riscontro di costituzionalità, poiché attiene a scelte di politica legislativa, sottratte al sindacato di questa Corte.

Pur se tali scelte, operate in altro clima storico e sociale, apparissero non più attuali rispetto alle conseguenze sanzionatorie delle violazioni di altri beni, la cui protezione assurge - a differenza di quella della proprietà - a diritto presidiato come primario e fondamentale della Costituzione, ciò postulerebbe e solleciterebbe l'intervento del legislatore (il quale, per vero, nei vari progetti di riforma, che si sono succeduti in questo dopoguerra, ha prestato al problema la sua attenzione).

3. - Essendo rimessa alla valutazione discrezionale del legislatore la determinazione della pena edittale (e a quella del giudice la irrogazione in concreto), sfugge al controllo di legittimità l'indagine sulla sua efficacia rieducativa. Né questa potrebbe, comunque, essere presa in considerazione rispetto a singoli reati o gruppi di reati, anziché rispetto al soggetto attivo della violazione.

Del resto, l'efficacia rieducativa, indicata come finalità ultima (e non unica) della pena dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione, non dipende solo dalla durata di essa, bensì, soprattutto, dal suo regime di esecuzione, per cui é pressante l'esigenza di ammodernamento del regolamento penitenziario: senza dire che soccorre l'istituto della liberazione condizionale (art. 176 cod. pen., modificato dall'art. 2 della legge 25 novembre 1962, n. 1634, e, per i minorenni, dall'art. 21 del r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404), e più dovrebbe soccorrere l'auspicata più ampia applicazione dell'istituto.

Non é, dunque, violato neppure l'art. 27 della Costituzione.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 624 e 625 del codice penale, nella parte relativa ai massimi edittali di pena, sollevata, dall'ordinanza citata in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 febbraio 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 17 febbraio 1971.