SENTENZA N. 45
ANNO 1967
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 86 del D.P.R. 5 aprile 1951, n. 203, e 93 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, sulla elezione degli organi delle amministrazioni comunali, e dell'art. 70 del T.U. approvato con decreto 20 agosto 1960, n. 3, del Presidente della Regione siciliana, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa dal Pretore di Caltanissetta il 22 novembre 1965 nel procedimento penale a carico di Barrile Angelo ed altri, iscritta al n. 222 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12 del 15 gennaio 1966;
2) ordinanza emessa il 6 dicembre 1965 dal Pretore di Caltanissetta nel procedimento penale a carico di Aronica Salvatore ed altro, iscritta al n. 234 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38 del 12 febbraio 1966;
3) ordinanze emesse dal Tribunale di Caltanissetta il 28 marzo 1966 in cinque procedimenti penali a carico rispettivamente di Leonardi Calogero, Siena Salvatore, Raimondi Carmelo, Costa Calogero ed altro e Alessio Salvatore ed altro, iscritte ai nn. 157, 158, 159, 160 e 161 del Registro ordinanze 1966 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 226 del 10 settembre 1966 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 38 del 6 agosto 1966.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 18 gennaio 1967 la relazione del Giudice Luigi Oggioni;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
All'udienza del 22 novembre 1965, celebrandosi il processo a carico di Barrile Angelo ed altri, tratti in giudizio avanti al Pretore di Caltanissetta perché imputati del reato di cui agli artt. 86 del T.U. 5 aprile 1951, n. 203, e 70 del decreto del Presidente della Regione siciliana 20 agosto 1960, n. 3, per avere sottoscritto più di una dichiarazione di presentazione di candidatura in occasione delle elezioni comunali indette per il 22 novembre 1964, quel magistrato, ritenuto che gli imputati dovevano rispondere del reato di cui all'art. 93 del T.U. delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali approvato con D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della detta disposizione, in relazione all'art. 3 della Costituzione.
Osserva nell'ordinanza il Pretore che la pena prevista a norma della disposizione impugnata é della reclusione fino a due anni e della multa fino a lire 20.000 mentre, per lo stesso fatto, l'art. 106 del T.U. recante norme per l'elezione della Camera dei deputati approvato con D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, prevede invece la pena della reclusione fino a tre mesi, alternativamente con la multa fino a lire 10.000. Pertanto, secondo il giudice a quo, la norma impugnata, prevedendo una pena più grave di quella prevista dall'art. 106 citato per una identica fattispecie criminosa, contrasterebbe col principio di eguaglianza, che esige uguali pene per identici reati. Né la differente disciplina potrebbe giustificarsi razionalmente in relazione alla circostanza che le elezioni cui si riferisce la norma impugnata sono amministrative, mentre quelle di cui al ripetuto art. 106 sono politiche. Tale circostanza infatti, anche se può costituire una nota di differenziazione del fatto - reato previsto dalle sopra citate disposizioni, suggerirebbe, se mai, l'adozione di una pena più grave per l'ipotesi concernente le elezioni politiche, stante la maggior importanza che assumono rispetto a quelle amministrative, criterio questo che il legislatore avrebbe già accolto quando ha punito più severamente i reati di cui agli artt. 97, 100, secondo comma, 103, terzo comma, 104, quinto comma, e 108 del T.U. delle leggi per la elezione della Camera dei deputati rispetto a quelli corrispondenti di cui agli artt. 87, primo comma, 90, secondo comma, 93, seconda e quarta ipotesi, 96, ultimo comma, e 89 del T.U. approvato con D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570.
L'ordinanza, notificata il 6 dicembre 1965 e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12 del 15 gennaio 1966.
Lo stesso Pretore, con altra ordinanza emessa il 6 dicembre 1965 nel corso di analogo procedimento penale a carico di Aronica Salvatore e Stella Giuseppe, sollevava identica questione di legittimità costituzionale dell'art. 93 del T.U. sopra citato, ripetendo le argomentazioni già svolte e ponendo in evidenza, inoltre, a sostegno della asserita identità delle fattispecie criminose concernenti i due tipi di elezioni, che trattasi pur sempre di reati elettorali, accomunati dallo stesso termine speciale di prescrizione di due anni, dalla identità delle pene accessorie, e dalla non applicabilità delle norme generali sulla sospensione condizionale della pena e sulla non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. Ed a conferma della eccezionalità della disciplina sancita con la norma impugnata, aggiunge che, oltre all'ipotesi in esame, in un'altra sarebbe prevista una pena maggiore per le elezioni amministrative rispetto a quelle politiche, e precisamente in relazione al reato di chi, incaricato di esprimere il voto per un elettore impossibilitato, lo fa in modo infedele, ed é punito, nell'ipotesi di elezioni politiche, con la reclusione da uno a tre anni e la multa fino a lire 50.000, e nell'ipotesi di elezioni amministrative, con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da lire 5.000 a lire 20.000.
La suddetta ordinanza notificata il 14 dicembre 1965 é stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38 del 12 febbraio 1966.
Il Tribunale di Caltanissetta, con cinque separate ordinanze, emesse il 28 marzo 1966 rispettivamente nei procedimenti penali in grado di appello a carico di Leonardi Calogero, Siena Salvatore, Raimondi Carmelo, Costa Calogero ed altro e Alessio Salvatore ed altro, tutti imputati del reato di cui agli artt. 86 del T.U. 5 aprile 1951, n. 203, e 70 del decreto del Presidente della Regione siciliana 20 agosto 1960, n. 3, per fatti identici a quelli di cui alle sopra menzionate ordinanze pretoriali di rinvio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale delle norme sopra indicate per motivi sostanzialmente identici a quelli già prospettati dal Pretore.
Le suddette ordinanze, notificate il 2 luglio 1966 e comunicate ai Presidenti dei due rami del Parlamento, sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 226 del 10 settembre 1966 e sulla Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 38 del 6 agosto 1966.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri si é costituito avanti alla Corte costituzionale, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le deduzioni in cancelleria il 20 gennaio 1966.
Osserva l'Avvocatura che non potrebbe affermarsi una coincidenza assoluta fra le ipotesi previste e punite dalle norme denunziate e da quelle corrispondenti in materia di elezioni politiche. Infatti il diverso tipo di elezioni cui la condotta criminosa si riferisce, assumerebbe la portata di vera e propria circostanza costitutiva del reato dando così alle due fattispecie un contenuto diverso. Con ciò si delineerebbe una differenza obbiettiva della posizione dei rispettivi responsabili di fronte alla legge, con la conseguente esclusione di ogni problema di eventuale violazione dell'art. 3 della Costituzione.
Ciò posto l'Avvocatura non si nasconde tuttavia che, come rilevato dal Pretore, dal raffronto fra varie figure criminose ad analogo contenuto previste dai due testi unici elettorali, emerge che, in realtà, per la fattispecie in esame, vi é stato un rovesciamento di disciplina rispetto a quella adottata per i reati commessi in occasione delle elezioni politiche, puniti di regola in modo più severo, il che concreterebbe una contraddittorietà fra norme assunte in uno stesso sistema, non spiegabile agevolmente in sede di indagine di politica legislativa. Ma, prosegue l'Avvocatura, se la giurisprudenza della Corte ammette, ai fini del controllo dell'osservanza del principio di eguaglianza, l'indagine sulla interna contraddittorietà e sull'arbitrarietà o irragionevolezza della disciplina denunziata come incostituzionale, esclude però la ricerca di una idonea giustificazione anche nelle norme che pongono una diversa disciplina per situazioni che presentano note di differenziazione, come appunto quelle in esame. Questa forma di controllo, invero, attingerebbe necessariamente alle ragioni politiche delle norme, ed in tal modo esorbiterebbe dai limiti della competenza della Corte.
L'Avvocatura conclude pertanto chiedendo dichiararsi infondata la questione proposta con le ordinanze sopra indicate.
Considerato in diritto
1. - Le sette ordinanze (due del Pretore di Caltanissetta e cinque del Tribunale della stessa sede) dispongono il rinvio a questa Corte per l'esame di eguali questioni di legittimità costituzionale.
Va, quindi, disposta la riunione delle conseguenti sette cause, aventi lo stesso oggetto, per la decisione con unica sentenza.
2. - Va rilevato che con le ordinanze del Pretore, l'esame della questione viene rapportato alla norma dell'art. 93 dell'attuale testo unico delle leggi nazionali per l'elezione degli organi delle amministrazioni comunali (D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570): mentre con le ordinanze del Tribunale si indicano, come norme denunciate, sia l'art. 86 del T.U. delle leggi nazionali sulla elezione degli organi delle amministrazioni comunali di cui al D.P.R. 5 aprile 1951, n. 203, sia l'art. 70 del T.U. approvato con decreto del Presidente della Regione siciliana 20 agosto 1960, n. 3, sulla elezione dei Consigli comunali nella Regione.
Queste diverse norme denunciate dal Tribunale sono tuttavia formulate in modo assolutamente identico alla norma denunciata dal Pretore, dando così luogo ad una normativa generale che, pur contenuta in testi diversi, é riconducibile allo stesso principio.
Va, tuttavia, preliminarmente osservato che la questione di legittimità costituzionale prospettata dalle ordinanze del Tribunale, con specifico riferimento all'art. 70 del T.U. approvato dal Presidente della Regione siciliana, va dichiarata inammissibile.
Questa Corte con sentenza 5 giugno 1962, n. 51, ha già sottoposto ad esame il predetto decreto, ritenendolo atto della Regione sottratto ad impugnativa di legittimità costituzionale perché non avente forza di legge, trattandosi di semplice compilazione o riproduzione, non innovativa né recettiva, delle disposizioni in materia di elezioni comunali, contenute nelle leggi dello Stato.
Per identità di situazione e di motivi, la Corte ritiene di dover pervenire, sul punto, alla dichiarazione di inammissibilità.
3. - La questione prospettata con le ordinanze di rinvio verte sul punto se sia in contrasto con il principio della eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, garantito dall'art. 3 della Costituzione, il fatto che colui che commette reato, sottoscrivendo più di una dichiarazione di presentazione di candidatura per le elezioni comunali, sia punibile con pena edittale più grave (reclusione fino a due anni e multa fino a lire 20.000) di quella prevista per l'elettore che commetta reato sottoscrivendo più di una lista di candidati per l'elezione della Camera dei deputati (reclusione fino a tre mesi ovvero multa sino a lire 10.000).
La questione non é fondata.
La giurisprudenza di questa Corte ha nettamente fissato e ribadito il contenuto ed i limiti di applicazione del principio costituzionale di eguaglianza, statuendo che, a parità di situazioni, deve corrispondere parità di trattamento, mentre trattamenti differenziati sono riservati a situazioni obbiettivamente diverse: e che spetta insindacabilmente al legislatore giudicare sulla parità o la diversità delle situazioni, pur nel rispetto di criteri di ragionevolezza nonché degli altri principi costituzionali.
Il caso in esame non si sottrae a questi principi direttivi.
I reati di sottoscrizione di più dichiarazioni di presentazione di candidature o di più liste di candidati, hanno indubbiamente punti di accostamento, come quello dell'eguale appartenenza alla categoria dei reati formali, non richiedenti alcun dolo specifico ma solo quello generico, consistente nella coscienza e volontà del fatto di apporre una firma vietata dalla legge: e quello della medesima obbiettività giuridica, cioè dell'interesse pubblico di assicurare, mediante la garanzia di un numero minimo di sottoscrittori, la genuinità e la serietà delle candidature e, di conseguenza, la regolarità di tutte le operazioni elettorali.
Non può altresì che riconoscersi esatto il rilievo, contenuto nelle ordinanze del Pretore, che trattasi di reati sottoposti a termini speciali di prescrizione e non assoggettabili alle norme generali sulla sospensione condizionale della pena e sulla non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
Ma, accanto a questi dati comuni e riferibili alla categoria generale dei reati elettorali, vi é un dato specifico che deve essere tenuto essenzialmente presente per stabilire il contenuto e, nel contempo, segnare i limiti del presente giudizio. Ed é il dato, ben cognito, che le elezioni amministrative vengono realizzate in ambienti, circostanze, situazioni locali che ne caratterizzano la preparazione e l'andamento.
Esula da questa constatazione ogni giudizio comparativo di congruità o meno circa la misura delle sanzioni comminate per le ipotesi delittuose suindicate, poiché non spetta alla Corte (come già enunciato con la sentenza n. 92 del 1963) prendere posizione in ordine alla preferenza da accordare all'uno o all'altro di due sistemi legislativi, quando si denuncia la disuguaglianza di disciplina giuridica in base a rapporti reputati eguali tra loro.
Tal compito spetta al potere legislativo: ed infatti, nel caso in esame, l'auspicio, poi rimasto finora inattuato, per una "armonizzazione della misura delle sanzioni" é contenuto fin dalla relazione al D.L.L. 7 gennaio 1946, n. 1, sulle elezioni amministrative, in relazione al progetto per l'elezione dell'Assemblea Costituente.
Ma la Corte, per rimanere nei limiti delle proprie funzioni istituzionali, deve soltanto verificare se, in luogo di una asserita identificazione assoluta di fattispecie delittuose, sussista invece tra di esse una qualche diversificazione, che renda non irrazionale una normativa diversa per quanto riguarda la misura delle sanzioni. Il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione dovrebbe dirsi intaccato od eluso, solo in caso di constatata irrazionalità del trattamento differenziato, ma non, come la Corte ritiene nel caso in esame, quando sussistano motivi attendibili per distinguere situazioni, che, pur partendo da eguali presupposti, vengano poi ad assumere note distintive per particolari atteggiamenti soggettivi ed oggettivi.
4. - Queste considerazioni conducono alla dichiarazione di infondatezza delle questioni come sopra sollevate, ferma rimanendo la dichiarazione di inammissibilità per la questione proposta in relazione al decreto del Presidente della Regione siciliana.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
pronunciando con unica sentenza sui giudizi indicati in epigrafe: a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale proposta dalle ordinanze del Tribunale, con riferimento all'art. 70 del T.U. approvato con decreto 20 agosto 1960, n. 3, del Presidente della Regione siciliana;
b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 86 del D.P.R. 5 aprile 1951, n. 203, e 93 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, sulla elezione degli organi delle amministrazioni comunali, sollevate con le ordinanze del Pretore e del Tribunale di Caltanissetta in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1967.
Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI
Depositata in cancelleria il 18 aprile 1967.