SENTENZA N. 218
ANNO 2023
Commento alla decisione di
Claudia Lenzi,
per g.c. del Forum di Quaderni costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Augusto Antonio BARBERA
Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 16 febbraio 2022 (doc. IV-ter, n. 14), promosso dal Tribunale ordinario di Modena con ricorso notificato il 24-30 gennaio 2023, depositato in cancelleria il 22 febbraio 2023, iscritto al n. 9 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2023, fase di merito.
Visto l’atto di costituzione del Senato della Repubblica;
udita nell’udienza pubblica del 7 novembre 2023 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;
udito l’avvocato Mario Esposito per il Senato della Repubblica;
deliberato nella camera di consiglio del 9 novembre 2023.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza-ricorso (d’ora innanzi: ricorso) iscritta al n. 9 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2022, il Tribunale ordinario di Modena ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in riferimento alla deliberazione del 16 febbraio 2022 (doc. IV-ter, n. 14), con la quale il Senato della Repubblica ha ritenuto che fossero riconducibili alla prerogativa di insindacabilità, di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione, talune condotte dell’allora senatore Carlo Amedeo Giovanardi, integranti, secondo l’ipotesi accusatoria, i reati previsti dagli artt. 326 (rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio), 336 (violenza o minaccia a un pubblico ufficiale), 338 (violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti) e 341-bis (oltraggio a pubblico ufficiale) del codice penale.
Secondo quanto riporta il ricorso, Carlo Amedeo Giovanardi è stato rinviato a giudizio per una serie di condotte vòlte a ottenere la riammissione di due imprese nella cosiddetta white list: l’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all’art. 1, comma 52, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione).
In particolare, al fine di superare «gli esiti dei dinieghi assunti dal Prefetto e dei provvedimenti interinali e/o definitivi assunti dall’autorità giudiziaria investita delle impugnative», il senatore Giovanardi – in base all’impianto accusatorio riportato nel provvedimento introduttivo del conflitto – «avrebbe realizzato, oltre a comportamenti genericamente pressori, vere e proprie minacce sia dirette sia indirette, tese: i) a turbare le attività di un Corpo amministrativo (segnatamente, il Prefetto di Modena e il Gruppo Interforze costituito con decreto del Ministero dell’interno del 14.3.2003); ii) a costringere i pubblici ufficiali destinatari di tali condotte, a compiere atti contrari all’ufficio, pubblici ufficiali nell’occasione anche oltraggiati».
Inoltre, «al fine di meglio esercitare l’attività di minaccia ascritta», il citato senatore avrebbe «adoperato informazioni precise e circostanziate, ancora coperte da segreto, aventi ad oggetto i relativi procedimenti amministrativi, allo stesso fornite da appartenenti agli uffici della prefettura (coimputati nel presente processo)».
2.– Il Tribunale di Modena, chiamato a decidere in merito ai richiamati capi di imputazione, espone che, a seguito dell’eccezione formulata dalla difesa del senatore Giovanardi, aveva trasmesso, con ordinanza pronunciata in data 12 gennaio 2021, copia degli atti al Presidente del Senato e aveva disposto la sospensione del procedimento per il termine di novanta giorni, ai sensi dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato).
Spirato tale termine – pendente il quale il Tribunale di Modena ha fornito le informazioni richieste dal Presidente del Senato con apposite comunicazioni del 4 marzo 2021 e del 27 maggio 2021 – il ricorrente ha ordinato la prosecuzione del processo, dando ingresso alle attività istruttorie richieste dalle parti.
2.1.– Ricorda ancora il Tribunale di Modena che, nella seduta del 16 febbraio 2022, il Senato della Repubblica, approvando la proposta formulata, a maggioranza, dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, ha adottato la deliberazione che è all’origine del conflitto, statuendo che le condotte contestate all’imputato Giovanardi «costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e ricadono pertanto nell’ipotesi di cui all’articolo 68, primo comma, della Costituzione».
2.2.– A seguito di tale deliberazione della Camera di appartenenza, all’udienza del 21 febbraio 2022, la difesa dell’imputato ha chiesto al Tribunale di pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale, in senso adesivo alla prospettazione contenuta nella citata deliberazione di insindacabilità, mentre la Procura della Repubblica ha domandato che venisse sollevato conflitto di attribuzione.
3.– Il Tribunale di Modena, aderendo all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il termine di novanta giorni previsto dall’art. 3, comma 5, della legge n. 140 del 2003 concerne la sospensione necessaria del processo, ma non comporta alcuna decadenza per la Camera d’appartenenza (è citata Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 5 febbraio 2007, n. 18672), ha sollevato conflitto di attribuzione e ha sospeso il processo a carico dell’imputato Giovanardi.
3.1.– In particolare, il ricorrente ha ritenuto insussistenti «nella specie, gli estremi di lineare ed immediata riconducibilità delle condotte descritte nel capo di imputazione alla prerogativa di insindacabilità deliberata dal Senato della Repubblica».
A parere del Tribunale di Modena, i fatti descritti nei capi d’imputazione esulerebbero «completamente dalla prospettiva di “critica e denuncia politica”» e non presenterebbero «un nesso funzionale con l’attività parlamentare svolta (ma semmai solo di colleganza, per analogia tematica)», trattandosi di condotte rivolte – secondo la tesi accusatoria – «direttamente agli organi competenti o a loro componenti, al fine specifico di ottenere la modifica puntuale di singoli provvedimenti amministrativi in senso favorevole alle due imprese indicate».
3.2.– Il ricorrente ricostruisce la giurisprudenza costituzionale, secondo la quale il cosiddetto «nesso funzionale» si tradurrebbe «in una copertura della scriminante (in proiezione extralocalizzata) limitata alle opinioni del parlamentare e agli atti che, fuori dal Parlamento, sono destinati alla riproduzione espressiva e alla divulgazione delle opinioni stesse» (è citata la sentenza n. 219 del 2003). La prerogativa parlamentare, in particolare, non potrebbe essere estesa «sino a comprendere gli insulti […] solo perché collegati con le battaglie condotte da esponenti parlamentari in favore delle loro tesi politiche» e neppure i «comportamenti materiali che sono stati qualificati come resistenza a pubblico ufficiale» (è citata la sentenza n. 137 del 2001).
Per il ricorrente, le opinioni espresse extra moenia potrebbero essere «coperte da insindacabilità solo ove assumano una finalità divulgativa dell’attività parlamentare» (è richiamata la sentenza n. 59 del 2018) e, dunque, solo quando «il loro contenuto risulti sostanzialmente corrispondente alle opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni» (è segnalata la sentenza n. 333 del 2011), a tanto non bastando «né un semplice collegamento tematico o una corrispondenza contenutistica parziale» (è evocata la sentenza n. 334 del 2011), «né un mero “contesto politico” entro cui le dichiarazioni extra moenia possano collocarsi» (è menzionata la sentenza n. 205 del 2012), «né, infine, il riferimento alla generica attività parlamentare o l’inerenza a temi di rilievo generale, seppur dibattuti in Parlamento» (sono citate le sentenze n. 144 del 2015, n. 265, n. 221 e n. 55 del 2014). Una diversa interpretazione «dilaterebbe il perimetro costituzionalmente tracciato, generando un’immunità non più soltanto funzionale ma, di fatto, sostanzialmente “personale”, a vantaggio di chi sia stato eletto membro del Parlamento» (sono citate le sentenze n. 264 e n. 115 del 2014, n. 313 del 2013, n. 508 del 2002, n. 56, n. 11 e n. 10 del 2000).
3.3.– La deliberazione di insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica in data 16 febbraio 2022 non sarebbe rispettosa, secondo il Tribunale di Modena, di tali principi, e pertanto opererebbe «una lesione delle prerogative giurisdizionali di questo organo, lesione connessa al “principio dell’efficacia inibente”» (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 110 del 2021, n. 149 del 2007, n. 449 del 2002, n. 265 del 1997, n. 129 del 1996, n. 443 del 1993 e n. 1150 del 1988). «[A]lla delibera d’insindacabilità segue necessariamente il riconoscimento del cd. effetto impeditivo nei confronti dei giudizi penali di responsabilità dei membri del Parlamento», tant’è che il successivo esercizio del potere giurisdizionale resterebbe circoscritto «alla sola adozione di una decisione di assoluzione ex art 129 c.p.p.». Di conseguenza – conclude il ricorrente – l’efficacia inibente della deliberazione di insindacabilità risulterebbe superabile esclusivamente con la proposizione del conflitto di attribuzione innanzi a questa Corte costituzionale.
4.– Sulla scorta delle pregresse osservazioni, il Tribunale di Modena ritiene che il conflitto di attribuzione sia «ammissibile tanto sotto il profilo soggettivo quanto sotto il versante oggettivo».
4.1.– Con riguardo al primo aspetto, il ricorrente evidenzia la propria natura di «organo competente a decidere, nell’ambito delle funzioni giurisdizionali attribuite, sulla fondatezza dell’ipotesi accusatoria ascritta all’indagato e sulla procedibilità/punibilità connesse al giudizio introdotto, in quanto organo giurisdizionale, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente, nell’esercizio delle funzioni attribuitegli, la volontà del potere cui appartiene».
Reputa, dunque, sussistenti i requisiti di ordine soggettivo dal lato attivo.
Quanto al lato passivo, il ricorrente rileva che il Senato della Repubblica è l’organo deputato a esprimere e a «cristallizzare formalmente» la propria volontà in ordine all’applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost.
4.2.– Infine, con riguardo all’aspetto oggettivo del conflitto, il Tribunale di Modena evidenzia che esso «concerne i presupposti per l’applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost. e la lesione della sfera di attribuzioni giurisdizionali, costituzionalmente garantite, di questo Tribunale».
5.– Su tali premesse, il ricorrente chiede che la Corte costituzionale, dopo aver ritenuto ammissibile il conflitto, dichiari che «non spettava al Senato della Repubblica di deliberare nel senso che le condotte ascritte all’imputato Giovanardi nel presente processo rappresentano opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni, coperte dalla guarentigia costituzionale di cui all’art. 68 Costituzione».
6.– Con ordinanza n. 1 del 2023, questa Corte ha reputato sussistenti i presupposti soggettivi e oggettivi del conflitto e lo ha dichiarato ammissibile, in camera di consiglio e senza contraddittorio, ai sensi dell’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).
7.– Con atto depositato il 21 marzo del 2023, si è costituito in giudizio il Senato della Repubblica, chiedendo che il conflitto sia dichiarato inammissibile e, in subordine, che il ricorso sia rigettato.
7.1.– Secondo la difesa del Senato, il conflitto sarebbe inammissibile, innanzitutto, per «violazione del principio di completezza e autosufficienza».
Le «ragioni del conflitto» sarebbero esposte in modo inadeguato, senza che nell’atto introduttivo siano «descritti minimamente i fatti all’origine dello stesso». Il ricorso farebbe infatti rinvio, per circostanziare le «presunte attività svolte dall’Avv. Giovanardi, ad un “allegato 1 il capo di imputazione”, senza assolvere l’onere di precisare nel corpo dell’atto gli elementi fattuali oggetto di contestazione, e impedendo, pertanto, la conoscenza degli stessi e il loro relativo esame».
7.2.– Inoltre, il conflitto sarebbe inammissibile – sempre a detta della difesa del Senato –, in quanto non sarebbero sufficientemente circostanziate le ragioni poste alla base delle censure mosse nei confronti della deliberazione all’origine del conflitto.
7.3.– Di seguito, la difesa del Senato censura, sempre in rito, la mancata richiesta di annullamento della deliberazione del Senato: simile circostanza proverebbe che la qualificazione dell’atto introduttivo quale «ordinanza» non integrerebbe un mero errore formale, ma tradirebbe un inquadramento sostanziale dell’atto come qualcosa di diverso dal «ricorso», essendo quest’ultimo atto introduttivo di un «processo contenzioso intentato a fini demolitori del “provvedimento” impugnato», che, in quanto tale, «deve contenere la domanda esplicita di annullamento di questo».
7.4.– Infine, la difesa del Senato ritiene che il conflitto sarebbe inammissibile, in quanto difetterebbe una «denunzia di malgoverno, men che meno manifesto, della potestà qualificatoria spettante alla Camera di appartenenza». Al contrario, la difesa del Senato sostiene che, nel caso di specie, il Tribunale ricorrente avrebbe sostanzialmente ammesso la sussistenza di tale potestà, fondando le ragioni del ricorso su una sorta di «dissenso interpretativo», che non integrerebbe nemmeno «gli estremi di un vero e proprio conflitto di attribuzioni».
Nel caso in esame, a differenza della «gran parte dei casi oggetto della giurisdizione sui conflitti tra Camere rappresentative e potere giudiziario», non verrebbero in esame dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare che siano «asseritamente lesive dell’onore e della reputazione di soggetti appartenenti all’ordine giudiziario […] o di terzi estranei al Parlamento»: nel caso di specie, invece, si contenderebbe di «atti e attività posti in essere dal Sen. Giovanardi non solo in costanza di mandato parlamentare ma in compiuta e specifica congruenza e consecutività rispetto all’esercizio delle sue funzioni di parlamentare, anche quale componente di una Commissione bicamerale avente competenza in ordine a vicende connesse all’applicazione del d.lgs. n. 159/2011 e del. d. lg. N. 74/2012». In sintesi, ad avviso della difesa del Senato, le censure del ricorrente non concernerebbero la spettanza o meno dell’attribuzione né le modalità del suo esercizio, ma prospetterebbero «un dubbio di compiutezza motivazionale riferita, invece, non tanto alla delibera del Senato quanto alla “tavola d’accusa” come confezionata dal P.M.». Lamentare la «non lineare e immediata riconducibilità» delle condotte contestate all’area coperta dalla prerogativa parlamentare equivarrebbe, ad avviso della difesa del Senato, ad ammettere «la sussistenza del nesso di riconduzione e, in termini critici, a segnalare la non immediata, ma tuttavia possibile, percepibilità».
7.5.– Le ragioni su esposte sarebbero tali da dover determinare, ad avviso della difesa del Senato, non soltanto l’inammissibilità del conflitto, ma anche, e in subordine, il rigetto del ricorso.
La prospettazione dubitativa dell’atto introduttivo del ricorso sarebbe, infatti, smentita dalle risultanze documentali dalle quali apparirebbe evidente che le condotte ascritte al senatore Giovanardi sarebbero legate da un nesso funzionale con l’espletamento del suo mandato parlamentare. Ciò emergerebbe pianamente, ad avviso della difesa del Senato, dalla delibera della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari e, in particolare, dai seguenti dati e fatti che vengono ivi riportati.
Carlo Amedeo Giovanardi è stato eletto senatore della Repubblica nella XVI e XVII legislatura nella circoscrizione Emilia-Romagna, periodo che ricomprende gli anni in cui sono stati posti in essere i fatti contestati nei capi di imputazione. Nel corso di tali mandati il senatore avrebbe «rivolto la sua attenzione, facendone oggetto della sua attività parlamentare, anche alla verifica, mediante atti di ispezione e di controllo, delle modalità operative, della tempistica e dei criteri di esercizio della discrezionalità nella concreta applicazione da parte dell’Amministrazione della normativa riguardante la c.d. white list», in considerazione della rilevanza sociale e pubblico-collettiva di tali aspetti e assumendo «come riferimento “a campione” la vivace realtà imprenditoriale della sua circoscrizione elettorale».
Ad avviso della difesa del Senato, si collocherebbero in questo quadro diversi atti tipici posti in essere dal senatore Giovanardi, tra i quali: l’interpellanza presentata il 16 gennaio 2013, con cui il senatore, riferendosi a specifiche vicende di singole imprese colpite da provvedimenti emessi dalla Prefettura di Modena, chiedeva «al Presidente del Consiglio dei ministri come il Governo intendesse intervenire con urgenza per ricondurre l’attività amministrativa nell’alveo della esecuzione della legge al fine di non stravolgerne gli obiettivi perseguiti»; le interpellanze rivolte al Ministro dell’interno in data 26 febbraio 2014, 22 luglio 2014 e 21 ottobre 2014, nonché quella del 25 settembre 2014 rivolta anche al Presidente del Consiglio dei ministri, aventi specifico riguardo alle vicende di cui all’impresa B. Il primo di questi atti, in particolare, segnerebbe con «antecedenza cronologica e logica, per un verso, il punto di giunzione con i successivi atti ispettivi tipici sopra richiamati, e, per l’altro, il nesso di riconduzione formale e sostanziale con quelle “condotte” extra moenia»: tanto basterebbe a integrare il nesso funzionale dell’attività svolta extra moenia dal membro del Parlamento, secondo quanto richiesto dalla giurisprudenza costituzionale (viene richiamata la sentenza di questa Corte n. 241 del 2022, nonché, nello stesso senso, la sentenza n. 133 del 2018).
Simile attività, sempre ad avviso della difesa del Senato, sarebbe, dunque, coperta dalla prerogativa di cui all’art. 68, comma primo, Cost., «a garanzia della funzione di rappresentanza della Nazione attribuita a ciascun parlamentare».
In definitiva, secondo il Senato, l’atto di promovimento del conflitto si rivelerebbe, «paradossalmente, intes[o] a recidere un vincolo oggettivamente e soggettivamente esistente per poter contestare nel merito le opinioni e scelte politiche» del senatore Giovanardi, quando invece tali vincoli emergerebbero chiaramente dalla citata documentazione.
8.– In data 17 ottobre 2023 la difesa del Senato della Repubblica ha depositato memoria integrativa con cui ha preso atto del mancato deposito da parte del Tribunale ricorrente di deduzioni difensive contrarie a quelle fatte valere nell’atto di costituzione del resistente.
9.– All’udienza pubblica del 7 novembre 2023 la difesa del Senato della Repubblica ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate negli scritti difensivi, rilevando che la mancata costituzione in giudizio del ricorrente tradirebbe implicitamente la scarsa convinzione circa l’ammissibilità e la fondatezza del ricorso.
Considerato in diritto
1.– Con ricorso iscritto al n. 9 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2022, il Tribunale di Modena ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in riferimento alla deliberazione del 16 febbraio 2022 (doc. IV-ter, n. 14), con la quale il Senato della Repubblica ha ritenuto che fossero riconducibili alla prerogativa di insindacabilità, di cui all’art. 68, primo comma, Cost., talune condotte dell’allora senatore Carlo Amedeo Giovanardi, integranti, secondo l’ipotesi accusatoria, i reati previsti dagli artt. 326 (rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio), 336 (violenza o minaccia a un pubblico ufficiale), 338 (violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti) e 341-bis (oltraggio a pubblico ufficiale) cod. pen.
2.– Giova sinteticamente rievocare la vicenda che ha dato origine al conflitto.
2.1.– Il Tribunale di Modena, chiamato a decidere sui citati capi di imputazione, disponeva, a seguito di apposita eccezione formulata dalla difesa del senatore Giovanardi, la trasmissione di copia degli atti al Presidente del Senato.
Nella seduta del 16 febbraio 2022 il Senato della Repubblica deliberava che le condotte contestate al senatore Giovanardi «costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e ricadono pertanto nell’ipotesi di cui all’articolo 68, primo comma, della Costituzione».
A seguito di tale deliberazione, la difesa dell’imputato chiedeva al tribunale di pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
2.2.– Il Tribunale di Modena, su richiesta della Procura della Repubblica, sollevava conflitto di attribuzione, sospendendo il processo a carico del senatore Giovanardi.
Secondo il ricorrente, i fatti addebitati al senatore Giovanardi esulerebbero «completamente dalla prospettiva di “critica e denuncia politica”» e non presenterebbero «un nesso funzionale con l’attività parlamentare svolta (ma semmai solo di colleganza, per analogia tematica)», trattandosi di condotte rivolte – secondo la tesi accusatoria – «direttamente agli organi competenti o a loro componenti, al fine specifico di ottenere la modifica puntuale di singoli provvedimenti amministrativi in senso favorevole» a due imprese.
Su tali premesse, il Tribunale di Modena ha chiesto che questa Corte dichiari che «non spettava al Senato della Repubblica di deliberare nel senso che le condotte ascritte all’imputato Giovanardi nel presente processo rappresentano opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni, coperte dalla guarentigia costituzionale di cui all’art. 68 Costituzione».
3.– Così riepilogati i termini essenziali della vicenda, va anzitutto confermata l’ordinanza n. 1 del 2023, con la quale questa Corte, in camera di consiglio e senza contraddittorio, ai sensi dell’art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953, ha deliberato l’ammissibilità del conflitto, reputando sussistenti i presupposti sia soggettivi sia oggettivi.
3.1.– In particolare, deve ravvisarsi, anzitutto, la legittimazione a promuovere conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in capo al Tribunale di Modena, in quanto organo giurisdizionale, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene nell’esercizio delle funzioni attribuitegli (ex plurimis, sentenze n. 241 del 2022, n. 110 del 2021 e n. 133 del 2018).
Parimenti, va riconosciuta la legittimazione passiva al Senato della Repubblica, quale organo competente a dichiarare in modo definitivo la propria volontà in ordine all’applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost. (ex multis, sentenze n. 241 del 2022, n. 133 e n. 59 del 2018).
3.2.– Infine, quanto al requisito oggettivo del conflitto, deve ritenersi che l’asserita insussistenza dei presupposti di cui all’art. 68, primo comma, Cost. e, dunque, la ritenuta incompetenza del Senato a dichiarare l’insindacabilità delle opinioni espresse dal senatore Giovanardi, componente di quel ramo del Parlamento, siano astrattamente idonee a cagionare la lesione della sfera di attribuzione costituzionalmente garantita dell’organo giurisdizionale (ex plurimis, sentenze n. 241 del 2022; n. 133 e n. 59 del 2018 e n. 144 del 2015).
4.– Instaurata la fase di merito, il Senato della Repubblica si è costituito e ha sollevato plurime eccezioni di inammissibilità.
4.1.– Anzitutto, ha contestato al ricorrente di aver denominato l’atto introduttivo «ordinanza» e di aver omesso di chiedere l’annullamento della deliberazione sulla insindacabilità, con la quale il Senato ha ascritto alla prerogativa parlamentare, di cui all’art. 68, primo comma, Cost., le condotte di cui è imputato il senatore Giovanardi.
A detta della difesa del Senato, simile omissione tradirebbe una corrispondenza tra il difetto formale dell’atto introduttivo e un vizio sostanziale: l’inidoneità dell’atto a rimuovere la deliberazione del Senato.
4.1.1.– L’eccezione non è fondata.
Sotto il primo profilo, la giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che «[l]a forma dell’ordinanza rivestita dall’atto introduttivo è idonea a instaurare il giudizio ove sussistano, come nel caso di specie, gli estremi sostanziali di un valido ricorso (ex multis, sentenza n. 133 del 2018, nonché ordinanze n. 155 del 2017, n. 139 del 2016 e n. 271 del 2014)» (sentenza n. 110 del 2021).
Quanto all’aspetto sostanziale, il potere di annullare la deliberazione sulla insindacabilità deriva a questa Corte non già da una specifica richiesta del ricorrente, bensì direttamente dall’art. 38 della legge n. 87 del 1953, ove si prevede che la «Corte costituzionale risolve il conflitto sottoposto al suo esame dichiarando il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione e, ove sia stato emanato un atto viziato da incompetenza, lo annulla».
Peraltro, pur in assenza di una esplicita richiesta di annullamento, dal tenore complessivo dell’atto introduttivo si evince in maniera inequivoca la volontà del ricorrente di ottenere l’annullamento della deliberazione, che osta all’esercizio della funzione giurisdizionale (in questo senso anche le sentenze n. 342 e n. 97 del 2007; n. 452 e n. 249 del 2006; n. 164, n. 146 e n. 28 del 2005, che hanno valorizzato una lettura complessiva dell’atto introduttivo, superando eccezioni di inammissibilità simili a quella posta nel presente giudizio).
4.2.– Di seguito, la difesa del Senato ha svolto due ulteriori eccezioni che attengono alle motivazioni dell’atto introduttivo e che possono essere unitariamente considerate.
Da un lato, viene rilevato che non sarebbero state sufficientemente circostanziate le ragioni del conflitto; da un altro lato, si contesta che le motivazioni addotte si risolverebbero nella denuncia di un «dissenso interpretativo», che non integrerebbe «gli estremi di un vero e proprio conflitto di attribuzioni».
Secondo tale impostazione, le censure del ricorrente non riguarderebbero la spettanza o meno dell’attribuzione, né le modalità del suo esercizio, bensì un mero difetto di motivazione circa la riconducibilità delle condotte all’espletamento di funzioni parlamentari.
4.2.1.– Le eccezioni non sono fondate.
L’atto introduttivo non risulta carente nella motivazione circa le ragioni del conflitto, posto che il Tribunale di Modena ha argomentato nel senso della non riconducibilità al perimetro della insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, Cost. delle condotte contestate al senatore Giovanardi, in quanto comportamenti che – a detta del ricorrente – «esulano completamente dalla prospettiva di “critica e denuncia politica”» e non potrebbero ricondursi alla nozione di opinione espressa nell’esercizio della funzione parlamentare. A tal fine, ha richiamato le sentenze di questa Corte, che hanno ritenuto le condotte materiali – quale la resistenza a pubblico ufficiale – e l’insulto estranei al perimetro della insindacabilità.
Quanto al rilievo secondo cui il ricorrente avrebbe espresso un dissenso interpretativo rispetto alla decisione assunta dal Senato con la deliberazione in merito alla insindacabilità, si tratta di eccezione che, a ben vedere, si risolve in una censura attinente al merito e non al rito.
4.3.– Infine, la difesa del Senato ha eccepito l’inammissibilità del conflitto per violazione del principio di completezza e di autosufficienza del ricorso.
Ad avviso della difesa del resistente, le «ragioni del conflitto» sarebbero esposte in modo inadeguato, senza che nell’atto introduttivo siano «descritti minimamente i fatti all’origine dello stesso». Il ricorso farebbe infatti rinvio, per circostanziare le «presunte attività svolte dall’Avv. Giovanardi, ad un “allegato 1 il capo di imputazione”, senza assolvere l’onere di precisare nel corpo dell’atto gli elementi fattuali oggetto di contestazione, e impedendo, pertanto, la conoscenza degli stessi e il loro relativo esame».
5.– Quest’ultima eccezione richiede una valutazione focalizzata, per un verso, sugli atti processuali, in base ai quali questa Corte è chiamata a svolgere il proprio giudizio, e, per un altro verso, sugli elementi sostanziali, che da tali atti devono potersi inferire, onde consentire il giudizio sulla fondatezza del conflitto (sentenze n. 4 del 2015, n. 282 del 2011 e n. 31 del 2009).
5.1.– Sotto il primo profilo, occorre precisare che nei conflitti di attribuzione relativi all’insindacabilità, di cui all’art. 68, primo comma, Cost., l’atto oggetto del conflitto è la deliberazione della Camera di appartenenza, la quale si forma sulla base del capo di imputazione. Di conseguenza, fermo restando che il ricorso deve essere sufficientemente determinato e il più possibile esplicativo, eventuali richiami, in funzione integrativa, al capo di imputazione non comportano una asimmetria informativa nel giudizio, né si riverberano negativamente sul contraddittorio.
Del resto, va altresì ricordato che questa Corte, in un precedente giudizio, ha già affermato che «gli elementi identificativi della causa petendi e del petitum relativi al conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato» sono rinvenibili, oltre che nell’atto di ricorso, «negli eventuali documenti ad esso allegati» (ordinanza n. 264 del 2000).
5.2.– Venendo ora a considerare gli elementi idonei a consentire a questa Corte di valutare la fondatezza o non fondatezza del conflitto, essi devono essere vagliati tenendo conto del tipo di condotte addebitate.
Si deve, a tal fine, rilevare che tutti i comportamenti contestati al senatore Giovanardi si sono svolti al di fuori delle “mura parlamentari” e rientrano, dunque, in una tipologia di atti rispetto ai quali questa Corte, in particolare a partire dalle sentenze n. 11 e n. 10 del 2000, ha sviluppato una copiosa giurisprudenza, vòlta a specificare gli indici rivelatori della insindacabilità.
Con riguardo a dichiarazioni diffamatorie o oltraggiose, questa Corte ha ritenuto che l’insindacabilità possa espandersi a opinioni espresse extra moenia, purché contestuali o successive ad atti tipici parlamentari (da ultimo sentenze n. 241 del 2022 e n. 133 del 2018) e sempre che sussista, «al di là delle formule letterali usate (sentenza n. 333 del 2011)» (sentenza n. 59 del 2018), una sostanziale corrispondenza delle opinioni espresse rispetto ai citati atti (sentenza n. 133 del 2018, n. 333 del 2011, n. 11 e n. 10 del 2000). La duplice correlazione temporale e contenutistica con gli atti tipici parlamentari è, dunque, l’elemento che consente di ravvisare un nesso funzionale tra l’opinione espressa extra moenia e l’esercizio dell’attività parlamentare (ex plurimis, sentenze n. 241 del 2022, n. 133 e n. 59 del 2018; n. 114 del 2015; nel medesimo senso, già le sentenze n. 265, n. 264, n. 221 e n. 115 del 2014, n. 313 del 2013).
A fronte, tuttavia, di espressioni contenenti insulti, la Corte ha puntualizzato che la prerogativa parlamentare non possa essere estesa sino a ricomprendere simili affermazioni «– di cui è comunque discutibile la qualificazione come opinioni – solo perché collegat[e] con le “battaglie” condotte da esponenti parlamentari in favore delle loro tesi politiche» (sentenza n. 137 del 2001 e, nello stesso senso, sentenza n. 59 del 2018).
Dinanzi poi a dichiarazioni o a comportamenti contestati ad altro titolo – diverso dalla diffamazione o dall’oltraggio – questa Corte si è trovata a dover verificare, ab imis, se essi fossero identificabili come opinioni (sentenze n. 137 del 2001, n. 58, n. 11 e n. 10 del 2000 e, di seguito, n. 241 del 2022). In altri termini, ha dovuto accertare se tali atti fossero o meno riferibili all’«esercizio, in forma di espressione di opinione, della funzione parlamentare» (sentenza n. 270 del 2002 e, in senso analogo, sentenza n. 144 del 2015).
Nel caso di una «dichiarazione fornita dal deputato, a lui imputata a titolo di falso», questa Corte ha constatato come la mera attestazione di «una circostanza di fatto» sia inidonea a «esprimere un’opinione nell’esercizio della funzione di parlamentare» (sentenza n. 388 del 2007). Parimenti, ha escluso che possano rientrare nel concetto di “espressione di una opinione” meri comportamenti materiali «qualificati come resistenza a pubblico ufficiale» (sentenza n. 137 del 2001), nonché condotte omissive e commissive, consistenti, rispettivamente, nell’omessa informazione di colleghi, «chiamati a sostituire il magistrato [divenuto parlamentare] incolpato nella conduzione di un procedimento, sullo stato del procedimento medesimo», e nella «cancellazione di dati da computer utilizzati dal magistrato e dai suoi collaboratori» (sentenza n. 270 del 2002).
6.– Sulla base di tali coordinate, l’eccezione di rito concernente la non sufficiente determinatezza dell’atto introduttivo conduce a esiti differenti in relazione alle diverse condotte contestate al senatore Giovanardi.
6.1.– Per quanto concerne l’addebito a titolo di oltraggio (art. 341-bis cod. pen.), l’eccezione di inammissibilità è fondata.
Il ricorso del Tribunale di Modena si limita a un fugace riferimento alla circostanza che i pubblici ufficiali, destinatari – secondo l’impianto accusatorio – di minacce dirette a far compiere loro atti contrari al proprio ufficio, sarebbero stati, «nell’occasione, anche oltraggiati». Peraltro, neppure il capo di imputazione allegato fornisce elementi più specifici.
L’atto introduttivo offre, dunque, una descrizione del tutto carente delle condotte riferite al senatore Giovanardi, che non consente di operare il vaglio sui presupposti idonei ad accertare la sindacabilità o insindacabilità del comportamento addebitato.
Il conflitto di attribuzione, nella parte in cui ha a oggetto i fatti imputati a titolo di oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341-bis cod. pen.), è, pertanto, inammissibile.
6.2.– Differente è, invece, la conclusione cui si deve pervenire con riguardo ai fatti contestati al senatore Giovanardi a titolo di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 cod. pen.), di violenza e minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti (art. 338 cod. pen.) e di rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio (art. 326 cod. pen.).
Il ricorso opera, in proposito, una descrizione che, per quanto estremamente sintetica, risulta nondimeno sufficiente – se integrata dalla lettura dei capi di imputazione allegati – a consentire a questa Corte di operare il giudizio relativo alla possibilità o meno di ascrivere le condotte imputate al senatore Giovanardi all’espressione di una opinione nell’esercizio dell’attività parlamentare.
6.2.1.– Il Tribunale ricorrente fa riferimento a «minacce sia dirette che indirette, tese: i) a turbare le attività di un Corpo amministrativo (segnatamente, il Prefetto di Modena e il Gruppo Interforze costituito con decreto del Ministero dell’Interno del 14.3.2003); ii) a costringere i pubblici ufficiali destinatari di tali condotte, a compiere atti contrari all’ufficio»; nonché all’aver «adoperato informazioni precise e circostanziate, ancora coperte da segreto, aventi ad oggetto i relativi procedimenti amministrativi», fornite al Senatore «da appartenenti agli uffici di prefettura», coimputati nel processo.
Il provvedimento introduttivo del presente giudizio specifica, altresì, che il complesso delle condotte su evocate sarebbe stato posto in essere con l’obiettivo di ottenere la riammissione di due imprese alla white list, vale a dire l’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all’art. 1, comma 52, della legge n. 190 del 2012.
6.2.2.– La descrizione, così sinteticamente operata nel ricorso, è poi suscettibile di integrazione con gli elementi che si traggono dall’allegato.
Da esso si desume che l’indagine è scaturita nell’ambito della «Operazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna denominata “Aemilia”».
Le due imprese a cui il senatore Giovanardi avrebbe cercato di far conseguire l’ammissione o la riammissione nella white list risultano essere: la B. C. srl, relativamente alla quale il prefetto di Modena aveva emesso un provvedimento di informazione antimafia interdittiva, con conseguente rigetto della domanda di iscrizione nella citata lista, e rispetto alla quale il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna nonché il Consiglio di Stato avevano rigettato la richiesta di riesame; e la ditta individuale I. di A. B., la cui iscrizione nella white list era stata parimenti rigettata in data 20 ottobre 2014, avendo i componenti del Gruppo Interforze – in base a quanto riferisce il punto 9 del capo di imputazione n. 216 – ritenuto sussistenti elementi tali da far ritenere acclarato il tentativo dell’azienda di eludere gli effetti dei provvedimenti interdittivi.
Sempre nell’allegato si fa riferimento a vari incontri e colloqui del senatore Giovanardi. Si evoca un colloquio tenuto con A. e A. B., nel quale lo stesso senatore Giovanardi comunica di aver incontrato il prefetto e il questore e riporta le parole che avrebbe proferito dinanzi a questi ultimi (punto 4 del capo n. 216). Si dà poi conto di un incontro del senatore con il comandante provinciale dei carabinieri di Modena, colonnello S. S., cui partecipava anche il tenente colonnello D. C., e si riporta il contenuto del colloquio nel quale il senatore avrebbe preteso un cambio della posizione assunta rispetto alle società dei B. (punto 12 del capo di imputazione n. 216 e capo di imputazione n. 220). Infine si espone che il senatore avrebbe tenuto condotte tali da far comprendere al prefetto di Modena «i potenziali rischi cui lo stesso sarebbe andato incontro (non solo reputazionali, ma anche in termini di carriera e di possibile trasferimento)» e sono riportate le dichiarazioni rese dal senatore Giovanardi a tal riguardo (sintesi finale del capo di imputazione n. 216, lettera c).
Da ultimo, nell’allegato si fa riferimento: a un «atto ancora segreto» che il senatore avrebbe ricevuto dal prefetto, all’utilizzo «di atti ancora segreti» e al fatto che, nel corso di una Conferenza stampa, il senatore Giovanardi avrebbe rivelato pubblicamente una circostanza ancora segreta (capo di imputazione n. 216, punti n. 4, n. 5 e n. 15).
6.3.– Alla luce di quanto desumibile dall’atto introduttivo e dal relativo allegato, si deve, pertanto, ritenere che la descrizione dei fatti – contestati a titolo di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 cod. pen.), di violenza e minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti (art. 338 cod. pen.) e di rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio (art. 326 cod. pen.) – è sufficiente a consentire a questa Corte di valutare se tali condotte siano o meno configurabili alla stregua di opinioni espressive della funzione parlamentare.
Con riguardo alle citate censure l’eccezione di inammissibilità per «violazione del principio di completezza e autosufficienza dell’atto introduttivo» è, di conseguenza, non fondata.
7.– Nel merito, il ricorso è, invece, fondato per quanto concerne le condotte addebitate al senatore Giovanardi a titolo di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 cod. pen.) e di violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti (338 cod. pen.).
7.1.– L’art. 68, primo comma, Cost. – come già sopra evidenziato (punto 5.2.) – abbraccia, oltre ai voti dati e alle opinioni espresse in Parlamento, anche condotte tenute extra moenia, purché ascrivibili alla nozione di opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari.
La ratio della norma di cui all’art. 68, primo comma, è preservare la libertà della funzione parlamentare e la sua autonomia.
Per converso, sono avulse dalla citata ratio e sono estranee alla prerogativa della insindacabilità tanto le opinioni non correlate sul piano temporale e contenutistico con atti parlamentari (da ultimo, sentenze n. 241 del 2022 e n. 133 del 2018), quanto le condotte che non possono neppure qualificarsi quali opinioni e che, pertanto, esulano ex se dall’esercizio della funzione parlamentare (sentenze n. 59 del 2018, n. 388 del 2007 e n. 137 del 2001). Simili condotte «dilaterebbero il perimetro costituzionalmente tracciato, generando un’immunità non più soltanto funzionale, ma, di fatto, sostanzialmente “personale”, a vantaggio di chi sia stato eletto membro del Parlamento (sentenze n. 264 e n. 115 del 2014, n. 313 del 2013; nel medesimo senso già le sentenze n. 508 del 2002, n. 56, n. 11 e n. 10 del 2000)» (sentenza n. 59 del 2018).
Le condotte inquadrate dall’autorità giudiziaria nelle fattispecie di cui agli artt. 336 cod. pen. (violenza o minaccia a pubblico ufficiale) e 338 cod. pen. (violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti) non sono, in particolare, riconducibili alla nozione di espressione di una opinione.
7.2.– Non convincono, infatti, gli argomenti con cui la relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, approvata con la deliberazione del Senato che ha dato luogo al presente conflitto, motiva l’insindacabilità delle citate condotte.
Nella relazione della Giunta si legge, in particolare, che, pur spettando «ovviamente all’autorità giudiziaria [il] compito di rubricazione», e dunque l’inquadramento delle condotte contestate nelle fattispecie normative, nondimeno, il «Parlamento, ai soli fini della verifica ex articolo 68, primo comma, della Costituzione, può valutare se le condotte oggetto dell’imputazione, indipendentemente dal nomen iuris adottato, siano riferite o riferibili al concetto di “opinioni” e dunque ricadano o meno nell’ambito di applicazione della guarentigia de qua».
A tal fine, la citata relazione ritiene che le condotte tenute dal senatore Giovanardi vadano considerate unitariamente, in quanto caratterizzate «da un profilo teleologico e “funzionale” unitario, essendo finalizzat[e] in particolare […] ad opporsi ad una situazione a suo giudizio di abuso da parte della Prefettura e dei Carabinieri, che avevano escluso (a suo avviso) ingiustamente l’impresa [B.] dalla white list».
Di conseguenza, l’opinione del senatore Giovanardi «in merito alla esclusione delle aziende modenesi dalla cosiddetta white list» attrarrebbe nella insindacabilità quelle che la relazione configura genericamente quali «dichiarazioni […] espresse in pubblico, in privato, mediante la proposizione di atti parlamentari, durante conferenze stampa, durante riunioni o incontri con i diretti interessati e con le autorità locali».
7.3.– Sennonché, al fine di ricomprendere le condotte di un parlamentare nell’alveo dell’art. 68, primo comma, Cost., non è sufficiente che esse abbiano quale comune ispirazione teleologica quella di confortare e di dare sostegno a una opinione del componente di una Camera, sia pure corrispondente a quanto da questi affermato in atti parlamentari.
Se così fosse qualsiasi comportamento materiale ovvero gli insulti potrebbero rientrare nella prerogativa della insindacabilità, ove ispirati al fine di sostenere le opinioni espresse dal parlamentare. Ma ciò è stato chiaramente escluso da questa Corte (sentenze n. 59 del 2018, n. 388 del 2007 e n. 137 del 2001), come viene del resto riconosciuto dalla stessa relazione della Giunta, nella sua parte conclusiva.
Deve allora convenirsi che non basta la connessione teleologica con una opinione del parlamentare a rendere unitariamente insindacabile qualsivoglia condotta addebitata al medesimo. Non è cioè l’opinione del parlamentare a poter attrarre nel raggio dell’art. 68, primo comma, Cost. ogni condotta finalisticamente motivata dal sostegno verso quella opinione, ma, al contrario, è la singola condotta che deve potersi qualificare come espressione di una opinione nell’esercizio della funzione parlamentare.
Di conseguenza, l’elemento teleologico costituito dall’opinione del senatore Giovanardi – consistente nella ritenuta ingiusta esclusione di alcune aziende modenesi dalla cosiddetta white list – pur se fatta valere attraverso atti parlamentari, temporalmente contigui alle condotte, non è sufficiente a richiamare nell’art. 68, primo comma, Cost. indistintamente tutti i comportamenti e le dichiarazioni contestate al senatore e a farli ritenere automaticamente compatibili con l’«esercizio, in forma di espressione di opinione, della funzione parlamentare» (sentenza n. 270 del 2002 e, in termini simili, sentenza n. 144 del 2015).
7.4.– Escluso che le condotte tenute dal senatore Giovanardi possano essere unitariamente attratte dall’elemento teleologico e indistintamente considerate, si pone il problema della competenza della autorità giudiziaria a qualificare sul piano giuridico le singole condotte.
Da un lato, la relazione della Giunta del Senato riconosce – nel solco della giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 59 del 2018) – che è «di esclusiva spettanza del giudice […] valutare se le dichiarazioni ascritte al parlamentare diano luogo a una qualche forma di responsabilità giuridica»; così come «è sempre al potere giudiziario, secondo i rimedi consueti riconosciuti dagli ordinamenti processuali, che spetta il controllo sulla correttezza» dell’inquadramento giuridico (sentenza n. 59 del 2018).
Da un altro lato, tuttavia, trapela sia dalla relazione della Giunta del Senato sia da interventi espressi in Assemblea a sostegno della deliberazione favorevole alla insindacabilità, il timore di un uso arbitrario, da parte dell’autorità giudiziaria, del suo potere di qualificazione, nel convincimento che sarebbe stato utilizzato il nomen iuris delle minacce e l’inquadramento giuridico negli artt. 336 e 338 cod. pen. con riferimento a condotte quali la mera «presentazione di esposti presso l’autorità giudiziaria abbinata ad azioni parlamentari» e l’organizzazione di «apposite conferenze stampa».
Sennonché, dall’atto introduttivo del giudizio e dal relativo allegato si inferisce che al senatore Giovanardi non sono state contestate l’assunzione di iniziative parlamentari o l’organizzazione di conferenze stampa. Viceversa, l’autorità giudiziaria, nell’esercizio della propria competenza, ha identificato un complesso di condotte e di specifiche affermazioni (richiamate supra al punto 6.2.1.), che ha ritenuto di qualificare come minacce dirette a costringere pubblici ufficiali ed esponenti di un Corpo politico o amministrativo a compiere un atto contrario ai propri doveri di ufficio.
7.5.– Le condotte così qualificate dall’autorità giudiziaria non sono riconducibili alla nozione di espressione di una opinione.
La prospettazione di un male al fine di coartare la volontà di un pubblico ufficiale o di un esponente di un Corpo politico o amministrativo, onde costringerlo a compiere un atto contrario ai propri doveri d’ufficio, è una condotta che – ove provata – integrerebbe un tipo di dichiarazione che non è espressiva di alcuna opinione, bensì è puro strumento di coercizione, alternativo alla violenza, sì da rilevare alla stregua di un mero comportamento.
D’altro canto, non è compatibile, sul piano funzionale, con la prerogativa della insindacabilità, finalizzata a preservare l’autonomia del potere politico, il ricorso a condotte coercitive rispetto all’esercizio di altri poteri dello Stato. Non è dato rivendicare la prerogativa della insindacabilità e, dunque, difendere l’autonomia della funzione parlamentare rispetto a condotte vòlte a far deviare dai doveri d’ufficio esponenti di altri poteri dello Stato e a comprimere la loro discrezionalità.
7.6.– In definitiva, i fatti contestati con gli addebiti di cui agli artt. 336 e 338 cod. pen. si collocano fuori del perimento di applicazione della prerogativa di cui all’art. 68, primo comma, Cost.
Non spettava, pertanto, al Senato deliberare, relativamente alle citate condotte, la insindacabilità.
8.– Ad analoga conclusione si deve giungere rispetto alla contestazione che l’autorità giudiziaria muove al senatore Giovanardi di aver tenuto condotte che vengono inquadrate nella fattispecie della rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, ai sensi dell’art. 326 cod. pen. Una condotta, così qualificata, integra un comportamento che non esprime alcun giudizio valutativo e, dunque, non è riconducibile al paradigma della opinio.
Il fatto ex se realizza una tipologia di condotta del tutto similare a quella dell’attestazione di una circostanza falsa, che questa Corte ha già reputato estranea al perimetro costituzionale dell’art. 68, primo comma, Cost. (sentenza n. 388 del 2007).
Di conseguenza, la condotta contestata con l’addebito di cui all’art. 326 cod. pen. è fuori del perimetro di applicazione della prerogativa di cui all’art. 68, primo comma, Cost.
Non spettava, pertanto, al Senato deliberare, in proposito, la insindacabilità.
9.– In conclusione, le condotte del senatore Giovanardi riferibili alle imputazioni di cui agli artt. 326 (rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio), 336 (violenza o minaccia a un pubblico ufficiale) e 338 (violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti) cod. pen. non possono essere inquadrate nella nozione di opinione espressa nell’esercizio della funzione parlamentare e, pertanto, non spettava al Senato deliberare la loro insindacabilità.
Per l’effetto, ai sensi dell’art. 38 della legge n. 87 del 1953, va annullata la deliberazione del Senato del 16 febbraio 2022, con riguardo agli addebiti di cui agli artt. 326, 336 e 338 cod. pen.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso, nei confronti del Senato della Repubblica, dal Tribunale ordinario di Modena con il ricorso indicato in epigrafe, nella parte in cui la deliberazione del Senato della Repubblica del 16 febbraio 2022 (doc. IV-ter, n. 14) ha dichiarato insindacabili le condotte contestate al senatore Carlo Amedeo Giovanardi, ai sensi dell’art. 341-bis (oltraggio a pubblico ufficiale) del codice penale, oggetto del procedimento penale pendente dinanzi al predetto Tribunale ricorrente;
2) dichiara che non spettava al Senato della Repubblica deliberare che le condotte contestate al senatore Carlo Amedeo Giovanardi ai sensi degli artt. 326 (rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio), 336 (violenza o minaccia a un pubblico ufficiale) e 338 (violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti) cod. pen., per le quali pende procedimento penale dinanzi al Tribunale ordinario di Modena, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
3) per l’effetto, annulla la deliberazione di insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica, nella seduta 16 febbraio 2022 (doc. IV-ter, n. 14), nella parte in cui si riferisce alle condotte del senatore Carlo Amedeo Giovanardi, contestate dal Tribunale ordinario di Modena ai sensi degli artt. 326 (rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio), 336 (violenza o minaccia a un pubblico ufficiale) e 338 (violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti) cod. pen.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 novembre 2023.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Emanuela NAVARRETTA, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria l’11 dicembre 2023