SENTENZA N. 334
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
- Paolo GROSSI “
- Giorgio LATTANZI “
- Aldo CAROSI “
- Marta CARTABIA “
- Sergio MATTARELLA “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 30 maggio 2007 (doc. IV-ter, n. 1-A), relativa all’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse da Vittorio Sgarbi – deputato all’epoca dei fatti – nei confronti del dott. Gian Carlo Caselli, promosso dalla Corte d’appello di Milano con ricorso notificato il 3 dicembre 2009, depositato in cancelleria il 28 dicembre 2009 ed iscritto al n. 8 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2009, fase di merito.
Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;
udito nell’udienza pubblica del 22 novembre 2011 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;
udito l’avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso (qualificato come «ordinanza») del 22 aprile 2009, la Corte d’appello di Milano ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla deliberazione adottata il 30 maggio 2007 (doc. IV-ter, n. 1-A), con la quale è stato dichiarato che i fatti per i quali il deputato Vittorio Sgarbi è sottoposto a procedimento penale per il reato di diffamazione aggravata nei confronti del dott. Gian Carlo Caselli, concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e sono, quindi, insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
La Corte ricorrente premette che Vittorio Sgarbi, deputato all’epoca dei fatti, è imputato del reato di diffamazione (art. 595 del codice penale), aggravato ai sensi degli artt. 99 cod. pen. e 30, commi 4 e 5, della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), per avere rilasciato, nel corso del programma televisivo «Iceberg», trasmesso dall’emittente «Telelombardia» il 17 dicembre 2001, dichiarazioni offensive dell’onore e della reputazione del dottor Gian Carlo Caselli, anche con l’attribuzione di un fatto determinato, «addebitando allo stesso la mancanza di autonomia e professionalità nello svolgimento delle proprie funzioni di magistrato presso la Procura della Repubblica di Palermo». In particolare, all’on. Sgarbi è contestato di avere affermato, tra l’altro: «Caselli deve ridare allo Stato i soldi, i duecento miliardi spesi per l’inchiesta Andreotti, questa cosa è gravissima e loro si sono sconfitti da soli, dimostrando che le loro inchieste erano senza fondamento»; «i magistrati hanno fatto atti criminali contro cittadini innocenti spendendo soldi nostri»; «il processo Andreotti è un processo politico»; «sperperano i soldi dello Stato e i soldi nostri per fare inchieste senza fondamento, inchieste sbagliate, politiche e sbagliate»; «hanno agito per il Partito Comunista, Violante [...], Caselli, arrivato a Palermo su indicazione di Violante ha messo in atto il progetto politico Violante»; «hanno eseguito un mandato politico e hanno arrestato Calogero Mannino innocente, Contrada innocente, Musotto innocente, Andreotti processato innocente, spendendo cinquecento miliardi […] li restituiscano»; «hanno liberato mafiosi e arrestato gli innocenti»; «partendo dalla sinistra che gli ha dato il potere i vari Borrelli e Caselli hanno perseguito la loro politica giudiziaria di assoluta autonomia rispetto al potere politico, l’autonomia politica per fare politica loro per essere loro gli uomini di Governo […] questo volevano, questo era il progetto»; «Andreotti era innocente e Caselli non era innocente, perché Caselli in quel momento stava facendo un grave errore»; «tutti gli innocenti in galera e i colpevoli liberi e i mafiosi e gli assassini liberi, liberi, liberi, liberi di uccidere, questa è stata la magistratura». All’on. Sgarbi è, inoltre, contestato di avere paragonato «i processi promossi da Caselli, in particolare quello contro Andreotti, a quelli delle Brigate Rosse, con specifico riferimento al caso Moro, con la sola differenza che il magistrato Caselli non disponeva della pena di morte».
Il Collegio ricorrente riferisce di essere investito dell’appello proposto dal pubblico ministero e dalla parte civile avverso la sentenza del 16 novembre 2007, con la quale il Tribunale di Milano, a seguito della delibera di insindacabilità impugnata, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato, in applicazione dell’art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato).
Ciò premesso, la Corte d’appello osserva come – non risultando provata, «allo stato degli atti», la verità oggettiva delle circostanze riferite dall’on. Sgarbi nel corso della trasmissione televisiva – la predetta delibera risulti «sicuramente rilevante e decisiva per la prosecuzione del giudizio».
La ricorrente rileva, per altro verso, come, in ordine all’applicabilità della guarentigia offerta dall’art. 68, primo comma, Cost. alle opinioni espresse dal membro del Parlamento extra moenia, la giurisprudenza costituzionale abbia da tempo adottato il criterio del nesso funzionale con l’attività parlamentare: criterio che postula, in particolare, un requisito di ordine contenutistico, rappresentato dalla sostanziale corrispondenza di significato tra le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari e le dichiarazioni esterne.
La censurata delibera della Camera dei deputati si porrebbe in contrasto con detto criterio, non contenendo alcuna indicazione riguardo alla corrispondenza sostanziale tra i contenuti delle dichiarazioni oggetto di giudizio e specifici atti parlamentari dell’on. Sgarbi. Non sarebbe, infatti, sufficiente, affinché le dichiarazioni contestate possano ritenersi collegate alle funzioni parlamentari, né una mera comunanza di tematiche rispetto ad atti tipici della funzione – peraltro, nella specie, neppure individuati – né l’interesse manifestato dall’on. Sgarbi, nello svolgimento della sua attività politica, per le tematiche relative alla politica giudiziaria in materia di lotta alla mafia.
La ricorrente chiede, pertanto, alla Corte di dichiarare che non spettava alla Camera dei deputati adottare la delibera in questione e, per l’effetto, di annullarla.
2.– Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con ordinanza n. 303 del 2009.
3.– Si è costituita la Camera dei deputati, chiedendo che il ricorso sia dichiarato «improcedibile, inammissibile, irricevibile e improponibile», o, in subordine, infondato.
In via preliminare, la difesa della Camera eccepisce l’inammissibilità del ricorso, perché non risulterebbe «puntualmente identificata la parte ricorrente». Dall’atto introduttivo del giudizio non si evincerebbe, infatti, se il provvedimento sia stato adottato della Corte d’appello penale o civile.
Inoltre, la ricorrente non avrebbe descritto compiutamente il contenuto della deliberazione della Camera dei deputati, limitandosi a riprodurre «stralci» della relazione della Giunta per le autorizzazioni. Essa avrebbe omesso, altresì, di identificare, «nella loro “sostanza” […] sia fattuale che giuridica», le espressioni lesive, riconoscendo che, allo stato, non risulta provata la «verità oggettiva delle circostanze riferite dallo Sgarbi»: ciò non consentirebbe di affermare o negare la sussistenza del nesso funzionale tra le opinioni espresse extra moenia e atti tipici della funzione.
Il conflitto sarebbe inammissibile anche per «difetto assoluto» di motivazione in ordine alla violazione costituzionale prospettata, in quanto la Corte d’appello si sarebbe limitata ad affermare, in modo apodittico, che le opinioni manifestate dall’allora deputato non possono, per mancanza di nesso funzionale, ritenersi rese nell’esercizio delle funzioni parlamentari.
Un ulteriore e conclusivo profilo di inammissibilità risiederebbe nel fatto che il ricorrente non avrebbe descritto puntualmente il contenuto delle dichiarazioni extra moenia del parlamentare né raffrontato le stesse con gli atti e le dichiarazioni funzionali del medesimo o di altri parlamentari né precisato in quale contesto le opinioni esterne si inseriscano.
Nel merito, il ricorso sarebbe comunque infondato, essendo ravvisabile, in realtà, un saldo nesso funzionale tra le dichiarazioni esterne dell’on. Sgarbi e atti tipici compiuti nella sua qualità di parlamentare. Tali opinioni si collocherebbero, infatti, nel quadro della critica politica più volte manifestata dallo stesso on. Sgarbi nei confronti dell’instaurazione e del modo di conduzione del cosiddetto «processo Andreotti» e, più in particolare, nell’ambito del complesso di interventi volti a mettere in dubbio la correttezza dell’operato dei magistrati inquirenti e segnatamente del dott. Caselli (vertice della Procura della Repubblica di Palermo). Al riguardo, la difesa della Camera richiama quattordici atti tipici, rappresentati da interventi in aula e da atti di sindacato ispettivo, pronunciati o sottoscritti dall’on. Sgarbi tra il 13 maggio 1993 e il 19 gennaio 1999, tutti duramente critici nei confronti del dott. Caselli e degli uffici della Procura palermitana, da lui diretta.
La rilevanza dei suddetti atti funzionali non potrebbe essere, d’altra parte, negata in ragione della semplice distanza temporale che li separa dalle dichiarazioni oggetto di giudizio, stante la primaria importanza nella storia politica e giudiziaria del Paese delle vicende cui essi si riferiscono, le quali non perderebbero, perciò, il loro rilievo con il decorso del tempo.
4.– La Camera dei deputati ha depositato una memoria illustrativa, nella quale – oltre a ribadire e sviluppare le precedenti eccezioni e difese – ha ulteriormente evidenziato come le dichiarazioni extra moenia dell’on. Sgarbi trovino riscontro anche nelle opinioni, di analogo contenuto, espresse in sede parlamentare da numerosi altri deputati e senatori.
A tale riguardo, la difesa della Camera – richiamando, in specie, nove atti di sindacato ispettivo posti in essere da altri parlamentari tra il 16 novembre 1994 e il 5 febbraio 2004 – sollecita un ripensamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale gli atti di parlamentari diversi da quello le cui dichiarazioni sono contestate in giudizio non rileverebbero ai fini della configurabilità del nesso funzionale.
Considerato in diritto
1.– La Corte d’appello di Milano ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, contestando che spettasse ad essa deliberare, nella seduta del 30 maggio 2007, che i fatti per i quali l’on. Vittorio Sgarbi è sottoposto a procedimento penale per il reato di diffamazione aggravata nei confronti del dott. Gian Carlo Caselli, concernono opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari e sono, quindi, insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
2.– Deve essere preliminarmente ribadita l’ammissibilità del conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi e oggettivi, come già ritenuto da questa Corte con l’ordinanza n. 303 del 2009.
3.– Al riguardo, vanno, altresì, disattese le plurime eccezioni di inammissibilità formulate dalla difesa della Camera dei deputati.
Quanto all’asserito difetto di puntuale identificazione dell’Autorità ricorrente, va infatti osservato che dalla lettura complessiva dell’atto introduttivo si desume, in realtà, agevolmente che il conflitto è stato promosso dalla Corte d’appello penale di Milano.
Infondata è, altresì, l’ulteriore eccezione di inammissibilità per avere la ricorrente omesso di descrivere compiutamente il contenuto della delibera della Camera dei deputati. La Corte d’appello ha dato conto del tenore della delibera impugnata, facendo riferimento alle indicazioni della relazione della Giunta per le autorizzazioni, da essa approvata e ponendo in luce l’aspetto saliente ai fini del presente giudizio, rappresentato dal fatto che la delibera non evochi alcuno specifico atto, posto in essere dall’onorevole Sgarbi in sede parlamentare, i cui contenuti possano considerarsi riprodotti all’esterno tramite le dichiarazioni per le quali si procede.
Di non chiaro significato è l’altra eccezione di inammissibilità, basata sul rilievo che la ricorrente avrebbe omesso di identificare «nella loro “sostanza” […] sia fattuale che giuridica» le espressioni lesive per le quali è in corso il processo penale nei confronti dell’on. Sgarbi. Ove la difesa della Camera dei deputati avesse inteso postulare un onere di preventiva verifica, da parte del giudice ricorrente, circa la corretta riconducibilità delle dichiarazioni al contestato paradigma punitivo della diffamazione aggravata, l’eccezione sarebbe comunque anch’essa infondata. Nel conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost., è onere del ricorrente riportare in modo esaustivo il contenuto delle dichiarazioni in assunto lesive, al fine di consentire alla Corte di verificare la sussistenza del cosiddetto nesso funzionale tra le dichiarazioni stesse e gli atti tipici del parlamentare. L’accertamento concreto dei fatti e della loro illiceità potrà essere, per converso, effettuato soltanto nell’ambito del giudizio da cui il conflitto trae origine, l’esito del quale il giudice ricorrente non è tenuto ad anticipare, tanto più a fronte dell’effetto inibente che, alla luce della disciplina recata dall’art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), la delibera di insindacabilità produce sulle attività giurisdizionali. Impugnando detta delibera, il giudice mira a “riappropriarsi” del potere (pieno) di giudicare – in un senso o nell’altro – sul merito della domanda, al quale attiene la valutazione della reale lesività delle esternazioni, qualora non venga in rilievo il diritto di critica o di cronaca.
Egualmente infondata è l’eccezione di «difetto assoluto» di motivazione del ricorso, in quanto la ricorrente ha sufficientemente indicato le ragioni del conflitto, precisando – come già rimarcato – che nella delibera di insindacabilità non sarebbe stato individuato alcun atto parlamentare tipico dell’on. Sgarbi, rilevante ai fini dell’accertamento del nesso funzionale, e facendo, inoltre, specifico riferimento alla relazione della Giunta per le autorizzazioni.
Infondata, da ultimo, è anche l’eccezione relativa all’omessa descrizione del contenuto delle dichiarazioni da cui deriva il conflitto, avendo la ricorrente riprodotto, nel ricorso, il capo di imputazione, che contiene il testo delle dichiarazioni stesse.
4.– Nel merito, il ricorso è fondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, per la configurabilità di un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare e l’espletamento delle sue funzioni di membro del Parlamento – al quale è subordinata la prerogativa dell’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost. – è necessario che tali dichiarazioni possano rappresentare espressione dell’esercizio di tipiche attività parlamentari (tra le molte, sentenze n. 98 del 2011, n. 301 del 2010, n. 420 e n. 410 del 2008).
Nella specie, né la relazione della Giunta per le autorizzazioni, né la delibera di insindacabilità dell’Assemblea hanno indicato alcuno specifico atto parlamentare, compiuto dall’on. Sgarbi, al quale, per il suo contenuto, possano essere riferite le opinioni oggetto di conflitto.
Nell’ambito del presente giudizio, la difesa della Camera dei deputati ha, invece, richiamato, come atti parlamentari cui le dichiarazioni esterne si connetterebbero, quattordici atti, tra interventi e atti di sindacato ispettivo, posti in essere dall’allora deputato Sgarbi, nell’esercizio delle funzioni, negli anni tra il 1993 e il 1999.
A prescindere dallo iato temporale che separa detti interventi dalle esternazioni di cui si discute (rese nel corso di un programma televisivo trasmesso il 17 dicembre 2001), deve ritenersi carente il requisito della sostanziale identità di contenuti, al di là delle formule letterali usate, tra le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni e tutte le dichiarazioni esterne: requisito che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, condiziona la riconoscibilità del nesso funzionale, non potendo ritenersi sufficiente, a tal fine, né una mera comunanza di argomenti né un mero «contesto politico» cui entrambe possano riferirsi (ex plurimis, sentenze n. 81 del 2011, n. 420 e n. 410 del 2008, n. 152 del 2007 e n. 258 del 2006).
Nelle dichiarazioni extra moenia in discussione si formulano, infatti, censure all’operato di alcuni magistrati, che assumono i caratteri della determinatezza nei confronti dell’attuale querelante dott. Caselli, in rapporto alla conduzione, nella qualità di Procuratore della Repubblica di Palermo, di alcune indagini di rilievo. Gli si rimprovera, in specie, di avere sperperato «i soldi dello Stato» per condurre inchieste – in particolare quella a carico del sen. Andreotti – rivelatesi senza fondamento; di avere agito per finalità politiche e su mandato politico; di avere perseguito proprie ambizioni «di Governo»; di avere fatto arrestare degli innocenti, lasciando «i mafiosi e gli assassini liberi […] di uccidere».
Per converso, gli atti funzionali evocati dalla difesa della Camera, in alcuni casi (interventi in Aula del 13 maggio 1993 e del 23 ottobre 1998 e interrogazioni n. 3/00937 del 28 aprile 1993, n. 3/02766 del 30 luglio 1998, n. 3/02843 del 15 settembre 1998 e n. 4/21639 del 19 gennaio 1999), rivelano solo un generico collegamento tematico con il contenuto delle dichiarazioni in questione.
I restanti atti ispettivi, singolarmente considerati, manifestano, invece, una corrispondenza contenutistica solo parziale con le dichiarazioni oggetto del conflitto, sicché queste ultime non possono essere considerate come divulgazione del contenuto di una tipica attività parlamentare. In nessuno di tali atti, si trovano, infatti, riportati tutti gli addebiti determinati mossi al querelante, cioè le specifiche affermazioni poste a base dell’imputazione di diffamazione aggravata contestata al deputato, potendosi da essi evincere – come rilevato dalla stessa difesa della Camera – solo la generale posizione critica dell’on. Sgarbi, intesa a «mettere in dubbio la correttezza dell’operato dei magistrati inquirenti e in particolare del dott. Caselli (vertice della Procura palermitana), sulla base di un giudizio specificamente politico della loro azione».
Da ultimo, e con riferimento agli atti funzionali a firma di altri parlamentari evocati dalla difesa della Camera nella memoria, va ribadito – a prescindere da ogni valutazione sulla loro conferenza – che tali atti sono irrilevanti ai fini della sussistenza della prerogativa costituzionale prevista dall’art. 68, primo comma, Cost. La verifica del nesso funzionale deve essere, infatti, effettuata con riferimento alla stessa persona, non potendosi configurare una sorta di insindacabilità di gruppo (ex plurimis, sentenze n. 98 del 2011, n. 97 del 2008, n. 151 e n. 97 del 2007).
5.– Si deve, quindi, concludere che la delibera della Camera dei deputati è stata adottata in violazione dell’art. 68, primo comma, Cost., ledendo le attribuzioni dell’autorità giudiziaria ricorrente, e deve essere, pertanto, annullata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara che non spettava alla Camera dei deputati affermare che le dichiarazioni rese dall’onorevole Vittorio Sgarbi, per le quali pende il procedimento penale davanti alla Corte d’appello di Milano, di cui al ricorso indicato in epigrafe, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
2) annulla, per l’effetto, la delibera di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 30 maggio 2007 (doc. IV-ter, n. 1-A).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 2011.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 dicembre 2011.