Sentenza n. 410 del 2008

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SENTENZA N. 410

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giovanni Maria                      FLICK                               Presidente

- Francesco                             AMIRANTE                          Giudice

- Ugo                                      DE SIERVO                                "

- Paolo                                    MADDALENA                           "

- Alfio                                      FINOCCHIARO                         "

- Alfonso                                 QUARANTA                              "

- Franco                                  GALLO                                       "

- Luigi                                      MAZZELLA                                "

- Gaetano                                SILVESTRI                                 "

- Sabino                                  CASSESE                                   "

- Maria Rita                             SAULLE                                      "

- Giuseppe                               TESAURO                                  "

- Paolo Maria                          NAPOLITANO                           "

- Giuseppe                               FRIGO                                        "

- Alessandro                            CRISCUOLO                              "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 2 agosto 2007 (doc. n. IV-quater, nn. 19 e 20), relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Carlo Taormina nei confronti della dottoressa Maria Del Savio Bonaudo e della dottoressa Stefania Cugge, rispettivamente, Procuratore della Repubblica e Sostituto Procuratore della Repubblica presso la Procura della Repubblica di Aosta, promosso con ricorso del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, notificato il 7 aprile 2008, depositato in cancelleria il 17 aprile 2008 ed iscritto al n. 15 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2007, fase di merito.

Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;

udito nell’udienza pubblica del 18 novembre 2008 il Giudice relatore Sabino Cassese;

udito l’avvocato Stefano Grassi per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1. – Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano ha sollevato, con ricorso dell’11 ottobre 2007, conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera adottata nella seduta del 2 agosto 2007 (doc. n. IV-quater, nn. 19 e 20), con la quale è stata dichiarata, ai sensi del primo comma dell’art. 68 della Costituzione, l’insindacabilità delle dichiarazioni del deputato Carlo Taormina, rispetto alle quali pende un procedimento penale.

Il ricorrente espone che il deputato Carlo Taormina è indagato del reato continuato di diffamazione a mezzo stampa (R.G.N.R. n. 90 del 2006) per avere, mediante due interviste pubblicate, l’una, sul quotidiano «La Stampa» in data 20 luglio 2004, e l’altra, sul periodico «Oggi» in data 11 agosto 2004, a commento della sentenza di condanna pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Aosta nei confronti di Anna Franzoni, da lui assistita in qualità di difensore, offeso la reputazione dei magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Aosta, Maria Del Savio Bonaudo e Stefania Cugge.

Il Giudice ricorrente richiama testualmente il contenuto delle dichiarazioni asseritamente diffamatorie, consistite nelle seguenti risposte al giornalista Marco Neirotti del quotidiano «La Stampa»: «L’accusa è fatta da marescialli di paese che hanno anche falsificato le prove»; ed, ancora, «abbiamo lasciato molto ad intendere, ma non si è voluto capire. Chi non ha voluto non ha capito», «Il problema sta nelle indagini non in quello che abbiamo detto noi»; nonché nelle seguenti risposte alla giornalista Anna Cecchi del settimanale «Oggi»: «Innanzitutto perché ero certissimo dell’assoluzione di Annamaria Franzoni e questa avrebbe supportato ulteriormente la nostra denunzia. Poi perché non ci fidiamo della Procura di Aosta che ha sempre indagato in una sola direzione»; «certo che c’è stata una caccia all’assassino. Visto che la Procura non cercava il colpevole, dovevamo pur farlo noi, chi altro? Io sono un estimatore della magistratura seria (…). So che ci sono magistrati bravi, altri influenzati dalla politica, altri ancora, ed è la cosa più preoccupante, incapaci. Ed è il caso dei magistrati che hanno indagato sul caso Cogne».

In fatto, il Giudice osserva che il procedimento penale a carico del deputato è scaturito da una querela proposta nei suoi confronti dalle persone offese e che la Camera dei deputati, nella seduta del 2 agosto 2007, in accoglimento della proposta formulata dalla Giunta per le autorizzazioni, ha riconosciuto, ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost., l’insindacabilità delle opinioni espresse dal parlamentare, per le quali pende procedimento penale.

Il Giudice ricorrente riporta testualmente il contenuto della relazione della Giunta per le autorizzazioni: «Il dibattito complesso e articolato, ai cui resoconti qui allegati si rimanda, e al quale si è accennato al paragrafo precedente, è venuto a conclusione nella seduta dell’11 luglio 2007, nella quale, con un orientamento maggioritario non contrastato da voti contrari, si è riconosciuta l’applicabilità dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione ai casi in esame. E’ risultato prevalente, infatti, l’avviso per cui l’interrogazione citata (allegata alla presente relazione) di fatto contenga concetti sostanzialmente analoghi a quelli contestati nei capi d’imputazione. Quando nell’interrogazione stessa si sostiene infatti che non risultano conformi all’etica professionale e alle doti di equilibrio, che dovrebbero caratterizzare il magistrato inquirente, le dichiarazioni rese dai pubblici ministeri a carico della Franzoni e quelle rese a critica di un provvedimento del giudice per le indagini preliminari; che occorre verificare se corrisponda a verità che gli investigatori non avrebbero, quanto meno per negligenza, adottato le doverose e necessarie cautele per preservare il luogo del delitto e che vi era stata la possibilità concreta che l’arma del delitto possa essere stata sottratta, in fondo si dice che vi sono state delle insufficienze professionali degli investigatori, tra i quali in primis rientrano i titolari dell’azione penale e cioè i pubblici ministeri.

Del resto, le espressioni “marescialli di paese”, “la Procuradi Aosta ha indagato in una sola direzione”, i magistrati che hanno indagato su Cogne sono degli “incapaci”, il processo di Cogne è quello “peggio istruito nella storia della Repubblica” sono tutte critiche non delle persone ma dell’operato istituzionale di queste e dunque non sono affatto il mero argumentum ad hominem che si ritiene non consentito dall’ordinamento (Cassazione, 26 febbraio 2003, Padovani in Dir, e Giust, 2003, n. 20, pag. 95). Ci si trova innanzi, invece, alla legittima critica dell’esercizio di una pubblica funzione, come la giurisprudenza ha affermato in varie occasioni.

Quanto all’integrità del quadro probatorio e ai relativi dubbi espressi dal Taormina, quest’ultimo ha depositato in data 4 luglio 2007 copia di un decreto di archiviazione del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Aosta relativo al procedimento penale n. 637/2003 RGNR - Aosta, a carico degli ufficiali del RIS di Parma. Costoro erano stati denunciati per falso ideologico e calunnia reale dalla famiglia Lorenzi-Franzoni per aver pretesamente alterato i luoghi e gli elementi di prova. Pur archiviata tale accusa, il Giudice per le indagini preliminari afferma in effetti che se in data 17 settembre 2002 era stata osservata e fotografata, all'interno del calco di materiale ematico-cerebrale, la presenza di un frammento talvolta definito come osseo, nella documentazione fotografica del successivo 24 ottobre, invece, tale frammento non era più visibile. Tale elemento viene definito nel decreto di archiviazione come “circostanza pacifica”. A questo, probabilmente, si riferiva il Taormina nelle sue esternazioni circa la falsificazione delle prove.

Le riserve che hanno portato all’astensione (ma non al voto contrario) di taluni componenti, motivate dal fatto che a loro avviso Carlo Taormina abbia esercitato con le dichiarazioni contestategli la professione forense e non il mandato parlamentare, sono apparse alla maggioranza superabili in ragione dí quanto già sostenuto dalla Giunta nella seduta del 19 luglio 2005, nella scorsa legislatura. In tale occasione il relatore Gironda Veraldi, riferendo su una questione sostanzialmente analoga alla presente (il citato doc. IV-quater, n. 117), argomentò che le due funzioni, quando esercitate congiuntamente, sono difficilmente distinguibili. Che tale fenomeno ponga problemi di opportunità è stato riconosciuto da diversi componenti, anche tra quelli che hanno votato per l’insindacabilità, ma ciò non ne ha cambiato l’orientamento di fondo.

Per completezza, si può aggiungere che nel ricorso per conflitto fra poteri del Tribunale di Milano contro la delibera attinente al caso trattato nella scorsa legislatura, il tribunale medesimo disconobbe il valore scriminante dell’interrogazione più volte menzionata per i rilievi critici mossi al colonnello Garofano, giacché essa si riferiva ai magistrati procedenti. Sicché, se ne dovrebbe dedurre che per ammissione stessa dell’autorità giudiziaria essa dovrebbe valere oggi a coprire le dichiarazioni oggetto della presente relazione.

Per questi motivi, a maggioranza e con distinte votazioni, la Giunta propone all’Assemblea di deliberare che i fatti oggetto dei procedimenti concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni» (doc. IV-quater, nn. 19 e 20).

Tanto preliminarmente rilevato, osserva il ricorrente che «non è agevole comprendere il nesso fra attività politica e dichiarazioni afferenti la consumazione di illeciti a carico di magistrati, che avrebbero dovuto essere denunciati e provati nelle sedi competenti e non già oggetto di interrogazione e dibattito di fronte al Parlamento come una tematica di carattere generale».

A parere del giudice ricorrente, la conclusione adottata dalla Camera dei deputati, inoltre, sarebbe contraria alla costante giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui debbono ritenersi sindacabili, in linea di principio, tutte quelle dichiarazioni che fuoriescono dal campo applicativo del «diritto parlamentare» e che non siano immediatamente collegabili con specifiche forme di esercizio di funzioni parlamentari, anche se siano caratterizzate da un asserito «contesto politico» o ritenute, per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in cui sono state rese, manifestazione di sindacato ispettivo (sentenze n. 140 del 2003 e n. 10 e n. 11 del 2000).

A parere del ricorrente, la deliberazione della Camera dei deputati, oggetto di conflitto, «appare in contrasto con i richiamati canoni interpretativi atteso che non contiene alcun elemento concreto da cui poter desumere la sussistenza di una corrispondenza sostanziale tra i contenuti delle dichiarazioni giornalistiche oggetto della querela e le opinioni espresse dal deputato in specifici atti parlamentari, non essendo sufficiente una mera comunanza di tematiche e un generico riferimento alla rilevanza di fatti pubblici».

D’altronde − aggiunge il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano − con l’interrogazione parlamentare del 22 aprile 2002, il deputato chiedeva al Ministro della giustizia di compiere accertamenti necessari – se del caso anche attivando i poteri disciplinari – in ordine ad una serie di fatti connessi con l’omicidio consumato a Cogne, censurando la mancata adozione da parte degli investigatori delle dovute cautele per proteggere il luogo del delitto da possibili inquinamenti probatori.

Il ricorrente osserva che nelle dichiarazioni in esame, invece, si attribuiscono agli inquirenti illeciti di rilevanza penale e che la mancanza di nesso funzionale è resa, altresì, palese dalla circostanza che le dichiarazioni asseritamente diffamatorie sono successive di oltre due anni rispetto al citato atto di funzione e trovano indubbio fondamento in una serie di specifiche conoscenze che l’on. Taormina non poteva possedere se non in quanto difensore nell’ambito del processo per l’omicidio di Cogne, ossia a titolo privato e professionale, senza alcun collegamento col mandato parlamentare.

Il Giudice ricorrente, sospeso il giudizio, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati e ha chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare che non spetta alla stessa Camera dei deputati affermare l’insindacabilità, a norma dell’art. 68, primo comma, Cost., della condotta attribuita al deputato e, conseguentemente, di annullare la delibera adottata nella seduta del 2 agosto 2007.

2. – Con ordinanza n. 84 del 2008, la Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto.

3. – Si è costituita in giudizio la Camera dei deputati, sostenendo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso sulla base delle motivazioni contenute nella relazione della Giunta per le autorizzazioni della Camera dei deputati (doc. IV-quater  nn. 19 e 20).

3.1. – In prossimità della data fissata per l’udienza, la Camera dei deputati ha depositato una memoria nella quale ha insistito nel sostenere l’infondatezza del ricorso.

In primo luogo, la difesa della Camera osserva che «del tutto correttamente» è stato ritenuto che le dichiarazioni oggetto del procedimento penale in esame fossero state espresse dal deputato quali esternazioni di opinioni già manifestate in atti parlamentari tipici e come tali assistite dalla prerogativa della insindacabilità a norma dell’art. 68, primo comma, Cost. A parere della Camera, infatti, «nel suo complesso, l’interrogazione presentata dal deputato era intesa a mettere in evidenza “quanto meno” la sostanziale, grave e generalizzata negligenza riscontrabile nella conduzione delle operazioni di indagine da parte dei magistrati del pubblico ministero, la quale, ad avviso dello stesso deputato, poteva aver alterato il corso del processo relativo al delitto di Cogne; nonché un intento persecutorio (con effetti, forse, anche diffamatori) della magistratura inquirente ed in particolare del Procuratore capo presso il Tribunale di Aosta, nei confronti della signora Anna Maria Franzoni». La difesa precisa, inoltre, che la citata interrogazione era stata presentata dal deputato prima dell’assunzione, da parte dello stesso, della difesa dell’imputata nel processo, avvenuta nel giugno 2002.

In secondo luogo, la difesa della Camera dei deputati, analizzando il contenuto delle successive esternazioni rese dal deputato, ritiene che le medesime siano tutte da ricondurre all’ambito di applicazione della prerogativa dell’art. 68, primo comma, Cost. come interpretato dal costante orientamento della giurisprudenza della Corte costituzionale, atteso che dette esternazioni «riprendono – in molti passaggi quasi letteralmente – le affermazioni critiche svolte nella citata interrogazione parlamentare e si concretano “nella sostanziale riproduzione di specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell’esercizio delle proprie attribuzioni”». A parere della difesa, contrariamente a quanto sostenuto dal Giudice ricorrente nell’atto introduttivo del conflitto, nella richiamata interrogazione parlamentare sarebbe possibile rinvenire tutti i contenuti sostanziali successivamente divulgati, «seppure con espressioni anche letteralmente diverse e di estrema sintesi», mediante le interviste in questione. La difesa evidenzia, al riguardo, che nel testo dell’interrogazione il deputato contestò le modalità di conduzione dell’attività istruttoria e, in particolare, sottolineò con l’espressione «quanto meno» l’asserita negligenza che avrebbe connotato la raccolta del materiale probatorio e la relativa conservazione.

In ordine al preteso carattere diffamatorio del contenuto delle esternazioni rese dal deputato, la difesa della Camera rammenta che la Corte costituzionale verifica la sussistenza o meno della guarentigia dell’insindacabilità prevista dall’art. 68, primo comma, Cost. «indipendentemente dall’eventuale contenuto diffamatorio delle dichiarazioni» (sentenze n. 152 del 2007 e n. 317 del 2006).

In merito alla pretesa insussistenza del legame temporale, la difesa della Camera osserva che «il lasso di tempo intercorso tra le due tipologie di espressione può costituire, al più, un elemento sintomatico in grado di rafforzare la conclusione circa la riscontrabilità o meno di tale corrispondenza». Peraltro, la difesa stessa rileva che la Corte costituzionale «non ha mai fornito l’indicazione di un lasso di tempo rigidamente predeterminato in astratto che sia in grado di costituire lo “spartiacque” tra “riproduzione” e non “riproduzione” extra moenia di atti di funzione».

Infine, a parere della difesa della Camera, «non può assumere alcun rilievo», nel giudizio costituzionale, l’altro elemento dal quale, secondo il Giudice ricorrente, dovrebbe ricavarsi la mancanza del nesso funzionale, e cioè il fatto che i contenuti delle dichiarazioni oggetto del procedimento penale a carico del deputato troverebbero «indubbio fondamento in una serie di specifiche conoscenze che lo stesso [deputato Taormina] non poteva possedere se non in quanto avvocato difensore nell’ambito del processo per l’omicidio di Cogne, ossia a titolo privato e professionale, senza alcun collegamento col mandato parlamentare». In proposito, la difesa richiama l’orientamento della Corte costituzionale secondo cui, ai fini della sussistenza della prerogativa dell’insindacabilità delle opinioni manifestate all’esterno dai membri delle Camere, va esclusa qualsiasi rilevanza della professione eventualmente esercitata dal parlamentare, con particolare riferimento alle esternazioni rese da parlamentari nella loro qualità di giornalisti professionisti (vengono richiamate le sentenze n. 330 e n. 135 del 2008 e n. 151 e n. 96 del 2007).

Considerato in diritto

1. – Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, con ricorso dell’11 ottobre 2007, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera adottata nella seduta del 2 agosto 2007 (doc. n. IV-quater, nn. 19 e 20) con la quale è stata dichiarata, a norma del primo comma dell’art. 68 della Costituzione, l’insindacabilità delle dichiarazioni del deputato Carlo Taormina, rispetto alle quali pende un procedimento penale (R.G.N.R. n. 90 del 2006).

Il Giudice ricorrente ritiene che «non è agevole comprendere il nesso fra attività politica e dichiarazioni afferenti la consumazione di illeciti a carico di magistrati».

Secondo il ricorrente, con l’interrogazione parlamentare del 22 aprile 2002, il deputato chiedeva al Ministro della giustizia di compiere accertamenti necessari, se del caso anche attivando i poteri disciplinari, in ordine ad una serie di fatti connessi con l’omicidio consumato a Cogne, censurando la mancata adozione da parte degli investigatori delle dovute cautele per proteggere il luogo del delitto da possibili inquinamenti probatori.

Il ricorrente osserva che nelle dichiarazioni in esame, invece, si attribuiscono agli inquirenti illeciti di rilevanza penale e che la mancanza di nesso funzionale è resa, altresì, palese dalla circostanza che le dichiarazioni asseritamente diffamatorie sono successive di oltre due anni rispetto al citato atto di funzione e trovano indubbio fondamento in una serie di specifiche conoscenze che l’on. Taormina non poteva possedere se non in quanto difensore nell’ambito del processo per l’omicidio di Cogne, ossia a titolo privato e professionale, senza alcun collegamento col mandato parlamentare.

2. – Preliminarmente, deve essere confermata l’ammissibilità del conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come già ritenuto da questa Corte nell’ordinanza n. 84 del 2008.

3. – Nel merito, il ricorso è fondato.

4. – Questa Corte ha da tempo adottato il criterio del cosiddetto nesso funzionale che deve legare le opinioni espresse dai parlamentari e la manifestazione di opinioni «extra moenia», al fine di verificare la sussistenza dell’immunità spettante ai membri delle Camere a norma dell’art. 68, primo comma, Cost.

Per orientamento costante, tale nesso ricorre ove siano riscontrabili contemporaneamente due elementi: il legame temporale tra l’attività parlamentare e l’attività esterna, in modo che esso riveli una finalità divulgativa; la sostanziale corrispondenza di significato tra opinioni espresse nell’esercizio di funzioni parlamentari e dichiarazioni esterne, non essendo sufficiente né una mera comunanza di argomenti, né un mero contesto politico cui esse possano riferirsi (sentenze n. 135 del 2008, n. 302 del 2007 e n. 371 del 2006).

Nel conflitto in esame, in primo luogo, tra l’atto tipico (interrogazione in data 22 aprile 2002, n. 3-00906) e le due interviste (rese l’una in data 20 luglio 2004 e l’altra in data 11 agosto 2004) vi è una distanza temporale talmente ampia da escludere il carattere divulgativo di tali esternazioni rispetto alla interrogazione (sentenze n. 317 e n. 258 del 2006).

In secondo luogo, tra le affermazioni rese dal deputato nelle interviste e quelle contenute nell’atto funzionale non è ravvisabile una sostanziale corrispondenza di significato.

Nell’interrogazione il deputato sollecitava un intervento disciplinare del Ministro della giustizia a causa sia delle dichiarazioni rese alla stampa dai magistrati inquirenti e dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Aosta, sia della asserita negligenza degli organi investigativi nello svolgimento delle indagini.

Nelle affermazioni fatte in una delle due interviste (quella resa il 20 luglio 2004), invece, il parlamentare, oltre a ribadire un giudizio di «incapacità» dei magistrati della Procura della Repubblica di Aosta, già espresso nella menzionata interrogazione, lamenta anche una circostanza diversa, ovvero la falsificazione di prove.

Tale dichiarazione del deputato non costituisce divulgazione del contenuto dell’atto funzionale, non ricorrendo la corrispondenza di significato.

Di conseguenza, la delibera della Camera dei deputati ha violato l’art. 68, primo comma, Cost., ledendo le attribuzioni dell’autorità giudiziaria ricorrente, e deve essere annullata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava alla Camera dei deputati affermare che le dichiarazioni rese dall’onorevole Carlo Taormina, per le quali pende un procedimento penale davanti al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, di cui al ricorso indicato in epigrafe, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

annulla, per l’effetto, la delibera di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 2 agosto 2007 (doc. n. IV-quater, nn. 19 e 20, limitatamente al R.G.N.R. n. 90 del 2006).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2008.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 12 dicembre 2008.