SENTENZA N. 302
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 7 ottobre 2003, relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Raffaele Tito promosso con ricorso della Corte d’Appello di Venezia – sezione IV penale, notificato il 25 gennaio 2006, depositato in cancelleria il 26 gennaio 2006 ed iscritto al n. 21 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2005, fase di merito.
Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;
udito nell’udienza pubblica del 19 giugno 2007 il Giudice relatore Paolo Maddalena;
udito l’avvocato Roberto Nania per la Camera dei deputati.
Ritenuto in fatto
1. ¾ Con ricorso depositato il 27 maggio 2005, la Corte d’appello di Venezia, quarta sezione penale, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in relazione alla delibera della Camera dei deputati del 7 ottobre 2003 (Doc. IV-quater, n. 19), con la quale si è dichiarato che i fatti per cui è in corso procedimento penale nei confronti del deputato Vittorio Sgarbi, pendente innanzi ad essa Corte d’appello, riguardano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, chiedendo che la predetta delibera venga annullata.
1.1. ¾ Il ricorrente espone, in fatto, che il deputato Sgarbi è imputato del reato di diffamazione pluriaggravata per avere, quale conduttore di quattro trasmissioni televisive della serie “Sgarbi quotidiani”, diffuse dall’emittente “Canale 5” nei giorni 10, 14, 18 gennaio e 24 luglio 1997, offeso la reputazione del magistrato Raffaele Tito in riferimento all’attività di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone da lui svolta nei procedimenti penali a carico del deputato Michelangelo Agrusti e del sindaco del Comune di Buia, Molinaro. Diffamazione che – secondo una sintetica ricostruzione del capo d’imputazione (formulato in base al richiamo integrale dei testi trascritti delle predette trasmissioni televisive, dei quali sono allegati al ricorso quelli delle trasmissioni del 10, 14 e 18 gennaio 1997) – si sarebbe concretata nell’addebito al magistrato Tito di aver approfittato della sua relazione sentimentale con la collega Anna Fasan, all’epoca dei fatti giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pordenone, per ottenere provvedimenti restrittivi e decisioni giurisdizionali compiacenti; addebito che traeva origine dal contenuto di un memoriale consegnato dal marito della Fasan, Danilo Da Re, al deputato Agrusti e da questi diffuso anche ad organi di stampa.
Il ricorrente – dopo aver ricordato che su tale vicenda era stata presentata, in data 22 dicembre 1996, un’interrogazione parlamentare dal deputato Armando Veneto – rammenta, poi, che in relazione ai predetti fatti erano state proposte due distinte querele, da parte del Tito e della Fasan. La querela della Fasan era stata conosciuta, per competenza territoriale, dal Tribunale di Treviso ed il relativo processo si era concluso con sentenza di proscioglimento, ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale in relazione all’art. 68, primo comma, Cost., dopo che il medesimo Tribunale aveva proposto ben due conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato in relazione alla delibera di insindacabilità della Camera dei deputati del 24 febbraio 1999, entrambi dichiarati inammissibili (da ultimo con ordinanza n. 358 del 2003).
Sulla querela del Tito, invece, si era aperto procedimento penale davanti al competente Tribunale di Venezia, il quale, con sentenza del 23 marzo – 13 giugno 2001, aveva condannato il deputato Sgarbi per i reati ascrittigli alla complessiva pena di un anno e un mese di reclusione e di lire 3 milioni di multa, oltre al risarcimento del danno, in solido con il responsabile civile Reti Televisive Italiane S.p.A., in favore del Tito.
Nel corso del giudizio di appello avverso tale sentenza era intervenuta, in data 7 ottobre 2003, la delibera di insindacabilità della Camera dei deputati in relazione ai fatti oggetto di cognizione da parte della Corte ricorrente.
1.2. ¾ Tanto premesso, la Corte d’appello di Venezia – escluso di dover provvedere immediatamente con sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato) e negata ogni rilevanza al precedente specifico costituito dal processo celebratosi dinanzi al Tribunale di Treviso, giacché i conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato sollevati da quel Tribunale sono stati decisi soltanto “in rito” dalla Corte costituzionale, rimanendone così impregiudicato il merito – argomenta sull’impossibilità di ricondurre i fatti oggetto del giudizio ad attività connessa alla funzione parlamentare del deputato Sgarbi, precisando che, alla stregua degli insegnamenti della giurisprudenza costituzionale, il nesso funzionale può individuarsi soltanto in riferimento a specifici atti parlamentari, giacché solo tale aspetto è essenziale ai fini della sussistenza della prerogativa dell’insindacabilità. Di conseguenza, secondo la Corte ricorrente, non inciderebbe sull’applicabilità di tale prerogativa il fatto che il parlamentare abbia utilizzato espressioni, in ipotesi diffamatorie, in veste di conduttore di una trasmissione televisiva, sulla base di un rapporto contrattuale retribuito con l’editore televisivo, giacché ad avere dirimente rilievo è proprio ed esclusivamente la circostanza che l’opinione manifestata all’esterno del Parlamento «sia funzionalmente connessa ai lavori parlamentari».
Tuttavia, si sostiene ancora nel ricorso, l’immunità deve reputarsi limitata «alle sole proprie opinioni espresse nei lavori parlamentari», risultando irrilevanti, come anche affermato con la sentenza n. 347 del 2004 della Corte costituzionale, gli atti parlamentari posti in essere da altri membri del Parlamento. Sicché, nella specie, poiché l’atto parlamentare cui si fa riferimento nella delibera di insindacabilità è del deputato Veneto e non già dell’on. Sgarbi, difetterebbe, ad avviso del giudice ricorrente, «questo essenziale presupposto per l’esercizio dello speciale potere attribuito dall’art. 68, primo comma, Cost. alla Camera dei deputati».
In ogni caso, prosegue la Corte d’appello di Venezia, si perverrebbe alla medesima conclusione anche aderendo all’interpretazione che consente di estendere la prerogativa dell’insindacabilità, propria di chi ha manifestato l’opinione nell’àmbito dei lavori parlamentari, a tutti gli altri membri del Parlamento. Estensione dell’immunità che sarebbe soggetta, però, allo stesso limite oggettivo che viene in rilievo per il parlamentare che quell’opinione abbia manifestato, e cioè che si tratti di «sostanziale ripetizione e non anche di integrazione o modificazione di quella espressa nell’ambito dei lavori parlamentari».
Nella fattispecie, si precisa nel ricorso, dovrebbe quindi verificarsi se sussista «sostanziale corrispondenza» tra il contenuto dell’interrogazione parlamentare proposta dal deputato Veneto in data 22 dicembre 1996 e le successive dichiarazioni televisive del deputato Sgarbi (il quale, peraltro, richiama specificamente detta interrogazione nella trasmissione del 10 gennaio 1997), oggetto del processo penale cui si riferisce la delibera di insindacabilità del 7 ottobre 2003.
Tale corrispondenza di contenuti, ad avviso della Corte ricorrente, deve essere esclusa.
In primo luogo, osserva la stessa Corte, nella interrogazione del deputato Veneto, che «si richiama sostanzialmente alla dichiarazione del marito della dottoressa Fasan», non si rinviene alcunché circa «il caso Molinaro (sindaco di Buia)», oggetto delle dichiarazioni televisive del 24 luglio 1997, mentre anche per tale vicenda è intervenuta condanna in primo grado da parte del Tribunale di Venezia. Sicché, in relazione a tale specifico fatto, è evidente l’esorbitanza da parte della Camera dei deputati dai propri poteri, essendo la delibera di insindacabilità intervenuta in relazione ad una vicenda mai specificamente affrontata in atti parlamentari.
Quanto poi alle affermazioni concernenti la vicenda del deputato Agrusti, su cui si sofferma l’interrogazione parlamentare del deputato Veneto, la Corte d’appello di Venezia, condividendo il giudizio espresso dal giudice di primo grado, pone in rilievo come dalla richiesta di accertamento urgente di fatti gravi, quali quelli riportati nel memoriale del marito della dottoressa Fasan, che costituisce il tenore dell’interrogazione parlamentare, si passi, nelle dichiarazioni incriminate, ad «un fatto accertato e come tale meritevole di censura» e si dia per scontato che «i due magistrati hanno avuto un legame sentimentale e sessuale fin da prima dell’inizio dei procedimenti interessanti l’Agrusti, dando vita ad un contesto dove il sesso e il lavoro si compenetravano ed il secondo era strumentalizzato e dipendente dal primo».
In definitiva, la Corte d’appello ricorrente sostiene che «l’opinione parlamentare del deputato Veneto nell’esternazione dello Sgarbi diviene altro fatto, altra opinione, opinione integrata e modificata» e come tale non riconducibile nell’ambito della prerogativa di cui all’art. 68, primo comma, Cost.
2. ¾ Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con ordinanza n. 473 del 28 dicembre 2005. A seguito di essa, la Corte d’Appello di Venezia, quarta sezione penale, ha notificato il ricorso e l’ordinanza alla Camera dei deputati in data 25 gennaio 2006 ed ha depositato tali atti, con la prova dell’avvenuta notificazione, il successivo 26 gennaio 2006.
3. ¾ Si è costituita in giudizio la Camera dei deputati, in persona del suo Presidente, per sentir dichiarare l’inammissibilità del conflitto; in subordine e nel merito, ha comunque chiesto che la Corte costituzionale dichiari che spettava ad essa il potere di dichiarare l’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost., in relazione alle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi secondo quanto deliberato dall’Assemblea in data 7 ottobre 2003.
3.1. ¾ Quanto all’eccezione in rito, la difesa della Camera osserva, anzitutto, che, avverso altra delibera di insindacabilità (in data 24 febbraio 1999), ma concernente le stesse dichiarazioni oggetto del presente conflitto (delibera, peraltro, richiamata espressamente da quella in data 7 ottobre 2003, attualmente impugnata), sono già intervenute due pronunce di inammissibilità della Corte costituzionale in altrettanti conflitti di attribuzione. Del resto, tale circostanza è evidenziata dallo stesso giudice ricorrente, il quale, nel porsi espressamente il problema dell’incidenza sull’attuale giudizio dei precedenti conflitti, ha ritenuto che il carattere “puramente processuale” delle relative decisioni consentirebbe appunto l’instaurazione del presente conflitto. Secondo la Camera, invece, ciò non sarebbe possibile, a meno di non voler sacrificare quella esigenza di «certezza nel campo dei rapporti tra poteri» ove, come nella fattispecie, «venga reiterato il conflitto sulle medesime dichiarazioni, ossia a prescindere dalla circostanza che esse siano state o meno scrutinate nel merito in sede di giudizio costituzionale».
3.2. ¾ Sempre in punto di ammissibilità del conflitto, la Camera dei deputati osserva che il ricorrente non ha riportato nel corpo dell’atto introduttivo del giudizio le «frasi incriminate», ma ha allegato al medesimo atto la trascrizione delle trasmissioni televisive nelle quali le stesse frasi sono state pronunciate, omettendo tuttavia di allegare la trascrizione della trasmissione in data 24 luglio 1997.
Pertanto, si argomenta ancora nella memoria, in relazione a queste ultime dichiarazioni il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile «per questo aspetto», non essendo stato assolto l’onere, imposto dall’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, di dar «conto in modo congruo ed adeguato delle dichiarazioni sulle quali verte il conflitto». Invero, conclude al riguardo la difesa della Camera, siffatto profilo di inammissibilità dovrebbe «ripercuotersi, stante la sua intima unitarietà, sull’intero atto introduttivo».
3.3. ¾ Nel merito, la Camera dei deputati svolge diffuse argomentazioni nel senso della infondatezza delle ragioni del ricorso.
3.3.1. ¾ Si sottolinea, anzitutto, che sarebbe “pertinente” la considerazione, espressa nella relazione della Giunta per le autorizzazioni del 4 luglio 2002, concernente la circostanza per cui «la questione giustizia era ed è all’evidenza un tema centrale del dibattito politico-parlamentare»; come sarebbe «ampiamente suffragata» la deduzione avanzata dalla relatrice nella seduta del 7 ottobre 2003 secondo la quale il deputato Sgarbi «si occupa quotidianamente dei problemi della giustizia, del contrasto alla malagiustizia». Sicché, la vicenda relativa al presente conflitto andrebbe inquadrata nella suddetta attività del deputato Sgarbi «e come tale le relative dichiarazioni possono ricadere nell’ambito di operatività della garanzia di cui si tratta, rilevando a riguardo le numerose attività di natura parlamentare poste in essere dal deputato», non potendo in nessun caso rilevare il fatto che le dichiarazioni stesse siano state manifestate all’esterno tramite il mezzo televisivo.
3.3.2. ¾ In ogni caso, prosegue la resistente, l’infondatezza del ricorso deriverebbe dal fatto che la delibera di insindacabilità si poggia sul «dato incontrovertibile» della preesistenza, rispetto alle dichiarazioni del deputato Sgarbi, dell’interrogazione presentata dal deputato Armando Veneto (n. 5/01331 del 22 dicembre 1996), «dei cui contenuti le dichiarazioni ora in esame costituiscono in definitiva una semplice divulgazione, posta sia la innegabile coincidenza contenutistica tra di esse riscontrabile sia l’esplicito riferimento in tal senso manifestato in sede di dichiarazioni esterne».
Né varrebbe, in senso contrario, il richiamo, fatto dallo stesso giudice ricorrente, alla sentenza della Corte costituzionale n. 347 del 2004, per la quale non potrebbe essere consentita l’immunità per dichiarazioni rese da altro parlamentare, giacché, nel caso in esame, le attuali dichiarazioni avrebbero un «carattere squisitamente divulgativo», non potendo essere private della garanzia di cui all’art. 68 Cost. proprio quelle espressioni che assolvano la funzione di «favorire il più alto grado di conoscenza da parte dell’opinione pubblica dei contenuti del dibattito parlamentare», e ciò «indipendentemente dal fatto che l’atto oggetto delle divulgazione risulti o meno imputabile al deputato che quelle dichiarazioni abbia reso».
Peraltro, deduce sempre la Camera, opinare il contrario significherebbe determinare una irragionevole disparità di trattamento tra parlamentari anche «in ipotesi di messaggi politici di identico contenuto e che assolvano alla medesima funzione», là dove inoltre lo stesso art. 3, comma 1, della legge n. 140 del 2003 si riferisce alla “divulgazione” come attività coperta da garanzia costituzionale «senza ulteriori e specifiche condizioni». Del resto, in siffatta prospettiva andrebbe letta la più recente giurisprudenza costituzionale (tra cui la sentenza n. 193 del 2005) che ha ritenuto «prioritario» lo scrutinio sulla convergenza contenutistica tra dichiarazioni esterne ed atto ispettivo presentato da parlamentare diverso da quello autore delle dichiarazioni medesime.
3.3.3. ¾ La Camera dei deputati osserva, quindi, che la Corte ricorrente ha comunque escluso la «sostanziale corrispondenza» di significati tra le dichiarazioni oggetto della delibera di insindacabilità impugnata e l’interrogazione parlamentare del deputato Veneto.
A tal fine, verrebbe erroneamente utilizzato, in primo luogo, l’argomento per cui nelle dichiarazioni rese nella trasmissione televisiva del 24 luglio 1997 si farebbe riferimento all’episodio del sindaco del Comune di Buia non menzionato nell’interrogazione parlamentare. Ad avviso della resistente, si tratterebbe, tuttavia, di un argomento, non soltanto riferentesi ad un episodio marginale rispetto ai contenuti essenziali concernenti la «stigmatizzazione delle gravi anomalie riscontrabili nei rapporti intercorrenti tra pubblico ministero e gip presso il tribunale di Pordenone», ma, in ogni caso, inammissibile, giacché, come in precedenza evidenziato, concernente dichiarazioni non riportate nel ricorso e neppure allegate al medesimo atto.
Inoltre, prosegue la difesa della Camera, il giudice ricorrente negherebbe la sostanziale corrispondenza di contenuti tra le dichiarazioni del deputato Sgarbi e l’interrogazione del deputato Veneto sul presupposto che «le dichiarazioni esternate si distaccherebbero, persino marcatamente […], dalla pregressa interrogazione», così da divenire «altro fatto, altra opinione, opinione integrata e modificata». Così facendo, però, la Corte d’Appello di Venezia mostra di ritenere che il nesso contenutistico «debba avere un carattere letteralmente ripetitivo», mentre esso – come ricordato dalla stessa giurisprudenza costituzionale (vengono richiamate tra le altre le sentenze n. 298 e n. 347 del 2004) – si configura come «sostanziale identità di contenuto critico», così da rendere partecipi della garanzia costituzionale anche le dichiarazioni che, sebbene collegate ad atti parlamentari, «ne reiterino il contenuto critico che ne scaturisce, ossia manifestando opinione adesive e confermative, e se del caso anche rafforzative, di siffatto nucleo contenutistico».
Peraltro, si argomenta ancora nella memoria, non sarebbe ammissibile una lettura che sminuisca «la portata dell’atto ispettivo di cui si parla, convertendolo in una sorta di asettico tramite del memoriale del quale si fa menzione nella medesima interrogazione», mentre sarebbe evidente in essa l’intenzione – peraltro confermata nel suo significato anche da successive interrogazioni dello stesso deputato Veneto (del 20 gennaio 1997, n. 5/01387, «pressoché contestuale alle dichiarazioni dell’on. Sgarbi», e del 24 novembre 1998, n. 4/20934) – di porre in rilievo l’esigenza di «salvaguardia degli utenti della giustizia e della stessa dignità delle Istituzioni» a fronte della «esistenza di una quadro assolutamente degradato dell’amministrazione della giustizia in Pordenone, tale da ritenere non più rinviabile un immediato intervento degli organi disciplinari».
3.3.4. ¾ La difesa della Camera assume, altresì, che non vi sarebbe «distanza incolmabile» tra l’interrogazione del deputato Veneto e le dichiarazioni oggetto della delibera di insindacabilità impugnata, giacché nelle seconde si fa esplicito riferimento sia alla denuncia citata nell’interrogazione parlamentare, «sia ai suoi specifici brani», tanto da potersi «riscontrare che in ambedue, al di là degli aspetti espositivi o di quelli di mero contorno, è indicata nominativamente la fonte delle accuse e delle rivelazioni in ordine alle ragioni dell’anomalo funzionamento degli uffici giudiziari presso il Tribunale di Pordenone con particolare riguardo alla vicenda dell’on. Agrusti».
Sicché, conclude la Camera dei deputati, ne risulterebbe «ulteriormente comprovato il legame con l’interrogazione presa a “parametro” dal ricorrente», dal momento che le dichiarazioni incriminate non solo richiamano l’interrogazione suddetta, oltre ad evocare i medesimi fatti, ma espongono la vicenda in questione – come pure era accaduto nell’atto ispettivo – «sotto la forma del resoconto, vivace quanto si vuole ma non per questo meno pertinente, del tenore delle denunzie inoltrate al riguardo».
4. ¾ In prossimità dell’udienza, la Camera dei deputati ha depositato memoria con la quale, riportandosi alle eccezioni e deduzioni già svolte nell’atto di costituzione, insiste per l’inammissibilità o, comunque, per il rigetto nel merito del ricorso.
Nel soffermarsi ad illustrare ulteriormente l’eccezione di inammissibilità del ricorso collegata alla circostanza per cui, in relazione alle medesime dichiarazioni sulle quali è intervenuta la delibera di insindacabilità attualmente oggetto di impugnazione, la Corte costituzionale si è già pronunciata, in ben due giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, per l’inammissibilità (sentenza n. 364 del 2001 e ordinanza n. 358 del 2003), la Camera dei deputati ribadisce che, nel presente giudizio, non può non trovare applicazione «la giurisprudenza costituzionale che, a far data dalla sentenza n. 116 del 2003, ha escluso la riproponibilità di un ricorso per conflitto che sia stato già dichiarato inammissibile e improcedibile».
Ad avviso della resistente, a siffatta soluzione non potrebbe opporsi che «il presente conflitto è stato elevato nel corso di altro procedimento giudiziario e che esso investa comunque una diversa delibera di insindacabilità ancorché relativa alle medesime dichiarazioni rese extra moenia dal deputato». Opinando in tal senso, si argomenta ancora nella memoria, verrebbe frustrata la ratio decidendi alla base della ricordata giurisprudenza, la quale si fonda su «un’esigenza di certezza nei rapporti tra poteri dello Stato», tale da non consentire il mantenimento «in via definitiva» di una situazione di conflittualità. E tale esigenza di certezza sarebbe frustrata anche là dove «alla dichiarazione di inammissibilità del conflitto non fossero ricollegati effetti preclusivi di ordine generale, che non si rivolgono, cioè, al singolo giudice che ha elevato il conflitto inammissibile o improcedibile, bensì al potere giudiziario nella sua interezza».
Peraltro, la nuova deliberazione di insindacabilità sulle medesime dichiarazioni assumerebbe – secondo la Camera dei deputati – «un ruolo puramente reiterativo (e per di più motivata da un criterio chiaramente prudenziale)», giacché i giudizi per conflitti di attribuzione ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost. «hanno ad oggetto in via diretta le opinioni espresse dal deputato e la sussistenza dei requisiti richiesti ai fini dell’attivazione della garanzia costituzionale»; sicché, le argomentazioni innanzi svolte a sostegno della inammissibilità o improcedibilità del presente conflitto non potrebbero essere inficiate dal fatto che sia sopravvenuta tale seconda deliberazione di insindacabilità.
Considerato in diritto
1. ¾ La Corte d’appello di Venezia, quarta sezione penale, con ricorso depositato il 27 maggio 2005, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in relazione alla delibera della Camera dei deputati del 7 ottobre 2003 (Doc. IV-quater, n. 19), con la quale l’Assemblea ha dichiarato che i fatti per cui è in corso procedimento penale nei confronti del deputato Vittorio Sgarbi, pendente innanzi ad essa Corte d’appello, riguardano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, chiedendo che la predetta delibera venga annullata.
Secondo la Corte d’appello, la Camera dei deputati, con la predetta delibera, avrebbe illegittimamente esercitato il proprio potere, affermando arbitrariamente l’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle dichiarazioni rese dal deputato Vittorio Sgarbi, quale conduttore di quattro trasmissioni televisive della serie “Sgarbi quotidiani”, nei giorni 10, 14, 18 gennaio e 24 luglio 1997.
Ricorda, infatti, la Corte ricorrente che, in base al capo d’imputazione, il deputato, nel corso delle predette trasmissioni televisive, avrebbe offeso la reputazione del magistrato Raffaele Tito in riferimento all’attività di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone da lui svolta nei procedimenti penali a carico del deputato Michelangelo Agrusti e del sindaco del Comune di Buia, Molinaro. Diffamazione che, nella sostanza, si sarebbe concretata nell’addebito al Tito di aver approfittato della sua relazione sentimentale con la collega Anna Fasan, all’epoca dei fatti giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pordenone, per ottenere provvedimenti restrittivi e decisioni giurisdizionali compiacenti.
Ad avviso della Corte d’appello di Venezia, non sarebbe possibile ricondurre i fatti oggetto di cognizione penale ad attività connessa alla funzione parlamentare, giacché, in primo luogo, la prerogativa dell’insindacabilità deve reputarsi circoscritta «alle sole proprie opinioni espresse nei lavori parlamentari», risultando irrilevanti gli atti parlamentari posti in essere da altri membri del Parlamento e, quindi, nella specie, l’interrogazione del deputato Armando Veneto del 22 dicembre 1996, alla quale si fa riferimento nella delibera impugnata. Ma anche a ritenere diversamente, nella fattispecie – sostiene sempre il giudice ricorrente – non potrebbe comunque giustificarsi la delibera assunta dalla Camera dei deputati, in quanto non vi sarebbe quella necessaria «sostanziale corrispondenza» tra il contenuto della predetta interrogazione parlamentare e le successive dichiarazioni televisive del deputato Sgarbi. Non solo, infatti, detta delibera non coprirebbe la vicenda del sindaco del Comune di Buia, ma, in ogni caso, «l’opinione parlamentare del deputato Veneto nell’esternazione dello Sgarbi diviene altro fatto, altra opinione, opinione integrata e modificata» e, come tale, non riconducibile nell’àmbito della prerogativa di cui all’art. 68, primo comma, Cost..
Donde il proposto conflitto di attribuzione, per aver la Camera dei deputati, tramite l’arbitrario esercizio del potere ad essa conferito dall’art. 68 Cost., interferito illegittimamente nelle attribuzioni dell’autorità giudiziaria, costituzionalmente garantite dall’art. 102 della Costituzione.
2. ¾ Preliminarmente, nello scrutinare l’ammissibilità del conflitto, già dichiarata nella fase senza contraddittorio con l’ordinanza n. 473 del 2005, devono essere esaminate le eccezioni sollevate dalla difesa della Camera dei deputati.
2.1. ¾ In base ad una prima eccezione, il conflitto dovrebbe essere dichiarato inammissibile, perché le medesime dichiarazioni oggetto della delibera di insindacabilità attualmente impugnata sono state già oggetto di una precedente delibera di insindacabilità (in data 24 febbraio 1999), rispetto alla quale l’Autorità giudiziaria ha proposto ben due conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, entrambi conclusisi con pronunce di inammissibilità rese da questa Corte (rispettivamente, con la sentenza n. 364 del 2001 e con l’ordinanza n. 358 del 2003). Ad avviso della Camera dei deputati, nel presente giudizio dovrebbe, quindi, trovare applicazione «la giurisprudenza costituzionale che, a far data dalla sentenza n. 116 del 2003, ha escluso la riproponibilità di un ricorso per conflitto che sia stato già dichiarato inammissibile e improcedibile».
2.1.2 ¾ L’eccezione non può trovare accoglimento.
Innanzitutto, la sua portata deve essere circoscritta alle dichiarazioni che, in riferimento alle due diverse delibere di insindacabilità innanzi menzionate, si sovrappongono interamente e cioè alle dichiarazioni rese dallo Sgarbi nelle trasmissioni del 10, 14 e 18 gennaio 1997. Resterebbero fuori, dunque, le dichiarazioni concernenti il «caso del sindaco di Buia», relative alla trasmissione del 24 luglio 1997, anch’esse coperte dalla delibera del 7 ottobre 2003, attualmente impugnata, ma non da quella del 24 febbraio 1999 che concerne, appunto, le dichiarazioni rese dal deputato nelle predette trasmissioni del gennaio 1997 relative – per quanto interessa in questa sede – alla vicenda “Tito-Fasan-Agrusti”.
Ciò precisato, le dichiarazioni in esame, sebbene assunte unitariamente da entrambe le delibere di insindacabilità, sono apprezzabili partitamente in relazione alle posizioni dei vari soggetti alle quali si indirizzano, tant’è che esse hanno concretato (nella prospettazione accusatoria dei capi d’imputazione e, per il Tito, anche secondo la sentenza di condanna dello Sgarbi in primo grado) due distinti reati di diffamazione, per la lesione della reputazione di due diverse persone. E difatti, in relazione a tali reati si sono aperti due differenti procedimenti giudiziari, dinanzi a distinti giudici penali: il Tribunale di Treviso per le dichiarazioni concernenti la Fasan e, per quelle concernenti il Tito, dapprima il Tribunale di Venezia e poi l’attuale ricorrente Corte d’appello di Venezia.
Di qui, la necessità delle due delibere di insindacabilità, rispetto alle dichiarazioni indirizzate alla Fasan ed al Tito, avvertita consapevolmente anche dalla Camera dei deputati, come si evince chiaramente là dove, nella relazione della Giunta per le autorizzazioni presentata il 4 luglio 2002, viene affermato che la delibera assunta il 24 febbraio 1999 ha «riguardato un fatto parzialmente diverso, vale a dire le affermazioni rese, sia pure nelle stesse puntate di una trasmissione televisiva, ma all’indirizzo di una persona diversa e senza alcuni riferimenti rivolti precipuamente alla parte offesa del procedimento di Venezia».
In tale prospettiva, va ribadito quanto già in precedenza questa Corte ha avuto modo di affermare con la sent. n. 265 del 1997 (richiamata nella stessa relazione della Giunta per le autorizzazioni), e cioè che l’effetto inibitorio della deliberazione di insindacabilità, rappresentando una deroga eccezionale, fondata sull'art. 68 della Costituzione, alla normale esplicazione della funzione giurisdizionale, presuppone che essa si riferisca specificamente alle “opinioni” che sono oggetto del giudizio che viene “inibito”, non essendo sufficiente «una generica valutazione del contesto documentale nel quale le dichiarazioni sono contenute a “coprire” manifestazioni di opinione diverse da quelle sulle quali la Camera sia stata chiamata a pronunciarsi» e che a loro volta delimitano l’oggetto e dunque gli effetti della delibera di insindacabilità.
Non è, quindi, pertinente invocare l’estensione della ratio decidendi seguita dalla sentenza n. 116 del 2003 di questa Corte, giacché l’esigenza costituzionale che il giudizio per conflitto, una volta instaurato, sia concluso in termini certi non rimessi alle parti confliggenti può trovare rilievo nelle ipotesi di conflitto sollevato più volte dalla stessa autorità giudiziaria per gli stessi fatti, coperti da specifica e pertinente delibera di insindacabilità; dunque, in presenza di una fattispecie, con tutta evidenza, differente da quella in esame.
2.1.3. ¾ Con la seconda eccezione la Camera dei deputati chiede che il conflitto sia dichiarato inammissibile rispetto alle dichiarazioni pronunciate dal deputato Sgarbi nella trasmissione televisiva “Sgarbi quotidiani” del 24 luglio 1997, in cui si fa riferimento al caso del sindaco di Buia – delle quali, diversamente dalle dichiarazioni rese nelle trasmissioni televisive del 10, 14 e 18 gennaio 1997, non è allegata al ricorso la relativa trascrizione integrale – non avendo il ricorrente assolto, in tal modo, all’onere di cui all’art. 26 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Peraltro, ad avviso della difesa della Camera, siffatto profilo di inammissibilità dovrebbe «ripercuotersi, stante la sua intima unitarietà, sull’intero atto introduttivo».
La giurisprudenza di questa Corte ha più volte rammentato la necessità che il ricorso per conflitto, perché possa essere scrutinato nel merito, indichi i fatti che ne sono all’origine e, segnatamente, il reale contenuto delle dichiarazioni attribuite al deputato, oggetto della delibera di insindacabilità (da ultimo, sentenze n. 152, n. 97, n. 53, n. 52 del 2007).
Nella fattispecie, appare evidente che, in relazione alla vicenda del sindaco di Buia, non soltanto manca la trascrizione della trasmissione televisiva (del 24 luglio 1997) nel corso della quale sono state rese le dichiarazioni incriminate ed oggetto della delibera di insindacabilità, ma del contenuto di tali dichiarazioni neppure sommariamente viene dato conto nel ricorso.
Del resto, il fatto che dette dichiarazioni non risultino specificate nemmeno nella delibera della Camera del 7 ottobre 2003 (e neanche nella relazione della Giunta del 2002), non può assumere rilievo alcuno, giacché appare incontrovertibile che la medesima deliberazione della Camera investa anche le predette dichiarazioni.
L’eccezione deve quindi essere accolta in riferimento alle sole dichiarazioni rese dal deputato Sgarbi nella trasmissione televisiva del 24 luglio 1997, mentre è priva di fondamento nella sua richiesta estensione a tutto il ricorso introduttivo del presente giudizio, giacché risultano del tutto scindibili, già in punto di solo fatto, le dichiarazioni rese dal predetto parlamentare concernenti i due casi sopra menzionati.
Il conflitto va dunque dichiarato inammissibile in parte qua; deve trovare, invece, conferma la sua ammissibilità in riferimento alle restanti dichiarazioni del 10, 14 e 18 gennaio 1997, oggetto sia del procedimento penale pendente dinanzi al giudice ricorrente, sia della impugnata delibera di insindacabilità.
3. ¾ Nella parte in cui è ammissibile la delibazione nel merito, il ricorso è fondato.
3.1. ¾ In punto di verifica della sussistenza della prerogativa di cui all’art. 68, primo comma, Cost., questa Corte è ferma nel ritenere che il mero “contesto politico”, o comunque l’inerenza a temi di rilievo generale, entro cui le dichiarazioni si possono collocare, non vale in sé a connotarle quali espressive della funzione parlamentare, ove esse, non costituendo la sostanziale riproduzione delle specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell'esercizio delle proprie attribuzioni, siano non già il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita democratica mediante le proprie opinioni e i propri voti, ma una ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell'esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dall'art. 21 della Costituzione (tra le molte, da ultimo, sentenza n. 152 del 2007).
Vanno annoverate nel più generale “contesto politico” – e, specificamente, nel tema della cosiddetta “malagiustizia” (cfr. delibera Camera del 7 ottobre 2003) – le opinioni espresse dal deputato Sgarbi nella sede parlamentare tramite le interrogazioni prodotte dalla difesa della Camera [interrogazioni del 15 dicembre 1995 (n. 4/17030), del 17 giugno 1994 (n. 4/01516), del 16 giugno 1994 (4/01430), del 15 settembre 1998 (n. 4/19564; quest’ultima, peraltro, successiva alle dichiarazioni incriminate]. Gli atti indicati non possono, dunque, essere invocati utilmente per fondare un positivo giudizio di verifica sul cosiddetto “nesso funzionale” rispetto alle dichiarazioni incriminate.
3.2. ¾ Non potrebbe, invece, negarsi che tra queste ultime dichiarazioni e l’interrogazione parlamentare del deputato Armando Veneto del 22 dicembre 1996, temporalmente contigua alle trasmissioni televisive in questione, si possa profilare un legame contenutistico diverso da quello che connota la mera comunanza di tema politico.
Sennonchè è dirimente il fatto stesso che l’interrogazione proviene da parlamentare diverso da quello che è autore delle dichiarazioni oggetto della delibera di insindacabilità impugnata. Questa Corte, infatti, si è più volte espressa in ipotesi analoghe (sentenze n. 151 del 2007, n. 317 del 2006, n. 260 del 2006, n. 249 del 2006, n. 146 del 2005 e n. 347 del 2004) per l’insussistenza della copertura dell’art. 68, primo comma, Cost., sul rilievo che, se è vero che le guarentigie ivi previste sono poste a tutela delle istituzioni parlamentari nel loro complesso e non si risolvono in privilegi personali dei deputati e dei senatori, non si può trarre, tuttavia, la conseguenza che esista una tale fungibilità tra i parlamentari da produrre effetti giuridici sostanziali nel campo della loro responsabilità civile e penale per le opinioni espresse al di fuori delle Camere.
In siffatta prospettiva, l’interrogazione del deputato Veneto del 22 dicembre 1996 (e tanto più quella, del medesimo deputato, del 24 novembre 1998, successiva alle dichiarazioni incriminate) costituisce, dunque, “atto parlamentare irrilevante”.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, proposto dalla Corte d’appello di Venezia, quarta sezione penale, nei confronti della Camera dei deputati con il ricorso in epigrafe indicato, nella parte in cui si riferisce alle dichiarazioni del deputato Vittorio Sgarbi, oggetto del procedimento penale pendente davanti alla predetta Corte d’appello ricorrente, pronunciate in data 24 luglio 1997 e dichiarate insindacabili con la delibera della Camera dei deputati del 7 ottobre 2003 (Doc. IV-quater, n. 19);
dichiara che non spettava alla Camera dei deputati deliberare che le restanti dichiarazioni rese dal deputato Vittorio Sgarbi nelle date 10, 14 e 18 gennaio 1997, oggetto del procedimento penale pendente davanti alla Corte d'appello di Venezia, quarta sezione penale, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;
annulla, per l’effetto, la deliberazione di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 7 ottobre 2003 (Doc. IV-quater, n. 19), nella parte in cui si riferisce alle dichiarazioni del deputato Vittorio Sgarbi rese nelle date 10, 14 e 18 gennaio 1997.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2007.