Ordinanza n. 358/2003

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 358

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY    

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE                         

- Giovanni Maria FLICK                    

- Francesco AMIRANTE                   

- Ugo DE SIERVO                 

- Romano VACCARELLA                

- Paolo MADDALENA                     

- Alfio FINOCCHIARO                    

ha pronunciato la seguente                  

ORDINANZA

nel giudizio di ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 24 febbraio 1999 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall'on. Vittorio Sgarbi nei confronti della dottoressa Anna Fasan, promosso dal Tribunale di Treviso – sezione penale – con ricorso depositato l'11 giugno 2002 ed iscritto al n. 224 del registro ammissibilità conflitti.

Udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2003 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che, con ricorso del 18 aprile 2002, notificato il 21 maggio 2002 a mezzo del servizio postale, il Tribunale di Treviso, sezione penale, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla deliberazione, adottata il 24 febbraio 1999 (doc. IV-quater, n. 60), secondo la quale le dichiarazioni oggetto del procedimento penale a carico del deputato Vittorio Sgarbi per il reato di diffamazione a mezzo stampa, asseritamente offensive della reputazione della dottoressa Anna Fasan, G.i.p. del Tribunale di Pordenone, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, con conseguente insindacabilità a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

che il Tribunale espone che lo stesso conflitto, già dichiarato ammissibile con ordinanza di questa Corte n. 3 del 2000, e, poi, dichiarato inammissibile per difetto del petitum con la sentenza n. 364 del 2000, viene ora riproposto;

che il ricorrente premette che i fatti per cui si procede contro l'on. Sgarbi riguardano le dichiarazioni rilasciate nei confronti del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pordenone, Anna Fasan, nel corso delle trasmissioni televisive "Sgarbi quotidiani" del 10, 14, 18 gennaio 1997 e 28 luglio 1997;

che nel ricorso si rileva, ancora, che le espressioni utilizzate dal parlamentare in dette occasioni sono state definite dallo stesso Relatore della Giunta per le autorizzazioni a procedere "astrattamente diffamatorie" e "caratterizzate da uno stile particolarmente insinuante", degne di essere "censurate" per gli "eccessi verbali"; ciononostante il parere della Giunta è stato nel senso dell'insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato, assumendosi, in particolare, che le dichiarazioni stesse "si ricollegano ad una generica funzione di informazione e ad un non meglio precisato esercizio del diritto di satira"; l'Assemblea della Camera dei deputati ha, quindi, recepito il parere della Giunta, deliberando, in data 24 febbraio 1999, l'insindacabilità delle opinioni espresse dal suo componente;

che, ciò premesso, il Tribunale contesta, con ampie argomentazioni, la sussistenza dei presupposti della deliberazione di insindacabilità, osservando, anzitutto, che le espressioni diffamatorie oggetto dell'imputazione sarebbero state rese non in sede istituzionale, né nelle forme tipiche della funzione, bensì nel corso di una trasmissione televisiva "non qualificabile come tipicamente politica ... ma ricollegabile ad una attività professionale di natura giornalistica"; sostiene, ancora, che, nel corso delle trasmissioni televisive, l'on. Sgarbi non avrebbe fatto riferimento alcuno ad atti parlamentari, né tanto meno all'interpellanza presentata dall'on. Veneto sulle vicende relative agli Uffici giudiziari di Pordenone, quale atto richiamato dalla difesa del deputato soltanto a seguito delle querele presentate dalla persona offesa;

che il ricorso aggiunge che, a differenza di detta interpellanza, in cui i fatti sarebbero presentati in modo dubitativo, le dichiarazioni televisive darebbero "per scontati i fatti" e su questi innesterebbero "una serie di insinuazioni a carattere personale …. di contenuto pesantemente ingiurioso e lesivo dell'altrui reputazione", ove "l'aspetto denigratorio" risulterebbe "assolutamente prevalente ... rispetto anche ad una ipotizzata funzione informativa"; ed assume, poi, che il giudizio della Giunta, recepito dall'Assemblea, "non tiene assolutamente conto di questi elementi di fatto, riferendosi ad un presunto diritto di critica, di cronaca e di satira";

che il Tribunale ricorrente sostiene che i limiti posti dai regolamenti parlamentari alle modalità e alle forme di esercizio della relativa funzione dovrebbero reputarsi sussistenti "non solo nello svolgimento delle attività istituzionali intra moenia ma anche al di fuori di dette sedi", concretandosi, altrimenti, una palese disparità di trattamento tra parlamentari e cittadini (con violazione dell'art. 3 della Costituzione), in quanto soltanto i secondi sarebbero tenuti al rispetto dei principi e dei limiti imposti al diritto di manifestazione del pensiero;

che in ragione di quanto sopra il Tribunale di Treviso ritiene che la deliberazione di insindacabilità, oggetto di conflitto, lederebbe la sfera di attribuzione costituzionalmente garantita a lui giudice, concretando un illegittimo esercizio del potere spettante alla Camera, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;

che il ricorrente conclude, pertanto, chiedendo che questa Corte voglia dichiarare che non spetta alla Camera dei deputati deliberare che i fatti per i quali è in corso davanti al Tribunale di Treviso il processo penale nei confronti dell’on. Sgarbi concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, e che, di conseguenza, venga annullata per incompetenza la deliberazione in tal senso adottata dalla Camera e dichiarato "il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione, indicandolo … nel Tribunale di Treviso".

Considerato che in questa fase la Corte è chiamata, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a delibare se il ricorso sia ammissibile;

che, in via preliminare, occorre osservare che il Tribunale di Treviso, in riferimento alla delibera della Camera dei deputati del 24 febbraio 1999 (doc. IV -quater, n. 60), ripropone il conflitto di attribuzione che questa Corte ha, una prima volta, dichiarato inammissibile, ritenendo del tutto prioritario il rilievo della "necessaria indicazione del petitum" e quindi del mancato adempimento da parte del ricorrente dell'onere "di precisare nell'atto di promovimento del conflitto, l'oggetto della domanda" (sentenze n. 364 e n. 363 del 2001);

che acquista rilevanza decisiva la circostanza che il conflitto contro la stessa delibera della Camera venga proposto per la seconda volta nel medesimo procedimento e grado giurisdizionale dall’identico giudice, cosicché si pone in essere una situazione processuale che appare in oggettivo contrasto con quanto stabilito da questa Corte nella sentenza n. 116 del 2003, secondo cui le finalità e la particolarità dell'oggetto del conflitto di attribuzione tra poteri fanno emergere, nel quadro della disciplina della legge 11 marzo 1953, n. 87, "l'esigenza costituzionale che il giudizio, una volta instaurato, sia concluso in termini certi non rimessi alle parti confliggenti";

che non è quindi ammissibile mantenere indefinitamente in sede processuale una situazione di conflittualità tra poteri, protraendo così ad libitum il ristabilimento della "certezza e definitività di rapporti", essenziale ai fini di un regolare svolgimento delle funzioni costituzionali (cfr. sentenza n. 116 e ordinanze n. 153 e n. 188 del 2003);

che pertanto deve essere esclusa, sulla base delle argomentazioni già svolte da questa Corte e che qui si ribadiscono, la riproponibilità (dopo una dichiarazione di inammissibilità) del conflitto in esame, e, conseguentemente, lo stesso deve essere dichiarato inammissibile (ordinanze n. 214 e n. 277 del 2003).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Tribunale di Treviso, nei confronti della Camera dei deputati, con l'atto indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente e Redattore

Depositata in Cancelleria il 12 dicembre 2003.