Sentenza n. 137/2001

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 137

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO            

- Massimo VARI                     

- Riccardo CHIEPPA                         

- Gustavo ZAGREBELSKY                         

- Valerio ONIDA                                

- Carlo MEZZANOTTE                                 

- Fernanda CONTRI                           

- Guido NEPPI MODONA                           

- Piero Alberto CAPOTOSTI                         

- Annibale MARINI                           

- Franco BILE                         

- Giovanni Maria FLICK                                

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito delle delibere della Camera dei deputati del 16 marzo 1999 relative alla insindacabilità dei fatti per i quali é in corso procedimento penale n. 4771/98 nei confronti dei deputati Roberto Maroni ed altri, promosso dalla Corte di appello di Milano, notificato il 21 febbraio 2000, depositato in cancelleria in data 8 marzo 2000 ed iscritto al n. 13 del registro conflitti 2000.

  Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;

  udito nell'udienza pubblica del 6 febbraio 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona;

  udito l'avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati:

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza in data 8 giugno 1999, emessa nell’ambito di un procedimento penale a carico dei deputati Roberto Maroni, Umberto Bossi, Mario Borghezio, Davide Carlo Caparini, Piergiorgio Martinelli e Roberto Calderoli, la Corte di appello di Milano ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera di insindacabilità, adottata dall’Assemblea il 16 marzo 1999, secondo la quale i fatti per i quali é in corso il procedimento penale, con eccezione, per il solo deputato Borghezio, del reato di resistenza, concernono opinioni espresse da membri del Parlamento nell’esercizio delle loro funzioni, con conseguente insindacabilità, a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

I predetti deputati erano stati rinviati a giudizio davanti al Pretore di Milano, che li aveva condannati per i reati di resistenza e di oltraggio a pubblico ufficiale, commessi in Milano il 18 settembre 1996, in occasione di una perquisizione disposta dal Procuratore della Repubblica di Verona nei confronti di certo M. C., e poi estesa ad un locale ritenuto nella disponibilità del predetto presso la sede di Milano del Partito Lega Nord. In pendenza del giudizio di secondo grado, era pervenuta alla Corte d’appello la delibera con la quale la Camera dei deputati si era espressa per la insindacabilità dei fatti oggetto di entrambe le imputazioni, con eccezione, per il solo deputato Borghezio, del reato di resistenza.

Con riferimento al reato di resistenza la Corte ricorrente rileva che la delibera della Camera si é discostata dalla proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, che si era pronunciata, per tutti i parlamentari, nel senso che gli atti integranti tale reato, per la loro natura violenta, erano estranei al concetto di opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, ed aveva limitato la proposta di insindacabilità ai soli fatti di oltraggio, ritenendo che le espressioni usate dai deputati ("fascisti", "mafiosi", "Pinochet"), <<benchè in astratto di natura ingiuriosa>>, potevano essere considerate <<manifestazione di critica politica nel contesto di una protesta di valore anche simbolico svolta da deputati esponenti di un partito politico di opposizione>>.

In particolare, la Corte ricorrente ricorda che il relatore della Giunta on. Borrometi aveva ravvisato il nesso funzionale tra i fatti contestati a titolo di oltraggio e l’attività parlamentare nella <<decisa battaglia [...] condotta (dagli esponenti della Lega nord) a favore della loro tesi politica tanto da ottenere la legittimazione della denominazione del loro gruppo parlamentare, il cui fine [...] é individuato nell’indipendenza della Padania. In questo senso la viva protesta, anche attraverso epiteti ingiuriosi, a fronte di un’attività della polizia che, sia pur legittima, appariva simbolicamente come una minaccia nei confronti di tali fini, può essere qualificata come manifestazione di opinioni espresse nell’esercizio di funzioni parlamentari>>. La Corte di appello di Milano ritiene però che nell’azione di difesa di una tesi strettamente programmatica e politica non si possa configurare, <<sol perchè non estranea a rivendicazioni avanzate anche nell’ambito parlamentare, quel nesso con le funzioni proprie dei deputati - quand’anche da intendersi estese all’espletamento del mandato ricevuto dagli elettori e non circoscritte intra moenia - che é presupposto essenziale del potere valutativo attribuito alle Camere>>.

Ad avviso della Corte ricorrente, il nesso funzionale é ancor meno ravvisabile con riferimento ai fatti contestati come reato di resistenza, <<la cui rilevanza penale sta nella contrapposizione violenta a quello stesso potere statuale di cui la funzione parlamentare é espressione di rango elevato>>; in tale senso - prosegue la Corte - si era espressa la stessa Giunta per le autorizzazioni a procedere, che aveva escluso ogni possibile collegamento tra le condotte contestate a titolo di resistenza, <<ancorchè lette nel contesto di protesta ideologica da cui si muove l’azione politica della Lega nord>>, e le funzioni parlamentari esercitate dagli imputati.

La Corte conclude che le delibere di insindacabilità avrebbero compresso la sfera di attribuzione propria del potere giudiziario, precludendo a quest’ultimo la cognizione in ordine alla rilevanza penale dei fatti contestati ed alla loro riferibilità agli imputati, e pertanto solleva <<conflitto di attribuzione in ordine al corretto uso del potere di decidere con riferimento alla ricorrenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 68, comma 1, della Costituzione, come esercitato dalla Camera dei deputati con delibere del 16.3.1999>>.

Il conflitto, dichiarato ammissibile con ordinanza 17 gennaio 2000, n. 16, é stato notificato alla Camera dei deputati il 21 febbraio 2000 e depositato, con la prova dell'avvenuta notifica, l'8 marzo 2000.

2. - La Camera dei deputati si é costituita il 6 marzo 2000 in persona del Presidente, on. Luciano Violante, rappresentato e difeso dall'Avv. Massimo Luciani, chiedendo in via preliminare che la Corte costituzionale dichiari irricevibile o inammissibile il conflitto, perchè promosso con ordinanza, e non con ricorso, e in subordine, nel merito, che la Corte dichiari che spettava alla Camera affermare l'insindacabilità, ai sensi dell'art. 68, comma primo, Cost. delle opinioni espresse dai deputati sopra menzionati.

Pur prendendo atto della più recente giurisprudenza della Corte (sentenze nn. 10, 11, 56 e 58 del 2000), che ha ritenuto irrilevante il nomen juris dell'atto introduttivo e ha affermato che la forma dell'ordinanza non può, di per sè sola, comportare la irricevibilità del conflitto, la Camera resistente ritiene che l'ordinanza che ha promosso il conflitto sia comunque priva di almeno due dei requisiti specificamente prescritti e, cioé, dell'indicazione delle norme costituzionali che regolano la materia e della richiesta di una pronuncia della Corte che dichiari che non spetta alla Camera la valutazione contenuta nella deliberazione impugnata e la annulli.

Circa il primo requisito, la sola indicazione dell'art. 68 Cost. sarebbe infatti insufficiente a individuare anche la sfera di attribuzioni riservata all'autorità giudiziaria; in ordine al secondo, nè nel dispositivo, nè nella motivazione dell'ordinanza della Corte di appello comparirebbero le richieste di non spettanza e di annullamento della delibera, limitandosi la ricorrente a chiedere alla Corte una pronuncia sul <<corretto uso>> del potere conferito alla Camera dall'art. 68 Cost.

In ogni caso il conflitto dovrebbe essere dichiarato irricevibile anche per la mancanza, nel dispositivo dell'ordinanza della Corte d'appello di Milano, dell'ordine al cancelliere di notificare l'atto alla Camera, in quanto

l'intera procedura seguita dal ricorrente dovrebbe corrispondere a quella stabilita per gli atti giudiziari, sicchè la notifica dovrebbe trovare il suo fondamento in un ordine del giudice.

3. - Nel merito, la Camera dei deputati rileva che la giurisprudenza costituzionale avrebbe <<optato [...] per una posizione intermedia tra quella di chi ritiene che la garanzia di cui all'art. 68, comma primo, Cost. copra solo gli atti parlamentari tipici [...] e quella di chi sostiene che da tale garanzia sia coperta tutta l'attività politica comunque svolta dai parlamentari [...]>>.

A conferma di tale orientamento, la Camera richiama numerose sentenze, emesse dal 1993 sino alla sentenza n. 417 del 1999, con la quale la Corte, nel ribadire il nesso funzionale tra le opinioni espresse e l'esercizio delle funzioni parlamentari, ha fatto riferimento al <<complessivo contesto parlamentare>> in cui le opinioni sono state manifestate. La difesa della Camera prende poi atto del recente mutamento di indirizzo della Corte (vengono richiamate le sentenze nn. 10, 11, 56 e 58 del 2000), che, peraltro, non sarebbe ancora consolidato.

In relazione ai fatti integranti il reato di oltraggio, la Camera, richiamandosi alla sentenza n. 417 del 1999, osserva che l'intera attività politica dei parlamentari della Lega Nord é <<improntata all'affermazione dell'autonomia e dell'indipendenza di una parte del Paese dal governo centrale>>, come dimostrato anche dai numerosi interventi in sede parlamentare a sostegno della legittimità del termine "Padania"; in tale situazione non dovrebbe esservi dubbio che i parlamentari inquisiti <<abbiano interpretato la perquisizione nella sede del partito come un attentato all'autonomia e all'indipendenza del partito stesso e del connesso gruppo parlamentare>> e, di conseguenza, che le opinioni manifestate in quel contesto debbano collegarsi <<ai numerosi interventi, svolti in sede parlamentare, per la rivendicazione dell'autonomia e dell'indipendenza dal potere centrale>>.

La Camera resistente sostiene infine che anche il recente mutamento di indirizzo della Corte, secondo cui non sarebbe più sufficiente, ai fini della insindacabilità, la <<corrispondenza tra le opinioni espresse e il contesto politico>>, ma sarebbe necessaria <<una corrispondenza sostanziale tra le opinioni manifestate extra moenia e il contenuto di atti funzionali compiuti in Parlamento>>, non può certo riferirsi all'ipotesi di <<opinioni manifestate in presenza di fatti nuovi e imprevedibili>>, quali sono appunto quelle rese durante una perquisizione, non essendo possibile pretendere una <<formale "anticipazione" di tali opinioni in sede parlamentare>>.

Per quanto concerne, poi, i fatti per i quali é stato ravvisato il reato di resistenza, premesso che un'opinione può essere manifestata con qualsiasi mezzo e non solo tramite forme verbali, e che quindi <<la materialità di un atto o comportamento non impedisce la sua qualificabilità come opinione>>, la difesa della Camera rileva che <<la resistenza [...] é un mezzo grazie al quale singoli o gruppi intendono proteggere innanzitutto beni che considerano [...] irrinunciabili>>. La resistenza sarebbe, in altri termini, "strumentale" alla tutela di beni "finali", quali l'autonomia e l'indipendenza del partito della Lega Nord, e pertanto non può essere valutata in modo diverso rispetto alle forme verbali impiegate, nello stesso contesto, per protestare contro la perquisizione, ritenuta illegittima violazione proprio di quella autonomia e di quella indipendenza.

In una successiva memoria depositata in vista dell'udienza, la difesa della Camera insiste nelle conclusioni già rassegnate nell'atto di costituzione, rilevando altresì, quanto alla eccezione di irricevibilità, che l'utilizzazione della forma dell'ordinanza determinerebbe la violazione del principio di parità tra le parti, in quanto l'autorità giudiziaria diverrebbe il solo soggetto, <<a poter aggirare>> il disposto dell'art. 6 delle norme integrative del 16 marzo 1956 in base al quale <<la parte deve depositare i propri documenti "in tante copie in carta libera quanti sono i componenti della Corte e le parti">>.

Nel merito la difesa della Camera, richiamando ancora una volta la sentenza n. 417 del 1999, ribadisce che ciò che non può ritenersi coperto dalla garanzia costituzionale é la mera "attività politica" del deputato, estranea alla "politica parlamentare"; le opinioni connesse alla politica parlamentare dovrebbero invece godere della garanzia ex art. 68 Cost., a nulla rilevando la circostanza che vengano manifestate extra anzichè infra moenia.

Nel menzionare le successive sentenze che hanno richiesto una <<corrispondenza sostanziale tra l'opinione manifestata all'esterno e quella manifestata in singoli atti tipici>>, la difesa della Camera richiama, a conferma della propria tesi interpretativa, le più recenti sentenze nn. 320 e 321 del 2000, dalle quali si ricaverebbe che la corrispondenza sostanziale tra l'atto parlamentare tipico e la dichiarazione extra moenia é solo una delle ipotesi di riconducibilità della dichiarazione alla funzione parlamentare, ancorchè sia quella che si verifica "normalmente": tanto é vero che nel caso di specie non sarebbe neppure possibile richiedere una formale "anticipazione" in sede parlamentare delle opinioni espresse in occasione della perquisizione, attesa l'imprevedibilità dell'atto compiuto dalla polizia giudiziaria.

Considerato in diritto

1. - Il conflitto di attribuzione promosso dalla Corte di appello di Milano nei confronti della Camera dei deputati investe le deliberazioni con cui l’Assemblea, in data 16 marzo 1999, ha affermato l'insindacabilità - alla stregua dell'art. 68, primo comma, della Costituzione - dei fatti oggetto dei reati di resistenza e di oltraggio a pubblico ufficiale, per i quali i deputati Roberto Maroni, Umberto Bossi, Davide Carlo Caparini, Piergiorgio Martinelli e Roberto Calderoli erano stati condannati dal Pretore di Milano, mentre nei confronti del deputato Mario Borghezio, anch'egli condannato per entrambi i reati, la deliberazione di insindacabilità ha avuto per oggetto solo i fatti relativi all'imputazione di oltraggio.

Con riferimento alle condotte qualificate come reato di oltraggio, la Corte di appello ricorrente contesta le argomentazioni del relatore della Giunta per le autorizzazioni a procedere, secondo cui il nesso funzionale tra le opinioni espresse e l'attività parlamentare andrebbe riferito alla battaglia politica dei parlamentari del Partito "Lega Nord" in favore dell'indipendenza della "Padania"; e osserva che tale nesso sarebbe ancora meno ravvisabile, come aveva ritenuto la stessa Giunta, in relazione ai fatti contestati come resistenza a pubblico ufficiale, che costituiscono espressione di una contrapposizione violenta ad un potere statuale.

2. - Le eccezioni di irricevibilità dell’atto introduttivo del giudizio e di inammissibilità del conflitto, sollevate dalla difesa della Camera, non sono fondate, come questa Corte ha già deciso con le sentenze nn. 420, 321, 320, 58, 56, 11 e 10 del 2000; nè, al riguardo, sono state prospettate nuove argomentazioni che inducano ad un loro riesame.

Quanto alla doglianza relativa alla omessa esposizione delle ragioni costituzionali del conflitto - desumibile, secondo la resistente, dalla mancata indicazione delle norme costituzionali che regolano la materia -, tali ragioni sono sintetizzate nel riferimento ai presupposti di applicabilità dell'art. 68, primo comma, Cost., contenuto nel dispositivo dell'ordinanza della Corte ricorrente. L'art. 68 Cost. é infatti norma deputata a definire e a limitare le rispettive sfere della prerogativa parlamentare e della giurisdizione, per cui ogni illegittima estensione dell’una si risolve automaticamente in una lesione dell'ambito dell’altra; il richiamo alla citata disposizione consente quindi di ritenere adempiuto l'onere di indicare i principi costituzionali che regolano la materia (v. sentenza n. 320 del 2000).

Infine, circa l'eccezione relativa alla mancanza, nel dispositivo, della richiesta di una pronuncia che dichiari che non spetta alla Camera la valutazione contenuta nella delibera impugnata e che annulli l'atto invasivo, tali requisiti sono implicitamente desumibili sia dal contesto complessivo dell'ordinanza, sia dallo stesso dispositivo, nel quale la Corte ricorrente dichiara di sollevare <<conflitto di attribuzione in ordine al corretto uso del potere di decidere con riferimento alla ricorrenza dei presupposti di applicabilità dell'art. 68, comma 1, della Costituzione, come esercitato dalla Camera dei deputati con delibere del 16.3.1999>>.   

3. - Nel merito il ricorso é fondato.

La Corte é chiamata ad accertare se le manifestazioni verbali e i comportamenti materiali tenuti in occasione di una perquisizione nella sede di un partito politico, e qualificati dall'Autorità giudiziaria come oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, oggetto delle deliberazioni d’insindacabilità cui si riferisce il presente conflitto, siano <<identificabili come espressione di attività parlamentari>> (sentenze nn. 321, 320, 58, 11 e 10 del 2000) e siano quindi assistiti dalla prerogativa di cui all'art. 68, primo comma, Cost.

Presupposto delle attività coperte dalla prerogativa parlamentare é la riconducibilità delle opinioni espresse all’esercizio delle attribuzioni proprie del parlamentare (sentenze n. 329 del 1999, 289 del 1998, 375 del 1997); riconducibilità che va intesa non come <<semplice collegamento di argomento o di contesto fra attività parlamentare e dichiarazione, ma come identificabilità della dichiarazione stessa quale espressione di attività parlamentare>> (v. sentenze n. 58, 11 e 10 del 2000, nonchè sentenze nn. 320 e 321 del 2000), cioé quale sostanziale corrispondenza di contenuti tra le dichiarazioni e l'atto parlamentare tipico.

Ebbene, nelle espressioni ("fascisti", "mafiosi", "Pinochet") indirizzate dai deputati agli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza che stavano eseguendo la perquisizione non é dato riscontrare alcun collegamento con l'esercizio delle funzioni proprie del parlamentare nè, tantomeno, alcuna corrispondenza sostanziale con atti parlamentari tipici svolti nell'esercizio di tali funzioni.

La prerogativa parlamentare non può infatti essere estesa sino a comprendere gli insulti - di cui é comunque discutibile la qualificazione come opinioni - solo perchè collegati con le battaglie condotte da esponenti parlamentari in favore delle loro tesi politiche; così argomentando, il nesso funzionale, lungi dal tradursi in una corrispondenza tra espressioni verbali e atti parlamentari tipici, si risolverebbe in un generico collegamento con un contesto politico indeterminabile, del tutto avulso dall'esercizio di funzioni parlamentari suscettibili di essere concretamente individuate.

A maggior ragione la prerogativa parlamentare di cui all'art.68 Cost. non può essere riferita ai comportamenti materiali che sono stati qualificati come resistenza a pubblico ufficiale.

L'art. 68, primo comma, Cost. si riferisce unicamente alle opinioni espresse e ai voti dati dai membri del Parlamento nell'esercizio delle loro funzioni, mentre gli atti di resistenza e di violenza descritti nel capo di imputazione riprodotto nell'ordinanza della Corte di appello ricorrente non sono in alcun modo qualificabili come tali.

Adottando le deliberazioni di insindacabilità in oggetto, la Camera dei deputati ha perciò interferito illegittimamente con le attribuzioni dell'Autorità giudiziaria; di conseguenza deve essere disposto l'annullamento delle deliberazioni oggetto di impugnativa.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta alla Camera dei deputati deliberare che i fatti per i quali é in corso avanti alla Corte di appello di Milano procedimento penale nei confronti dei deputati Roberto Maroni, Umberto Bossi, Davide Carlo Caparini, Piergiorgio Martinelli e Roberto Calderoli per i reati di oltraggio e di resistenza a pubblico ufficiale, e del deputato Mario Borghezio per il reato di oltraggio, concernono opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni a norma dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;

annulla, per l'effetto, le deliberazioni di insindacabilità adottate dalla Camera dei deputati nella seduta del 16 marzo 1999.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 17 maggio 2001.