SENTENZA N. 388
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 22 dicembre 2005 (Doc. IV-quater, n. 109), relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost., delle condotte attribuite al deputato Sandro Delmastro Delle Vedove, promosso con ricorso del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino, notificato il 31 ottobre 2006, depositato in cancelleria l’11 novembre 2006 ed iscritto al n. 8 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2006, fase di merito.
Udito nell’udienza pubblica del 23 ottobre 2007 il Giudice relatore Sabino Cassese.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale di Torino ha sollevato, con ricorso dell’8 febbraio 2006, conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera adottata nella seduta del 22 dicembre 2005 (Doc. IV-quater, n. 109) con la quale è stata dichiarata, ai sensi del primo comma dell’art. 68 della Costituzione, l’insindacabilità delle dichiarazioni dell’onorevole Sandro Delmastro Delle Vedove, rispetto alle quali pende un procedimento penale.
Il Tribunale ricorrente espone che l’on. Sandro Delmastro Delle Vedove e la giornalista Cristiana Lodi sono imputati, in concorso tra loro, dei reati di falso – a norma degli articoli 48 e 479 del codice penale – perché: 1) l’on. Delmastro Delle Vedove, nella sua qualità di membro del Parlamento, pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, presentatosi il 10 agosto 2003 presso la Casa circondariale Le Vallette di Torino, dopo essersi qualificato e avere manifestato la propria intenzione di accedervi, attestava falsamente ai pubblici ufficiali appartenenti alla Polizia penitenziaria, addetti al controllo degli accessi, che la persona in sua compagnia, Cristiana Lodi, era una propria collaboratrice; 2) la stessa Lodi dichiarava falsamente di non esercitare la professione di giornalista (mentre invece essa era una giornalista professionista che, in tale veste, scrisse un articolo, pubblicato due giorni dopo su un quotidiano nazionale, relativo alle dichiarazioni che, proprio in occasione della visita, avrebbe a lei reso il detenuto Igor Marini); 3) entrambi inducevano in errore, ingannandoli, i pubblici ufficiali appartenenti alla Polizia penitenziaria addetti al controllo, alla registrazione e all’autorizzazione degli accessi, che così registravano e consentivano l’accesso della Cristiana Lodi sul presupposto erroneamente attestato dal parlamentare e dalla giornalista, che quest’ultima fosse una collaboratrice del primo e che non si trattasse, invece, di una giornalista.
Espone, inoltre, il Tribunale rimettente che, in data 22 novembre 2005, la Camera dei deputati deliberava che i fatti oggetto dell’imputazione rientrano nella guarentigia prevista dall’art. 68, primo comma, Cost., ravvisando l’esistenza del collegamento funzionale tra le dichiarazioni rese ed il mandato parlamentare, sia sulla base del dettato dell’art. 67 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sia in relazione all’attività parlamentare svolta dallo stesso deputato sulla vicenda carceraria di Igor Marini, allora detenuto in Svizzera (interrogazione n. 3-02512 del 14 luglio 2003).
Ad avviso del Tribunale, le attestazioni fornite dal parlamentare al personale di Polizia penitenziaria della Casa circondariale di Torino e concernenti la qualità della Cristiana Lodi, oggetto dell’imputazione a suo carico, esulano dalla guarentigia di cui all’art. 68, primo comma, Cost.
Il Tribunale osserva che la norma costituzionale, riferendosi alle «opinioni espresse […] nell’esercizio delle loro funzioni», e l’art. 3, comma 1, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), indicando «ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento», hanno inteso esprimere il concetto secondo cui tutti gli atti in questione devono essere caratterizzati da una più o meno intensa «connessione dell’attività con la funzione parlamentare».
In sostanza, secondo il Tribunale ricorrente, non appare possibile qualificare le attestazioni in oggetto come atti di divulgazione, di critica o di denuncia politica, trattandosi di dichiarazioni rese agli addetti alla sorveglianza dell’istituto penitenziario che avevano ad oggetto la qualifica professionale rivestita dall’accompagnatrice del parlamentare ed erano finalizzate a consentire agli agenti di polizia di verificare la sussistenza dei presupposti di cui al secondo comma dell’art. 67 della legge 354 del 1975 per l’ingresso di accompagnatori del parlamentare «per ragioni del [suo] ufficio»; né le stesse appaiono riconducibili ad un’attività ispettiva, tenuto conto che il parlamentare avrebbe potuto accedere all’istituto di pena in virtù della richiamata disciplina senza necessità di rendere false attestazioni
Evidenzia, altresì, il Tribunale che l’on. Delmastro Delle Vedove non ha documentato di aver svolto attività parlamentare successiva all’incontro con Igor Marini concernente la sua condizione di detenuto, in tal modo offrendo una conferma del fatto che la visita in questione, lungi dal rientrare nell’esercizio del diritto di ciascun parlamentare di ispezionare le carceri italiane al fine di verificare le condizioni di detenzione, «si sia risolta in realtà in un mero espediente per consentire alla giornalista Lodi Cristiana di venire in contatto […] con la fonte del suo articolo di stampa […]».
Inoltre, secondo il Tribunale, non sembra ravvisabile un collegamento funzionale tra la visita in questione e l’attività svolta dal parlamentare con l’interrogazione n. 3-02512, presentata circa un mese prima dell’incontro con il detenuto Marini nel penitenziario torinese e relativa alle condizioni di salute di Marini, allora detenuto in Svizzera. In particolare, non sussisterebbe la «riproduzione all’esterno del contenuto» della menzionata interrogazione. Difatti, le attestazioni rese dal deputato, lungi dal sostanziarsi in espressioni di opinioni su fatti di rilievo politico, afferivano a condizioni e qualità personali della coimputata Lodi, del tutto estranee alla tematica della garanzia dell’immunità prevista dall’art. 68 Cost. per i membri del Parlamento.
In conclusione, il Tribunale dubita, alla luce delle modalità e dei tempi di svolgimento della visita alla casa circondariale di Torino, che l’accesso del parlamentare all’interno del penitenziario si sia sostanziato in un atto di ispezione; non condivide l’argomento, sviluppato nella relazione di maggioranza della Giunta per le autorizzazioni, secondo cui, ai fini dell’attribuzione della qualifica di collaboratore, è irrilevante che questi sia formalmente incardinato nella struttura burocratica del Parlamento; non ritiene che le attestazioni rese dal deputato circa la professione compiuta dalla propria accompagnatrice possano essere qualificate come opinioni espresse nell’esercizio del mandato parlamentare e che esse siano collegate da un nesso funzionale con l’esercizio di tale mandato.
2. – Con ordinanza n. 350 del 2006, la Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto.
3. – La Camera dei deputati non si è costituita in giudizio.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di Torino, con ricorso dell’8 febbraio 2006, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera adottata nella seduta del 22 dicembre 2005 (Doc. IV-quater, n. 109), con la quale è stata dichiarata, ai sensi del primo comma dell’art. 68 della Costituzione, l’insindacabilità delle dichiarazioni dell’onorevole Sandro Delmastro Delle Vedove, rispetto alle quali pende un procedimento penale.
Il Tribunale ritiene che le attestazioni fornite dall’on. Delmastro Delle Vedove agli addetti al carcere torinese non possano essere ricondotte ad uno degli atti previsti dall’art. 68, primo comma, Cost., ovvero ad attività di natura strettamente parlamentare, oppure ad atti che in concreto possano dirsi connessi funzionalmente con l’ufficio di parlamentare.
Secondo il Tribunale rimettente, non appare possibile qualificare le attestazioni in oggetto come atti di divulgazione, di critica o di denuncia politica, trattandosi di dichiarazioni rese agli addetti alla sorveglianza dell’istituto penitenziario, concernenti la qualifica professionale rivestita dall’accompagnatrice del parlamentare e finalizzate a consentire agli agenti di polizia di verificare la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 67, secondo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) per autorizzare l’ingresso di accompagnatori del parlamentare «per ragioni del [suo] ufficio»; né le stesse attestazioni sarebbero riconducibili ad un’attività ispettiva, tenuto conto che il parlamentare avrebbe potuto accedere all’istituto di pena, in virtù della richiamata disciplina, senza necessità di rendere false attestazioni.
Evidenzia, altresì, il Tribunale che l’on. Delmastro Delle Vedove non ha documentato di aver svolto attività parlamentare successiva all’incontro con Igor Marini concernente la sua condizione di detenuto, in tal modo offrendo una conferma del fatto che la visita in questione, lungi dal rientrare nell’esercizio del diritto di ciascun parlamentare di ispezionare le carceri italiane al fine di verificare le condizioni di detenzione, «si sia risolta in realtà in un mero espediente per consentire alla giornalista Lodi Cristiana di venire in contatto […] con la fonte del suo articolo di stampa […]».
2. – Preliminarmente, deve essere confermata l’ammissibilità del conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come già ritenuto da questa Corte nella ordinanza n. 350 del 2006.
3. – Nel merito, il ricorso è fondato.
4. – La dichiarazione in questione è stata resa dal deputato all’autorità carceraria mentre accedeva all’istituto di pena torinese, avvalendosi della prerogativa spettante ai membri del Parlamento a norma dell’art. 67, primo comma, lettera b), della legge n. 354 del 1975.
Tale prerogativa rientra tra «le attività di ispezione» cui l’art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato) riferisce l’applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost., a norma del quale «i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni».
Si tratta, pertanto, di valutare se la dichiarazione fornita dal deputato, a lui imputata come reato di falso, rientri nella prerogativa di insindacabilità delle opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni.
Il ricorrente premette che davanti all’autorità carceraria, il deputato ha qualificato come «collaboratrice» la persona che lo accompagnava, onde ottenere per essa l’accesso senza autorizzazione, previsto dall’art. 67, secondo comma, della legge n. 354 del 1975 per «coloro che accompagnano» i parlamentari «per ragioni del loro ufficio».
Il comportamento del deputato è consistito nell’attestare una circostanza di fatto e non nell’esprimere un’opinione nell’esercizio della funzione di parlamentare; di conseguenza, non può ritenersi coperto dalla prerogativa di cui all’art. 68 Cost. (da ultimo, sentenza n. 286 del 2006, con riferimento al caso della presentazione di un esposto penale).