Sentenza n. 149 del 2007

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SENTENZA N. 149

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                      Presidente

- Giovanni Maria        FLICK                                                 Giudice     

- Francesco                 AMIRANTE                                 “

- Ugo                          DE SIERVO                                 “

- Romano                    VACCARELLA                          “

- Paolo                        MADDALENA                            “

- Alfio                         FINOCCHIARO                          “

- Alfonso                    QUARANTA                               “

- Franco                      GALLO                                        “

- Luigi                         MAZZELLA                                “

- Gaetano                    SILVESTRI                                  “

- Sabino                      CASSESE                                     “

- Maria Rita                SAULLE                                      “

- Giuseppe                  TESAURO                                   “

- Paolo Maria              NAPOLITANO                            “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito di quattro provvedimenti assunti dal Tribunale di Messina in un procedimento civile nei confronti dell’on. Nicola Vendola: 1) provvedimento di rinvio dell’udienza, assunto il 30 giugno 2003; 2) provvedimento di rinvio dell’udienza, assunto il 21 luglio 2003; 3) provvedimento di trattenimento della causa in decisione, assunto il 22 settembre 2003; 4) ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale, del 27 gennaio 2004 (R.O. n. 389 del 2004) promosso con ricorso della Camera dei deputati notificato il 14 febbraio 2005, depositato in cancelleria il 22 febbraio 2005 ed iscritto al n. 12 del registro conflitti 2005.

            Visto l’atto di intervento fuori termine della S.E.S. Società Editrice Siciliana s.p.a.;

            udito nell’udienza pubblica del 23 gennaio 2007 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

            uditi l’avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati e l’avvocato Mario Caldarera per la S.E.S. Società Editrice Siciliana s.p.a.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso del 16 luglio 2004, depositato il 24 luglio 2004, la Camera dei deputati ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Tribunale di Messina, in relazione ai provvedimenti da questo assunti – nell’ambito di un procedimento civile nel quale il deputato Nicola Vendola era stato convenuto per il risarcimento dei danni causati da dichiarazioni asseritamente diffamatorie espresse nei confronti di una testata giornalistica e del suo direttore – rispettivamente, in data 30 giugno 2003 e 21 luglio 2003 (provvedimenti con i quali è stato disposto il rinvio delle relative udienze), e in data 22 settembre 2003 (provvedimento con il quale la causa è stata trattenuta in decisione), nonché in relazione alla ordinanza del 27 gennaio 2004, con la quale lo stesso Tribunale di Messina, nel corso del medesimo procedimento, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dei commi 1 e 7 dell’art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato).

2. – La ricorrente premette che, essendo entrata in vigore – nelle more dello svolgimento del predetto procedimento giurisdizionale – la citata legge n. 140 del 2003, la difesa del deputato aveva eccepito la riconducibilità dei fatti nell’ambito delle opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni di parlamentare ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione ed aveva, quindi, richiesto o l’applicazione dell’art. 3, comma 3, della legge n. 140 del 2003, o, in caso di rigetto della suddetta eccezione, la trasmissione degli atti alla Camera dei deputati ai sensi dell’art. 3, comma 4, della stessa legge n. 140. Al contrario, il giudice procedente, in data 30 giugno 2003, si era limitato a disporre il rinvio della causa all’udienza del successivo 21 luglio, nella quale, nonostante la riproposizione dell’eccezione, aveva proceduto all’assunzione della prova testimoniale, disponendo all’esito un nuovo rinvio per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 22 settembre 2003, data nella quale aveva trattenuto la causa in decisione.

Sempre secondo quanto riferisce la ricorrente, avendo il deputato Vendola il 7 ottobre 2003 segnalato la pendenza della causa ed il descritto svolgimento della vicenda processuale al Presidente della Camera dei deputati, questi, interpretandola come domanda di pronuncia di insindacabilità, aveva investito della questione la Giunta per le autorizzazioni. Da ciò la proposta della Giunta nel senso della riconducibilità dei fatti oggetto del procedimento nell’ambito di applicazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, e la conforme deliberazione della Camera dei deputati adottata nella seduta del 13 novembre 2003 e pervenuta al Tribunale di Messina in data 17 novembre 2003.

Il Tribunale, con successiva ordinanza del 27 gennaio 2004, sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 140 del 2003, nella parte in cui consente al parlamentare di richiedere autonomamente la deliberazione relativa alla insindacabilità, nonché nella parte in cui, estendendo la immunità del parlamentare ad «ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento», non impone una sostanziale corrispondenza di significati tra le dichiarazioni rese al di fuori e le opinioni espresse nell’esercizio della funzione parlamentare.

Con lettera del 18 febbraio 2004, il deputato Vendola esponeva al Presidente della Camera dei deputati gli ulteriori sviluppi della vicenda processuale, con riferimento all’avvenuto promovimento di detta questione di legittimità costituzionale «nonostante la sopravvenuta deliberazione di insindacabilità». La Giunta per le autorizzazioni, nelle sedute del 3 e del 17 marzo 2004, deliberava quindi che gli atti ed i comportamenti del Tribunale di Messina dovevano ritenersi «lesivi delle prerogative della Camera dei deputati…», e si esprimeva nel senso di proporre all’Assemblea di sollevare conflitto di attribuzione nei confronti del Tribunale medesimo, proposta accolta nella seduta del 13 maggio 2004.

3. – In relazione alla sussistenza dei requisiti per l’ammissibilità del conflitto, la Camera dei deputati richiama la copiosa giurisprudenza costituzionale sul tema, con particolare riferimento alla legittimazione degli organi costituzionali – e, specificamente, delle Camere parlamentari – a denunciare atti di autorità giurisdizionali ritenuti lesivi della propria posizione costituzionale.

4. – Quanto al merito del conflitto, la ricorrente denuncia la illegittimità costituzionale degli atti contestati, in particolare sotto il profilo della «violazione degli artt. 67 e 68, comma 1, della Costituzione (anche per come attuato dalla legge 20 giugno 2003, n. 140), anche in riferimento agli artt. 64, 70 e 101, comma 2, Cost.».

4.1. – In relazione agli atti compiuti dal giudice procedente prima della delibera di insindacabilità, ad avviso della Camera, la illegittimità discenderebbe dalla evidente violazione dell’art. 3, commi 3 e 4, della legge n. 140 del 2003, che impongono, allorché il giudice non ritenga di accogliere l’eccezione relativa all’applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, la immediata trasmissione degli atti alla Camera di appartenenza del parlamentare per le determinazioni di competenza.

La ricorrente ricorda come la Corte costituzionale abbia già affermato che tale disciplina deve «considerarsi di attuazione, e cioè finalizzata a rendere immediatamente e direttamente operativo sul piano processuale il disposto dell’art. 68, primo comma» della Costituzione (sentenza n. 120 del 2004). In quanto normativa di attuazione, essa integrerebbe il parametro costituzionale, nel senso che ne costituirebbe il ragionevole e corretto svolgimento.

Nella specie, il legislatore avrebbe disegnato un procedimento nel quale le posizioni delle Camere del Parlamento e dell’autorità giudiziaria, vengono opportunamente contemperate. In particolare, rileverebbe proprio la previsione della sospensione del procedimento al fine di acquisire la delibera sull’insindacabilità da parte della Camera di appartenenza, nell’ipotesi in cui sia formulata un’eccezione di applicabilità dell’art. 68, primo comma, Cost., non condivisa dall’autorità giudiziaria procedente.

In altri termini, la disciplina legislativa di cui all’art. 3 della legge n. 140 del 2003 costituirebbe «piano e [...] ragionevole svolgimento» dell’istituto contemplato nell’art. 68, primo comma, Cost., in quanto essa stabilisce che la delibera sull’insindacabilità debba essere assunta entro novanta giorni dalla ricezione degli atti (prorogabili per non più di altri trenta). Inoltre, osserva la Camera, la sospensione non impedisce il compimento degli atti non ripetibili (nel giudizio penale) e di quelli urgenti (nel giudizio civile), ciò a conferma che non vi sarebbe alcun sacrificio delle prerogative dell’autorità giudiziaria, ma soltanto una disciplina del procedimento che assicura la possibilità di un pieno confronto tra la valutazione dei fatti operata dalle Camere e quella operata dalla stessa autorità giudiziaria. Su tali valutazioni, d’altra parte, non mancherebbe il controllo e il definitivo sindacato della Corte costituzionale, la quale potrebbe sempre essere adita con apposito ricorso per conflitto di attribuzione.

Risulterebbe, pertanto, del tutto ingiustificata la mancata applicazione della disciplina di cui alla legge n. 140 del 2003 da parte del Tribunale di Messina, il quale, oltretutto, avrebbe formalmente dubitato della legittimità costituzionale di tale disciplina, emettendo l’apposita ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, solo successivamente alla adozione della deliberazione di insindacabilità da parte della Camera dei deputati.

4.2. – Con riferimento all’ordinanza di promovimento della questione di costituzionalità dell’art. 3, commi 1 e 7, della legge n. 140 del 2003, la ricorrente rileva che il Tribunale di Messina, in presenza della delibera di insindacabilità, avrebbe dovuto, qualora non avesse condiviso l’applicabilità della guarentigia, proporre conflitto di attribuzione a tutela delle prerogative dell’ordine giudiziario.

Sulla base di una ricostruzione della giurisprudenza costituzionale a partire dalla sentenza n. 1150 del 1988, la ricorrente sostiene che «il Tribunale di Messina, di fronte alla deliberazione di insindacabilità, aveva a disposizione due strade: a) condividere la valutazione di applicabilità della guarentigia dell’art. 68, comma 1, Cost., e statuire di conseguenza; b) contestare tale valutazione, proponendo conflitto di attribuzione a tutela delle prerogative dell’Ordine giudiziario». La via seguita dal Tribunale  non rientrerebbe tra quelle che la Costituzione consente di imboccare.

La Camera ricorrente osserva che, a seguito della riforma dell’art. 68 Cost. operata dalla legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3 (Modifica dell’articolo 68 della Costituzione), il modello procedimentale ricostruito dalla sentenza n. 1150 del 1988 dovrebbe essere ancor più rigorosamente rispettato, dal momento che «la deliberazione di insindacabilità impedisce la stessa vocatio in ius del parlamentare assistito dalla guarentigia costituzionale. Nessuna autorizzazione a procedere, dunque, ma semplicemente l’accertamento che le opinioni espresse e i voti dati sono legati da un nesso funzionale all’esercizio del mandato. Se è riscontrato questo nesso, il procedimento (civile o penale che sia) non può avere corso e nessun atto può essere compiuto dal giudice procedente (ad eccezione dell’emanazione di una pronuncia “assolutoria”)» o dell’eventuale promozione del conflitto di attribuzione.

Sarebbe pertanto del tutto evidente, ad avviso della Camera, la violazione da parte del Tribunale di Messina dei consolidati princìpi stabiliti dalla giurisprudenza costituzionale in applicazione degli artt. 67 e 68 Cost.

In tali norme costituzionali, infatti, l’indipendenza, l’autonomia e la libertà delle Camere del Parlamento troverebbero la più piena e più efficace tutela. Questa tutela dell’istituzione parlamentare si articolerebbe, poi, attraverso istituti di varia natura giuridica preordinati alla garanzia della libertà del mandato parlamentare, nonché dell’autonomia e dell’indipendenza delle Assemblee rappresentative; e proprio nel novero di tali istituti di garanzia, secondo la ricorrente, dovrebbe ritenersi compreso il procedimento necessario per contestare la delibera di insindacabilità che appaia viziata. Anche se parte della dottrina ha dubitato che tale necessario procedimento possa desumersi dalle previsioni degli artt. 67 e 68 Cost., sarebbe invece evidente «che proprio la logica delle guarentigie parlamentari, stabilite a tutela dell’istituzione e non del singolo, impone che il concreto ricorrere dell’insindacabilità sia apprezzato, preliminarmente, dalla Camera di appartenenza, non potendo essere affidata la valutazione della connessione tra opinione (o voto) e funzione alla diretta interlocuzione tra il singolo parlamentare e il magistrato procedente».

5. – In conclusione, la Camera dei deputati chiede a questa Corte di dichiarare «che non spetta all’Autorità giudiziaria e in particolare al Tribunale civile di Messina proseguire il giudizio pendente nei confronti di un membro della Camera dei deputati nonostante la formulazione dell’eccezione di applicabilità dell’art. 68, comma 1, della Costituzione, né, una volta sopravvenuta la deliberazione di insindacabilità del parlamentare da parte della Camera dei deputati, adottare altri atti del procedimento ed in particolare promuovere questione incidentale di legittimità costituzionale e conseguentemente annullare i seguenti atti:

a) provvedimento di rinvio dell’udienza relativa al procedimento nei confronti dell’on. Nicola Vendola (R.G. n. 2807/2001) assunto dal Tribunale di Messina in data 30 giugno 2003;

b) provvedimento di rinvio dell’udienza relativa al medesimo procedimento assunto del Tribunale di Messina in data 21 luglio 2003;

c) provvedimento di trattenimento della causa in decisione, relativamente al medesimo procedimento, assunto dal Tribunale di Messina in data 22 settembre 2003;

d) ordinanza del Tribunale di Messina 26-27 gennaio 2004 (in G.U., 1^ Serie spec., 19 maggio 2004, con il n. R.O. 389 del 2004), con la quale è stato promosso giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 3 della l. 20 giugno 2003, n. 140, nella parte precisata al dispositivo della predetta ordinanza».

6. – Con ordinanza n. 44 del 2005, questa Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto, disponendo, ai sensi dell’art. 37, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la notifica del ricorso al Tribunale di Messina entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione della stessa ordinanza alla Camera ricorrente.

Quest’ultima, ricevuta la suddetta comunicazione in data 27 gennaio 2005, ha provveduto alla notificazione in data 14 febbraio 2005 e al deposito di rito ai sensi dell’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale il successivo 22 febbraio.

7. – Ha depositato atto di intervento fuori termine, in data 6 aprile 2005, la S.E.S. – Società Editrice Siciliana s.p.a., parte del giudizio che ha originato il conflitto, sostenendo, sul piano della ammissibilità del proprio intervento, che il termine di cui all’art. 25 della legge n. 87 del 1953 non sarebbe perentorio e che, comunque, questa Corte avrebbe in casi analoghi ammesso l’intervento, della parte attrice nel giudizio che ha provocato il conflitto (sentenze n. 154 del 2004 e n. 76 del 2001). Nel merito, la società interveniente ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile e comunque infondato.

8. – Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Camera dei deputati ribadisce le argomentazioni svolte nel ricorso e aggiunge che il conflitto sarebbe ammissibile anche in considerazione del fatto che la ricorrente non avrebbe potuto essere parte nel giudizio che ha originato il conflitto medesimo, sicché non avrebbe avuto altri rimedi giurisdizionali per tutelare le proprie prerogative costituzionali.

Osserva inoltre che sarebbe pacifico in dottrina ed in giurisprudenza che nei conflitti tra poteri «il parametro costituzionale debba essere necessariamente integrato da fonti subcostituzionali».

Con specifico riguardo all’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Messina successivamente alla delibera di insindacabilità e con la quale è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 7, della legge n. 140 del 2003, la ricorrente dà conto della sopravvenienza dell’ordinanza  n. 37 del 2006 con cui la Corte si è pronunciata su detta questione.

Tale decisione, secondo la Camera, avrebbe ribadito la giurisprudenza costituzionale in materia. Né ciò sarebbe smentito dalla circostanza che la Corte, in quell’occasione, si sia pronunciata sul merito della questione, senza arrestare il giudizio incidentale in limine in ragione della riscontrata lesione delle attribuzioni costituzionali di un altro potere dello Stato, dal momento che tali attribuzioni non sono tutelate dalla Corte ex officio, ma solo ad istanza di parte manifestata in un apposito ricorso.

La difesa della ricorrente precisa che la lesione delle proprie prerogative sarebbe dovuta non al solo fatto che è stato promosso in via incidentale il giudizio di costituzionalità, bensì al fatto che esso è stato promosso nel corso di un giudizio sull’applicabilità dell’art. 68, primo comma, Cost. in violazione delle regole procedimentali che, delimitando in concreto le rispettive sfere di attribuzione costituzionale, disciplinano il rapporto tra Camera dei deputati e autorità giudiziaria.

Considerato in diritto

1. – La Camera dei deputati ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Tribunale di Messina, in relazione ad alcuni provvedimenti da questo assunti nell’ambito di un procedimento civile, nel quale il deputato Nicola Vendola era stato convenuto per il risarcimento dei danni causati da alcune dichiarazioni asseritamente diffamatorie espresse nei confronti di una testata giornalistica e del suo direttore. In particolare, la Camera si duole del fatto che, malgrado il deputato avesse eccepito la applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), il Tribunale abbia proseguito il giudizio, non dando applicazione a quanto previsto nell’art. 3 della legge n. 140 del 2003 e in concreto adottando due provvedimenti con i quali è stato disposto il rinvio delle relative udienze (rispettivamente in data 30 giugno 2003 e 21 luglio 2003) e un provvedimento con il quale la causa è stata trattenuta in decisione (in data 22 settembre 2003). La Camera lamenta, inoltre, che il Tribunale di Messina, sopravvenuta la deliberazione di insindacabilità del parlamentare nel corso del medesimo procedimento, invece che conformarsi ad essa o contestarne la legittimità mediante ricorso alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, abbia adottato l’ordinanza 27 gennaio 2004, con la quale ha sollevato questione di legittimità costituzionale dei commi 1 e 7 dell’art. 3 della legge n. 140 del 2003.

Tutto ciò, ad avviso della ricorrente, comporterebbe «violazione degli artt. 67 e 68, comma 1, della Costituzione (anche per come attuato dalla legge 20 giugno 2003, n. 140), anche in riferimento agli artt. 64, 70 e 101, comma 2, Cost.».

La Camera dei deputati chiede pertanto a questa Corte di dichiarare «che non spetta all’Autorità giudiziaria e in particolare al Tribunale civile di Messina proseguire il giudizio pendente nei confronti di un membro della Camera dei deputati nonostante la formulazione dell’eccezione di applicabilità dell’art. 68, comma 1, della Costituzione, né, una volta sopravvenuta la deliberazione di insindacabilità del parlamentare da parte della Camera dei deputati, adottare altri atti del procedimento ed in particolare promuovere questione incidentale di legittimità costituzionale e conseguentemente annullare i seguenti atti:

a) provvedimento di rinvio dell’udienza relativa al procedimento nei confronti dell’on. Nicola Vendola (R.G. n. 2807/2001) assunto dal Tribunale di Messina in data 30 giugno 2003;

b) provvedimento di rinvio dell’udienza relativa al medesimo procedimento assunto del Tribunale di Messina in data 21 luglio 2003;

c) provvedimento di trattenimento della causa in decisione, relativamente al medesimo procedimento, assunto dal Tribunale di Messina in data 22 settembre 2003;

d) ordinanza del Tribunale di Messina 26-27 gennaio 2004 (in G.U., 1^ Serie spec., 19 maggio 2004, con il n. R.O. 389 del 2004), con la quale è stato promosso giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 3 della l. 20 giugno 2003, n. 140, nella parte precisata al dispositivo della predetta ordinanza».

2. – Il ricorso è stato dichiarato ammissibile, con ordinanza n. 44 del 2005 ed è stato regolarmente notificato e depositato.

Sulla base della costante giurisprudenza di questa Corte, non vi è dubbio che il giudizio di ammissibilità del ricorso della Camera dei deputati debba essere confermato anche in questa sede, in considerazione, in primo luogo, della sicura sussistenza dei requisiti soggettivi che debbono caratterizzare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

In relazione ai requisiti oggettivi, già la richiamata ordinanza n. 44 del 2005 ha rilevato che la Camera ha prospettato «la lesione della propria sfera di attribuzioni costituzionalmente garantite, in conseguenza degli impugnati provvedimenti del Tribunale di Messina, contestando non già “il semplice esercizio della funzione giudiziaria, bensì la stessa appartenenza del potere in concreto esercitato” e inoltre negando “la titolarità, in capo al giudice, del potere di proseguire il giudizio”».

Nel caso oggetto del presente conflitto non si contestano, infatti, le modalità di esercizio del potere giurisdizionale, né tanto meno si pretende di ottenere un risultato che potrebbe essere conseguito tramite gli ordinari mezzi di impugnazione degli atti censurati in questa sede e ritenuti lesivi della libertà delle istituzioni parlamentari, ma si sostiene che gli atti impugnati non potevano essere adottati dall’autorità giurisdizionale in quanto vietati dall’art. 3 della legge n. 140 del 2003, in attuazione del primo comma dell’art. 68 Cost., o addirittura dallo stesso primo comma dell’art. 68 Cost. D’altra parte è del tutto evidente che la Camera dei deputati, non essendo (e non potendo in alcun modo divenire) parte nel giudizio da cui origina il conflitto, non potrebbe impugnarne l’esito.

3. – Con ordinanza letta nella pubblica udienza del 23 gennaio 2007 e allegata alla presente sentenza è stato dichiarato inammissibile l’intervento spiegato nel giudizio dalla S.E.S. – Società editrice siciliana s.p.a., per il motivo – valutato come assorbente rispetto al profilo della natura del termine di cui all’art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 – che «l’esito del conflitto non è suscettibile di condizionare la stessa possibilità che il giudizio comune prosegua».

4. – Quanto al merito delle ragioni poste a fondamento delle doglianze della ricorrente Camera dei deputati in relazione agli atti posti in essere dal Tribunale civile di Messina prima della delibera di insindacabilità, occorre ricordare, in via preliminare, che questa Corte ha già avuto occasione di rilevare che la normativa contenuta nell’art. 3 della legge n. 140 del 2003 «può considerarsi di attuazione, e cioè finalizzata a rendere immediatamente e direttamente operativo sul piano processuale il disposto dell’art. 68, primo comma», della Costituzione (sentenza n. 120 del 2004).

In effetti, in parziale continuità con la normativa contenuta nella serie dei decreti-legge adottati fra il 1993 ed il 1996, subito dopo la modificazione dell’art. 68 Cost. ad opera della legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3 (Modifica dell’articolo 68 della Costituzione), le disposizioni processuali contenute nei commi da 2 a 8 dell’art. 3 della legge n. 140 del 2003 tendono a risolvere alcuni problemi di coordinamento e di collaborazione fra l’esercizio della funzione giurisdizionale e la garanzia di piena libertà ed autonomia delle Camere parlamentari, nell’ipotesi che in un giudizio venga in evidenza una situazione di ipotetica responsabilità riferibile ad opinioni espresse o voti dati da un parlamentare.

Nell’ineludibile rispetto dei limiti costituzionali, quali specificati anche dalla giurisprudenza di questa Corte (ed in particolare evitando che la tutela delle prerogative parlamentari si trasformi in una sorta di potere autorizzatorio dell’esercizio della funzione giurisdizionale: cfr. sentenza n. 265 del 1997), è possibile e naturale che il legislatore ordinario predisponga in materia apposite norme processuali, proprio al fine di meglio assicurare il coordinamento istituzionale e la leale collaborazione fra i poteri dello Stato coinvolti. Disposizioni processuali di evidente importanza istituzionale, dal momento che per il loro tramite si mira a conseguire quell’«equilibrio razionale e misurato» che da questa Corte è stato ritenuto necessario «tra le istanze dello Stato di diritto, che tendono ad esaltare i valori connessi all’esercizio della giurisdizione (universalità della legge, legalità, rimozione di ogni privilegio, obbligatorietà dell’azione penale, diritto di difesa in giudizio, ecc.) e la salvaguardia di ambiti di autonomia parlamentare sottratti al diritto comune, che valgono a conservare alla rappresentanza politica un suo indefettibile spazio di libertà» (sentenza n. 379 del 1996).

Anche se la Costituzione non prevede l’obbligo di adottare specifiche disposizioni legislative per l’attuazione dell’art. 68 (ed in realtà il sistema, dalla fine della vigenza dell’ultimo decreto-legge di attuazione del nuovo primo comma dell’art. 68 Cost. all’entrata in vigore della legge n. 140 del 2003, ha funzionato tramite la mera applicazione delle generali disposizioni processuali), questa materia ha una evidente rilevanza costituzionale, poiché attraverso le disposizioni processuali si può assicurare sia la piena effettività del principio costituzionale di cui al primo comma dell’art. 68 Cost., sia la piena garanzia che questa prerogativa delle Assemblee parlamentari non si traduca in una inammissibile compressione dell’esercizio della funzione giurisdizionale al di fuori di quanto strettamente necessario.

Pur attraverso una legislazione di rango ordinario dai contenuti costituzionalmente non vincolati, la cui definizione spetta dunque alle scelte che il legislatore può operare fra diversi modelli in astratto possibili e che restano ovviamente assoggettabili al sindacato di legittimità costituzionale di questa Corte, con le disposizioni processuali che qui vengono in considerazione sono state poste alcune norme finalizzate a garantire, sul piano procedimentale, un efficace e corretto funzionamento della prerogativa parlamentare; un sollecito coinvolgimento della Camera di appartenenza del parlamentare che abbia eccepito la insindacabilità dei propri comportamenti senza convincere il giudice competente; la successiva temporanea sospensione del giudizio per un limitato ed improrogabile periodo entro cui la Camera di appartenenza può esprimere la propria valutazione sulla affermata insindacabilità; le conseguenze processuali della delibera di insindacabilità che venga adottata dalla Camera di appartenenza del parlamentare.

5. – Il Tribunale civile di Messina, malgrado che nell’udienza del 30 giugno 2003 la difesa del deputato interessato avesse eccepito la applicabilità dell’art. 68, primo comma, Cost., ai sensi dell’art. 3 della legge n. 140 del 2003, ed in particolare avesse chiesto di attuare quanto prescritto nel comma 3 di questo articolo, non ha dato applicazione a tale disposizione, la quale prevede che il giudice in sede civile, ove accolga la eccezione di applicabilità dell’art. 68, provveda immediatamente ad adottare i provvedimenti necessari per la definizione del giudizio. Peraltro, il giudice non ha neppure applicato quanto prescritto dal comma 4 dell’art. 3 della legge n. 140 del 2003, secondo il quale il giudice, ove non ritenga di accogliere questa eccezione, deve provvedere «senza ritardo con ordinanza non impugnabile, trasmettendo direttamente copia degli atti alla Camera alla quale il membro del Parlamento appartiene», con le conseguenze (previste dal comma 5) che «il procedimento è sospeso fino alla deliberazione della Camera e comunque non oltre il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti da parte della Camera predetta. La Camera interessata può disporre una proroga del termine non superiore a trenta giorni. La sospensione non impedisce, nel procedimento penale, il compimento degli atti non ripetibili e, negli altri procedimenti, degli atti urgenti».

Al contrario, il Tribunale di Messina, all’esito dell’udienza del 30 giugno 2003, ha rinviato la causa al 21 luglio 2003 «per prove testi», riservandosi di decidere in quella data «le eccezioni formulate da parte convenuta». Nell’udienza del 21 luglio, il giudice ha poi ritenuto che le questioni preliminari sollevate dal convenuto potessero «essere decise unitamente al merito della controversia», procedendo così all’assunzione della prova testimoniale e, all’esito, ha rinviato «la causa per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 22 settembre 2003». In questa ulteriore udienza il giudice ha infine assegnato la causa a sentenza, indicando i termini di legge per il deposito delle comparse e delle memorie di replica.

In relazione a tali provvedimenti, appare manifesta e reiterata la mancata applicazione da parte del giudice dei commi 3, 4 e 5 dell’art. 3 della legge n. 140 del 2003 (rispetto ai quali non vengono sollevate questioni di legittimità costituzionale), disposizioni queste – come detto – adottate a tutela di un equilibrato rapporto fra il giudice procedente, la parte che eccepisce l’applicabilità del primo comma dell’art. 68 Cost. e il sollecito coinvolgimento della Camera di appartenenza del parlamentare coinvolto nel caso in cui il giudice medesimo non ritenga applicabile la prerogativa in questione.

Da ciò la fondatezza del ricorso della Camera dei deputati in relazione ai provvedimenti adottati dal Tribunale di Messina nel corso delle tre udienze menzionate, poiché la mancata tempestività dell’assunzione da parte del giudice di una decisione circa la sussistenza o meno della prerogativa parlamentare, con tutte le conseguenze di cui all’art. 3 della legge n. 140 del 2003, costituisce un evidente disconoscimento delle funzioni costituzionalmente attribuite alla Camera dei deputati e si traduce anche nella violazione di quell’obbligo di leale collaborazione che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, deve sempre e comunque caratterizzare le relazioni tra i poteri dello Stato. Nel caso di specie, infatti, la prosecuzione del giudizio civile ha impedito il sollecito coinvolgimento della Camera di appartenenza nella valutazione del comportamento del suo componente.

Va pertanto dichiarato, in accoglimento del ricorso della Camera dei deputati, che il Tribunale di Messina, dopo la formulazione dell’eccezione di applicabilità dell’art. 68, primo comma, Cost., non poteva prescindere dall’applicazione della disciplina contenuta nei commi 3, 4 e 5 dell’art. 3 della legge n. 140 del 2003. Conseguentemente, devono essere annullati i provvedimenti di rinvio dell’udienza adottati in data 30 giugno 2003 e 21 luglio 2003, nonché il provvedimento di trattenimento della causa in decisione adottato in data 22 settembre 2003.

6. – Quanto invece alle censure che la ricorrente muove avverso l’ordinanza del Tribunale di Messina in data 26-27 gennaio 2004, con la quale è stato promosso – dopo l’adozione da parte della Camera della delibera di insindacabilità, in data 13 novembre 2003 – il giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 7, della legge n. 140 del 2003 (già deciso da questa Corte con l’ordinanza n. 37 del 2006), il ricorso non è fondato.

Secondo la prospettazione della Camera dei deputati, il giudice procedente, con l’emanazione della citata ordinanza di rimessione, avrebbe violato il cosiddetto “principio della efficacia inibente” della delibera parlamentare di insindacabilità così come emerge dalla giurisprudenza di questa Corte a partire dalla sentenza n. 1150 del 1988, principio in base al quale al giudice sarebbe imposto di conformarsi alla suddetta delibera – come oggi risulta testualmente disposto dall’art. 3, comma 8, della legge n. 140 del 2003 – salvo che non intenda contestarne la correttezza attraverso lo strumento tipico del ricorso per conflitto di attribuzione davanti a questa Corte.

La tesi della presunta incompatibilità tra il potere del giudice di sollevare questioni di legittimità costituzionale e il “principio della efficacia inibente” della delibera parlamentare di insindacabilità non può essere accolta.

Questa Corte, invero, ha sempre affermato che da tale principio consegue semplicemente l’inammissibilità per il giudice di opporre «una difforme pronuncia di responsabilità» rispetto alla deliberazione di insindacabilità adottata dalla camera di appartenenza del parlamentare (così, oltre alla sentenza n. 1150 del 1988, le sentenze n. 449 del 2002, n. 265 del 1997, n. 129 del 1996 e n. 443 del 1993), con ciò – di fatto – circoscrivendo la limitazione del potere giurisdizionale alla sola adozione di una decisione di insussistenza della prerogativa a fronte di una contraria valutazione delle Assemblee parlamentari.

Di qui la naturale conseguenza per la quale il giudice procedente, a fronte di una intervenuta delibera di insindacabilità della Camera di appartenenza di un parlamentare, fatta eccezione per il potere di adottare una pronuncia di segno contrario rispetto a tale delibera, conserva i propri poteri giurisdizionali, compreso quello di sollecitare questa Corte a pronunciarsi su eventuali questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto le norme legislative che egli debba applicare, sia pure limitatamente ai fini della adozione dei provvedimenti previsti dal comma 8 dell’art. 3 della legge n. 140 del 2003. Problema diverso e certo non pertinente al presente giudizio sarà poi quello della necessaria verifica della sussistenza in concreto dei presupposti della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, come d’altronde dimostra l’esito del giudizio definito con l’ordinanza n. 37 del 2006, con la quale le questioni sollevate dal Tribunale di Messina con l’atto di promovimento oggetto del presente conflitto sono state dichiarate l’una manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza, l’altra manifestamente infondata per identità con questione precedentemente decisa nel senso dell’infondatezza.

Non è quindi lesivo della sfera di attribuzione della Camera dei deputati l’esercizio da parte del Tribunale di Messina con l’ordinanza in data 26-27 gennaio 2004, del potere di promuovere la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 7, della legge n. 140 del 2003.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava al Tribunale di Messina adottare i provvedimenti di rinvio dell’udienza in data 30 giugno 2003 e 21 luglio 2003, nonché il provvedimento di trattenimento della causa in decisione del 22 settembre 2003, e di conseguenza li annulla;

dichiara che spettava al Tribunale di Messina emanare l’ordinanza in data 26-27 gennaio 2004, con la quale è stato promosso – dopo l’adozione da parte della Camera della delibera di insindacabilità – il giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 7, della legge n. 140 del 2003;

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2007.

Allegato:

Ordinanza letta all’udienza del 23 gennaio 2007

 

ORDINANZA

Considerato che, di regola, nei giudizi per conflitto di attribuzione non è ammesso l’intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o a resistervi;

che, peraltro, questa Corte ha riconosciuto che tale limitazione non opera quando l’oggetto del giudizio per conflitto incida proprio sulla definitiva affermazione o negazione dello stesso diritto di agire della parte nel giudizio comune che pretende di essere stata lesa da una condotta in relazione alla quale si controverte, nel giudizio costituzionale, se sia o meno da ritenersi coperta dalle eccezionali immunità previste dalla Costituzione (sentenze n. 386 del 2005; n. 154 del 2004 e n. 76 del 2001);

che nel caso in esame, l’esito del conflitto non è suscettibile di condizionare la stessa possibilità che il giudizio comune prosegua;

che, pertanto, resta assorbito ogni ulteriore profilo di ammissibilità dell’intervento del soggetto parte nel giudizio comune.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile l’intervento svolto dalla S.E.S. – Società Editrice Siciliana s.p.a. – nel giudizio per conflitto di attribuzione promosso dalla Camera dei deputati nei confronti del  Tribunale di Messina.

                                                                                     F.to Franco Bile, Presidente