SENTENZA N. 197
ANNO 2010
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
-
Francesco
AMIRANTE
Presidente
-
Ugo
DE SIERVO
Giudice
-
Paolo
MADDALENA
"
-
Alfio
FINOCCHIARO
"
-
Alfonso
QUARANTA
"
-
Franco
GALLO
"
-
Luigi
MAZZELLA
"
-
Gaetano
SILVESTRI
"
-
Sabino
CASSESE
"
-
Maria Rita
SAULLE
"
-
Giuseppe
TESAURO
"
-
Paolo
Maria
NAPOLITANO
"
-
Giuseppe
FRIGO
"
-
Alessandro
CRISCUOLO
"
-
Paolo
GROSSI
"
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 99, secondo comma, del decreto del Presidente della
Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul
trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato),
promossi dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Toscana,
con ordinanza del 3 aprile 2009 e dalla Corte dei conti, sez. giurisdizionale
per la Regione Piemonte, con ordinanza del 13 maggio 2009, iscritte ai nn. 193 e 287 del registro ordinanze 2009 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 28 e
48, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visti gli atti di costituzione di B. V. e
dell’INPDAP (di cui uno fuori termine), nonché gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 13 aprile
2010 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
uditi gli avvocati Paolo Guerra per B. V.,
Dario Marinuzzi per l’INPDAP e l’avvocato dello Stato
Giuseppe Nucaro per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in
fatto
1.— La Corte dei conti,
sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, in composizione monocratica,
con ordinanza del 3 aprile 2009 (r. o. n. 193 del 2009) ha sollevato, in
riferimento agli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’articolo 99, secondo comma, del decreto del
Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico
delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari
dello Stato), come risultante dopo la sentenza della
Corte costituzionale n. 494 del 1993.
Il giudice rimettente deve
pronunciare in un giudizio nel quale la parte privata, titolare di due distinti
trattamenti pensionistici, ha chiesto l’accertamento del diritto a riscuotere
per intero l’indennità integrativa speciale su entrambe le pensioni, pure in
presenza di quanto stabilito dal citato art. 99, secondo comma, secondo cui «Al
titolare di più pensioni o assegni l’indennità integrativa speciale compete ad
un solo titolo», nel testo risultante dopo la sentenza della
Corte costituzionale n. 494 del 1993, che dichiarò l’illegittimità
costituzionale del medesimo art. 99, secondo comma, nella parte in cui non
prevedeva che, nei confronti del titolare di due pensioni, pur restando vietato
il cumulo delle indennità integrative speciali, dovesse comunque farsi salvo
l’importo corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo pensioni
lavoratori dipendenti.
La Corte dei conti, dopo
avere richiamato la propria ordinanza n. 58 del 2006, con la quale aveva
rimesso gli atti alla Corte costituzionale per lo scrutinio dell’art. 99,
secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, nonché l’ordinanza n. 119
del 2008 con la quale la Corte costituzionale aveva restituito gli atti
stessi al giudice rimettente per un nuovo esame della sollevata questione di
legittimità costituzionale, alla luce dello jus
superveniens costituito dall’articolo 1, commi
774 e 776, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007),
menziona la propria sentenza n. 350 del
2008.
Con tale decisione la
rimettente ha ritenuto che, a seguito del predetto jus
superveniens e per interpretazione autentica del legislatore, desumibile
dall’art. 1, comma 774, della legge n. 296 del 2006, rafforzata
dall’abrogazione dell’articolo 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n.
724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), disposta dall’art. 1,
comma 776, della medesima legge n. 296 del 2006, l’indennità integrativa
speciale deve intendersi parte integrante del trattamento pensionistico,
indipendentemente dalla decorrenza e, come tale, spetti in misura intera su
ogni pensione a decorrere dal 1°gennaio 1995, così restando rimossa la
prospettata illegittimità costituzionale.
Il giudice rimettente
prosegue osservando che, però, varie sentenze delle sezioni giurisdizionali
d’appello della Corte dei conti hanno negato l’incidenza del ricordato jus superveniens sul
quadro normativo concernente il cumulo della indennità integrativa speciale nel
caso di più pensioni, riaffermando la persistenza del divieto di cui all’art. 99,
secondo comma, d.P.R. n. 1092 del 1973 sui
trattamenti pensionistici anteriori al 31 dicembre 1994; e che anche le sezioni
riunite della stessa Corte dei conti, con sentenza n. 1/QM/09 in data 26
febbraio 2009, pronunziando sulla relativa questione di massima, hanno statuito
che la legge n. 296 del 2006 non ha innovato in materia di cumulo
dell’indennità integrativa speciale su più pensioni anteriori al 31 dicembre
1994, confermando in sostanza il principio di massima espresso nella precedente
sentenza n. 2/QM/2006, con la quale tuttavia erano stati manifestati dubbi di
costituzionalità sul citato art. 99, secondo comma, come integrato dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 494 del
1993.
Avuto riguardo alle memorie
difensive, ed alla richiesta della parte privata diretta ad ottenere che la
questione di legittimità costituzionale della suddetta norma sia nuovamente
rimessa alla Corte costituzionale, il giudice rimettente ritiene che tale
questione non sia manifestamente infondata, perché questa Corte, che non si è
ancora pronunziata su di essa, aveva sottoposto ai remittenti la valutazione
dello jus superveniens, in
quanto evidentemente ritenuto idoneo a rimuovere i denunciati vizi di
legittimità costituzionale. Questa interpretazione adeguatrice,
però, non sarebbe stata recepita dalle ricordate decisioni della Corte dei
conti, tra cui la citata sentenza delle sezioni riunite n. 1/2009/QM in data 26
febbraio 2009 (che ha effetto vincolante nel giudizio a quo), onde si deve
ritenere sussistente un "diritto vivente” ormai consolidato in un’opzione
interpretativa in contrasto con i precetti costituzionali, «secondo quanto
ampiamente motivato da questo giudice con la citata ordinanza n. 58/06 del 30
marzo 2006, con la quale ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale per lo
scrutinio dell’art. 99, secondo comma, del d.P.R. n.
1092 del 1973».
Tanto premesso, la Corte
rimettente afferma che «la legge n. 724 del 1994 segna il discrimine temporale
dell’evoluzione normativa dell’indennità integrativa speciale – com’è stato
riconosciuto anche dalla più recente giurisprudenza costituzionale e,
soprattutto, dall’ordinanza n. 89 del 2005 del Giudice delle leggi – poiché il
legislatore ha trasformato quella che era una retribuzione (differita)
accessoria in retribuzione primaria, con ciò evidenziando il suo chiaro intento
di non riproporre il precedente divieto, pur temperato dalla tutela del minimo
pensionistico».
In tale nuova prospettiva
andrebbe collocata la pronuncia d’illegittimità costituzionale della norma
censurata (rispetto all’assetto normativo conosciuto dal giudice costituzionale
nel 1993).
Diversamente opinando, «si
verserebbe nella macroscopica disparità di trattamento tra i percettori di
plurimi trattamenti pensionistici ante legge n. 724 del 1994 (che godrebbero
del mantenimento di più indennità integrative speciali, ma ancorate
inevitabilmente al cosiddetto minimo INPS) e i percettori di plurime pensioni
post legge n. 724 del 1994 (i quali a parità di condizioni e di trattamenti
pensionistici, solo temporalmente differenziati quanto al momento della loro
liquidazione, godrebbero di indennità integrative speciali senz’altro
integrali)».
2. — Nel giudizio di legittimità
costituzionale si è costituito il ricorrente nella causa principale, signor B.
V., con memoria pervenuta a mezzo servizio postale il 7 luglio 2009.
La parte privata prende le
mosse dal rilievo che oggetto di scrutinio è l’art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, recante il divieto di cumulo
dell’indennità integrativa speciale su due pensioni pubbliche, norma che è
ancora ritenuta in vigore nel testo modificato dalla sentenza "additiva” di
questa Corte n.
494 del 1993 per le sole posizioni pensionistiche pubbliche anteriori al 31
dicembre 1994. E ciò, nonostante le sopravvenute disposizioni normative della
legge n. 724 del 1994 (art. 15), della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del
sistema pensionistico obbligatorio e complementare), e della legge n. 296 del
2006 (art. 1, comma 776).
Dopo aver rilevato che la
questione non avrebbe trovato soluzione univoca davanti al giudice delle
pensioni (sono menzionate varie decisioni della Corte dei conti), onde ne
sarebbe derivata una grave e illegittima discriminazione tra i pensionati, la
parte privata richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale nella
materia de qua, illustra la propria posizione pensionistica, sostiene
l’ammissibilità della questione sollevata con l’ordinanza di rimessione e, nel
merito, ne propugna la fondatezza.
In particolare, la parte
privata afferma che, dopo il 1° gennaio 1995, per effetto dell’art 15, comma 3,
della legge n. 724 del 1994, «la pensione (diretta) spettante viene determinata
sulla base degli elementi retributivi assoggettati a contribuzione, ivi
compresa l’indennità integrativa speciale, ovvero l’indennità di contingenza,
ovvero l’assegno per il costo della vita spettante».
Con tale nuovo sistema di
calcolo, confermato dalla legge n. 335 del 1995, fatte salve le precedenti
posizioni pensionistiche più favorevoli, il legislatore, recependo quanto
statuito da questa Corte sulla natura retributiva dell’indennità integrativa
speciale, ha modificato, con decorrenza dal 1° gennaio 1995, il sistema di
calcolo del trattamento pensionistico, facendo rientrare la detta indennità
nella retribuzione pensionabile.
Pertanto, ad avviso della
parte privata, a seguito della liquidazione del trattamento pensionistico con
il nuovo sistema di calcolo (art. 15, comma 3, della legge n. 724 del 1994),
sarebbe implicitamente venuta meno l’ipotesi di divieto di cumulo
dell’indennità integrativa speciale su più contestuali pensioni (art. 99,
secondo comma, del T. U. n. 1092 del 1973), fondato sulla natura "accessoria”
del detto emolumento. Ne deriverebbe che, dopo il 1° gennaio 1995, nei
confronti del titolare di pensione pubblica (diretta o di reversibilità) da
data anteriore al 31 dicembre 1994 con indennità integrativa speciale separata,
divenuto titolare di altra pensione pubblica diretta dopo la predetta data,
sarebbe ripristinata l’indennità integrativa speciale sulla prima pensione,
essendo scomparsa detta indennità come assegno accessorio su quella successiva.
Dal che il discrimine di identiche posizioni, rilevato dal giudice rimettente,
«che non costituisce assolutamente l’effetto diacronico voluto dal legislatore
nei diversi periodi».
Richiamata la sentenza di questa Corte n. 516 del 2000, relativa ad una legge della Regione Siciliana che pure vietava il cumulo dell’indennità integrativa speciale su più trattamenti pensionistici, e posta in rilievo la differenza della statuizione in essa contenuta rispetto alle precedenti pronunzie, la parte privata ne trae la conseguenza che «la disposizione dell’art. 99, secondo comma, del T. U. 1092/73, nella ipotesi in cui dovesse essere stata soltanto "modificata” dalla sentenza 494/93 (additiva-manipolativa) e non annullata, non potrebbe comunque trovare attuale cittadinanza nell’ordinamento pensionistico, come si desume dagli interventi della Corte costituzionale del 1998 (ord. 438/98) e del 2000 (ord. 517/00 e sent. 516/2000)». Se, invece, detta disposizione è ritenuta vigente nel testo manipolato, essa «non può non essere nuovamente scrutinata e dichiarata incostituzionale, questa volta con identica motivazione della sentenza 516/00, vale a dire per violazione degli artt. 3, 36 e 38 della Carta fondamentale».
Infine, la parte privata
richiama la precedente ordinanza di rimessione n. 58 del 2006 della Corte dei
conti, sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, osserva che al riguardo
non vi è stata pronuncia di merito a seguito dell’ordinanza di restituzione
atti adottata da questa Corte (n. 119 del 2008) e conclude per la declaratoria
d’illegittimità costituzionale della norma censurata.
3. — Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, ha spiegato intervento nel presente giudizio, osservando che sulla
questione le sezioni riunite della Corte dei conti si sono chiaramente
pronunciate con le sentenze n. 14/QM/03 dell’11 luglio 2003 e 2/QM/06 del 22
febbraio 2006. Con tali statuizioni il divieto di cumulo dell’indennità
integrativa speciale è stato ritenuto operante.
La difesa dello Stato
osserva che, mentre la norma censurata stabilisce che al titolare di più
pensioni o assegni la detta indennità compete ad un solo titolo, l’art. 99,
quinto comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, del quale
fu dichiarata l’illegittimità costituzionale con sentenza n. 566 del
1989, prevedeva la sospensione del versamento dell’indennità medesima nei
confronti del titolare di pensione o di assegno, prestatore d’opera retribuita
sotto qualsiasi forma. Nel caso deciso con la sentenza da ultimo citata, dunque,
assumevano valore due elementi, uno dei quali, cioè la pensione, è noto e
determinabile, mentre l’altro, ossia la retribuzione di un’opera prestata sotto
qualsiasi forma, può avere il più diverso contenuto e, quindi, è da considerare
incerto e aleatorio. Pertanto, l’illegittimità della norma era stata desunta
dall’impossibilità d’individuare un limite minimo dell’emolumento dell’attività
lavorativa. Invece, nel caso di due pensioni entrambi gli emolumenti sono
fissati per legge e, perciò, sono noti.
Ad avviso dell’Avvocatura
generale, questa è la ragione per cui il mantenimento di una sola indennità,
stabilito dalla norma in esame, può essere sufficiente per assolvere alle
finalità di cui all’art. 38 Cost., in quanto l’indennità stessa costituisce la
componente sulla quale il legislatore ben può esercitare la propria
discrezionalità, salvo il limite della manifesta irragionevolezza.
Infine essa, ponendo in
evidenza come il percorso argomentativo seguìto da
questa Corte nella sentenza n. 494 del
1993 sia connesso a quello effettuato in precedenti sentenze (n. 307 del 1993
e n. 172 del
1991), ritiene non fondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati
in ordine alla norma censurata.
4. — Nel giudizio di
legittimità costituzionale si è costituito anche l’Istituto nazionale di previdenza
per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP), chiedendo che la
questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, non fondata.
Il detto ente, dopo aver
riassunto gli aspetti salienti del processo promosso (dalla parte privata) davanti
alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, osserva
che le sezioni riunite della stessa Corte dei conti sono state investite della
questione di massima, relativa alla corretta interpretazione dell’art. 99,
comma secondo, del d.P.R. n. 1092 del 1973, proprio a
seguito di ordinanza pronunziata dall’attuale Giudice rimettente nel processo a
quo.
Richiamato il contenuto
della pronuncia adottata dalle sezioni riunite, l’INPDAP prosegue osservando
che essa ha efficacia vincolante nel giudizio a quo, sicché la sezione
giurisdizionale per la Regione Toscana doveva applicare il principio di diritto
nella medesima decisione enunciato. Da ciò deriverebbe che l’ordinanza, con la
quale la detta sezione giurisdizionale ha nuovamente sollevato la questione di
legittimità costituzionale, si dovrebbe ritenere inammissibile.
Nel merito, l’Istituto
sostiene la non fondatezza della questione.
L’ente richiama i precedenti
della Corte costituzionale (sentenze n. 376 del 1994,
n. 494 del 1993
e n.172 del 1991,
della cui natura additiva non si potrebbe dubitare) ed afferma che le pronunzie
d’illegittimità costituzionale delle norme, relative al cosiddetto divieto di
cumulo dell’indennità integrativa speciale su plurimi trattamenti
pensionistici, sarebbero state limitate alla parte in cui le norme stesse «non
hanno previsto la salvezza, sul secondo trattamento pensionistico, dell’importo
corrispondente al c.d. "minimo INPS”». Ciò diversamente dalle statuizioni del
giudice delle leggi, intervenute in merito alla distinta ipotesi di cumulo
dell’indennità integrativa speciale in caso di godimento di retribuzione e di
trattamento di quiescenza, alle quali andrebbe riconosciuta natura di sentenze
di "mero annullamento”.
Pertanto, la norma censurata
non sarebbe stata affatto espunta dall’ordinamento, ma soltanto integrata dalla
disciplina introdotta dalla Corte costituzionale, al fine di assicurarne la
conformità ai princìpi costituzionali.
L’Istituto aggiunge che tale
interpretazione è stata condivisa in più decisioni delle sezioni riunite della
Corte dei conti, le cui conclusioni, a suo avviso, trovano conferma nella
recente evoluzione normativa introdotta con le disposizioni contenute nell’art.
1, commi 774 e 776, della legge n. 226 (recte: 296)
del 2006.
Infatti, il legislatore
avrebbe inteso fornire una interpretazione definitiva circa le modalità di
computo dell’indennità integrativa speciale, sia pure in relazione alle sole
pensioni di reversibilità, con una disciplina destinata a spiegare efficacia
anche nel caso in esame.
Dopo aver posto l’accento
sull’art. 15, comma 3, della legge n. 724 del 1994 e sull’art. 1, comma 41,
della legge n. 335 del 1995, l’ente osserva che l’art. 1, comma 774, della
legge n. 296 del 2006 ha disposto che l’estensione della disciplina
dell’assicurazione generale obbligatoria alle pensioni di reversibilità del
settore pubblico deve intendersi nel senso che l’indennità integrativa
speciale, in godimento al dante causa e indipendentemente dalla decorrenza
della pensione diretta, è attribuita, sui trattamenti di reversibilità
liquidati successivamente all’entrata in vigore della legge n. 335 del 1995,
nella sola misura percentuale prevista per il trattamento di reversibilità
(cioè con la riduzione al 60 per cento).
Con il successivo comma 776,
per evidenti esigenze di ordine sistematico, è stata abrogata la disposizione
introdotta dall’art. 15, comma 5, della legge n. 724 del 1994, che faceva salvo
il computo della suddetta indennità in misura intera, per i trattamenti di
reversibilità che (per quanto liquidati dopo l’entrata in vigore della legge n.
335 del 1995) fossero comunque relativi a trattamenti diretti liquidati prima
del 31 dicembre 1994.
Ad avviso dell’ente, con
tale intervento il legislatore avrebbe inteso interpretare nel modo più
restrittivo, per esigenze perequative nonché di contenimento della spesa
previdenziale, le norme in tema di computo dell’indennità in questione sui
trattamenti di reversibilità.
Ciò si rifletterebbe anche
in tema di calcolo della medesima indennità su plurimi trattamenti
pensionistici, conducendo ad escludere il computo di essa in misura integrale
su tali trattamenti. Invero, per i casi di concorso tra pensione diretta e di
reversibilità, una diversa interpretazione dell’art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, nel senso di ritenere caducato il divieto di cumulo, si porrebbe in contrasto con
le disposizioni dettate dalla legge finanziaria per il 2007, in quanto
giungerebbe al risultato inaccettabile di consentire il computo integrale
dell’indennità integrativa speciale sui trattamenti di reversibilità anche
successivi al 1995. In sostanza, ad avviso dell’ente, se non è più consentito
computare detta indennità in misura intera sul trattamento di reversibilità
liquidato dopo il 1995, ed ovviamente cumulare più indennità in misura intera
qualora uno dei trattamenti pensionistici sia di reversibilità, non si vede
come si potrebbe giungere a tale risultato qualora essi siano entrambi diretti,
cioè più favorevoli per il pensionato.
Infine, l’INPDAP richiama la
più recente giurisprudenza della Corte dei conti, favorevole alla tesi
interpretativa propugnata dall’ente.
5. — La Corte dei conti,
sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, in composizione monocratica,
con ordinanza del 13 maggio 2009 (r. o. n. 287 del 2009), ha sollevato, in
riferimento agli artt. 2, 3, 36 e 38 Cost., questione di legittimità
costituzionale dell’art. 99, secondo comma, del d.P.R.
n. 1092 del 1973.
La Corte rimettente premette
di essere chiamata a pronunciare in sette processi, promossi da soggetti tutti
intestatari, a vario titolo, di due pensioni liquidate entro il 31 dicembre
1994. Tutti i ricorrenti chiedono che sia loro corrisposta l’indennità
integrativa speciale, da calcolare in misura intera su entrambe le pensioni in
godimento. Le Amministrazioni resistenti, però, sostengono che le domande non
possono essere accolte, stante il divieto di cumulo di plurime indennità
integrative su più pensioni, tuttora parzialmente previsto dall’art. 99,
secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973.
Il giudice a quo richiama il
percorso giurisprudenziale sviluppatosi in materia, ponendo l’accento sulle
sentenze della Corte costituzionale e sulle decisioni della Corte dei conti che
hanno affrontato, sotto diversi profili, il tema del cumulo della suddetta
indennità. Ad avviso del medesimo Giudice, nel diritto vivente sarebbe «venuta
a delinearsi – almeno in apparenza – un’aporia dell’ordinamento pensionistico
pubblico. La Corte costituzionale, in particolare, sembra aver risolto in
maniera difforme due questioni tra loro apparentemente analoghe, come pare
desumersi dal raffronto delle citate sentenze n. 494 del 1993
e n. 376 del 1994
(da un lato) con l’orientamento successivamente espresso nella sentenza n. 516 del
2000 (dall’altro lato). Le prime due sentenze, specificamente, paiono tenere
distinte la fattispecie del cumulo di pensione e retribuzione (per la quale si
pronuncia una declaratoria di illegittimità con effetto "ablatorio”)
rispetto a quella del cumulo tra più pensioni (per la quale si ha invece una
pronuncia con effetto "additivo” o "manipolativo”, introducendo nella norma il
criterio-soglia del minimo INPS per adeguare il divieto di "cumulo” ai canoni
di legittimità costituzionale); la terza sentenza, al contrario, sembra
equiparare le due fattispecie (pensione più retribuzione versus plurime
pensioni), ritenendole entrambe illegittime, senza dettare alcun criterio di
adeguamento».
La Corte rimettente, dopo
aver formulato l’ipotesi che tale discrasia possa spiegarsi con le innovazioni
legislative intervenute nel corso del tempo, richiama l’art. 1, commi 774 e
776, della legge n. 296 del 2006, nonché l’art. 15 della legge n. 724 del 1994,
ed afferma che «in base al combinato disposto delle disposizioni appena
richiamate, un problema di cumulo di i.i.s. non
poteva e non può ulteriormente porsi per tutte quelle pensioni in cui la i.i.s. è stata effettivamente "conglobata” e, segnatamente:
per le pensioni dirette liquidate dopo il 31 dicembre 1994 e per le pensioni di
reversibilità ad esse riferite (legge n. 724 del 1994, art. 15, commi 3 e 4
citati); per le pensioni di reversibilità sorte con decorrenza pari o
successiva al 17 agosto 1995 (legge n. 335 del 1995, art. 1, comma 41 citato,
alla luce dell’interpretazione autentica recata dal citato comma 774), ancorché
riferite a pensioni dirette ante 1995».
Il problema restava aperto,
invece, per le pensioni dirette liquidate entro il 31 dicembre 1994 e per le
pensioni di reversibilità ad esse riferite, se sorte entro il 16 agosto 1995
(art. 15, comma 5, legge n. 724 del 1994), perché, dopo l’abrogazione di tale
norma ad opera dell’art. 1, comma 776, della legge n. 296 del 2006, non era
chiaro in giurisprudenza se per tali pensioni l’indennità integrativa si
potesse ancora considerare "voce accessoria” ed autonoma rispetto alla pensione
base.
Il giudice a quo, poi, pone
l’accento sull’ordinanza
di questa Corte n. 119 del 2008 e rileva che, dopo la restituzione degli
atti disposta con tale provvedimento, la giurisprudenza della Corte dei conti è
pervenuta a soluzioni "variegate”, alcune ritenendo la sussistenza del divieto
di cumulo, altre (come la Sezione d’appello per la Sicilia) affermando la caducazione di tale divieto, così riconoscendo il diritto
al cumulo di più indennità senza limitazioni di sorta.
La rimettente riferisce di
aver prestato motivata adesione a quest’ultima soluzione ermeneutica, nella
prospettiva di una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata
che conduceva a ritenere non più vigente, almeno dal 17 agosto 1995, l’art. 99,
secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973.
Tuttavia, avuto riguardo
alla rilevanza della questione ed ai contrasti insorti nella giurisprudenza, la
questione medesima è stata nuovamente rimessa alle sezioni riunite della Corte
dei conti che, con la sentenza n. 1/QM del 26 febbraio 2009, hanno tra l’altro
affermato, dopo ampia disamina, il seguente principio di massima: «Per il
periodo precedente all’entrata in vigore della legge 27.12.2006, n. 296, resta
applicabile la disciplina della IIS con riferimento al titolare di due pensioni
decorrenti entrambe da data anteriore al 1. 1. 1995».
In questo quadro, il giudice
a quo dà atto del "diritto vivente” «quale inequivocamente
affermato da tre conformi successive pronunce delle Sezioni riunite (n.
14/QM/2003 cit.; n. 2/QM/2006 cit.; n. 1/QM/2009 cit.) nonché dall’attuale
univoco orientamento delle tre Sezioni centrali d’appello della Corte dei conti
(Sez. Prima, sent. 295 del 07.07.2008; Sez. Seconda, sent. 252 del 25.07.2008;
Sez. Terza, sent. 238 del 22.8.2008, già citate; fa eccezione, ma in relazione
ai soli ricorrenti residenti in Sicilia, App. Sicilia, sent. 100 del 6 marzo
2009». A suo avviso ne deriva, in primo luogo, che il (parziale) divieto di
cumulo di più indennità integrative corrisposte su più pensioni è da ritenere
tuttora vigente, in quanto lo jus superveniens,
introdotto dalla legge finanziaria per il 2007, non avrebbe influito
sull’applicazione o sull’interpretazione del citato art. 99, secondo comma, del
d.P.R. n. 1092 del 1973 (come risultante dopo la sentenza di questa
Corte n. 494 del 1993); in secondo luogo, che restano integre tutte le
censure di legittimità costituzionale, a suo tempo sollevate, nei confronti di
tale norma, per contrasto con gli artt. 3 e 36 Cost. (Sezione Abruzzo,
ordinanza n. 14 del 10 marzo 2006); ovvero con gli artt. 3, 36 e 38 Cost.
(Sezione Toscana, ordinanza n. 33 del 30 marzo 2006); o anche soltanto con
l’art. 3 Cost. (Sezione terza appello, n. 153 del 16 maggio 2006). A tali
ordinanze di rimessione, «i cui contenuti devono intendersi qui integralmente
richiamati, in quanto condivisi da questo Giudice, viene ad aggiungersi, da
ultimo, l’ordinanza Sez. Toscana, n. 49 del 3 aprile 2009, anch’essa
sostanzialmente condivisa da questo Giudice e da intendersi qui recepita».
Ciò posto, la Corte
rimettente passa a motivare sulla rilevanza della questione, osservando che i
giudizi nei quali è chiamata a pronunziare non possono essere decisi
prescindendo dall’applicazione della norma censurata, perché concernenti
fattispecie di cumulo di indennità integrative speciali relative a pensioni
liquidate anteriormente al 1° gennaio 1995, con domanda di riconoscimento di
ratei arretrati comunque ricadenti (tenuto conto del termine quinquennale di
prescrizione) in data anteriore al 2007.
Inoltre, nessuna
interpretazione costituzionalmente orientata di detta norma è percorribile, in
presenza del chiarissimo principio di diritto più volte affermato e ribadito
dalle sezioni riunite della Corte dei conti, nonché dalle tre sezioni centrali
d’appello, «le cui conformi pronunce sostanziano il "diritto vivente”».
In ordine alla non manifesta
infondatezza, il giudice a quo – richiamate ancora una volta le considerazioni
svolte nelle citate ordinanze di rimessione del 2006, nonché nell’ordinanza n.
49 del 2009 della sezione Toscana – osserva in via di sintesi che sono state
poste in evidenza «le molteplici incongruenze derivanti dalla piena
cumulabilità della indennità integrativa speciale per i pensionati che siano
ancora lavoratori attivi (cumulo pensione-retribuzione) con cessazione del
favorevole regime di cumulo all’atto del successivo pensionamento (divieto di
cumulo pensione-pensione), ma solo per i pensionati ante 1995 (e per le
relative pensioni di reversibilità, se maturate entro il 17 agosto 1995), così
introducendo, tra l’altro, una forte ed irragionevole cesura sul piano
temporale senza la contestuale previsione di alcun meccanismo di graduale
adeguamento dal "vecchio” al "nuovo” sistema di computo della i.i.s., con particolare riguardo alla salvaguardia delle
posizioni pregresse. Irragionevolmente distonico appare, poi, il
"conglobamento” della i.i.s. nelle pensioni di reversibilità
comunque sorte dopo il 17 agosto 1995, dal momento che quella stessa i.i.s., in capo al dante causa, è tuttora considerata voce
"accessoria” di contingenza».
Il giudice a quo, poi,
«ritiene di dover rimarcare il profilo, invero singolare, dell’irragionevole
disparità di trattamento venutasi a creare tra i pensionati della Regione
Sicilia (interessati ad oggi dalla citata pronuncia "ablatoria”
n. 516 del 2000: v. tabella O, lettera b, terzo comma, della legge della
Regione Siciliana 29 ottobre 1985, n. 41) e il resto dei pensionati pubblici
(interessati per contro dalla citata pronuncia "manipolativa” n. 494 del 1993:
v. art. 99, secondo comma, t. u. 1092 del 1973)».
La Corte rimettente prosegue
affermando che, se nel 2000 il criterio del "minimo INPS” è stato ritenuto non
più idoneo a rendere costituzionalmente legittima la citata norma della Regione
siciliana (come dovrebbe desumersi dalla sentenza n. 516 del
2000) non sarebbe equo né ragionevole che quello stesso criterio sia
parzialmente tenuto fermo dalla giurisprudenza contabile nel "diritto vivente”,
facendo applicazione della norma qui censurata, tanto più che il criterio
dell’integrazione al minimo INPS rappresenta un correttivo soltanto nominale,
perché quasi tutte le pensioni dei dipendenti pubblici sono superiori ad esso.
Sarebbe ravvisabile, quindi,
una macroscopica violazione dei princìpi fondamentali
di uguaglianza e ragionevolezza, sottesi all’art. 3 Cost., non essendo dato
percepire le ragioni per le quali le due originarie (e nella sostanza
equivalenti) norme, una dello Stato l’altra della Regione Sicilia, entrambe
recanti il divieto di cumulo dell’indennità integrativa, siano poi divenute,
per effetto di pronunce della Corte costituzionale (e non di scelte
legislative, espressione di discrezionalità nella materia), norme del tutto
diverse pure in assenza di apprezzabili differenze nelle fattispecie
disciplinate.
Andrebbe rilevato, infine,
che, trattandosi di rendita vitalizia pubblica, corrisposta mensilmente agli
interessati, l’irragionevole perdurante sperequazione «può finire, in concreto,
per minare non soltanto l’effettività del canone di uguaglianza, ma anche il
principio stesso di solidarietà sociale ed economica su cui si fonda la
Repubblica (art. 2 Cost.)».
6. — Nel giudizio di
legittimità costituzionale si è costituito l’INPDAP che, svolgendo
argomentazioni analoghe a quelle esposte con riferimento alla precedente
ordinanza di rimessione (r.o. n. 193 del 2009), ha
chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, non
fondata.
7. — Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, a sua volta è intervenuto concludendo per la non fondatezza della
questione, con argomenti analoghi a quelli esposti nel precedente giudizio.
In prossimità dell’udienza
di discussione la difesa dello Stato ha depositato memorie in entrambi i
giudizi.
Considerato
in diritto
1. — Le sezioni
giurisdizionali per la Regione Toscana e per la Regione Piemonte della Corte
dei conti, in composizione monocratica, con le ordinanze indicate in epigrafe
dubitano della legittimità costituzionale dell’articolo 99, secondo comma, del
decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione
del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili
e militari dello Stato), come risultante dopo la sentenza di questa
Corte n. 494 del 1993, in riferimento agli articoli 2, 3, 36 e 38 della
Costituzione.
Le dette sezioni
giurisdizionali sono state chiamate a giudicare su ricorsi proposti da diverse
persone, ciascuna intestataria a vario titolo di due pensioni liquidate entro
il 31 dicembre 1994. I ricorrenti chiedono che sia loro corrisposta su entrambe
le pensioni in godimento l’indennità integrativa speciale in misura intera. Le
amministrazioni resistenti, però, sostengono che le domande non possono essere
accolte, stante il divieto di cumulo di plurime indennità integrative su più
pensioni, tuttora parzialmente previsto dal citato art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, già oggetto della sentenza di questa
Corte n. 494 del 1993, che dichiarò l’illegittimità costituzionale del
medesimo art. 99, secondo comma, «nella parte in cui non prevede che, nei
confronti del titolare di due pensioni, pur restando vietato il cumulo delle
indennità integrative speciali, debba comunque farsi salvo l’importo
corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni
lavoratori dipendenti».
Le rimettenti richiamano i
precedenti della questione, gli orientamenti espressi sul tema de quo dalla
Corte costituzionale e dalla Corte dei conti, le trasformazioni normative
intervenute nel corso degli anni e rilevano che, pur dopo la pronunzia "ablatoria” di questa Corte, adottata con la sentenza n. 516 del
2000 (in ordine ad una norma della Regione siciliana avente contenuto
analogo a quello della norma qui censurata), la giurisprudenza delle sezioni
riunite e delle sezioni centrali d’appello (esclusa la sezione d’appello per la
Sicilia) della stessa Corte dei conti è ormai ferma nel senso di ritenere
tuttora vigente il (parziale) divieto di cumulo della indennità integrativa
speciale su più pensioni, in guisa da integrare un vero e proprio "diritto
vivente”.
In relazione a tale
principio, tuttavia, restano intatte le censure di illegittimità costituzionale
a suo tempo sollevate, con le ordinanze della sezione Abruzzo, della sezione
Toscana e della sezione terza d’appello della Corte dei conti, tutte emesse nel
2006, sulle quali non vi è stata pronunzia di questa Corte perché essa, a
seguito della entrata in vigore della legge 27 dicembre 2006, n. 296
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge finanziaria 2007 –), e segnatamente dell’art. 1, commi 774 e 776, della
medesima, dispose la restituzione degli atti ai giudici rimettenti con ordinanza n. 119
del 2008, avuto riguardo alle intervenute modifiche del quadro normativo,
costituenti jus superveniens.
Pertanto le sezioni
giurisdizionali in epigrafe, nel riportarsi alle citate ordinanze di
rimessione, «i cui contenuti devono intendersi qui integralmente richiamati»,
rinnovano (nei termini che saranno in prosieguo precisati) le censure mosse
all’art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del
1973.
2. — I due giudizi di
legittimità costituzionale, avendo ad oggetto la medesima questione, devono
essere riuniti e decisi con unica pronunzia.
3. — Con riferimento alla
questione proposta dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la
Regione Toscana, l’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti
dell’amministrazione pubblica (INPDAP) ha eccepito che essa sarebbe
inammissibile, in quanto le sezioni riunite della Corte dei conti sono state
investite della questione di massima relativa alla corretta interpretazione
dell’art. 99, comma secondo, del d.P.R. n. 1092 del
1973 proprio a seguito di ordinanza di rimessione pronunciata dalla detta
Sezione giurisdizionale nel giudizio a quo.
Le sezioni riunite, con
sentenza n. 1/QM/2009, hanno statuito che «In ragione dell’art. 99, secondo
comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, vigente nel testo
modificato dalla Corte costituzionale tuttora non sussiste, in caso di pensioni
liquidate, come nella deferita questione, prima dell’1. 1. 1995, il diritto al
cumulo della i.i.s. in misura intera su due
trattamenti di pensione, dovendosi assicurare sul secondo trattamento solo il
minimo INPS».
L’Istituto prosegue rilevando
che le stesse sezioni riunite si sono soffermate anche sull’efficacia del
cosiddetto jus superveniens,
di cui all’art. 1, commi 774 e seguenti, della legge n. 296 del 2006,
affermando che tali disposizioni non hanno «modificato l’assetto normativo valevole
per il periodo anteriore alla data di entrata in vigore della legge n. 724 del
1994, quale modellatosi con le varie sentenze della Corte costituzionale
relative al divieto di cumulo».
Pertanto, l’INPDAP conclude
sostenendo che, poiché la suddetta sentenza ha efficacia vincolante nel
giudizio a quo, la sezione giurisdizionale per la Toscana della Corte dei conti
avrebbe dovuto applicare i princìpi sopra enunciati,
senza poter sollevare la questione di legittimità costituzionale.
3. 1. — L’eccezione non è
fondata.
Questa Corte, con
giurisprudenza costante, in relazione al giudizio di rinvio dopo sentenza di
annullamento pronunciata dalla Corte di cassazione, ha affermato che la norma
dichiarata applicabile nella interpretazione dalla medesima Corte fornita può
formare oggetto di questione di legittimità costituzionale da parte del giudice
del rinvio, perché quest’ultimo deve fare applicazione della norma nel
significato attribuitole, onde non si è al cospetto di rapporti "esauriti”(ex
plurimis: sentenze n. 305 del 2008,
n. 349 e 78 del 2007, n. 58 del 1995 e
n. 138 del 1993).
Per quanto qui interessa, la
situazione non è dissimile con riguardo alle sentenze pronunciate dalle sezioni
riunite della Corte dei conti in questioni di massima concernenti un giudizio
pendente davanti ad una sezione giurisdizionale territoriale, che ha rimesso la
questione stessa all’esame delle dette sezioni riunite. Anche la sezione territoriale,
infatti, deve fare applicazione della norma nel significato che le è stato
attribuito con la pronuncia sulla questione di massima (sentenza n. 375 del
1996); e, del resto, l’articolo 1 della legge costituzionale 9 febbraio
1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie
d’indipendenza della Corte costituzionale), stabilisce che la relativa
questione è rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un
giudizio, senza distinguere tra i gradi o le fasi di questo (sentenza n. 138 del
1977).
4. — Entrambe le ordinanze
di rimessione rinviano per relationem alle
precedenti ordinanze del 2006, dichiarando di far proprie le motivazioni in
esse contenute.
Questa Corte, però, con
giurisprudenza costante, ha dichiarato inammissibili le questioni così
sollevate, dovendo il giudice a quo esporre compiutamente ed in forma
autosufficiente le ragioni del proprio convincimento circa l’illegittimità
costituzionale della norma censurata (ex plurimis:
sentenze n. 64
del 2009, n.
72 del 2008, n.
103 del 2007; ordinanze n. 75 del 2007
e n. 33 del 2006).
Ne deriva che i detti rinvii non possono trovare ingresso in questa sede,
sicché il thema decidendum
resta circoscritto alle censure esposte nelle ordinanze di rimessione indicate
in epigrafe.
5. — Nel merito, si deve
premettere che, ai sensi dell’art. 15, comma 3, della legge 23 dicembre 1994,
n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), «con decorrenza
dal 1°gennaio 1995, per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui
all’art. 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive
modificazioni e integrazioni, iscritti alle forme di previdenza esclusive
dell’assicurazione generale obbligatoria, nonché per le altre categorie di
dipendenti iscritti alle predette forme di previdenza, la pensione spettante
viene determinata sulla base degli elementi retributivi assoggettati a
contribuzione, ivi compresa l’indennità integrativa speciale, ovvero
l’indennità di contingenza, ovvero l’assegno per il costo della vita
spettante».
Pertanto, a far tempo dalla
data suddetta, il pagamento dell’indennità di contingenza è stato conglobato
nel trattamento pensionistico, mentre il detto art. 15, comma 3, e le
disposizioni successive di cui alla sentenza delle sezioni riunite della Corte
dei conti n. 1 del 26 febbraio 2009, non hanno modificato – secondo
l’orientamento della giurisprudenza menzionata nell’ordinanza di rimessione –
il carattere accessorio delle indennità integrative speciali sulle pensioni liquidate
in epoca anteriore al 1° gennaio 1995, con la conseguenza che, per i titolari
di più pensioni tutte anteriori a tale data, permangono i limiti relativi al
cumulo delle indennità stesse posti dall’art. 99, comma secondo, del d.P.R. n. 1092 del 1973, nel testo risultante dopo la sentenza di questa
Corte n. 494 del 1993.
Detta norma dispone che «Al
titolare di più pensioni o assegni l’indennità integrativa speciale compete a
un solo titolo». La sentenza da ultimo citata ne dichiarò l’illegittimità
costituzionale «nella parte in cui non prevede che, nei confronti del titolare
di due pensioni, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative
speciali, debba comunque farsi salvo l’importo corrispondente al trattamento
minimo previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti».
La pronuncia prese le mosse
dall’articolo 17 della legge 21 dicembre 1978, n. 843 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), il quale disponeva,
nel comma 1, che «L’indennità integrativa speciale non è cumulabile con la
retribuzione percepita in costanza di rapporto di lavoro alle dipendenze di
terzi. Deve comunque essere fatto salvo l’importo corrispondente al trattamento
minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti»
(cosiddetto minimo INPS); pose l’accento, poi, sulla sentenza n. 172 del
1991, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del detto art. 17
« nella parte in cui non prevede che anche nei confronti del titolare di due
pensioni, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali,
debba comunque farsi salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo di
pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti»; menzionò,
inoltre, la sentenza
n. 307 del 1993, con la quale fu dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art.
16 della legge 20 ottobre 1982, n. 773 (Riforma della Cassa nazionale di
previdenza ed assistenza a favore dei geometri), «nella parte in cui non
prevede che anche nei confronti del titolare di due pensioni, di cui una a
carico della Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei geometri, pur
restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali, debba comunque
farsi salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto
per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti»; e, ritenendo che le rationes decidendi poste a
fondamento delle sentenze da ultimo richiamate ricorressero anche con riguardo
al disposto dell’art. 99, secondo comma, del d.P.R.
n. 1092 del 1973, pervenne alla declaratoria d’illegittimità costituzionale di tale
norma, nei sensi sopra indicati.
Come si vede, tratto comune
delle sentenze ora citate è il principio che nei confronti dei titolari di due
pensioni il cumulo delle indennità integrative speciali resta vietato, sia pure
con il correttivo nelle sentenze medesime stabilito, ossia con il
riconoscimento del diritto alla riscossione della detta indennità anche sul
secondo trattamento, ma limitatamente alla misura necessaria per l’integrazione
all’importo corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo pensioni
lavoratori dipendenti.
Il detto principio, che
trova un ancoraggio normativo nell’art. 17, primo comma, della legge n. 843 del
1978, non si può ritenere espunto dall’ordinamento a seguito delle sentenze di
questa Corte n.
204 del 1992 e n. 172 del 1991
(del resto, entrambe precedenti alla sentenza n. 494 del
1993). Non certo per effetto della prima, che anzi, nel dichiarare la
(parziale) illegittimità della citata norma, fece leva proprio sulla necessità
di far salvo il trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni
lavoratori dipendenti; e nemmeno per effetto della seconda che, senza far
riferimento al menzionato trattamento minimo, pervenne alla declaratoria
d’illegittimità costituzionale delle due norme censurate (tra cui l’art. 17,
primo comma, della legge n. 843 del 1978), «nella parte in cui non determinano
la misura della retribuzione, oltre la quale diventano operanti l’esclusione e
il congelamento dell’indennità integrativa speciale», così mostrando di
condividere la tesi che un limite oltre il quale il divieto di cumulo diventava
operante rientrava nella sfera della legittimità costituzionale.
Lo stesso principio,
peraltro, si trova ribadito anche nella sentenza n. 376 del
1994. Essa affermò che la regola per cui al titolare di più pensioni
l’indennità integrativa speciale compete ad un solo titolo «è
costituzionalmente legittima solo se e nella misura in cui sia fatto salvo
l’importo di detta indennità eventualmente occorrente a non ridurre la
prestazione pensionistica al di sotto del trattamento minimo INPS». Ed
aggiunse, con riferimento all’ipotesi del pensionato che presti attività
lavorativa retribuita, «che la sospensione o il congelamento dell’indennità
integrativa speciale relativa alla pensione non è legittima ove sia operante
qualunque sia l’ammontare della retribuzione percepita, spettando peraltro alla
discrezionalità del legislatore – che non risulta essere stata in concreto
esercitata – stabilire quale sia la soglia retributiva oltre la quale abbia
vigore tale decurtazione» (punto 2 del Considerato in diritto, penultimo
paragrafo).
Infine, questa Corte,
chiamata a giudicare su una norma della Regione Siciliana di contenuto simile a
quello dell’art. 99, secondo comma, con sentenza n. 516 del
2000 ne dichiarò l’illegittimità costituzionale «nella parte in cui non
determina la misura del trattamento complessivo oltre il quale diventi
operante, per i titolari di pensioni ed assegni vitalizi, il divieto di cumulo
della indennità di contingenza ed indennità similari».
E’ agevole constatare che,
se la sentenza non fa riferimento al trattamento minimo INPS, è vero del pari
che nella declaratoria d’illegittimità costituzionale si fa espressa menzione
della misura del trattamento complessivo oltre il quale il divieto di cumulo
diventa operante. C’è di più: nella motivazione (punto 5 del Considerato in
diritto) si chiarisce che «l’illegittimità costituzionale non deriva dal
divieto di cumulo, di per sé non incostituzionale in relazione alla originaria
funzione della indennità di contingenza (o similare) come elemento aggiuntivo
(correlata a percentuale di stipendio o pensione) e separato dalla retribuzione
o pensione, con finalità di adeguarla ad un livello minimo rispetto alle
variazioni del costo della vita; ma si verifica in presenza di divieto di
cumulo di indennità di contingenza (o similare) generalizzato, cioè senza che
sia fissato un limite minimo o trattamento complessivo per le attività alle
quali si riferisce, al di sotto del quale non debba operare il divieto stesso».
In definitiva, come risulta
dall’excursus fin qui compiuto, una lettura complessiva e coordinata della
giurisprudenza di questa Corte fino ad oggi formatasi porta a concludere che il
divieto di cumulo di più indennità integrative speciali su plurimi trattamenti
pensionistici è stato considerato conforme al quadro costituzionale, con il
correttivo individuato dalla giurisprudenza.
5. — Bisogna ora procedere
all’esame delle questioni proposte dalle ordinanze di rimessione, nei limiti
indicati nel precedente paragrafo 4.
5.1. — L’ordinanza della
sezione giurisdizionale per la Regione Toscana della Corte dei conti, oltre ad
un rinvio per relationem al provvedimento n. 58 del
2006 adottato nel 2006 (rinvio che, per quanto sopra detto, non può trovare
ingresso in questa sede), afferma che, «poiché il legislatore ha trasformato
quella che era una retribuzione (differita) accessoria in retribuzione
primaria», così ponendo in evidenza il chiaro intento di non riproporre il
precedente divieto, pur temperato dalla tutela del minimo pensionistico, era
stata chiesta una pronuncia d’illegittimità costituzionale della norma
censurata «sotto la nuova ottica (rispetto all’assetto normativo che ha
conosciuto il giudice costituzionale del 1993), in quanto diversamente
opinando, si verserebbe nella macroscopica diversità di trattamento tra i
percettori di plurimi trattamenti pensionistici ante legge n. 724 del 1994 (che
godrebbero del mantenimento di più indennità integrative speciali, ma ancorate
inevitabilmente al cosiddetto minimo INPS) e i percettori di plurime pensioni
post legge n. 724 del 1994 (i quali a parità di condizioni e di trattamenti
pensionistici, solo temporalmente differenziati quanto al momento della loro
liquidazione, godrebbero di indennità integrative speciali senz’altro
integrali)».
La questione non è fondata.
Premesso che si verte in
tema di rapporti di durata, secondo la giurisprudenza della Corte
costituzionale non contrasta con il principio di eguaglianza un trattamento
differenziato, applicato ad una determinata categoria di soggetti in momenti
diversi nel tempo, perché proprio il fluire del tempo costituisce un elemento
di diversificazione delle situazioni giuridiche (ex plurimis:
sentenze n. 94
del 2009, punto 7.2 del Considerato in diritto; n. 341 del 2007;
n. 342 del 2006;
ordinanze n. 61
del 2010 e n.
170 del 2009). Inoltre, rientra nella discrezionalità del legislatore, nel
rispetto del principio di ragionevolezza, modulare diversamente nel tempo la
disciplina giuridica degli istituti e, nella specie, la diversa disciplina
dell’indennità integrativa speciale tra pensioni precedenti e successive al 1°
gennaio 1995 non può definirsi irragionevole, in quanto si colloca nella
prospettiva di pervenire all’armonizzazione delle basi contributive e
pensionabili, previste dalle diverse gestioni obbligatorie dei settori pubblico
e privato (art. 15, comma 3, della legge n. 724 del 1994).
I parametri riferiti agli
artt. 36 e 38 Cost., ancorché evocati nell’ordinanza di rimessione che ha dato
luogo al presente giudizio di legittimità costituzionale, sono privi di
motivazione. Pertanto, con riferimento ad essi la questione è inammissibile (ex
plurimis: ordinanze nn.
181 e 35 del 2009; nn. 206 e 32 del 2008).
5.2. — Passando
all’ordinanza della sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, si deve
premettere che non spetta alla Corte costituzionale, bensì al giudice delle
controversie in materia pensionistica, interpretare la normativa applicabile,
anche nei suoi profili diacronici, provvedendo altresì a comporre, con gli
strumenti predisposti dall’ordinamento, i contrasti giurisprudenziali e le
situazioni d’incertezza che ne derivano. Il che, peraltro, è avvenuto, come si
desume dalla stessa ordinanza di rimessione (in particolare, pag. 23), a
seguito della sentenza delle sezioni riunite della Corte dei conti, n. 1/QM del
26 febbraio 2009 (che ha dato continuità, nella sostanza, a precedenti
decisioni adottate nel 2003 e nel 2006), cui hanno prestato adesione tre
sezioni centrali d’appello della stessa Corte dei conti.
Questa Corte, dunque, deve
procedere allo scrutinio di legittimità costituzionale della norma censurata,
per come interpretata dal "diritto vivente” al riguardo formatosi, sulla base
dei parametri evocati ed illustrati dalla Sezione rimettente, ferma restando
l’inammissibilità del rinvio per relationem ad altre
precedenti ordinanze.
Orbene, la detta sezione
così riassume, "in estrema sintesi”, le censure mosse.
Andrebbero poste in rilievo
le molteplici incongruenze derivanti dalla piena cumulabilità della indennità
integrativa speciale per i pensionati che siano ancora lavoratori attivi
(cumulo pensione-retribuzione), «con cessazione del favorevole regime di cumulo
all’atto del successivo pensionamento (divieto di cumulo pensione-pensione), ma
solo per i pensionati ante 1995 (e per le relative pensioni di reversibilità,
se maturate entro il 17 agosto 1995), così introducendo, tra l’altro, una forte
ed irragionevole cesura sul piano temporale senza la contestuale previsione di
alcun meccanismo di graduale adeguamento dal "vecchio” al "nuovo” sistema di
computo della i.i.s., con particolare riguardo alla
salvaguardia delle posizioni pregresse. Irragionevolmente distonico appare,
poi, il "conglobamento” della i.i.s. nelle pensioni
di reversibilità comunque sorte dopo il 17 agosto 1995 dal momento che quella
stessa i.i.s., in capo al dante causa, è tuttora
considerata voce "accessoria” di contingenza».
Inoltre, andrebbe rimarcata
l’irragionevole disparità di trattamento venutasi a creare tra i pensionati
della Regione Sicilia (tuttora interessati dalla pronuncia ablatoria
n. 516 del 2000) e il resto dei pensionati pubblici, interessati, invece, dalla
sentenza "manipolativa” n. 434 (recte: 494) del 1993. Del resto, se nel 2000 il
criterio del "minimo INPS” è stato ritenuto non più idoneo a rendere conforme a
Costituzione la citata norma della Regione Sicilia, non sarebbe equo,
ragionevole e coerente che quello stesso criterio, ormai abbandonato dalla
Corte costituzionale, sia parzialmente tenuto fermo dalla giurisprudenza
contabile, tanto più che si tratta di un correttivo soltanto nominale, giacché
quasi tutte le pensioni dei dipendenti pubblici sono, in concreto, superiori al
detto "minimo”.
Verrebbe così a configurarsi
«in aggiunta ai profili di incostituzionalità già delineati nelle richiamate
ordinanze, una macroscopica violazione dei princìpi
fondamentali di uguaglianza e ragionevolezza, sottesi all’art. 3 della
Costituzione, non essendo di agevole percezione la ragione (salvo dar rilievo,
per l’appunto, al diverso contesto "storico” dell’ordinamento pensionistico
pubblico entro cui sono state pronunciate le rispettive declaratorie di
illegittimità costituzionale) per cui le due originarie (e sostanzialmente equivalenti)
norme (statale e regionale), entrambe recanti il divieto totale di cumulo della
i.i.s., siano poi venute paradossalmente a dipanarsi,
per l’effetto di pronunce della Corte costituzionale (e non di scelte
legislative espressive di discrezionalità nella materia) in due regole
giuridiche incommensurabilmente diverse (cumulo pieno per il solo personale
della Regione Sicilia; cumulo parziale ma, in concreto, inoperante per gli
altri»).
Infine, la rimettente rileva
che, «trattandosi di una rendita vitalizia pubblica, corrisposta mensilmente
agli interessati per importi tutt’altro che irrilevanti, l’irragionevole
perdurante sperequazione può finire, in concreto, per minare non soltanto
l’effettività del canone di uguaglianza, ma anche il principio stesso di
solidarietà sociale ed economica su cui si fonda la Repubblica (art. 2 Cost.)».
Le suddette censure, mosse
con riferimento all’art. 3 Cost. sotto i profili della disparità di trattamento
e dell’irragionevolezza, non sono fondate.
Quanto alle presunte
incongruenze derivanti dalla piena cumulabilità dell’indennità integrativa
speciale per i pensionati che siano ancora lavoratori attivi, con cessazione di
tale regime all’atto del successivo pensionamento, si deve osservare che la
posizione del personale in quiescenza, che sia titolare di due pensioni, non è
omogenea a quella del personale in quiescenza che, essendo titolare di una
pensione, svolga anche attività lavorativa retribuita. Infatti, in questa
seconda ipotesi, alla pensione si aggiunge una ulteriore fonte di reddito,
costituita dal corrispettivo del lavoro svolto, di entità variabile in
relazione al lavoro stesso, il cui ammontare può giustificare una diminuzione
del trattamento pensionistico complessivo qualora sia correlata ad una
retribuzione che ne giustifichi la misura (sentenza n. 566 del
1989, che non a caso escluse violazioni dell’art. 3 Cost. per i profili in
quella sede dedotti: punto 3 del Considerato in diritto). La diversa condizione
del pensionato che svolga anche attività lavorativa rispetto a quella del
titolare di più pensioni o assegni rende non irragionevole un trattamento
giuridico differenziato.
In ordine alla disparità di
trattamento per i pensionati anteriori al 1995, è sufficiente richiamare le
considerazioni svolte in precedenza.
La disparità di trattamento
venutasi a creare tra i pensionati della Regione Sicilia ed il resto dei
pensionati pubblici non deriva da vizi di legittimità della norma censurata
(nel testo risultante a seguito della sentenza additiva
di questa Corte n. 494 del 1993), bensì dai contrasti ermeneutici emersi
nella giurisprudenza, attualmente peraltro superati, come sopra si è notato.
Né può condividersi
l’assunto secondo il quale già nel 2000 il criterio del "minimo INPS” sarebbe
stato ritenuto «non più idoneo a riportare a legittimità costituzionale la
citata norma della Regione Sicilia» (corrispondente alla disposizione in questa
sede censurata), e quindi sarebbe stato «abbandonato dalla Corte
costituzionale». Se con tale assunto si vuol fare riferimento alla sentenza di questa
Corte n. 516 del 2000, si deve ribadire che essa non fa alcun cenno al
"minimo INPS” e chiarisce, in motivazione, che il divieto di cumulo delle
indennità integrative di per sé non è costituzionalmente illegittimo, così
ricollegandosi all’orientamento sopra richiamato. Orbene, fermo il punto che
alla Corte costituzionale non è consentito fornire l’interpretazione autentica
delle proprie precedenti decisioni (ordinanza n. 438
del 1998), né dirimere contrasti sulla interpretazione della legge
ordinaria (ordinanza
n. 89 del 2005), va osservato che, nel contesto di quell’orientamento,
l’affermazione relativa al presunto abbandono del suddetto criterio si rivela
priva di adeguata motivazione.
Infine, il rilievo secondo
cui il criterio del "minimo INPS” sarebbe soltanto nominale si risolve in una
valutazione di fatto che non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità
costituzionale.
6. — Da ultimo, la sezione
rimettente assume che, considerata la natura dell’indennità integrativa,
«l’irragionevole perdurante sperequazione può finire, in concreto, per minare
non soltanto l’effettività del canone di uguaglianza, ma anche il principio
stesso di solidarietà sociale ed economica su cui si fonda la Repubblica (art.
2 Cost.)». Questo parametro, però, è evocato in forma non soltanto ipotetica,
ma anche generica e meramente assertiva. Ne segue che la questione, sollevata
con riferimento ad esso, è inammissibile.
Analoga declaratoria
d’inammissibilità deve emettersi con riguardo ai parametri individuati negli
artt. 36 e 38 Cost., del pari evocati senza adeguata motivazione (ex plurimis: ordinanze n. 181 e n. 35 del 2009,
n. 32 del 2008).
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi;
dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’articolo 99, secondo comma, del decreto del
Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo
unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e
militari dello Stato), sollevate dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale
per la Regione Toscana e sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, in
riferimento agli articoli 2, 36 e 38 della Costituzione, con le ordinanze
indicate in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale del medesimo art. 99, secondo comma, del d. P. R. n. 1092 del
1973, sollevata dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione
Toscana e sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, in riferimento
all’art. 3 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alessandro CRISCUOLO,
Redattore
Giuseppe DI
PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il
4 giugno 2010.