SENTENZA N. 192
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Dott. Aldo CORASANITI Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 79 del codice di procedura penale e 24 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli a motore natanti), in relazione agli artt. 329 e 335 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 14 maggio 1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Pistoia nel procedimento penale a carico di Tesi Brunero, iscritta al n. 656 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 20 marzo 1991 il Giudice relatore Francesco Greco;
Ritenuto in fatto
1. - Il procuratore di Benedetti Donato, in data 18 aprile 1990, sporgeva, al Pretore di Pistoia, querela per lesioni da incidente stradale a carico di Tesi Brunero; depositava atto di costituzione di parte civile nei confronti del suddetto, al fine di conseguire il risarcimento dei danni subiti e proponeva istanza per l'assegnazione di una somma da imputarsi alla liquidazione definitiva del danno, ai sensi dell'art. 24 della legge 24 dicembre 1969 n. 990.
Il Pretore richiedeva in visione al p.m. il fascicolo delle indagini e fissava l'udienza in camera di consiglio nella quale il difensore dell'imputato eccepiva l'inammissibilità della costituzione di parte civile nella fase delle indagini preliminari e l'incompetenza funzionale del g.i.p. a decidere.
Il g.i.p. con ordinanza del 14 maggio 1990 (R.O. n. 656 del 1990), sollevava questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 79 del codice di procedura penale e 24 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, in relazione agli artt. 329 e 335 del codice di procedura penale.
Rilevava che l'art. 79 del codice di procedura penale indica solo il momento in cui la parte civile può esercitare i suoi diritti nel processo penale, ma non esclude l'esercizio dei diritti previsti da altre norme, ed in particolare della facoltà del danneggiato da incidente stradale di richiedere, in via di urgenza, l'attribuzione di una somma di denaro mediante un procedimento sommario anticipatorio delle statuizioni della sentenza emessa nel giudizio a cognizione piena.
Osservava, però, che, nell'attuale codice di procedura penale, il concreto esercizio di detta facoltà incontra seri ostacoli per la mancata previsione di un'apposita udienza, per la quale il p.m. debba trasmettere al giudice il suo fascicolo contenente gli atti rilevanti per la concessione del provvedimento richiesto; al contrario, il regime del segreto di ufficio vigente ai sensi degli artt. 329 e 335 del codice di procedura penale lo consente solo in casi appositamente previsti.
Pertanto, la normativa in esame si porrebbe in contrasto con l'art. 24, primo comma, della Costituzione, per il limite posto al pieno esercizio del diritto di azione; con l'art. 102, primo comma, della Costituzione, per la sostanziale preclusione all'esercizio della funzione giurisdizionale conseguente all'impossibilità per il giudice di decidere su una istanza legittimamente propostagli, stante l'impedimento all'acquisizione degli elementi necessari esistenti nel processo; con l'art. 3 della Costituzione, per l'irrazionale disparità di trattamento tra il regime di conoscibilità degli atti del p.m. a seconda che si debba decidere sulla istanza di provvisionale o su quella di sequestro penale o di dissequestro.
2. - L'ordinanza è stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
2.1. - Nel giudizio è intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, la quale ha concluso per l'inammissibilità o, quantomeno, per la infondatezza della questione.
Ha osservato preliminarmente che l'art. 24 della legge n. 990 del 1969 non è stato censurato; che il giudice, ritenuta la validità della costituzione di parte civile e la legittimità della richiesta nella fase che precede l'udienza preliminare, avrebbe dovuto applicare il principio secondo cui l'art. 79 del codice di procedura penale indica solo il momento a decorrere dal quale la parte civile può esercitare i suoi diritti.
Nel merito ha rilevato che la opzione del legislatore per la disincentivazione della partecipazione di soggetti aventi pretese civilistiche all'interno del processo penale, specie nella fase delle indagini preliminari, non è affatto irragionevole, ma perfettamente coerente con il principio della massima semplificazione del processo penale.
Pertanto, in tale contesto, non sussisterebbe la violazione né dell'art. 24 della Costituzione, non potendosi ravvisare compressione del diritto di difesa laddove la legge individua un termine processuale di inizio dell'esercizio delle azioni risarcitorie, né dell'art. 102 della Costituzione, impropriamente invocato nella suddetta fase processuale, né dell'art. 3 della Costituzione, perché le situazioni poste a raffronto sono nettamente differenziate.
Considerato in diritto
1. - È sottoposta all'esame della Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 79 del codice di procedura penale, nella parte in cui stabilisce che la costituzione di parte civile può avvenire per l'udienza preliminare, in relazione all'art. 24 della legge 4 dicembre 1969, n. 990, che attribuisce all'avente diritto al risarcimento dei danni da incidente stradale la facoltà di richiedere in via di urgenza, con provvedimento sommario, anticipatorio della decisione a cognizione piena, l'attribuzione di una somma di denaro, e agli artt. 329 e 335 del codice di procedura penale, che prevedono il segreto d'ufficio nella fase delle indagini preliminari e non consentono né la trasmissione dal p.m. al g.i.p. del fascicolo delle indagini, né la fissazione di un'udienza apposita.
Sarebbero violati:
a) l'art. 24 della Costituzione, per il limite posto all'esercizio del diritto di azione per risarcimento dei danni nel processo penale;
b) l'art. 102, primo comma, della Costituzione, in quanto risulterebbe sostanzialmente precluso l'esercizio della funzione giurisdizionale a causa dell'impossibilità del giudice di decidere su una istanza legittimamente propostagli, attesa la mancanza di elementi e del potere di acquisirli;
c) l'art. 3 della Costituzione, per la irragionevole disparità, in ordine alla disciplina della conoscibilità da parte del giudice degli atti del p.m., che sussisterebbe tra la fattispecie in esame e quella della concessione del sequestro penale o del dissequestro.
1. - La questione non è fondata.
2.1. - L'art. 79 del codice di procedura penale prevede il termine per la costituzione di parte civile nel processo penale. Essa, pur essendo consentita, secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, durante la fase delle indagini preliminari, ha effetto per l'udienza preliminare. Ciò perché, fino alla fissazione di questa, non esiste un vero e proprio rapporto processuale; vi è solo una situazione nella quale il p.m. indaga per stabilire se sussistano o meno gli elementi per promuovere l'azione penale o se invece dovrà chiedere l'archiviazione (direttiva n. 38 della legge delega del 1987).
La presenza della parte civile nella fase processuale in questione è stata esclusa per non complicare lo svolgimento delle attività necessarie ai suddetti fini, pur essendosi tenuto presente che il suo intervento poteva contribuire alla acquisizione di elementi di prova da utilizzare poi nelle susseguenti fasi del giudizio.
Si è però data prevalenza alla esigenza di non aggravare oltre misura questa fase, che si è voluta la più spedita possibile.
Rispetto al precedente codice di rito si è abbandonata la soluzione che privilegiava la giurisdizione penale, nella quale erano previsti anche gli aspetti civilistici conseguenti dal reato e si è optato per il regime di separazione dell'azione penale dall'azione civile, scoraggiando anche la partecipazione del danneggiato dal reato al processo penale, in coerenza con il sistema del rito accusatorio.
Le considerazioni che precedono valgono anche per il procedimento che prevede l'assegnazione di una somma in anticipo dell'ammontare dei danni subiti dal danneggiato da incidente stradale, di cui all'art. 24 della legge 4 dicembre 1969, n. 990.
La scelta operata dal legislatore a tutela e realizzazione di altri interessi che ha ritenuto di dovere privilegiare, giustifica pienamente la mancata previsione di una udienza apposita, prima di quella preliminare.
Così anche per quanto riguarda il mantenimento del segreto che copre gli atti raccolti nella fase delle indagini preliminari e il suo utilizzo per l'udienza.
È certamente consentito al danneggiato inoltrare la richiesta di cui trattasi al g.i.p. all'udienza preliminare nella quale egli dispone degli atti suddetti.
Del resto, lo stesso art. 24 citato, attribuendo la facoltà di chiedere il provvedimento anticipatorio della liquidazione finale dei danni subiti, nella vigenza del codice del 1930, al giudice istruttore nella istruttoria formale o al p.m. nella istruttoria sommaria (sent. Corte cost. n. 14 del 1976) presupponeva terminata la fase delle indagini.
Indipendentemente, però, dal processo penale e dall'inserimento in esso dell'azione civile, il danneggiato può promuovere l'azione di risarcimento dei danni direttamente dinanzi al giudice civile e chiedergli il provvedimento anticipatorio senza subire alcuna preclusione o impedimento, soluzione quest'ultima considerata dal legislatore più favorevolmente di quanto facesse il codice precedente.
Atteso che l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento dei danni nel processo penale non è l'unico strumento di tutela giurisdizionale del diritto del danneggiato, non sussiste violazione dell'art. 24 della Costituzione (sent. n. 443 del 1990). Essa si verificherebbe se la via del processo penale fosse l'unica e non si fosse prevista altra forma di tutela giurisdizionale.
Tanto più che per l'art. 75, secondo comma, del codice di procedura penale, l'azione anteriormente proposta in sede civile prosegue se non è trasferita in sede penale allo stesso modo di quella iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile. Il tutto muovendo da un'ottica innovatrice diretta a favorire la separazione dei due giudizi, quello penale e quello civile, in conformità di quella che è una delle caratteristiche del sistema accusatorio.
A conferma del tendenziale favor per la separazione stanno anche le eccezioni apportate alla previsione dell'art. 75, ultimo comma, del codice di procedura penale.
La scelta del legislatore è giustificata dalla necessità di tutelare altri interessi tra cui quello della speditezza del processo penale secondo le direttive della legge-delega che impongono la massima semplificazione e celerità anche nello svolgimento del processo (sent. Corte cost. n. 443 del 1990).
2.2 - Non sussiste nemmeno la violazione dell'art. 102, primo comma, della Costituzione.
Non è, infatti, del tutto precluso l'esercizio della funzione giurisdizionale in sede penale e non sussiste la impossibilità del giudice di decidere su una istanza legittimamente propostagli in quanto sono solo regolati i tempi del procedimento.
Occorre, invero, che l'azione penale sia iniziata e sia validamente instaurato il rapporto processuale.
L'esercizio della funzione giurisdizionale è individuato nella sua pienezza allorché nessuna remora è posta per lo svolgimento di un rapporto processuale dopo che esso sia stato validamente instaurato.
2.3 - Né risulta violato l'art. 3 della Costituzione in quanto le situazioni poste a raffronto, quella in esame e quella della concessione del sequestro penale o del dissequestro per cui sono previste apposite udienze, sono nettamente diverse.
Pertanto, la questione sollevata deve essere dichiarata infondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 79 del codice di procedura penale e 24 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli a motore natanti), in relazione agli artt. 329 e 335 del codice di procedura penale, nella parte in cui dette norme escludono che il giudice penale possa, nel corso delle indagini preliminari, decidere sulla istanza di assegnazione di una somma di denaro da imputarsi alla liquidazione definitiva del danno da incidente stradale, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, sollevata dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Pistoia con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 aprile 1991.
Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 2 maggio 1991.