ORDINANZA N. 61
ANNO 2010
Commento alla decisione di
Francesca Biondi Dalmonte
Regioni, immigrazione e diritti fondamentali per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 22 del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80), promossi dal Tribunale ordinario di Tolmezzo con ordinanza del 15 maggio 2008, dal Tribunale ordinario di Udine con ordinanza del 27 gennaio 2009, dal Tribunale ordinario di Lucca con due ordinanze del 24 febbraio 2009 e dal Tribunale ordinario di Alessandria con ordinanza del 17 aprile 2009, rispettivamente iscritte ai nn. 41, 135, 191, 192 e 261 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 8, 20, 28 e 42, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2010 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che con ordinanza depositata in data 15 maggio 2008 il Tribunale ordinario di Tolmezzo ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 19, comma 1, e 22, comma 4, del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte in cui «limitano in via transitoria l’applicazione retroattiva della disciplina in materia di esdebitazione ai soli fallimenti ancora pendenti» alla data del 16 luglio 2006, anziché estenderla «a tutti i fallimenti retti dall’originario testo» del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), a prescindere dalla data della loro chiusura;
che il rimettente, chiamato a decidere su di un ricorso volto alla concessione del beneficio della esdebitazione proposto da persona, il cui fallimento – dichiarato il 25 giugno 1990 dallo stesso Tribunale rimettente – era stato chiuso in data 16 aprile 2003, dopo aver riferito che erano stati resi in senso favorevole i prescritti pareri e che era stata definita, siccome non ostativa, una questione pregiudiziale, osserva che il punto da esaminare ai fini della decisione è relativo alla applicabilità del beneficio ai soggetti nei cui confronti la procedura fallimentare si sia interamente svolta sotto l’impero delle previgenti disposizioni del regio decreto n. 267 del 1942;
che, dato atto dell’esistenza, anteriormente alle innovazioni apportate dal d.lgs. n. 169 del 2007, di un contrasto nella giurisprudenza di merito fra quanti ritenevano inapplicabile la disciplina della esdebitazione a chi era stato dichiarato fallito prima della entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), e quanti (fra i quali lo stesso organo giudiziario rimettente), invece, ritenevano applicabile tale disciplina anche alle procedure già chiuse al 16 luglio 2006, il giudice a quo osserva che, a decorrere dalla entrata in vigore del d.lgs. n. 169 del 2007, il quadro normativo rilevante è stato legislativamente definito, dato che l’art. 19 del detto d.lgs. n. 169 del 2007, contenente la disciplina transitoria della esdebitazione, prevede, al comma 1, che le disposizioni pertinenti a siffatto istituto si applichino «anche alle procedure di fallimento pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5», come, peraltro, ribadito, precisa il rimettente, dal comma 4 dell’art. 22 del medesimo d.lgs. n. 169 del 2007;
che, da ciò, il rimettente fa discendere che la esdebitazone possa essere richiesta anche in relazione a fallimenti la cui procedura si sia svolta in base alla previgente disciplina, purché si tratti di procedimenti ancora aperti al 16 luglio 2006, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006, restando, pertanto, escluse solo le procedure a tale data già definite;
che, sulla base di tali premesse, ritiene il rimettente di dover sollevare questione di legittimità costituzionale delle due disposizioni indicate per ultimo, per contrasto con l’art. 3 Cost., apparendo a lui, infatti, irragionevole che il legislatore del 2007, nell’introdurre ex novo la disciplina transitoria della esdebitazione, stabilisca una disparità di trattamento fra i falliti le cui procedure si siano chiuse prima del 16 luglio 2006, esclusi dal beneficio, e quanti, invece, essendo le procedure ancora pendenti a tale data, possono giovarsene, sebbene, in ambedue i casi, si tratti di soggetti per i quali è stata, o deve essere, applicata la previgente disciplina fallimentare;
che, a fronte di tale identità di disciplina, la norma transitoria, senza apparente giustificazione, ha reso applicabile la esdebitazione solo a talune fattispecie – i fallimenti chiusi dopo il 15 luglio 2006 – sulla base di un dato cronologico arbitrario, tale da incidere, nel senso di consentirla ovvero di impedirla, sulla nuova modalità di tutela giudiziaria assicurata al fallito;
che, conclude il rimettente, non è possibile rimuovere il dedotto vizio di costituzionalità attraverso strumenti interpretativi, posto che la introduzione della precisa disposizione transitoria appare frutto di una chiara scelta del legislatore non aggirabile dall’interprete;
che, quanto alla rilevanza della questione nel giudizio a quo, il rimettente osserva che dalla applicazione delle disposizioni censurate deriverebbe la inammissibilità del ricorso introduttivo;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la infondatezza della questione di legittimità costituzionale;
che la difesa erariale, pervenuta, attraverso la ricostruzione della normativa applicabile al caso, alla conclusione che, per effetto delle disposizioni contenute negli artt. 19 e 22, comma 4, del d.lgs. n. 169 del 2007, effettivamente l’accesso alla esdebitazione è consentito in relazione alle procedure di fallimento ancora pendenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006, ritiene tale approdo ermeneutico non in contrasto con il principio di ragionevolezza né con quello di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.;
che, infatti, posto che la finalità perseguita dal legislatore attraverso l’introduzione del ricordato istituto è quella di permettere al fallito di poter riprendere, una volta chiusasi la procedura, un’attività economica «libera dalle pressioni dei vecchi creditori», sarebbe chiaro che ciò troverebbe una sua giustificazione solo con riferimento alle procedure chiuse da poco tempo, nei casi, cioè, in cui il fallito «è in grado di ricominciare la propria attività»;
che, quanto alla asserita disparità di trattamento fra coloro i quali, essendo la procedura fallimentare che li concerne già definita al 16 luglio 2006, non possono accedere al beneficio, e coloro per i quali tale beneficio è consentito, essendo la procedura a costoro pertinente ancora aperta alla medesima data, ritiene la difesa pubblica che la relativa doglianza sia palesemente infondata;
che, ad avviso di questa, la lamentata disparità di trattamento è, in maniera non arbitraria, correlata alla applicabilità ratione temporis della disciplina censurata, secondo la dianzi descritta finalità del legislatore, sicché essa, come affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità, non viola il principio di eguaglianza, non essendo dubbio che il legislatore possa, nell’esercizio del suo potere discrezionale, dettare norme diverse per regolare situazioni diverse;
che tale potere, prosegue la Avvocatura, risulta ragionevolmente esercitato allorquando, come nel caso in questione, il legislatore abbia previsto un limite temporale alla efficacia retroattiva di nuove disposizioni;
che, con altra ordinanza, depositata in data 27 gennaio 2009, il Tribunale ordinario di Udine ha sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 22 del d.lgs. n. 169 del 2007 nella parte in cui non consentono ai soggetti, il cui fallimento sia stato già chiuso al 16 luglio 2006, di presentare domanda di esdebitazione nel termine previsto dal comma 2 del censurato art. 19;
che il giudice friulano riferisce di essere stato investito da un’istanza volta al riconoscimento del beneficio della esdebitazione, presentata da un soggetto il cui fallimento, dichiarato dallo stesso Tribunale rimettente nel 1989, era stato chiuso con provvedimento del 13 dicembre 2001;
che, ricordato come, sino alla entrata in vigore del d.lgs. n. 169 del 2007, vi era contrasto in giurisprudenza in ordine alla efficacia temporale della normativa in tema di esdebitazione, il rimettente osserva che a siffatta incertezza si è inteso dare soluzione tramite gli artt. 19 e 22 del citato d.lgs. n. 169 del 2007, i quali prevedono che il beneficio possa essere riconosciuto anche alle procedure fallimentari aperte prima della data di entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006 e non ancora chiuse alla stessa data, essendo precisato che per quelle in relazione alle quali la chiusura è intervenuta fra l’entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006 e quella del d.lgs. n. 169 del 2007, il termine annuale per la presentazione della domanda decorra da tale seconda data;
che, aggiunge il giudice a quo, rimangono, pertanto, escluse dalla esdebitazione le procedure chiuse anteriormente al 16 luglio 2006;
che il rimettente – rilevato che, fermi restando i ricordati limiti temporali, i presupposti e requisiti per accedere alla esdebitazione sono gli stessi, sia che la procedura sia stata retta dalle norme della originaria disciplina fallimentare sia che, invece, sia stata applicata la legge riformata, e che la abolizione dell’istituto della riabilitazione civile riguarda tutte le procedure fallimentari, anche se chiusesi prima del 16 luglio 2006 – osserva che la disciplina transitoria contenuta nelle norme censurate, restringendo la applicabilità del beneficio alle sole procedure ancora aperte al 16 luglio 2006, introduce una disparità di trattamento, in particolare fra le procedure chiuse prima di tale data e quelle chiuse fra tale data ed il 31 dicembre 2007, essendo state ambedue definite sulla base della originaria disciplina fallimentare e prima della entrata in vigore del d.lgs. n. 169 del 2007, posto che, comunque, è stato introdotto un termine di decadenza, onde salvaguardare le esigenze di certezza del diritto, entro il quale poter presentare la domanda per conseguire il beneficio;
che, aggiunge il rimettente, tenuto conto delle funzioni premiali connesse all’applicazione del beneficio, volte a «gratificare il debitore onesto e collaborativo», permettendogli, attraverso l’azzeramento del debito residuo, una più celere ripresa dell’attività lavorativa, non ci sarebbero ragioni, pena la violazione dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza e di tutela del diritto di azione, per negare il beneficio a chi sia tornato in bonis prima di una certa data – consentendolo, invece, ad altri per cui ciò è avvenuto dopo detta data – potendo tale evenienza esser legata anche a mere ragioni di ordine organizzativo degli uffici giudiziari;
che, conclude il rimettente, tutto ciò si verifica sebbene la disciplina dell’esdebitazione, comportando la inesigibilità di crediti non ancora riscossi, vada ad incidere su posizioni giuridiche non esaurite, sicché non avrebbe alcun rilievo la circostanza che la procedura fallimentare si sia chiusa prima o dopo una certa data;
che è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, concludendo nel senso della infondatezza del ricorso, sulla base di argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle già riferite illustrando l’intervento relativo alla precedente ordinanza;
che con ulteriori due ordinanze, aventi fra loro il medesimo contenuto ed entrambe depositate in data 24 febbraio 2009, anche il Tribunale ordinario di Lucca ha sollevato, con riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 22 del d.lgs. n. 169 del 2007, nella parte in cui escludono dall’accesso al beneficio della esdebitazione le «procedure non pendenti alla data di entrata in vigore» del d.lgs. n. 5 del 2006;
che il rimettente riferisce di essere chiamato a giudicare su due istanze volte alla dichiarazione di inesigibilità dei crediti concorsuali non soddisfatti, presentate da due persone il cui fallimento, aperto di fronte al Tribunale ordinario di Lucca rispettivamente nel 1992 e nel 1997, era stato chiuso, in un caso, nel gennaio 2003 e, nell’altro, nel maggio 2003;
che il giudice a quibus – acquisiti i necessari pareri e fissata l’udienza di comparizione delle parti – pur riscontrata la assenza degli elementi ostativi di cui ai numeri da 1) a 6) dell’art. 142 del regio decreto n. 267 del 1942, rilevava che, essendo la esdebitazione richiesta riferibile ad un fallimento chiuso sin dal 2003, essa non poteva essere riconosciuta, impedendolo il combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 19 del d.lgs. n. 169 del 2007;
che dall’esame della detta disposizione emerge, infatti, che l’istituto in questione è applicabile alle procedure concorsuali pendenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006 e non anche a quelle a tale data già definite;
che ciò, ad avviso del rimettente, determina il dubbio di costituzionalità sia in riferimento al principio di eguaglianza che a quello di ragionevolezza;
che, al riguardo, il Tribunale ordinario di Lucca osserva come lo spirito della riforma del diritto fallimentare sia nel senso di espungere dal sistema gran parte degli elementi punitivi in precedenza ad esso connessi, inserendo, anzi, in esso dei profili di carattere premiale in favore del fallito che abbia tenuto una condotta meritevole e che uno di essi sia proprio costituito dalla esdebitazione la quale, in presenza delle specifiche condotte indicate all’art. 142 regio decreto n. 267 del 1942, «discende, quale automatico effetto, dell’avvenuta chiusura del fallimento»;
che questo effetto, a cagione della previsione contenuta negli artt. 19 e 22 del d.lgs. n. 169 del 2007, sia escluso con riferimento alle procedure non più pendenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006, in base ad un «puro dato di fatto estraneo alla condotta del fallito e, quindi, del tutto accidentale», viene ritenuto dal rimettente «contrastante con il principio di uguaglianza, appalesandosi del tutto irragionevole»;
che il rimettente conclude ribadendo che la descritta limitazione dell’accesso alla esdebitazione, nei confronti di persone che ne avrebbero potuto godere, e senza che ciò sia giustificato dalla necessità di tutelare altri interessi costituzionalmente rilevanti ovvero sia dovuto a fatti o condotte ascrivibili al fallito, risulta irragionevole e non giustificata;
che è intervenuto in giudizio, con riferimento alle due ordinanze di rimessione del Tribunale ordinario di Lucca, il Presidente del Consiglio dei ministri, sempre rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo in base alle stesse argomentazioni già svolte riguardo alle altre due ordinanze sopra ricordate, che esse siano dichiarate infondate;
che, infine, con ordinanza depositata in data 17 aprile 2009, il Tribunale ordinario di Alessandria ha sollevato, con riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 22, comma 4, del d.lgs. n. 169 del 2007, in quanto non prevedono la applicazione delle disposizioni in tema di esdebitazione anche alle procedure di fallimento chiuse prima della entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006;
che il rimettente riferisce di essere chiamato a decidere sulla istanza di esdebitazione presentata da persona il cui fallimento, dichiarato nel 1993, era stato chiuso con decreto del 17 aprile 2002;
che, osservato che la questione è rilevante nel giudizio a quo, il cui ricorso introduttivo, vigendo la attuale legislazione, dovrebbe essere dichiarato inammissibile, là dove il medesimo sarebbe suscettibile di esame nel merito nel caso di accoglimento dell’incidente di legittimità costituzionale, il Tribunale ordinario di Alessandria ritiene che le disposizioni censurate, emanate nel chiaro intento di eliminare la inapplicabilità della normativa in materia di esdebitazione alle procedure aperte prima del 16 luglio 2006, realizzino, però, una più manifesta disparità di trattamento, posto che ad esse consegue che quanti sono stati dichiarati falliti prima della predetta data sono ammessi alla esdebitazione solo se alla medesima data la relativa procedura era ancora pendente;
che, aggiunge il rimettente, le finalità della introduzione della esdebitazione sono duplici: da una parte premiare il debitore collaborativo, dall’altra incentivare la celere ripresa della attività produttiva;
che, rispetto a dette finalità, ad avviso del giudice a quo, sarebbe incongrua la esclusione o la ammissione a beneficio in funzione della chiusura o meno della procedura alla predetta data;
che, in particolare, quanto alla prima, si ha persino l’effetto paradossale di pregiudicare il debitore che, con la sua condotta collaborativa, abbia consentito una più celere definizione della procedura fallimentare, tale da consentirne la chiusura prima del 16 luglio 2006, mentre, quanto alla seconda, sarebbe controproducente non consentire di godere della agevolazione a chi sia da più tempo rientrato in bonis;
che le disposizione censurate sarebbero comunque prive di ragionevolezza in quanto, rispetto a due soggetti dichiarati falliti nello stesso tempo, riserva, senza alcuna giustificazione, un trattamento deteriore a quello la cui procedura, svoltasi con maggiore celerità, si è chiusa prima del 16 luglio 2006, laddove l’interesse pubblico è, invece, quello di definire rapidamente le procedure concorsuali;
che nel giudizio di legittimità costituzionale scaturito dalla ordinanza il cui contenuto è stato ora riferito, non è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato che, con cinque ordinanze, emesse rispettivamente dal Tribunale ordinario Tolmezzo, da quello di Udine, da quello di Lucca, in due occasioni, e da quello di Alessandria, i predetti giudici dubitano – tutti in riferimento all’art. 3 della Costituzione e solo il Tribunale ordinario di Udine anche in riferimento all’art. 24 della Costituzione – della legittimità costituzionale degli artt. 19 e 22 del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80);
che, ad avviso dei rimettenti, sia pure con motivazioni non perfettamente coincidenti ma sostanzialmente omogenee, le due disposizioni sopraindicate violerebbero l’art. 3 Cost., in quanto, fermi restando i requisiti e le altre condizioni indicate dall’art. 142 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), escludono dalla possibilità di godere del beneficio della esdebitazione i falliti per i quali sia intervenuto provvedimento di chiusura del fallimento prima del 16 luglio 2006, data di entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80);
che tale esclusione comporterebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla disciplina applicabile a chi, per il solo fatto che la procedura fallimentare a lui pertinente fosse ancora aperta a tale data ed ancorché – essendo questi stato dichiarato fallito prima della entrata in vigore del citato d.lgs. n. 5 del 2006 – si continuino ad applicare nei suoi confronti le disposizioni originariamente contenute nel regio decreto n. 267 del 1942, può accedere al beneficio;
che sarebbe, altresì, irragionevole fare dipendere la possibilità di accedere o meno alla esdebitazione da fattori casuali e non riferibili alla condotta del fallito, anzi pregiudicando la posizione di chi abbia consentito una più celere definizione della procedura;
che il solo Tribunale ordinario di Udine deduce altresì il contrasto delle disposizioni censurate con l’art. 24 Cost., in quanto esse sarebbero genericamente violative dei principi costituzionali in materia di diritto di azione;
che, attesa la omogeneità delle questioni sollevate con le cinque ordinanze di rimessione, i relativi giudizi possono essere riuniti per essere definiti con un’unica decisione;
che, per quanto concerne la asserita violazione dell’art. 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale è manifestamente inammissibile non avendo il rimettente Tribunale ordinario di Udine – al di là di un fugace richiamo al diritto di azione, presidiato dalla indicata disposizione costituzionale – in alcun modo chiarito come si realizzerebbe il contrasto col predetto parametro;
che, per ciò che concerne la violazione dell’art. 3 Cost., ipotizzata dai rimettenti sotto il duplice versante sia della irragionevolezza intrinseca della limitazione temporale della possibilità di beneficiare della disciplina in tema di esdebitazione sia della disparità di trattamento fra soggetti che, in funzione della sola circostanza della attualità o meno ad una certa data della pendenza della procedura fallimentare loro pertinente, sono, o non sono, ammessi al predetto beneficio, la questione è manifestamente infondata;
che, con specifico riferimento alla dedotta disparità di trattamento, i rimettenti omettono di considerare che il criterio di discrimine nella applicazione di diverse discipline normative basato su dati cronologici non può dirsi, a meno che non sia affetto da manifesta arbitrarietà intrinseca, fonte di ingiustificata disparità di trattamento, poiché, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, lo stesso naturale fluire del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche (fra le ultime si vedano le sentenze n. 94 del 2009 e n. 341 del 2007 nonché le ordinanze n. 170 del 2009 e n. 212 del 2008);
che, per quanto attiene alla irragionevolezza della fissazione di un limite temporale alla possibilità di accedere al beneficio della esdebitazione – posto che l’unica alternativa possibile, onde non incorrere nella apposizione di ingiustificati termini, sarebbe stata quella di estendere la applicabilità del beneficio a qualunque soggetto che, essendo stato dichiarato fallito, vi avesse interesse dopo la chiusura del fallimento – essa non è riscontrabile nella censurata scelta legislativa che, anzi, appare coerente con la esigenza di compiere, al fine della concessione della esdebitazione, una serie di riscontri istruttori, volti alla verifica della effettiva meritevolezza del beneficio da parte del fallito, che ben difficilmente sarebbero possibili o, comunque, fonte di risultati attendibili, ove fossero svolti in relazione a procedure concorsuali la cui chiusura rimonti a periodi troppo risalenti nel tempo, rientrando, quindi, nella discrezionalità del legislatore la fissazione del detto limite temporale.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 22 del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80), sollevata, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Udine, con l’ordinanza in epigrafe.
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dei medesimi artt. 19 e 22 del decreto legislativo n. 169 del 2007 sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Tolmezzo, da quello di Udine, da quello di Lucca e da quello di Alessandria, con le ordinanze in epigrafe;
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 2010.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2010.