SENTENZA N. 138
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del- l'articolo 2, secondo e terzo comma, della legge 20 dicembre 1932, n. 1849 (Riforma del testo unico delle leggi sulle servitù militari), così come sostituito dall'articolo 1 della legge 8 marzo 1968, n. 180 (Modificazioni della legge 20 dicembre 1932, n. 1849, concernente la riforma del testo unico delle leggi sulle servitù militari), promosso con ordinanza emessa il 18 giugno 1992 dalla Corte d'appello di Palermo nel procedimento civile vertente tra Adragna Rosario ed altra, e il Ministero della Difesa, iscritta al n. 663 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1993 il Giudice relatore Luigi Mengoni.
Ritenuto in fatto
l. Con sentenza n. 1549 del 1988 la Corte di cassazione ha parzialmente cassato la sentenza 25 ottobre 1976 con cui la Corte d'appello di Palermo aveva determinato l'indennità annuale spettante ai proprietari di un fondo temporaneamente assoggettati a servitù militare, e ha rinviato la causa ad altra sezione della medesima Corte d'appello stabilendo, quale principio di diritto vincolante per il giudice di rinvio, che - fermo per il periodo dal 19 luglio 1964 al 5 aprile 1968 l'indennizzo fissato dalla Corte d'appello in lire 2.480.000 annue sulla base del valore venale dell'immobile, secondo i criteri desumibili della legge 25 giugno 1865, n. 2359 - per il periodo dal 6 aprile 1968 al 19 giugno 1971, data di cessazione della servitù, l'indennizzo deve, invece, essere liquidato applicando il criterio automatico previsto dall'art.1 della legge 8 marzo 1968, n. 180, sostitutivo del testo dell'art. 2 della legge 20 dicembre 1932, n. 1849. Secondo tale legge l'indennizzo è pari a un quarto o un terzo, a seconda dei due casi, del reddito dominicale e agrario dei terreni e del reddito dei fabbricati, quali valutati ai fini dell'imposta complementare progressiva.
Poichè l'applicazione di siffatto criterio comporta nella specie un indennizzo irrisorio (di poche lire), a fronte del cospicuo indennizzo spettante per gli anni precedenti, la Corte d'appello di Palermo, in sede di giudizio di rinvio, con ordinanza del 18 giugno 1992 ha sollevato, in relazione all'art. 42, terzo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale del citato art. 2, secondo e terzo comma, della legge n. 1849 del 1932, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 180 del 1968, "in quanto non prevede, per la determinazione dell'indennità, un criterio alternativo a quello automatico del riferimento ai valori della rendita catastale, laddove questo risulta inadeguato".
2. Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, eccependo preliminarmente un duplice motivo di inammissibilità della questione, sia perchè il giudice remittente era tenuto soltanto a quantificare l'indennizzo secondo il parametro legislativo indicato dalla Corte di cassazione con pronuncia preclusiva di ogni questione relativa a tale parametro, sia perchè non essendo citato nell'ordinanza di rimessione l'art.14, secondo comma, della legge 24 dicembre 1976, n. 898, non è stata individuata esattamente la disposizione da sottoporre al vaglio di costituzionalità. Un motivo ulteriore di inammissibilità è ravvisato nel dispositivo dell'ordinanza, che ipotizza una sentenza additiva invasiva della discrezionalità legislativa, essendo configurabile una pluralità di soluzioni.
Nel merito la questione sarebbe infondata considerato che l'entità dell'indennizzo risultante dal criterio di determinazione indicato dalla Corte di cassazione dipende dai valori di reddito dominicale e agrario, in parte nulli, e in parte ridottissimi, attribuiti al terreno in questione dall'amministrazione del Catasto in esito a una verifica straordinaria eseguita il 7 giugno 1972, quando la servitù militare era già esaurita.
Considerato in diritto
l. La Corte d'appello di Palermo ha sollevato, in riferimento all'art. 42, terzo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo e terzo comma, della legge 20 dicembre 1932, n. 1849, come sostituito dall'art. 1 della legge 8 marzo 1968, n. 180, concernente l'indennizzo spettante ai proprietari di immobili colpiti da servitù militari, "in quanto non prevede, per la determinazione dell'indennità, un criterio alternativo a quello automatico del riferimento ai valori della rendita catastale, laddove questo risulta inadeguato".
2. Devono preliminarmente essere respinte le eccezioni di inammissibilità sollevate dall'Avvocatura dello Stato sotto il triplice profilo: a) che la questione è stata sollevata in sede di giudizio di rinvio nei confronti della norma risultante dal principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione; b) che, non essendo citato nel dispositivo dell'ordinanza l'art. 14, secondo comma, della legge 24 dicembre 1976, n. 898, non sarebbe stato rispettato l'onere di individuare esattamente la disposizione da sottoporre a sindacato; c) che la sentenza additiva prospettata dal giudice a quo sarebbe invasiva delle scelte riservate alla discrezionalità del legislatore.
La prima eccezione è respinta dalla giurisprudenza costante di questa Corte (cfr., da ultimo, sentt. nn. 289 del 1992, 30 del 1990, e qui richiamo delle pronunce anteriori), mentre alla seconda si oppone il rilievo che l'applicabilità nella specie della legge n. 180 del 1968 non dipende dall'art.14, secondo comma, della legge n. 898 del 1976, che è norma di mero richiamo della disciplina applicabile al periodo precedente la data di entrata in vigore della nuova legge, e precisamente il periodo dal 6 aprile 1968 al 12 gennaio 1977.
Pure la terza eccezione è infondata perchè l'alternativa formulata nel dispositivo dell'ordinanza, rettamente interpretata, prospetta una sentenza meramente caducatoria.
3. Dal giudice rimettente il criterio di determinazione dell'indennità di asservimento indicato dalla disposizione impugnata è ritenuto inadeguato a garantire un "serio ristoro" quando la servitù militare colpisca un terreno dotato di "immediata attitudine edificatoria", come accade nel caso di specie, in cui - secondo quanto si legge nella sentenza della Corte di cassazione n. 1549 del 1988, pronunciata (con rinvio) nel processo a quo - "i vincoli imposti dall'autorità militare vengono a incidere sulla già maturata appetibilità del terreno, sul mercato immobiliare, non come fondo agricolo, ma quale bene dotato di un più elevato valore di scambio perchè destinato all'urbanizzazione".
Se così è - e lo dimostra il risultato del calcolo operato dal giudice a quo - il detto criterio deve considerarsi inadeguato in generale, potendo dirsi adeguato solo un criterio che, presupposta la correttezza delle stime che forniscono i coefficienti di calcolo, determini in ogni caso un equo indennizzo della perdita patrimoniale subita dal proprietario.
Perciò l'alternativa prospettata nell'ordinanza di rimessione, senza alcuna specificazione di contenuto, non può essere intesa nel senso di una disgiuntiva inclusiva, cioé in funzione di una sentenza aggiuntiva al criterio previsto dalla legge di un altro criterio, la scelta del quale sarebbe rimessa al giudice quando il primo si rivelasse inadeguato.
Essa va interpretata, piuttosto, come disgiuntiva esclusiva rivolta a una sentenza caducatoria, per effetto della quale si ripristinerebbe, per tutto il periodo indicato dall'art. 14, secondo comma, della legge n. 898 del 1976, la regola di calcolo dell'indennizzo desumibile dalla legge generale del 1865, alla quale si è riferita la giurisprudenza dopo la sentenza n. 6 del 1966.
4. Precisata nei termini ora detti, la questione è fondata.
Poichè l'imposizione di una servitù militare configura un caso analogo a quello dell'occupazione parziale e temporanea del fondo, il giudizio di congruità dell'indennizzo non può prescindere dal parametro del "giusto prezzo" risultante dagli artt. 40 e 68 della legge n. 2359 del 1865. Si tratta appunto di un parametro, non di un termine vincolante di esatta commisurazione (cfr. sentenze nn. 216 del 1990, 530 e 1022 del 1988, 138 del 1977): il legislatore rimane libero di adottare criteri più o meno automatici di determinazione dell'indennizzo, per esempio rapportandolo al valore catastale dell'immobile (risultante dalla moltiplicazione del reddito dominicale rivalutato per un certo coefficiente), oppure alla media, eventualmente corretta, del valore venale col reddito dominicale rivalutato (cfr. art. 5- bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359), sempre che le tariffe d'estimo siano stabilite in misura tale da produrre un risultato che, confrontato con quel parametro e tenuto conto degli interessi generali sottesi al provvedimento espropriativo, possa considerarsi equo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, secondo e terzo comma, della legge 20 dicembre 1932, n. 1849 (Riforma del testo unico delle leggi sulle servitù militari), come sostituito dall'art. 1 della legge 8 marzo 1968, n. 180 (Modificazioni della legge 20 dicembre 1932, n. 1849, concernente la riforma del testo unico delle leggi sulle servitù militari).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 01/04/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Luigi MENGONI, Redattore
Depositata in cancelleria il 06/04/93.