SENTENZA N. 49
ANNO 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Augusto Antonio BARBERA;
Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art.1, commi da 661 a 676, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, nel procedimento vertente tra Assobibe - Associazione italiana tra gli industriali delle bevande analcoliche e altri e il Ministero dell’economia e delle finanze e altri, con ordinanza del 14 novembre 2022, iscritta al n. 4 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2023.
Visti gli atti di costituzione di Sibeg srl e di Assobibe - Associazione italiana tra gli industriali delle bevande analcoliche, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udita nell’udienza pubblica del 7 febbraio 2024 la Giudice relatrice Antonella Sciarrone Alibrandi;
uditi gli avvocati Saverio Sticchi Damiani per Sibeg srl, Marcello Clarich per Assobibe - Associazione italiana tra gli industriali delle bevande analcoliche e l’avvocato dello Stato Amedeo Elefante per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 7 febbraio 2024.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 14 novembre 2022 (reg.ord. n. 4 del 2023), il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 661 a 676, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, «nella parte in cui ha assoggettato ad imposta sul consumo i soli prodotti rientranti nelle voci NC 2009 e 2202 della nomenclatura combinata dell’Unione europea (ossia certe bevande analcoliche) ottenuti con l’aggiunta di edulcoranti, e non anche altri prodotti alimentari diversi dalle bevande ma parimenti contraddistinti dall’aggiunta dei medesimi edulcoranti».
1.1.– Il TAR Lazio premette di essere stato adito per ottenere l’annullamento del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 12 maggio 2021 (Imposta di consumo sulle bevande edulcorate) e dei modelli a esso collegati, nonché di ogni atto presupposto, connesso o consequenziale, nell’ambito di due distinti giudizi promossi, rispettivamente, il primo da Assobibe - Associazione italiana tra gli industriali delle bevande analcoliche, associazione di categoria che rappresenta le imprese produttrici e distributrici di bevande analcoliche in Italia, nonché da due imprese iscritte a detta associazione (Fonti di Posina spa e Romanella Drinks srl), il secondo da Sibeg srl (società che produce, e commercializza sul territorio siciliano le bevande a marchio “The Coca Cola Company”).
Riuniti i giudizi in considerazione della connessione oggettiva tra i medesimi, il TAR Lazio si pronuncia, preliminarmente, sulle eccezioni di inammissibilità dei ricorsi, sollevate dalle amministrazioni resistenti nel giudizio principale, e le ritiene tutte prive di fondamento, con conseguente affermazione della rilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata.
1.2.– In particolare, il rimettente esclude la sussistenza del preteso difetto di giurisdizione in quanto i ricorsi non si risolverebbero – come assunto dalle amministrazioni resistenti – nell’impugnazione di una legge, inammissibile dinanzi al TAR, bensì di un atto amministrativo, presuntivamente affetto da vizi di illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale della legge di cui esso costituisce applicazione. Pertanto, il rimettente rileva, in linea con quanto costantemente affermato da questa Corte e da quella amministrativa, che il medesimo giudice amministrativo è comunque chiamato ad esercitare il potere di annullamento dell’atto, anche in caso di declaratoria di illegittimità costituzionale della norma di legge su cui poggia l’atto impugnato, non essendovi coincidenza fra la questione principale di merito (relativa alla legittimità dell’atto) e la questione, che si rivela pregiudiziale, di legittimità costituzionale della legge.
Egualmente priva di fondamento sarebbe, poi, l’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse ad agire, per asserita assenza di lesività del decreto ministeriale impugnato.
Le previsioni contenute in quest’ultimo – secondo il Collegio rimettente – sarebbero, all’opposto, idonee a produrre, in via diretta e immediata, una lesione concreta e attuale della sfera giuridica delle ricorrenti, a prescindere dall’adozione di qualsiasi atto applicativo successivo. Tale decreto conterrebbe, infatti, obblighi già di per sé stringenti a carico dei produttori e dei soggetti che commercializzano bevande edulcorate (tra cui, ad esempio, quello di denuncia all’ufficio dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli competente territorialmente, nonché quello della redazione di specifici prospetti riepilogativi ove annotare i quantitativi di bevande edulcorate ottenuti nell’impianto di produzione). Gli adempimenti contabili e amministrativi previsti nel decreto sarebbero, peraltro, preparatori e strumentali rispetto alla fase di autoliquidazione e versamento del tributo, sicché priva di rilievo sarebbe pure la circostanza che tale tributo non sia stato ancora applicato in conseguenza di reiterate proroghe del termine fissato per l’acquisto di efficacia della relativa normativa. Sussisterebbe, pertanto, nella specie, un tangibile e concreto interesse delle ricorrenti a una pronuncia sulla legittimità del decreto impugnato, immediatamente produttivo di effetti.
1.3.– Pure l’eccezione di incompatibilità delle disposizioni censurate con la normativa dell’Unione europea – che, ove accertata, eventualmente anche all’esito di un rinvio pregiudiziale ex art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, potrebbe condurre alla disapplicazione delle stesse e all’annullamento del provvedimento impugnato – sarebbe priva di fondamento.
Il rimettente ricorda che l’imposta sulle bevande analcoliche contenenti sostanze edulcoranti (cosiddetta sugar tax) rientra nel novero delle imposte speciali sui consumi, relative a «prodotti diversi dai prodotti sottoposti ad accisa» armonizzata, che, secondo la direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE, gli Stati membri sono abilitati ad applicare a condizione che non introducano alcuna «formalità connessa all’attraversamento delle frontiere».
Nella specie, la normativa in esame non avrebbe introdotto alcuna formalità connessa all’attraversamento delle frontiere e non si porrebbe, quindi, in contrasto con alcuno dei parametri europei evocati (artt. 49, 56 e 101 TFUE), né con principi di carattere generale. L’imposta si applica, infatti, nella stessa maniera, sia ai prodotti nazionali, sia a quelli di provenienza da Stati membri dell’Unione europea (con ciò si esclude la violazione degli artt. 30 e 110 TFUE), nonché a tutti i prodotti immessi in commercio nel territorio dello Stato (con ciò scongiurandosi la violazione degli artt. 34 e 35 TFUE).
Pertanto, il giudice a quo ritiene che l’art. 1, commi da 661 a 676, della legge n. 160 del 2019 non possa essere disapplicato, in quanto conforme ai parametri europei evocati, e che non sussistano le condizioni per il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
1.4.– Con riferimento all’illegittimità derivata del provvedimento impugnato, il TAR Lazio respinge alcuni profili che ritiene, prima facie, manifestamente infondati, alla luce della ricostruzione della disciplina di legge che ha introdotto l’imposta in esame e delle finalità da essa perseguite.
Il rimettente ricorda che l’art. 1 della legge n. 160 del 2019 ha introdotto, ai commi da 661 a 676, l’imposta sul consumo delle bevande analcoliche, «rientranti nelle voci NC 2009 e 2202 della nomenclatura combinata dell’Unione europea», cui siano state aggiunte sostanze edulcoranti, di origine naturale o sintetica, con l’obiettivo – indicato nella relazione illustrativa al disegno di legge di bilancio integrato 2020-2022 – di ridurre la diffusione dell’obesità e del diabete, correlate all’abuso di zuccheri aggiunti, nonché l’eccessivo uso di sostanze edulcoranti sintetiche, che hanno effetti collaterali dannosi per la salute dell’uomo.
Il TAR Lazio ritiene, pertanto, manifestamente prive di fondamento le censure di violazione del principio di proporzionalità, rivelandosi tale misura idonea allo scopo di ridurre il consumo delle bevande in questione per preservare al meglio la salute pubblica, in un’ottica precauzionale, nonché necessaria e proporzionata, in assenza di misure omologhe che, a parità di efficacia, producano minori sacrifici a carico delle aziende produttrici e dei consumatori.
Egualmente ritenuta non idonea a superare il vaglio di non manifesta infondatezza è, inoltre, la censura – anch’essa prospettata dalle ricorrenti – di irragionevolezza della disciplina in esame, in considerazione della prevalente finalità extrafiscale del tributo, costituita dal contrasto di specifiche patologie, nonché della elevata elasticità della domanda di bevande edulcorate, che rende la sugar tax meno penalizzante per il produttore rispetto a qualsiasi nuova imposta gravante sul medesimo, essendo quest’ultima poi traslata economicamente sul consumatore finale.
Infine, il rimettente non condivide la censura di violazione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., dal momento che l’imposta in esame è parametrata alla quantità dell’intero prodotto messo in commercio e quindi riflette la concezione relativa di capacità contributiva consolidatasi nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «il potere impositivo può colpire anche fatti non patrimoniali, purché naturalmente rilevabili e misurabili in denaro».
1.5.– Il TAR Lazio ritiene, invece, non manifestamente infondata la censura di violazione del principio di eguaglianza tributaria, di cui agli artt. 3 e 53 Cost., secondo cui «a situazioni eguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario diseguale» (è citata la sentenza di questa Corte n. 120 del 1972).
Il Collegio rimettente prende le mosse da alcuni elementi che contraddistinguono la disciplina delle imposte sui consumi, a cominciare dalla circostanza che la loro applicazione può avere non solo funzione di gettito fiscale, ma anche scopi extrafiscali strumentali a scelte di carattere politico-economico, fra cui quello di disincentivare il consumo dei beni che generano esternalità negative a danno della collettività ovvero anche solo quello di aumentare le entrate pubbliche senza eccessivi costi di accertamento e di riscossione. Rileva, inoltre, che, sul piano economico, simili tributi hanno effetti regressivi o progressivi a seconda delle tipologie di consumo e della elasticità delle curve di domanda e di offerta.
Il TAR Lazio richiama, a tal proposito, il consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui il «legislatore ordinario può assumere, quali soggetti passivi di imposta idonei a concorrere alle pubbliche spese, anche coloro che pongono in essere presupposti aventi una rilevanza economico-sociale, ma non necessariamente anche patrimoniale», a condizione che siano oggettivamente rilevabili, si prestino ad essere comparati con altre situazioni fiscalmente rilevanti e siano misurabili economicamente (sono citate le sentenze n. 102 del 1993 e n. 201 del 1975). Secondo tale orientamento, ogni prelievo tributario deve trovare la causa giustificatrice in «indici concretamente rilevatori di ricchezza» da cui sia «razionalmente deducibile l’idoneità soggettiva all’obbligazione d’imposta» (sono citate le sentenze n. 387 del 1989, n. 200 del 1976 e n. 45 del 1964). Il rimettente sottolinea che, sebbene la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacità contributiva, desumibile da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza e non solo dal reddito individuale, rientri – secondo la giurisprudenza di questa Corte – nella discrezionalità del legislatore (sono citate le sentenze n. 156 del 2001, n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n. 143 del 1995 e n. 159 del 1985), quest’ultimo deve tuttavia operare il riparto del carico pubblico secondo criteri di coerenza interna, non contraddittorietà, adeguatezza e non arbitrarietà, assicurando che a situazioni di fatto uguali corrispondano uguali regimi impositivi e, in via correlata, a situazioni diverse corrisponda un trattamento tributario diseguale.
Sulla base di tali premesse, il TAR Lazio ritiene che la disciplina censurata contrasti con il principio di eguaglianza tributaria risultante dal combinato disposto degli artt. 3 e 53 Cost., andando a colpire fiscalmente le sole bevande analcoliche contenenti sostanze edulcoranti (eccedenti una certa soglia) e non anche altri prodotti alimentari contenenti le medesime sostanze.
In altri termini, con la richiamata previsione sarebbe stata introdotta una differenziazione di trattamento fiscale non supportata da alcun criterio giustificativo. Considerato che l’imposta in esame (sugar tax) è un tributo introdotto allo scopo di contrastare il fenomeno dell’obesità e del diabete, nonché la diffusione degli effetti collaterali dannosi degli edulcoranti sintetici, il rimettente ritiene che, al fine di soddisfare il principio di eguaglianza e ragionevolezza, il legislatore avrebbe dovuto spiegare le ragioni per cui tale obiettivo deve essere perseguito colpendo solo gli edulcoranti contenuti nelle bevande analcoliche e non quelli contenuti in altri prodotti alimentari. In questa direzione – ricorda ancora il rimettente – si sarebbero mosse due decisioni di questa Corte: con la sentenza n. 83 del 2015, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di una normativa che tassava in egual misura due fattispecie (quella dei tabacchi lavorati e quella dei prodotti non contenenti nicotina idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati) obiettivamente diverse tra loro, di cui solo la prima poteva ricondursi all’ambito di applicazione della finalità disincentivante; con la sentenza n. 201 del 2014, invece, è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione a una disposizione di legge con cui era stato introdotto – nel contesto della crisi finanziaria internazionale del 2011 – un prelievo aggiuntivo a carico dei soli dirigenti del settore finanziario e non anche di quelli di settori merceologici diversi, trattandosi di situazioni solo apparentemente omogenee.
Nel caso di specie, il TAR Lazio ritiene che la diversa «regola fiscale» applicata a due fattispecie apparentemente omogenee («id est da un lato l’imposizione della “sugar tax” alle bibite contenenti edulcoranti, dall’altro lato la mancata imposizione della “sugar tax” agli altri prodotti alimentari diversi dalle bevande contenenti i medesimi edulcoranti») non trovi alcuna giustificazione né nel testo della legge, né nella relazione illustrativa del disegno di legge: e ciò in spregio del fatto che il fine ultimo di tale prelievo (contrastare l’obesità, il diabete e il consumo di sostanze edulcoranti sintetiche) ben avrebbe potuto realizzarsi incidendo anche su prodotti alimentari diversi dalle bevande analcoliche.
Nessuna lesione del citato principio di eguaglianza tributaria viene, invece, ravvisata nel fatto che la sugar tax si applichi indistintamente sia agli edulcoranti naturali che a quelli sintetici, essendo predicabile sia per i primi che per i secondi la finalità disincentivante in vista dell’obiettivo ultimo di contrastare non solo le patologie associate agli edulcoranti naturali, ma anche effetti nocivi correlati all’eccessivo consumo di edulcoranti sintetici.
2.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che questa Corte dichiari la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 661 a 676, della legge n. 160 del 2019 manifestamente infondata.
La parte interveniente premette che la previsione dell’imposta riferita alle sole bevande e non agli altri prodotti alimentari è conforme ad analoghi provvedimenti già adottati in altri Paesi o regioni autonome (Francia, Regno Unito, Irlanda, Belgio, Portogallo, Catalogna, Norvegia, Finlandia, Ungheria, Estonia e Lettonia) ed è in linea con le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che, dopo aver annoverato le bevande dolcificate fra le principali responsabili di obesità e diabete (rapporto “Fiscal Policies for Diet and Prevention of Noncommunicable Diseases” del 2015), ha anche pubblicato, nel 2022, uno studio sui risultati dell’applicazione della sugar tax in altri Paesi europei (Sugar-sweetened Beverage Taxes in the WHO European Region: Success through Lessons Learned and Challenges Faced).
Pertanto, la scelta disincentivante del legislatore – operata con l’introduzione della citata tassa – non risulterebbe né irragionevole, né arbitraria, né ingiustificata quanto alla sua limitazione alle sole bevande edulcorate rispetto a prodotti alimentari di altro tipo.
La parte interveniente evidenzia, altresì, che la decorrenza dell’efficacia delle disposizioni disciplinanti l’imposta in esame è stata ripetutamente rinviata fino al 1° gennaio 2024, mentre il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze (impugnato nei giudizi a quibus) è stato adottato il 12 maggio 2021, all’esito di approfondimenti condotti nel corso di specifici incontri con le associazioni di categoria, nonché di tavoli ministeriali.
Considerato che lo scopo extrafiscale «di matrice costituzionale» del tributo in esame è la tutela della salute dei cittadini, perseguita indirizzando i comportamenti della collettività verso una limitazione del consumo di bevande con elevato contenuto di sostanze edulcoranti aggiunte, con la sugar tax il legislatore avrebbe correttamente applicato il principio di precauzione di matrice eurounitaria, invocabile ove vi siano evidenze scientifiche della nocività di un prodotto e ricorrano possibili rischi per la salute e l’ambiente. In virtù di tale principio, al sussistere di incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute della persona, l’azione dei pubblici poteri può tradursi nell’adozione di misure incidenti sulle libertà dei singoli, purché rispettose del principio di proporzionalità.
Nel caso in esame, l’imposizione fiscale rappresenterebbe, propriamente, uno strumento di disincentivo al consumo di tali prodotti, in modo da evitarne abusi con effetti pregiudizievoli o, addirittura, l’assuefazione.
L’Avvocatura ritiene, inoltre, che il legislatore abbia compiutamente individuato e selezionato i beni da sottoporre a imposta sul consumo, avendo cura di non introdurre alcuna limitazione all’esercizio dell’attività delle aziende operanti nel settore, né restrizioni all’accesso nel mercato. Ciò in linea con l’art. 41 Cost., e con la giurisprudenza costituzionale che ha ripetutamente riconosciuto la possibilità del legislatore di «intervenire per salvaguardare la continuità produttiva in settori strategici per l’economia nazionale e per garantire i correlati livelli di occupazione», ma solo attraverso «un ragionevole ed equilibrato bilanciamento dei valori costituzionali in gioco» (è citata la sentenza n. 58 del 2018), tale da non consentire né la prevalenza assoluta di uno dei valori coinvolti, né il sacrificio totale di alcuno di loro (sono citate le sentenze n. 63 del 2016, n. 85 del 2013 e n. 264 del 2012).
Tanto considerato, la parte interveniente ritiene – anche sulla scia della sentenza di questa Corte n. 83 del 2015 in materia di tassazione dei prodotti da fumo – che una incondizionata tassazione di tutti i prodotti contenenti zuccheri aggiunti risulterebbe irragionevole e sproporzionata rispetto allo scopo perseguito e ai dati scientifici disponibili.
Nel ricordare che l’imposta in esame risponde a un’esigenza di ordine sanitario, l’Avvocatura osserva che il prelievo fiscale dovrebbe provocare, attraverso la sua traslazione economica, un aumento del prezzo di tali prodotti e, quindi, una minore propensione al loro acquisto da parte dei consumatori.
La selezione di una determinata produzione come meritevole di tassazione sarebbe, pertanto, giustificabile anche rispetto al principio di eguaglianza tributaria, che consente una differenziazione del sistema impositivo per settori produttivi, aree economiche o tipologia di contribuenti, purché non degeneri in arbitraria discriminazione. Tale assunto troverebbe, d’altro canto, conferma nella circostanza che, nel caso dell’IVA, il trattamento tributario riservato ai singoli prodotti alimentari è già ampiamente differenziato, secondo quanto disposto dalla Tabella A, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), in linea con il diritto dell’Unione europea in materia di IVA armonizzata, che prevede aliquote diverse (4, 5, 10 o 22 per cento) per tipologie di prodotti, in base a ragioni commerciali, politiche o anche solo di opportunità. Un simile trattamento differenziato – ricorda ancora la parte interveniente – è d’altronde previsto anche nel regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, istitutivo del codice doganale dell’Unione. In specie, si sottolinea che la suddetta normativa europea stabilisce che alle merci contemplate dalla nomenclatura combinata, destinate all’esportazione e all’importazione da e verso il territorio dell’Unione europea, debbano essere applicati i dazi convenzionali o autonomi normali previsti in corrispondenza di ciascuna voce della medesima nomenclatura combinata, sicché non può dirsi che la tassazione dei prodotti in questione avvenga in misura omogenea.
A tali considerazioni la parte interveniente aggiunge che l’imposta in questione non è applicata alle sostanze edulcoranti, bensì alle bevande analcoliche cui siano aggiunti edulcoranti oltre un quantitativo percentuale prestabilito. Base imponibile del tributo è il quantitativo di bevanda prodotta e confezionata per essere preordinata al consumo finale; pertanto, l’aliquota di tassazione (fissata dal comma 665 del censurato art. 1 in euro 10,00 per ettolitro di bevanda nonché euro 0,25 per chilogrammo, per i prodotti predisposti ad essere utilizzati previa diluizione) è stabilita in relazione al volume della bevanda da tassare, risultando irrilevante il quantitativo di edulcoranti effettivamente presenti nella bevanda finita.
Inoltre, evidenzia l’Avvocatura che i prodotti colpiti dal tributo sono compiutamente e organicamente individuati attraverso l’indicazione delle voci di nomenclatura combinata dell’UE, utilizzate in ambito doganale per riferirsi a insiemi di prodotti commercialmente uniformi e fungibili, corrispondenti, nella specie, a succhi di frutta o di ortaggi (NC 2009) e acque con aggiunta di zuccheri o di altri dolcificanti (NC 2202), che vengono qualificati come bevande e che non avrebbero nulla a che vedere con altri alimenti di uso comune. Questi ultimi potrebbero contenere sostanze edulcoranti, ma avrebbero caratteristiche funzionali e nutrizionali del tutto distinte dalle bevande edulcorate. Tali bevande, viceversa, sono oggetto di tassazione senza alcuna distinzione, con l’eccezione di quelle assimilate a sostanze alimentari nutrienti, in quanto elaborate «per la gestione delle specifiche esigenze nutrizionali di soggetti che, in dipendenza di particolari condizioni cliniche che comportano una limitata o alterata capacità di assumere o metabolizzare determinati alimenti o sostanze nutrienti, necessitano di tali bevande o preparati per completare o integrare la loro alimentazione», nonché delle bevande analcoliche con aggiunte modestissime di zuccheri naturali o sintetici, oltre a quelle con un titolo alcolometrico superiore a 1,2 per cento in volume.
Sarebbe, pertanto, evidente l’intrinseca razionalità della scelta legislativa di introdurre un nuovo tributo su una specifica fattispecie di prodotti, le bevande edulcorate, compiutamente e organicamente individuata, il cui consumo risulta particolarmente diffuso soprattutto nella fascia di consumatori di giovane età, arrecando obesità, sovrappeso, malattie cardiovascolari e diabete.
La differenziazione del trattamento fiscale fra bevande e altri prodotti alimentari edulcorati troverebbe la sua giustificazione nella necessità di coniugare diverse esigenze sottese a principi costituzionali, attraverso un’opera di bilanciamento complessa, i cui effetti non sarebbero né distorsivi, né irragionevoli. La parte interveniente osserva che l’applicazione rigorosa del principio di capacità contributiva – che «costituisce una specificazione del principio di eguaglianza» – spingerebbe verso la moltiplicazione delle distinzioni tra situazioni differenti, con evidenti distorsioni all’interno del sistema. Per questa ragione – osserva ancora la parte interveniente – spetterebbe al legislatore coniugare razionalmente il citato principio con altri principi costituzionali e con «le esigenze sottese alla c.d. “ragion fiscale”» (quali, ad esempio, la tempestiva ed efficace realizzazione della pretesa tributaria, la repressione dell’evasione fiscale, la semplificazione degli adempimenti), esigenze che, nella specie, sarebbero state adeguatamente considerate, attraverso una delicata opera di bilanciamento di diversi obiettivi.
L’interveniente ricorda, altresì, che, ai fini dell’individuazione del perimetro di applicazione della sugar tax, nel rispetto della normativa europea in materia di utilizzo di additivi alimentari, è stato necessario stilare un elenco delle sostanze in grado di conferire sapore dolce alle bevande, nonché fissare – con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 15 ottobre 2020 (Imposta sul consumo delle bevande edulcorate), nel rispetto del regolamento (CE) n. 1333/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativo agli additivi alimentari – i valori afferenti al potere edulcorante che rendono una bevanda tassabile. Successivamente, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 12 maggio 2021 (appunto quello impugnato nei giudizi a quibus) sono state disciplinate le modalità attuative dell’imposta e individuati i relativi adempimenti contabili e dichiarativi.
A ulteriore sostegno della congruità delle disposizioni censurate, la difesa statale ricorda gli studi scientifici che hanno rilevato come le bevande in questione contengano zuccheri semplici che fanno alzare rapidamente la glicemia, a differenza di altri alimenti che, a parità di quantità di zuccheri, hanno un effetto diverso sul metabolismo, contenendo anche grassi in grado di rallentare l’assorbimento del glucosio.
Pertanto, secondo l’Avvocatura le disposizioni censurate sarebbero immuni dai vizi paventati nell’ordinanza di rimessione. Quest’ultima, peraltro, non recherebbe alcuna evidenza delle ragioni atte a giustificare la pretesa assimilazione alle bevande degli altri generi alimentari, nemmeno compiutamente individuati, sicché la comparazione in questione resterebbe confinata ad uno stadio meramente teorico e astratto.
3.– Si è costituita in giudizio Assobibe, chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate.
In linea con gli argomenti svolti dal giudice rimettente, la difesa della parte sostiene che la differenziazione di trattamento fiscale, fra bevande analcoliche con sostanze edulcoranti eccedenti una determinata soglia e prodotti alimentari contenenti le medesime sostanze, non sia sostenuta da alcuna ragione oggettiva. Tale diverso trattamento fiscale sarebbe irragionevole anche tenuto conto delle finalità dell’imposta (riduzione di malattie quali obesità e diabete), che imporrebbero di applicarla anche ad altri prodotti alimentari contenenti i medesimi edulcoranti.
Nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, la difesa di Assobibe contesta l’assunto della parte interveniente secondo cui la misura introdotta dal legislatore italiano mira ad allineare l’Italia, sotto il profilo fiscale, agli altri Paesi europei, considerato che non esiste un obbligo di armonizzazione delle legislazioni fiscali. Né sarebbe corretto evocare il principio di precauzione, in assenza di evidenze scientifiche circa la nocività del prodotto tassato.
4.– Si è costituita in giudizio anche Sibeg srl, aderendo alle conclusioni del rimettente.
La difesa della parte premette che la sugar tax, in quanto contraddistinta da un ambito di applicazione esclusivamente nazionale, andrebbe a colpire in modo pesante i soggetti che – come la stessa Sibeg srl – hanno come destinazione naturale di produzione il mercato interno, senza che sia dimostrato un effetto realmente disincentivante per il consumatore.
Nel richiamare gli argomenti svolti nell’ordinanza di rimessione, la parte ricorda la giurisprudenza di questa Corte secondo cui «ogni diversificazione del regime tributario, per aree economiche o per tipologia dei contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione» (sono citate le sentenze n. 288 del 2019, n. 10 del 2015, n. 104 del 1985 e n. 42 del 1980). In questa prospettiva, la verifica della violazione del principio di eguaglianza tributaria imporrebbe uno scrutinio particolarmente rigoroso circa la sussistenza di una eadem ratio che giustifichi l’estensione a fattispecie ritenute escluse (è citata la sentenza n. 120 del 2020 di questa Corte).
Considerato che, secondo la difesa di Sibeg srl, la regola di giudizio ricavabile dall’art. 53 Cost., letto in combinato disposto con l’art. 3 Cost., è che il legislatore, nel momento impositivo, non deve compiere discriminazioni arbitrarie, nella specie tale regola sarebbe stata violata, non risultando giustificabile un trattamento fiscale differenziato tra prodotti alimentari e bevande, diretto a colpire solo le seconde e volto a esonerare, senza alcuna giustificazione, i primi. Tale differenziazione si tradurrebbe in una manifesta discriminazione, anche in ragione del fatto che i prodotti dolciari sono in media quelli più calorici e di più largo consumo, specie nella popolazione infantile. A tal proposito, la difesa della parte segnala l’assenza di evidenze scientifiche che colleghino l’obesità e le altre patologie all’uso eccessivo delle bevande dolci, laddove anzi il tema dell’obesità sembrerebbe maggiormente legato a stili di vita sedentari. Da studi rivolti al settore interessato dalla sugar tax emergerebbe, altresì, che in Italia non si riscontra una situazione di emergenza legata al consumo di bevande edulcorate, di cui viceversa si registrerebbe un calo costante. La scelta di colpire la categoria delle bevande edulcorate apparirebbe ingiustamente gravosa per le imprese obbligate, anche in ragione del fatto che nel settore alimentare, pur a fronte di prodotti con identica o maggiore quantità di edulcoranti, l’aliquota sarebbe compresa fra il 4 e il 10 per cento, laddove l’aliquota prevista per le bevande sarebbe del 22 per cento. Considerato che nel sistema tributario ogni trattamento differenziato deve essere giustificato in ragione della capacità contributiva e che quest’ultima sarebbe la medesima nel settore del food e del beverage, l’ingiusto trattamento deteriore riservato al settore delle bevande dolci risulterebbe contrario al principio di eguaglianza tributaria.
Pertanto, il diverso trattamento fiscale riservato a due fattispecie in apparenza omogenee sarebbe privo di qualsiasi giustificazione e, di conseguenza, la previsione che ha introdotto la nuova imposta si configurerebbe come arbitraria, irragionevole e discriminatoria e tale da danneggiare irreversibilmente il settore produttivo delle bevande analcoliche edulcorate.
5.– All’udienza del 7 febbraio 2024, le parti e l’interveniente hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.– Il TAR Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 661 a 676, della legge n. 160 del 2019, in riferimento al principio di eguaglianza tributaria di cui agli artt. 3 e 53 Cost.
1.1.– Le citate disposizioni – premette il rimettente – hanno introdotto e disciplinato l’«imposta sul consumo delle bevande analcoliche […] denominate bevande edulcorate» (comma 661). Tali si intendono «i prodotti finiti e i prodotti predisposti per essere utilizzati […] previa diluizione, rientranti nelle voci NC 2009 e 2202 della nomenclatura combinata dell’Unione europea» (comma 662) (che corrispondono, rispettivamente, a: succhi di frutta e di ortaggi e legumi, non fermentati, senza aggiunta di alcol, anche addizionati di zuccheri o di altri dolcificanti; acque, comprese quelle minerali e gassate, con aggiunta di zucchero o di altri dolcificanti o di aromatizzanti e altre bevande non alcoliche, esclusi i succhi di frutta e di ortaggi della voce 2009), con una percentuale di alcol uguale o inferiore all’1,2 per cento in volume, cui siano state aggiunte sostanze – di origine naturale o sintetica – in grado di conferire un sapore dolce.
L’imposta colpisce l’immissione in commercio nel territorio nazionale delle citate bevande, nella misura di «euro 10,00 per ettolitro» per i prodotti finiti e di «euro 0,25 al chilogrammo» per i prodotti predisposti per essere utilizzati previa diluizione (comma 665), sia se prodotti da imprese nazionali, sia se provenienti da altri Stati membri dell’Unione europea o importati da Stati terzi. La medesima non si applica ove non sia raggiunta una certa “soglia di dolcezza” e, cioè, allorquando il contenuto complessivo di edulcoranti sia inferiore o uguale a 25 grammi per litro per i prodotti finiti e a 125 grammi per chilogrammo per i prodotti predisposti ad essere utilizzati previa diluizione (comma 666).
Quanto alle finalità dell’introduzione della sugar tax, il Collegio rimettente rileva come, nella relazione illustrativa al disegno di legge di bilancio integrato 2020-2022, esse siano ravvisate nella riduzione – attraverso la disincentivazione dell’uso delle bevande analcoliche con un contenuto elevato di sostanze edulcoranti naturali o artificiali aggiunte – della diffusione dell’obesità e del diabete, nonché di altri effetti dannosi per la salute dell’uomo, conseguenti all’eccessivo uso di sostanze edulcoranti sintetiche.
1.2.– Su queste premesse, il TAR Lazio dubita della conformità al principio di eguaglianza tributaria della disciplina contenuta nell’art. 1, commi da 661 a 676, della legge n. 160 del 2019 «nella parte in cui ha assoggettato ad imposta sul consumo i soli prodotti rientranti nelle voci NC 2009 e 2202 della nomenclatura combinata dell’Unione europea (ossia certe bevande analcoliche) ottenuti con l’aggiunta di edulcoranti, e non anche altri prodotti alimentari diversi dalle bevande ma parimenti contraddistinti dall’aggiunta dei medesimi edulcoranti».
A partire dalla considerazione che il legislatore, pur potendo determinare discrezionalmente i singoli fatti espressivi della capacità contributiva, deve comunque operare il riparto del carico pubblico secondo criteri di coerenza interna, non contraddittorietà, adeguatezza e non arbitrarietà, al fine di assicurare che a situazioni di fatto eguali corrispondano eguali regimi impositivi e, in via correlata, a situazioni diverse corrisponda un trattamento tributario diseguale, il rimettente ritiene che, nella specie, ciò non sia avvenuto.
La diversa «regola fiscale» applicata a due fattispecie apparentemente omogenee («id est da un lato l’imposizione della “sugar tax” alle bibite contenenti edulcoranti, dall’altro lato la mancata imposizione della “sugar tax” agli altri prodotti alimentari diversi dalle bevande contenenti i medesimi edulcoranti») non troverebbe alcuna giustificazione oggettiva né nel testo della legge, né nella relazione illustrativa del disegno di legge: e ciò in spregio del fatto che il fine ultimo di tale prelievo (contrastare l’obesità, il diabete e il consumo di sostanze edulcoranti sintetiche) ben avrebbe potuto realizzarsi incidendo anche sui prodotti alimentari diversi dalle bevande analcoliche.
2.– In via preliminare, non sussistono ostacoli all’esame della questione nel merito.
2.1.– Il TAR Lazio premette di essere stato adito per ottenere l’annullamento del d.m. 12 maggio 2021, impugnato per vizi di illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale della normativa che ha introdotto e disciplinato la citata imposta, di cui il decreto in discorso costituisce attuazione.
Recependo, sia pure sotto il solo profilo della violazione del principio di eguaglianza tributaria, i dubbi prospettati dalle ricorrenti nei giudizi principali con riguardo alla normativa contenente la disciplina della sugar tax, il Collegio rimettente riconosce la rilevanza della questione e fornisce ampie motivazioni sul punto, anche per respingere le eccezioni di inammissibilità dei ricorsi formulate dalle amministrazioni resistenti nei giudizi a quibus.
2.1.1– In particolare, quanto all’eccezione di inammissibilità per difetto di incidentalità, il rimettente ha ritenuto che il ricorso, lungi dal risolversi in un’inammissibile impugnazione di una legge, miri all’accertamento dei vizi di illegittimità di un atto amministrativo, derivati dalla pretesa illegittimità costituzionale della legge di cui il medesimo costituisce applicazione. Pertanto, anche in caso di declaratoria di illegittimità costituzionale di quest’ultima, il giudice amministrativo è comunque chiamato a esercitare il potere di annullamento dell’atto, non essendoci coincidenza fra la questione principale di merito e la questione di legittimità costituzionale della legge, che risulta pregiudiziale e quindi rilevante.
Considerato che spetta al giudice rimettente «accertare il nesso di rilevanza che deve avvincere i due giudizi, a meno che tali valutazioni non risultino manifestamente e incontrovertibilmente carenti, ovvero la motivazione della loro esistenza sia manifestamente implausibile» (sentenza n. 240 del 2021), nella specie tale onere risulta adeguatamente soddisfatto, in linea con la costante giurisprudenza costituzionale. Da tempo risalente, infatti, questa Corte ha riconosciuto la sussistenza del requisito della rilevanza «ogniqualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione (o dalle questioni) di legittimità costituzionale, sul quale il giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi» (sentenza n. 4 del 2000 e ordinanza n. 103 del 2022; di recente, nello stesso senso, sentenze n. 161 del 2023 e n. 169 del 2022). Ciò che accade nel caso di specie, in cui si chiede al TAR Lazio di pronunciare l’annullamento del d.m. 12 maggio 2021, in quanto adottato in applicazione di una normativa che si assume essere costituzionalmente illegittima.
2.1.2.– Anche la motivazione svolta dal Collegio rimettente sulla sussistenza dell’interesse a ricorrere delle ricorrenti nel giudizio principale, connessa alla lesività del decreto impugnato, soddisfa le condizioni per superare il vaglio di ammissibilità demandato a questa Corte. Quest’ultimo «è meramente estern[o] e strumentale al riscontro di una adeguata motivazione in punto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale» (sentenze n. 4 del 2024 e n. 193 del 2022; nello stesso senso sentenze n. 240 del 2021 e n. 224 del 2020), considerato che «la valutazione dell’interesse a ricorrere e degli altri presupposti concernenti la legittima instaurazione del giudizio a quo è riservata al giudice rimettente» (sentenze n. 4 del 2024 e n. 193 del 2023), con il solo limite che sia fornita una motivazione «sufficiente e non implausibile» (sentenza n. 240 del 2021).
Nella specie, infatti, il giudice rimettente ha fornito una motivazione non implausibile, là dove – in linea con la giurisprudenza amministrativa secondo cui possono essere impugnati gli atti amministrativi generali e i regolamenti che contengano disposizioni in grado di ledere in via diretta ed immediata le posizioni giuridiche soggettive dei destinatari (Consiglio di Stato, sezione settima, sentenza 29 marzo 2023, n. 3216; sezione quarta, sentenze 21 maggio 2021, n. 3953 e 13 febbraio 2020, n. 1159) – ha ritenuto sussistente l’interesse a ricorrere avverso il decreto impugnato, in considerazione delle previsioni dello stesso che impongono agli operatori di settore una serie di adempimenti preliminari rispetto all’istituzione del tributo, già di per sé stringenti e in grado di ledere in via diretta la sfera delle ricorrenti.
Simili adempimenti, contabili e amministrativi (come, ad esempio, l’obbligo – gravante sugli esercenti di impianti di produzione e sui soggetti cedenti bevande edulcorate – di denuncia dell’esercizio dell’attività all’ufficio dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli competente territorialmente, nonché l’obbligo di redazione e invio di specifici prospetti riepilogativi ove vanno annotati i quantitativi di bevande edulcorate ottenuti nell’impianto di produzione) sono da ritenersi preparatori e strumentali rispetto alla fase di autoliquidazione e versamento del tributo e richiedono, dunque, che gli operatori del settore abbiano il tempo di adeguarvisi. Il che è, del resto, confermato dalla circostanza che il comma 675 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019, in attuazione del quale il d.m. 12 maggio 2021 è stato adottato, è divenuto immediatamente efficace, sia pure a fronte dell’efficacia differita delle restanti disposizioni.
Sotto tale profilo, nessun rilievo riveste, pertanto, la circostanza che il tributo in discorso non abbia ancora trovato applicazione in conseguenza delle reiterate proroghe del termine di acquisto dell’efficacia della disciplina contenuta nei richiamati commi da 661 a 674 (da ultimo ulteriormente differita al 1° luglio 2024 per effetto dell’art. 1, comma 44, lettera b, della legge 30 dicembre 2023, n. 213, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026»).
2.2.– Ancora in via preliminare, occorre rilevare che, dalla lettura dell’ordinanza di rimessione nel suo complesso, si evince, con sufficiente chiarezza, che il verso dell’intervento richiesto a questa Corte per porre rimedio alla dedotta illegittimità costituzionale è meramente ablativo della normativa che istituisce e disciplina l’imposta sulle bevande analcoliche edulcorate.
Sebbene, infatti, la formulazione del petitum possa ingenerare il dubbio che sia stato richiesto un intervento manipolativo-additivo di estensione del tributo ai prodotti alimentari diversi dalle bevande analcoliche edulcorate, ma egualmente contraddistinti dall’aggiunta di zuccheri, dal tenore degli argomenti svolti a sostegno della dedotta violazione del principio di eguaglianza tributaria e del conseguente preteso ingiustificato trattamento tributario differenziato a carico delle sole citate bevande, nonché dal richiamo a precedenti pronunce di questa Corte relative a questioni pure inerenti a trattamenti fiscali e differenziati, di cui si è chiesto l’annullamento (sentenza n. 201 del 2014), è possibile individuare il contenuto e il verso delle censure (sentenza n. 194 del 2021) e quindi anche dell’intervento richiesto, così da consentire alla questione di superare il vaglio di ammissibilità.
3.– Nel merito, la questione sollevata non è fondata.
3.1.– Questa Corte ha ripetutamente affermato che il principio dell’eguaglianza tributaria, desumibile dal combinato disposto degli artt. 3 e 53 Cost., impone che «ogni diversificazione del regime tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione» (sentenza n. 288 del 2019).
Il legislatore gode, infatti, di «un’ampia discrezionalità in relazione alle varie finalità alle quali s’ispira l’attività di imposizione fiscale» (sentenza n. 108 del 2023); la sua attività è comunque soggetta al controllo di questa Corte circa il rispetto dei menzionati principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Cost., che «si risolve in un giudizio sull’uso ragionevole o meno che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, diretto a verificare […] la non arbitrarietà dell’entità dell’imposizione (ex plurimis, sentenze n. 10 del 2015, n. 142 del 2014, n. 116 del 2013, n. 223 del 2012 e n. 111 del 1997; ordinanza n. 341 del 2000)» (ancora, sentenza n. 108 del 2023).
In altri termini, «non è di per sé lesivo del principio di uguaglianza e di capacità contributiva il fatto che il legislatore individui, di volta in volta, quali indici rivelatori di capacità contributiva, le varie specie di beni patrimoniali sia di natura mobiliare che immobiliare (sentenza n. 111 del 1997)». Tuttavia, «[l]a possibilità di imposizioni differenziate […], anche se non vietata dagli artt. 3 e 53 Cost., deve pur sempre ancorarsi a una adeguata giustificazione obiettiva» (di nuovo, sentenza n. 108 del 2023; nello stesso senso, sentenze n. 10 del 2015, n. 142 del 2014 e n. 21 del 2005).
Del resto, nell’ordinamento nazionale, il trattamento tributario riservato ai singoli prodotti alimentari è già ampiamente differenziato: basti pensare al caso dell’IVA che, in base a quanto disposto dalla Tabella A, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972, in linea con il diritto dell’Unione europea in materia di IVA armonizzata, si applica alle varie tipologie di prodotti con aliquote diverse (4, 5, 10 o 22 per cento), in base a ragioni commerciali, politiche o anche solo di opportunità.
3.2.– È alla luce delle richiamate indicazioni che occorre valutare la disciplina sottoposta a scrutinio.
L’imposta sul consumo delle bevande analcoliche edulcorate, la cui istituzione è prevista dal censurato comma 661 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019, rientra nel novero dei tributi indiretti sulla produzione e sul consumo di certi beni, contraddistinti da una prevalente finalità extrafiscale, che, nella specie, è individuata nel contrasto di condotte – dei singoli e delle imprese – incidenti negativamente sulla salute.
Tale finalità è perseguita mediante il disincentivo della commercializzazione e del consumo di specifici prodotti ritenuti dannosi appunto per la salute, il cui eccessivo utilizzo può, pertanto, generare anche un aggravio di spesa pubblica, connesso alla conseguente necessità di assicurare appropriate cure attraverso il Servizio sanitario nazionale.
La relazione illustrativa al disegno di legge di bilancio 2020 fa esplicito riferimento all’intento del legislatore di dare seguito all’invito dell’OMS, contenuto nel già citato rapporto del 2015, a introdurre una specifica tassazione delle bevande analcoliche prodotte con l’aggiunta di sostanze dolcificanti di origine naturale o sintetica, con l’obiettivo di limitarne il consumo e, conseguentemente, di contribuire alla riduzione dei tassi di sovrappeso e obesità, oltre che di carie e diabete, anche in virtù dei risultati, attestati dalla medesima organizzazione e da studi scientifici su cui si fonda il più sopra richiamato rapporto, che sono stati realizzati nei Paesi in cui la sugar tax viene applicata da tempo. Più di recente, in un ulteriore rapporto pubblicato dall’Ufficio europeo dell’OMS nel 2022, è stata ribadita la necessità dell’introduzione di una simile imposta anche nei Paesi europei che non l’hanno ancora prevista, alla luce dei riscontrati effetti positivi della sugar tax in termini di limitazione del consumo delle bevande analcoliche edulcorate in correlazione con l’aumento del prezzo delle stesse (e/o per effetto della riduzione, da parte delle imprese produttrici, della percentuale di zuccheri aggiunti alle bevande in questione) e del conseguente contenimento delle malattie non trasmissibili (quali obesità, diabete, eventi cardiovascolari, ipertensione), ritenute responsabili del 71 per cento di tutti i decessi a livello globale, con correlati costi sociali ed economici molto elevati.
Seguendo questo invito e allineandosi a provvedimenti analoghi già adottati in numerosi altri ordinamenti, il legislatore nazionale è intervenuto a dettare una disciplina puntuale della sugar tax, individuando con precisione le bevande edulcorate la cui cessione a opera del produttore nazionale o il cui ricevimento da altri Paesi dell’Unione europea da parte dell’acquirente nazionale o, ancora, la cui importazione definitiva nel territorio nazionale è colpita attraverso l’indicazione delle voci di nomenclatura combinata dell’UE, universalmente utilizzate in ambito doganale per individuare insiemi di prodotti commercialmente uniformi e fungibili, corrispondenti, nella specie, a succhi di frutta o di ortaggi (NC 2009) e acque con aggiunta di zuccheri o di altri dolcificanti (NC 2202).
In modo altrettanto puntuale è stata identificata la base imponibile corrispondente al quantitativo di bevanda immessa in commercio (tale per cui l’imposta è determinata nella misura di euro 10,00 per ettolitro nel caso di prodotti finiti e di euro 0,25 per chilogrammo per i prodotti concentrati, predisposti per essere utilizzati previa diluizione), nonché la soglia massima di zuccheri complessivamente contenuti (25 grammi per litro o, per i prodotti predisposti per essere utilizzati previa diluizione, un massimo di 125 grammi per chilogrammo) ai fini dell’esenzione dall’imposta: soglia, quest’ultima, corrispondente a quella stabilita dall’Allegato al regolamento (CE) n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006, relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari, con riguardo alle bevande identificate come «a basso contenuto di zuccheri».
3.3.– Da quanto richiamato risulta palese che la giustificazione dell’introduzione della imposta sulle bevande analcoliche edulcorate discende dalla attitudine delle stesse, per la loro particolare composizione, a provocare diabete, obesità e altre patologie non trasmissibili: attitudine puntualmente attestata da studi scientifici riversati in raccomandazioni di organismi internazionali specificamente volti a suggerire l’imposizione fiscale sulle medesime bevande (così significativamente si legge nel già richiamato rapporto pubblicato dall’Ufficio europeo dell’OMS nel 2022).
È proprio tale specifica attestazione scientifica a porsi all’origine sia del presupposto dell’imposta, individuato nella cessione e/o immissione in commercio sul territorio nazionale delle bevande analcoliche edulcorate; sia della base imponibile, individuata nel quantitativo di bevanda immessa in commercio per il consumo (e non della sostanza edulcorante in quanto tale); sia, infine, dei soggetti passivi della medesima imposta, individuati nei produttori (condizionatori o acquirenti o importatori) delle medesime bevande.
La medesima giustificazione scientifica risulta, inoltre, sufficiente a impedire che i prospettati profili di omogeneità, rispetto alle citate bevande, di altri prodotti alimentari edulcorati raggiungano una soglia di evidenza tale da rendere arbitraria, e quindi irragionevolmente discriminatoria, la scelta impositiva del legislatore (sentenze n. 108 del 2023, n. 240 del 2017, n. 10 del 2015, n. 142 del 2014 e n. 116 del 2013). Sotto questo profilo, va, altresì, rimarcata l’estrema genericità con cui il rimettente individua il tertium comparationis («altri prodotti alimentari diversi dalle bevande contenenti i medesimi edulcoranti»). Si tratta, infatti, di un insieme di prodotti con caratteristiche funzionali e nutrizionali assai eterogenee fra loro, oltre che del tutto differenti da quelle delle bevande edulcorate, insieme come tale inidoneo a fungere da termine di riferimento della supposta violazione del principio di eguaglianza tributaria. E ciò a maggior ragione in quanto la nuova imposta non grava sulle sostanze edulcoranti in sé considerate, ma propriamente sulle bevande edulcorate e in funzione della quantità di edulcoranti aggiunti evidentemente calcolata in base alla tipologia di prodotti alimentari (liquidi) interessata.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 661 a 676, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2024.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Redattrice
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2024